T E M PO O R D I N A R I O
Domenica 27 Ottobre - Solennità della Dedicazione del Santuario
Le letture bibliche: Geremia 31,7-9; 1Pietro 2,4-10 ; Marco 10,46-52
Tutti sappiamo cosa significa emarginazione, o emarginati. Un emarginato è uno che non conta, perché si trova all’ultimo gradino della scala, in basso. E’ uno che, mentre tutti corrono sulla strada, lui no, è lì ai margini; lui non corre, resta fermo. Forse non riusciva a stare al passo degli altri, e allora è per non rischiare di essere travolto che si è messo ai margini…
Il Vangelo ci ha detto che è capitato anche a Gerico quel giorno: Gesù partiva da lì per salire a Gerusalemme e c’erano con lui i discepoli e molta folla. Bartimeo non era in quella folla; sedeva al margine della strada a mendicare. Mica solo quel giorno, era da un pezzo che faceva quella vita; da sempre.
E allora, che messaggio potrà essere per noi questo vangelo? Si limiterà a dirci che dobbiamo prenderci a cuore la sorte degli emarginati? Eh, sì: ce ne sono anche oggi seduti ai margini della strada a mendicare, e quelli che non lo fanno è perché si vergognano, ma si sentono emarginati lo stesso… Anzi, potremmo dire che il mondo – oggi più di ieri – è ancora diviso in due: quello che corre sulla strada e quello che non corre affatto, sta ai margini e aspetta le briciole, nella speranza che gli arrivino almeno quelle.
Ma faremmo torto al vangelo se ci limitassimo a queste considerazioni, che pure sono vere. Qui c’è ben di più.
Vedete: molti si comportano, vivono, ragionano da emarginati, senza neanche rendersene conto. Si illudono di essere originali perché vestono in un certo modo, si divertono in un certo modo, si illudono di pensare con la loro testa…e non si accorgono che stanno seguendo come pecore qualcuno che ha deciso anche per loro come devono pensare e comportarsi: non si accorgono perché questi padroni, questi maestri, sono molto furbi, non per niente li chiamano “persuasori occulti”…Persuadono le persone a comportarsi da pecore facendo loro credere che sono libere. Questa forse è l’emarginazione peggiore… perché toglie la dignità.
A volte è perfino comodo stare ai margini, cioè disinteressarsi di quello che accade, lasciare che a manovrare il timone della storia siano alcuni pochi… E’ comodo a volte comportarsi da emarginati. Oh, se c’è urgente bisogno che il Vangelo ci tiri fuori da questa emarginazione!.
Ma torniamo a noi. Chi viene a Messa molto raramente, pensa che le Domeniche siano tutte eguali… Chi vi partecipa ogni sette giorni invece sa che ogni Domenica è diversa; e quando entra in questa chiesa, prima di tutto saluta il Signore, e poi magari rivolge una parola a chi gli sta vicino, un cenno di saluto, un sorriso…e perché no? Siamo mica un raduno di emarginati!
Oggi, per esempio, non è una Domenica qualsiasi per questo Santuario: celebriamo il ricordo di quel giorno in cui fu consacrato al Signore: Dedicazione è la parola esatta. Il Vescovo quel giorno ha compiuto un gesto piuttosto strano: è salito su una scala addossata alle pareti e ha segnato con l’olio sacro (che si chiama crisma) 12 croci, dove vedete quelle piccole luci rosse: perchè 12? Perché la vera chiesa di Gesù poggia non sulle pietre, ma sugli apostoli .- che sono 12 - e anche noi facciamo parte di quella costruzione. Ce l’ha detto poco fa’ la Parola di Dio: Voi siete le pietre vive della vera Chiesa di Dio! Se le pietre di una casa si staccassero le une dalle altre … starebbe in piedi quella casa? Per niente: crollerebbe. E allora non cadiamo nel pericolo di emarginarci: le famiglie soprattutto! Non voltiamo le spalle al Signore: non c’è Comunità se non ci stringiamo a Lui la Domenica, e se non c’è il Signore e la Comunità, non c’è neanche futuro! Ecco come si diventa emarginati!
Certi cristiani, quando vengono a messa - nei giorni feriali soprattutto, sembrano preoccupati di starsene alla larga l’uno dall’altro… come se temessero di contagiarsi: ognuno sembra che voglia pregare Dio per conto suo… ma una preghiera così individualista non solo non arriva al cielo, ma neanche fino alle nubi! No, non diamo affatto una bella e vera immagine della Chiesa di Gesù quando ci comportiamo così. E’ quando i suoi sono insieme, cioè cordialmente uniti l’uno accanto all’altro, è allora che Gesù ha promesso di essere presente in mezzo a loro! Quando ci isoliamo, ognuno per conto proprio… perfino durante la Messa, ci emarginiamo da soli…! Che brutta immagine offriamo allora della Chiesa viva di Gesù!
Bartimeo, il cieco del Vangelo, non si rassegnava a restare emarginato. Lui, cieco, voleva vederci. E vederci chiaro. E quando sente che sta passando Gesù, grida a squarciagola: “Gesù, abbi pietà di me!”. Quando gli altri cercano di farlo star zitto, lui grida ancora più forte… Che simpatico quest’uomo che non si rassegna a starsene ai margini!
Ebbene, fratelli, io credo che noi ci troviamo nella stessa provvidenziale situazione di Bartimeo: ogni domenica è così. Sì, proprio ogni Domenica. Voi quando venite a Messa sentite dire che Gesù sta passando in mezzo a noi: sì, proprio qui, adesso. Forse qualcuno pensa: Figurati se Gesù Cristo passa di qui! Ah, certo, non lo vedete. Ma forse che Bartimeo lo vedeva? Affatto! Gliel’hanno detto gli altri: “Guarda che sta passando Gesù!”. E lui ha creduto e ha gridato. Ha gettato via mantello e bastone e ha fatto un salto…Che bell’esempio per chi sa che Gesù passa in mezzo a noi ogni Domenica!
Ma c’è anche un altro particolare interessante. Gesù gli domanda: Cosa posso fare per te? – Ma come, Gesù? Non vedi che è cieco? Ridagli la vista, no? -. No, Gesù vuole che sia lui a chiederlo, lui dev’essere consapevole di che cosa ha bisogno…e lo dica: “Signore, fa’ che io veda!”. Allora sì che Gesù può fare qualcosa per lui.
Fratelli, la Domenica non accontentatevi di essere qui, tutti alla stessa distanza da Gesù; non accontentatevi di sapere che passa e di lasciarlo passare. Ognuno si chieda: Ma cosa può fare Gesù per me, oggi? Il vangelo che ho sentito, a me cosa dice personalmente? Di che cosa ho bisogno io per tornarmene a casa migliore di come sono venuto? “Signore, fa’ che io veda!”.
Noi cristiani non possiamo starcene seduti ai margini della strada e lasciare che il mondo corra, magari verso il baratro…Noi crediamo in Gesù che può aprire gli occhi, scaldarci il cuore, e trasformare davvero la nostra vita, perché è solo così che diventa bella la vita.
Sì, passa Gesù: ogni Domenica, in mezzo a noi. Ebbene, che non debba passare per niente.
Le letture bibliche: Geremia 31,7-9; 1Pietro 2,4-10 ; Marco 10,46-52
Tutti sappiamo cosa significa emarginazione, o emarginati. Un emarginato è uno che non conta, perché si trova all’ultimo gradino della scala, in basso. E’ uno che, mentre tutti corrono sulla strada, lui no, è lì ai margini; lui non corre, resta fermo. Forse non riusciva a stare al passo degli altri, e allora è per non rischiare di essere travolto che si è messo ai margini…
Il Vangelo ci ha detto che è capitato anche a Gerico quel giorno: Gesù partiva da lì per salire a Gerusalemme e c’erano con lui i discepoli e molta folla. Bartimeo non era in quella folla; sedeva al margine della strada a mendicare. Mica solo quel giorno, era da un pezzo che faceva quella vita; da sempre.
E allora, che messaggio potrà essere per noi questo vangelo? Si limiterà a dirci che dobbiamo prenderci a cuore la sorte degli emarginati? Eh, sì: ce ne sono anche oggi seduti ai margini della strada a mendicare, e quelli che non lo fanno è perché si vergognano, ma si sentono emarginati lo stesso… Anzi, potremmo dire che il mondo – oggi più di ieri – è ancora diviso in due: quello che corre sulla strada e quello che non corre affatto, sta ai margini e aspetta le briciole, nella speranza che gli arrivino almeno quelle.
Ma faremmo torto al vangelo se ci limitassimo a queste considerazioni, che pure sono vere. Qui c’è ben di più.
Vedete: molti si comportano, vivono, ragionano da emarginati, senza neanche rendersene conto. Si illudono di essere originali perché vestono in un certo modo, si divertono in un certo modo, si illudono di pensare con la loro testa…e non si accorgono che stanno seguendo come pecore qualcuno che ha deciso anche per loro come devono pensare e comportarsi: non si accorgono perché questi padroni, questi maestri, sono molto furbi, non per niente li chiamano “persuasori occulti”…Persuadono le persone a comportarsi da pecore facendo loro credere che sono libere. Questa forse è l’emarginazione peggiore… perché toglie la dignità.
A volte è perfino comodo stare ai margini, cioè disinteressarsi di quello che accade, lasciare che a manovrare il timone della storia siano alcuni pochi… E’ comodo a volte comportarsi da emarginati. Oh, se c’è urgente bisogno che il Vangelo ci tiri fuori da questa emarginazione!.
Ma torniamo a noi. Chi viene a Messa molto raramente, pensa che le Domeniche siano tutte eguali… Chi vi partecipa ogni sette giorni invece sa che ogni Domenica è diversa; e quando entra in questa chiesa, prima di tutto saluta il Signore, e poi magari rivolge una parola a chi gli sta vicino, un cenno di saluto, un sorriso…e perché no? Siamo mica un raduno di emarginati!
Oggi, per esempio, non è una Domenica qualsiasi per questo Santuario: celebriamo il ricordo di quel giorno in cui fu consacrato al Signore: Dedicazione è la parola esatta. Il Vescovo quel giorno ha compiuto un gesto piuttosto strano: è salito su una scala addossata alle pareti e ha segnato con l’olio sacro (che si chiama crisma) 12 croci, dove vedete quelle piccole luci rosse: perchè 12? Perché la vera chiesa di Gesù poggia non sulle pietre, ma sugli apostoli .- che sono 12 - e anche noi facciamo parte di quella costruzione. Ce l’ha detto poco fa’ la Parola di Dio: Voi siete le pietre vive della vera Chiesa di Dio! Se le pietre di una casa si staccassero le une dalle altre … starebbe in piedi quella casa? Per niente: crollerebbe. E allora non cadiamo nel pericolo di emarginarci: le famiglie soprattutto! Non voltiamo le spalle al Signore: non c’è Comunità se non ci stringiamo a Lui la Domenica, e se non c’è il Signore e la Comunità, non c’è neanche futuro! Ecco come si diventa emarginati!
Certi cristiani, quando vengono a messa - nei giorni feriali soprattutto, sembrano preoccupati di starsene alla larga l’uno dall’altro… come se temessero di contagiarsi: ognuno sembra che voglia pregare Dio per conto suo… ma una preghiera così individualista non solo non arriva al cielo, ma neanche fino alle nubi! No, non diamo affatto una bella e vera immagine della Chiesa di Gesù quando ci comportiamo così. E’ quando i suoi sono insieme, cioè cordialmente uniti l’uno accanto all’altro, è allora che Gesù ha promesso di essere presente in mezzo a loro! Quando ci isoliamo, ognuno per conto proprio… perfino durante la Messa, ci emarginiamo da soli…! Che brutta immagine offriamo allora della Chiesa viva di Gesù!
Bartimeo, il cieco del Vangelo, non si rassegnava a restare emarginato. Lui, cieco, voleva vederci. E vederci chiaro. E quando sente che sta passando Gesù, grida a squarciagola: “Gesù, abbi pietà di me!”. Quando gli altri cercano di farlo star zitto, lui grida ancora più forte… Che simpatico quest’uomo che non si rassegna a starsene ai margini!
Ebbene, fratelli, io credo che noi ci troviamo nella stessa provvidenziale situazione di Bartimeo: ogni domenica è così. Sì, proprio ogni Domenica. Voi quando venite a Messa sentite dire che Gesù sta passando in mezzo a noi: sì, proprio qui, adesso. Forse qualcuno pensa: Figurati se Gesù Cristo passa di qui! Ah, certo, non lo vedete. Ma forse che Bartimeo lo vedeva? Affatto! Gliel’hanno detto gli altri: “Guarda che sta passando Gesù!”. E lui ha creduto e ha gridato. Ha gettato via mantello e bastone e ha fatto un salto…Che bell’esempio per chi sa che Gesù passa in mezzo a noi ogni Domenica!
Ma c’è anche un altro particolare interessante. Gesù gli domanda: Cosa posso fare per te? – Ma come, Gesù? Non vedi che è cieco? Ridagli la vista, no? -. No, Gesù vuole che sia lui a chiederlo, lui dev’essere consapevole di che cosa ha bisogno…e lo dica: “Signore, fa’ che io veda!”. Allora sì che Gesù può fare qualcosa per lui.
Fratelli, la Domenica non accontentatevi di essere qui, tutti alla stessa distanza da Gesù; non accontentatevi di sapere che passa e di lasciarlo passare. Ognuno si chieda: Ma cosa può fare Gesù per me, oggi? Il vangelo che ho sentito, a me cosa dice personalmente? Di che cosa ho bisogno io per tornarmene a casa migliore di come sono venuto? “Signore, fa’ che io veda!”.
Noi cristiani non possiamo starcene seduti ai margini della strada e lasciare che il mondo corra, magari verso il baratro…Noi crediamo in Gesù che può aprire gli occhi, scaldarci il cuore, e trasformare davvero la nostra vita, perché è solo così che diventa bella la vita.
Sì, passa Gesù: ogni Domenica, in mezzo a noi. Ebbene, che non debba passare per niente.
Domenica 20 Ottobre - Ventinovesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Isaia 53,10-11; Ebrei 4,14-16; Marco 10,42-45
Un ritornello che si sente ripetere spesso da parte di persone anziane è questo: “Com’è cambiato il mondo!”. E non possiamo non dar loro ragione: i cambiamenti in questi ultimi due secoli han preso un ritmo così accelerato come mai prima. Che se poi fosse possibile tirarsi fuori dalla storia del mondo e guardarla dall’alto, la meraviglia non troverebbe parole: dall’uomo delle caverne… all’uomo dei grattacieli, sì ne sono cambiate di cose. E’ progredita l’umanità. Su tanti aspetti o ambiti del vivere sì, i cambiamenti – passo dopo passo – alla fine sono stati giganteschi.
E allora stupisce ancor più vedere che alcune cose, certi comportamenti umani, invece non sono cambiati per niente. Magari si sono modificati nei modi, specializzati perfino, ma cambiati no: in sostanza son rimasti sempre quelli.
Mi riferisco, per esempio, alla voglia di eccellere, primeggiare, far carriera insomma. Non si è mai spenta questa voglia. Assicurarsi una buona poltrona – cioè una posizione privilegiata e relativo stipendio - è sempre stata un’ambizione mai passata di moda.
Ce lo conferma anche il Vangelo di oggi: “Maestro, noi vogliamo chiederti una cosa!” domandano i due fratelli Giacomo e Giovanni a Gesù. – “Dite pure” risponde. Secondo l’evangelista Matteo sarebbe stata la loro madre a fare la richiesta a Gesù; da che mondo è mondo cosa non fanno le madri per i loro figli? Comunque, o la loro madre, o loro stessi, la richiesta è questa: “Vorremmo avere i primi posti accanto a te, nel tuo Regno; uno alla tua destra e uno alla tua sinistra. Perché tu sarai re prima o poi; quindi vorremmo che tu scegliessi noi due come tuoi primi ministri…!”. Io penso che Gesù a questo punto abbia riso sotto i baffi… Poi ha risposto: “Voi non sapete quello che chiedete…Ma non vi rendete conto che il mio trono è la croce? Ve la sentite di lasciarvi mettere in croce?”. Chi mai – da che mondo è mondo – ambisce di essere inchiodato a una croce?
Gli altri apostoli, sentendo questo discorso, si arrabbiarono con Giacomo e con Giovanni…non perché a Gesù Cristo non si può chiedere una cosa del genere, ma perchè avevano tentato di far loro lo sgambetto, di passargli via… Eh, nella carriera si sa com’è: se non sei raccomandato da qualche santo patrono, se noi dai gomitate a destra e sinistra non ti fai mica strada… Era proprio quello che Giacomo e Giovanni avevano tentato di fare!
Gesù non si scompone più che tanto. Anche perché lui la carriera l’aveva già fatta, ma all’incontrario: dall’alto dei cieli era sceso al nostro livello, su questa terra; non solo: cosa avrebbe trovato su questa terra? “Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori” abbiamo sentito poco fa nelle letture, e ancora: “Egli è stato messo alla prova in ogni cosa come noi”. Il Calvario, insomma, ecco dove l’avrebbe portato quella sua carriera all’incontrario. Non si scompone – dicevo - di fronte a quella richiesta di Giacomo e Giovanni; approfitta di quel momento d’imbarazzo per dare una lezione a tutti. Tra questi “tutti” c’eravamo anche noi, fratelli. Sì, il Signore vedeva anche noi tra i suoi interlocutori. Ed ecco la sua lezione.
“Voi vedete che i capi dei popoli – quelli che dicono di essere al servizio del bene comune – in realtà dominano, fanno l’alto e il basso come vogliono…” (altroché se lo vediamo, Signore! sembra proprio che sia cambiato poco dai tempi di Erode, di Pilato e di Cesare Augusto!). “Fra voi però non è così – continua Gesù -. Fra voi, chi vuol essere grande si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo si farà servo di tutti…”.
Notate, fratelli: non dice “fate in modo o cercate di comportarvi così”, no – lo dà per scontato che sarà così. Il che significa che se non sarà così, noi potremo dirci cristiani di nome, ma nei fatti…no, non lo siamo affatto. Gesù lo dà per scontato che sarà così. Eh, ma proprio servi di tutti siamo noi cristiani? Non basta se serviamo quelli di casa nostra, quelli che la pensano come noi, che hanno la nostra stessa fede? No, secondo Gesù Cristo noi siamo al servizio di tutti! Ma anche di quelli che appartengono a un’altra razza, cultura o religione… e non la pensano affatto come noi?
Forse il Signore ci risponde con la giornata di oggi, di questa Domenica: chi non sa che ogni anno in Ottobre si celebra la Giornata Missionaria Mondiale? Che prima che invitarci a fare la solita colletta per i missionari, è qui a ricordarci che sì, è proprio così: noi siamo al servizio di tutti, senza distinzione di razza, di religione o di colore. E per quale motivo? E’ Gesù che ce lo fornisce il motivo: “Voi dite che siete miei – miei discepoli, tanto che vi chiamate col mio nome: cristiani. Beh, allora guardate me: Io non sono venuto per essere servito, per fare carriera, per procacciarmi una poltrona: sono venuto per servire e per dare la mia vita per tutti! Io, il vostro Maestro, sono qui per questo; se voi – miei discepoli – volete percorrere un’altra strada, vuol dire che siete discepoli di qualcun altro, ma non siete più dei miei!”.
Al che, fratelli, ce lo chiediamo schiettamente e onestamente: la nostra Fede ci anima e ci spinge davvero a servire? Non limitiamoci a criticare i politici, perché litigano su tutto tranne che quando si tratta di aumentarsi gli onorari… Criticare gli altri a volte è un espediente per non cambiare nulla di noi stessi!
Se oggi siamo qui a celebrare la Giornata Missionaria Mondiale è perché il mondo non ha bisogno di personaggi da carriera o da primi posti: ha bisogno di servi, disposti anche a dare la vita. I missionari sono in prima linea, noi forse siamo un po’ la retroguardia rispetto a loro, ma è questo lo spirito, la mentalità, che siamo chiamati a condividere, perché – dopo quasi 2000 anni – questo è il vangelo, la buona notizia che può ancora dare futuro al mondo: SERVIRE.
Ogni altra strada è garanzia d’illusioni, non di futuro.
Le letture bibliche: Isaia 53,10-11; Ebrei 4,14-16; Marco 10,42-45
Un ritornello che si sente ripetere spesso da parte di persone anziane è questo: “Com’è cambiato il mondo!”. E non possiamo non dar loro ragione: i cambiamenti in questi ultimi due secoli han preso un ritmo così accelerato come mai prima. Che se poi fosse possibile tirarsi fuori dalla storia del mondo e guardarla dall’alto, la meraviglia non troverebbe parole: dall’uomo delle caverne… all’uomo dei grattacieli, sì ne sono cambiate di cose. E’ progredita l’umanità. Su tanti aspetti o ambiti del vivere sì, i cambiamenti – passo dopo passo – alla fine sono stati giganteschi.
E allora stupisce ancor più vedere che alcune cose, certi comportamenti umani, invece non sono cambiati per niente. Magari si sono modificati nei modi, specializzati perfino, ma cambiati no: in sostanza son rimasti sempre quelli.
Mi riferisco, per esempio, alla voglia di eccellere, primeggiare, far carriera insomma. Non si è mai spenta questa voglia. Assicurarsi una buona poltrona – cioè una posizione privilegiata e relativo stipendio - è sempre stata un’ambizione mai passata di moda.
Ce lo conferma anche il Vangelo di oggi: “Maestro, noi vogliamo chiederti una cosa!” domandano i due fratelli Giacomo e Giovanni a Gesù. – “Dite pure” risponde. Secondo l’evangelista Matteo sarebbe stata la loro madre a fare la richiesta a Gesù; da che mondo è mondo cosa non fanno le madri per i loro figli? Comunque, o la loro madre, o loro stessi, la richiesta è questa: “Vorremmo avere i primi posti accanto a te, nel tuo Regno; uno alla tua destra e uno alla tua sinistra. Perché tu sarai re prima o poi; quindi vorremmo che tu scegliessi noi due come tuoi primi ministri…!”. Io penso che Gesù a questo punto abbia riso sotto i baffi… Poi ha risposto: “Voi non sapete quello che chiedete…Ma non vi rendete conto che il mio trono è la croce? Ve la sentite di lasciarvi mettere in croce?”. Chi mai – da che mondo è mondo – ambisce di essere inchiodato a una croce?
Gli altri apostoli, sentendo questo discorso, si arrabbiarono con Giacomo e con Giovanni…non perché a Gesù Cristo non si può chiedere una cosa del genere, ma perchè avevano tentato di far loro lo sgambetto, di passargli via… Eh, nella carriera si sa com’è: se non sei raccomandato da qualche santo patrono, se noi dai gomitate a destra e sinistra non ti fai mica strada… Era proprio quello che Giacomo e Giovanni avevano tentato di fare!
Gesù non si scompone più che tanto. Anche perché lui la carriera l’aveva già fatta, ma all’incontrario: dall’alto dei cieli era sceso al nostro livello, su questa terra; non solo: cosa avrebbe trovato su questa terra? “Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori” abbiamo sentito poco fa nelle letture, e ancora: “Egli è stato messo alla prova in ogni cosa come noi”. Il Calvario, insomma, ecco dove l’avrebbe portato quella sua carriera all’incontrario. Non si scompone – dicevo - di fronte a quella richiesta di Giacomo e Giovanni; approfitta di quel momento d’imbarazzo per dare una lezione a tutti. Tra questi “tutti” c’eravamo anche noi, fratelli. Sì, il Signore vedeva anche noi tra i suoi interlocutori. Ed ecco la sua lezione.
“Voi vedete che i capi dei popoli – quelli che dicono di essere al servizio del bene comune – in realtà dominano, fanno l’alto e il basso come vogliono…” (altroché se lo vediamo, Signore! sembra proprio che sia cambiato poco dai tempi di Erode, di Pilato e di Cesare Augusto!). “Fra voi però non è così – continua Gesù -. Fra voi, chi vuol essere grande si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo si farà servo di tutti…”.
Notate, fratelli: non dice “fate in modo o cercate di comportarvi così”, no – lo dà per scontato che sarà così. Il che significa che se non sarà così, noi potremo dirci cristiani di nome, ma nei fatti…no, non lo siamo affatto. Gesù lo dà per scontato che sarà così. Eh, ma proprio servi di tutti siamo noi cristiani? Non basta se serviamo quelli di casa nostra, quelli che la pensano come noi, che hanno la nostra stessa fede? No, secondo Gesù Cristo noi siamo al servizio di tutti! Ma anche di quelli che appartengono a un’altra razza, cultura o religione… e non la pensano affatto come noi?
Forse il Signore ci risponde con la giornata di oggi, di questa Domenica: chi non sa che ogni anno in Ottobre si celebra la Giornata Missionaria Mondiale? Che prima che invitarci a fare la solita colletta per i missionari, è qui a ricordarci che sì, è proprio così: noi siamo al servizio di tutti, senza distinzione di razza, di religione o di colore. E per quale motivo? E’ Gesù che ce lo fornisce il motivo: “Voi dite che siete miei – miei discepoli, tanto che vi chiamate col mio nome: cristiani. Beh, allora guardate me: Io non sono venuto per essere servito, per fare carriera, per procacciarmi una poltrona: sono venuto per servire e per dare la mia vita per tutti! Io, il vostro Maestro, sono qui per questo; se voi – miei discepoli – volete percorrere un’altra strada, vuol dire che siete discepoli di qualcun altro, ma non siete più dei miei!”.
Al che, fratelli, ce lo chiediamo schiettamente e onestamente: la nostra Fede ci anima e ci spinge davvero a servire? Non limitiamoci a criticare i politici, perché litigano su tutto tranne che quando si tratta di aumentarsi gli onorari… Criticare gli altri a volte è un espediente per non cambiare nulla di noi stessi!
Se oggi siamo qui a celebrare la Giornata Missionaria Mondiale è perché il mondo non ha bisogno di personaggi da carriera o da primi posti: ha bisogno di servi, disposti anche a dare la vita. I missionari sono in prima linea, noi forse siamo un po’ la retroguardia rispetto a loro, ma è questo lo spirito, la mentalità, che siamo chiamati a condividere, perché – dopo quasi 2000 anni – questo è il vangelo, la buona notizia che può ancora dare futuro al mondo: SERVIRE.
Ogni altra strada è garanzia d’illusioni, non di futuro.
Domenica 13 Ottobre - Ventottesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Sapienza 7,7-11; Ebrei 4,12-13; Marco 10,17-30
Ci saranno persone felici a questo mondo? Persone sempre e pienamente felici, in ogni momento? Beh, è una pretesa un po’ eccessiva: anche quando le cose vanno bene, c’è sempre qualcosa che ci impedisce di essere felici del tutto…E poi, cosa vuol dire essere felici, contenti? Com’è possibile, soprattutto? I bambini e i ragazzi pensano: “Ah, quando avrò quella cosa lì … allora sì che sarò felice! Mamma, papà…quand’è che me la compri?”. Poi, o per il compleanno, o per Natale, o perché i bambini continuano a scocciare… finalmente quella cosa arriva! Allora è la felicità…per un giorno, due, una settimana al massimo. Quella cosa, tanto desiderata, resta, ma la felicità…no. Era solo euforia passeggera; non era felicità.
Io faccio l’esempio dei bambini e dei ragazzi, ma guardate che noi adulti ci comportiamo spesso come loro, magari senza accorgercene. “Ah, se stessi bene di salute… altroché se sarei contento!”. Non è affatto vero: c’è un sacco di gente che sta benissimo di salute, non ha mai passato le porte di un ospedale, ma non è affatto contenta per questo… Oppure: “Se avessi uno stipendio o una pensione un po’ più consistente, una casa un po’ più grande e più comoda… allora sì che sarei felice!”. Ma va’! Chi credi di convincere? Ma non vedi che, quando hai realizzato tutte le tue attese, tutti i tuoi desideri, senti che ti manca sempre qualcosa per essere felice in pienezza? Anzi, non ti sei ancora accorto che più cose hai, meno felice sei? Perché? Perche succede questo?
“Maestro buono, cosa devo fare per essere felice?”. Era un giovane, molto ricco e benestante, quello che ha posto a Gesù questa domanda (veramente lui ha chiesto: Cosa devo fare per avere la vita eterna? Ma …vita eterna vuol dire proprio questo: essere felici, in pienezza e per sempre). Gesù gli ha risposto: Osserva i comandamenti di Dio… non uccidere, non rubare…- Ma li ho sempre osservati! Risponde quello. “Non ho mai ucciso nessuno… mai rubato a nessuno…”.(Sembra di sentire certi cristiani quando si confessano: Non ho ucciso … non ho rubato … quindi io sono apposto!). E sei felice per questo? No. Ma allora cosa ti manca?
“Ecco cosa ti manca, risponde Gesù. Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi!”. Era molto ricco quel tale: non se l’è sentita di lasciare tutto per seguire Gesù. Cosa ci ha guadagnato? La felicità? No, la tristezza: “se ne andò via triste” – così concludeva il vangelo; con tutte le sue ricchezze, se ne andò via triste…
Gesù gli aveva dato la possibilità di trasformare in dono tutto ciò che aveva, cioè di condividerlo (è questa la condizione della felicità: condividere con gli altri): non l’ha fatto, e ha perduto l’opportunità di essere felice.
Ma è in gioco solo la felicità di adesso, o è questione di riuscita o di fallimento di tutta la nostra vita?
C’è una storia che parla di un uomo, miscredente, che camminava in montagna su un sentiero tra le rocce. A un certo punto mise un piede in fallo e cadde in un dirupo. Con prontezza di riflessi riuscì ad attaccarsi ad un cespuglio di mughi che sporgeva dalla roccia. Rimase lì in bilico sul precipizio e cominciò a urlare senza ritegno: “Signore Dio, salvami!”. Nessuna risposta. Silenzio totale. Allora prende a gridare ancora più forte: “Signore Dio, salvami!”. Si udì allora una voce dall’alto: “Dicono tutti così quando sono nei pasticci”. “Io no, Signore – rispose quel poveretto -. Ti prometto che sarò un vero credente: parlerò di te a tutti. Accoglierò tutte le tue parole e le metterò in pratica!”. “Va bene – rispose la voce (di Dio). Allora… molla il ramo”. “Mollare il ramo? Non sono mica matto!”.
Il ramo! Quell’attaccamento disperato al ramo rappresenta l’attaccamento eccessivo, anzi, esclusivo a ciò che si possiede. Per cui diciamo a parole che ci fidiamo di Dio (e come no?), ma nei fatti dimostriamo che è su noi stessi, sulle nostre risorse e possibilità, che contiamo realmente.
In Trentino (città e paesi) non sono pochi coloro che, come singoli, giovani coppie o famiglie, cercano casa. Pagandone regolarmente l’affitto, ovviamente; ma a quanto pare risulta difficile, molto difficile trovarla, se non a prezzi da capogiro. Eppure, sono ben 154mila in Trentino le abitazioni non occupate abitualmente (sfitte, seconde case, affitti brevi): quasi la metà di tutte le abitazioni esistenti. Certo, non tocca a noi pronunciare facili giudizi o accuse d’egoismo ai proprietari, ma il sospetto che in molti, troppi casi, sia solo l’interesse a dettar legge…eh, è difficile farlo tacere. Saranno soddisfatti i proprietari di quelle case, contenti per questo? “Quel giovane ricco se ne andò via triste: possedeva infatti molti beni!”.
Ma forse che Gesù Cristo ci chiede di rinunciare a tutto quello che abbiamo, alle nostre comodità, ai nostri soldi, ai nostri beni? La felicità sta forse nel non aver niente? Diogene – l’antico filosofo greco che viveva in una botte e possedeva solo una ciotola di terracotta – sì, lui ragionava così. Ma Gesù Cristo no. Ci propone di camminare dietro di lui, di seguirlo: perchè non basta “non uccidere…non rubare…” per essere cristiani nei fatti e, soprattutto, cristiani contenti: occorre seguire Lui, Gesù. “Vieni e seguimi” dice. E seguire lui è come passare per una porta stretta: chi ha troppi bagagli da portarsi appresso non ci passa…Papa Francesco ogni tanto lo ripete: “Non ho mai visto un corteo funebre seguito da un camion di traslochi”. E Gesù oggi adopera parole perfino paradossali: E’ più facile che un cammello passi per il buco di un ago, che un ricco entri nel Regno dei cieli!”.
Quando si segue Gesù Cristo, e si cammina con lui, viene da sé la disponibilità a condividere quello che si ha con chi non ha niente. Al punto che se questa disponibilità spontanea non c’è, vuol dire che non si segue Gesù Cristo. Lo si guarda passare e basta.
Con Gesù, la felicità non sta nell’avere (avere sempre di più) ma nel donare, nel condividere; ed è anche chiaro il motivo, ce l’ha detto lui stesso oggi: “Non c’è nessuno che dia 1 e non riceva 100 in contraccambio…”. Quello che doni, il Signore te lo ripaga 100 volte tanto: tu doni 1 e lui ti dà 100, tu dai 10 e lui ti dà 1000…Ma se quell’uno che hai te lo tieni tutto per te, ti resta solo 1… e la tua felicità finisce presto. Insomma, fratelli, la questione non è anzitutto religiosa, ma semplicemente vitale nel senso più pieno della parola: ci preme di più ciò che abbiamo (poco o tanto che sia), o ci preme di più essere sereni e contenti, per quel tanto che questa vita ce lo consente? Chi è sapiente e intelligente risponde: “Mi preme di più essere contento!”.
Per questo val la pena pregare oggi e dire: “Donaci la sapienza del cuore, Signore!”. Insegnaci tu come si fa a vivere contenti e – soprattutto – aiutaci a fare quello che ci insegni.
Le letture bibliche: Sapienza 7,7-11; Ebrei 4,12-13; Marco 10,17-30
Ci saranno persone felici a questo mondo? Persone sempre e pienamente felici, in ogni momento? Beh, è una pretesa un po’ eccessiva: anche quando le cose vanno bene, c’è sempre qualcosa che ci impedisce di essere felici del tutto…E poi, cosa vuol dire essere felici, contenti? Com’è possibile, soprattutto? I bambini e i ragazzi pensano: “Ah, quando avrò quella cosa lì … allora sì che sarò felice! Mamma, papà…quand’è che me la compri?”. Poi, o per il compleanno, o per Natale, o perché i bambini continuano a scocciare… finalmente quella cosa arriva! Allora è la felicità…per un giorno, due, una settimana al massimo. Quella cosa, tanto desiderata, resta, ma la felicità…no. Era solo euforia passeggera; non era felicità.
Io faccio l’esempio dei bambini e dei ragazzi, ma guardate che noi adulti ci comportiamo spesso come loro, magari senza accorgercene. “Ah, se stessi bene di salute… altroché se sarei contento!”. Non è affatto vero: c’è un sacco di gente che sta benissimo di salute, non ha mai passato le porte di un ospedale, ma non è affatto contenta per questo… Oppure: “Se avessi uno stipendio o una pensione un po’ più consistente, una casa un po’ più grande e più comoda… allora sì che sarei felice!”. Ma va’! Chi credi di convincere? Ma non vedi che, quando hai realizzato tutte le tue attese, tutti i tuoi desideri, senti che ti manca sempre qualcosa per essere felice in pienezza? Anzi, non ti sei ancora accorto che più cose hai, meno felice sei? Perché? Perche succede questo?
“Maestro buono, cosa devo fare per essere felice?”. Era un giovane, molto ricco e benestante, quello che ha posto a Gesù questa domanda (veramente lui ha chiesto: Cosa devo fare per avere la vita eterna? Ma …vita eterna vuol dire proprio questo: essere felici, in pienezza e per sempre). Gesù gli ha risposto: Osserva i comandamenti di Dio… non uccidere, non rubare…- Ma li ho sempre osservati! Risponde quello. “Non ho mai ucciso nessuno… mai rubato a nessuno…”.(Sembra di sentire certi cristiani quando si confessano: Non ho ucciso … non ho rubato … quindi io sono apposto!). E sei felice per questo? No. Ma allora cosa ti manca?
“Ecco cosa ti manca, risponde Gesù. Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi!”. Era molto ricco quel tale: non se l’è sentita di lasciare tutto per seguire Gesù. Cosa ci ha guadagnato? La felicità? No, la tristezza: “se ne andò via triste” – così concludeva il vangelo; con tutte le sue ricchezze, se ne andò via triste…
Gesù gli aveva dato la possibilità di trasformare in dono tutto ciò che aveva, cioè di condividerlo (è questa la condizione della felicità: condividere con gli altri): non l’ha fatto, e ha perduto l’opportunità di essere felice.
Ma è in gioco solo la felicità di adesso, o è questione di riuscita o di fallimento di tutta la nostra vita?
C’è una storia che parla di un uomo, miscredente, che camminava in montagna su un sentiero tra le rocce. A un certo punto mise un piede in fallo e cadde in un dirupo. Con prontezza di riflessi riuscì ad attaccarsi ad un cespuglio di mughi che sporgeva dalla roccia. Rimase lì in bilico sul precipizio e cominciò a urlare senza ritegno: “Signore Dio, salvami!”. Nessuna risposta. Silenzio totale. Allora prende a gridare ancora più forte: “Signore Dio, salvami!”. Si udì allora una voce dall’alto: “Dicono tutti così quando sono nei pasticci”. “Io no, Signore – rispose quel poveretto -. Ti prometto che sarò un vero credente: parlerò di te a tutti. Accoglierò tutte le tue parole e le metterò in pratica!”. “Va bene – rispose la voce (di Dio). Allora… molla il ramo”. “Mollare il ramo? Non sono mica matto!”.
Il ramo! Quell’attaccamento disperato al ramo rappresenta l’attaccamento eccessivo, anzi, esclusivo a ciò che si possiede. Per cui diciamo a parole che ci fidiamo di Dio (e come no?), ma nei fatti dimostriamo che è su noi stessi, sulle nostre risorse e possibilità, che contiamo realmente.
In Trentino (città e paesi) non sono pochi coloro che, come singoli, giovani coppie o famiglie, cercano casa. Pagandone regolarmente l’affitto, ovviamente; ma a quanto pare risulta difficile, molto difficile trovarla, se non a prezzi da capogiro. Eppure, sono ben 154mila in Trentino le abitazioni non occupate abitualmente (sfitte, seconde case, affitti brevi): quasi la metà di tutte le abitazioni esistenti. Certo, non tocca a noi pronunciare facili giudizi o accuse d’egoismo ai proprietari, ma il sospetto che in molti, troppi casi, sia solo l’interesse a dettar legge…eh, è difficile farlo tacere. Saranno soddisfatti i proprietari di quelle case, contenti per questo? “Quel giovane ricco se ne andò via triste: possedeva infatti molti beni!”.
Ma forse che Gesù Cristo ci chiede di rinunciare a tutto quello che abbiamo, alle nostre comodità, ai nostri soldi, ai nostri beni? La felicità sta forse nel non aver niente? Diogene – l’antico filosofo greco che viveva in una botte e possedeva solo una ciotola di terracotta – sì, lui ragionava così. Ma Gesù Cristo no. Ci propone di camminare dietro di lui, di seguirlo: perchè non basta “non uccidere…non rubare…” per essere cristiani nei fatti e, soprattutto, cristiani contenti: occorre seguire Lui, Gesù. “Vieni e seguimi” dice. E seguire lui è come passare per una porta stretta: chi ha troppi bagagli da portarsi appresso non ci passa…Papa Francesco ogni tanto lo ripete: “Non ho mai visto un corteo funebre seguito da un camion di traslochi”. E Gesù oggi adopera parole perfino paradossali: E’ più facile che un cammello passi per il buco di un ago, che un ricco entri nel Regno dei cieli!”.
Quando si segue Gesù Cristo, e si cammina con lui, viene da sé la disponibilità a condividere quello che si ha con chi non ha niente. Al punto che se questa disponibilità spontanea non c’è, vuol dire che non si segue Gesù Cristo. Lo si guarda passare e basta.
Con Gesù, la felicità non sta nell’avere (avere sempre di più) ma nel donare, nel condividere; ed è anche chiaro il motivo, ce l’ha detto lui stesso oggi: “Non c’è nessuno che dia 1 e non riceva 100 in contraccambio…”. Quello che doni, il Signore te lo ripaga 100 volte tanto: tu doni 1 e lui ti dà 100, tu dai 10 e lui ti dà 1000…Ma se quell’uno che hai te lo tieni tutto per te, ti resta solo 1… e la tua felicità finisce presto. Insomma, fratelli, la questione non è anzitutto religiosa, ma semplicemente vitale nel senso più pieno della parola: ci preme di più ciò che abbiamo (poco o tanto che sia), o ci preme di più essere sereni e contenti, per quel tanto che questa vita ce lo consente? Chi è sapiente e intelligente risponde: “Mi preme di più essere contento!”.
Per questo val la pena pregare oggi e dire: “Donaci la sapienza del cuore, Signore!”. Insegnaci tu come si fa a vivere contenti e – soprattutto – aiutaci a fare quello che ci insegni.
Domenica 6 Ottobre - Ventisettesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Genesi 2,18-24; Ebrei 2,9-11; Marco 10,2-16
Vivere, per noi uomini e donne di questo mondo, vuol dire crescere e maturare in continuazione. C’è una crescita fisica, che riguarda la prima stagione della vita. Poi, raggiunto un certo limite, si blocca: da quel punto in poi, di statura non si cresce più (si cresce di circonferenza semmai…).
C’è un’altra crescita che invece non avviene da sé: occorre volerla. E’ quella che ci riguarda come persone, quella maturazione umana per la quale si adopera volentieri il verbo “realizzarsi”: come individui, come persone, proprio come se si trattasse di un progetto. E infatti proprio di un progetto si tratta: noi credenti sappiamo che l’ha fatto Dio, il Signore. Si è servito dei nostri genitori per farci venire al mondo e ce l’ha donato da realizzare. Questo progetto però non si fa da sè, questa crescita occorre proprio volerla.
E’ un progetto tanto nobile e prezioso che anziché affidarlo all’istinto, Dio l’ha consegnato alla nostra libertà: tu maturi come persona se vuoi, dipende da te. Non solo, ma questa crescita non finisce mai; arrivassimo anche a 100 anni, qui non si finisce mai di maturare.
Ma ecco che, proprio per il fatto che è affidata alla nostra libertà, molti non la prendono nemmeno in considerazione: si preoccupano della loro parte corporea, fisica, biologica (che sia bella, che - se diventa meno bella invecchiando - non lo si veda troppo; che stia bene, che - se si ammala - guarisca o non abbia a soffrire granchè), ma della loro vera personalità (da maturare, correggere certe storpiature, irrobustire tutto ciò che ha di buono, di positivo) eh, di questo si preoccupano poco o niente.
Ecco che allora si trovano individui di bell’aspetto, o quanto meno presentabili, magari anche ben educati ma, se si va oltre i primi convenevoli, si scopre che in quanto persone sono delle frane: immaturi, inaffidabili, incostanti, superficiali e altro ancora. Insomma, ben riusciti nel fisico, ma handicappati nello spirito. Questo è evidente soprattutto nel nostro tempo, proprio in questa nostra epoca. Non credo d’esagerare se dico che il 99% di ciò che la cultura attuale offre è tutto per la “carrozzeria” di noi stessi, mentre per il motore – cioè per la personalità (ma potremmo dire per lo spirito) – arriva a ad offrire a malapena forse l’1%.
E cos’è che ci fa maturare davvero come persone, nella nostra piena dignità di figli di Dio? Oggi il vangelo ci parla dell’uomo e della donna, o meglio: di Dio che li ha pensati, “progettati” uno per l’altro. Quindi il fatto di incontrarsi, diventare una sola carne (una sola avventura di vita) è volontà di Dio, è progetto suo. Rifiutare un tale progetto, o spezzarlo, non significa realizzarsi, ma l’opposto, cioè è rovinare se stessi. Cosa che Dio non vuole. Ecco perché questo divieto: “l’uomo non separi ciò che Dio ha unito”.
Sì, alla luce di certe esperienze matrimoniali fallite, si potrebbe discutere se certe unioni – certi matrimoni – erano proprio “progetto” di Dio, o non piuttosto decisioni prese dagli interessati a cuor leggero…
Si potrebbe discutere se tutte le unioni consacrate davanti a un altare siano tali anche davanti al Signore, o se certe altre (che l’altare non l’hanno visto ma che vengono consacrate dalla vita: da tutta una vita insieme), non siano alla fin fine preferibili anche davanti a Dio… Si potrebbe discutere su tutto ciò, ma la risposta definitiva a questi nostri dubbi l’avremo quando saremo in paradiso.
C’è una cosa, però, che viene prima di tutte queste considerazioni. Non penso che oggi il Signore parli solo agli sposati (mariti e mogli); se così fosse, i vedovi, i celibi e le nubili, compresi i preti, i frati e le monache, potrebbero starsene a casa e scusarsi col dire: “oggi il Signore non parla per noi, parla per quelli là…”.
No, il Signore parla per tutti, ogni Domenica. E proprio all’inizio di questa Liturgia della Parola ha detto una cosa che ci riguarda tutti indistintamente. Eccola. Dopo aver creato la prima umanità (siamo nel mitico giardino di Eden), il Signore Dio disse: Non è bene che l’uomo sia solo. Questa parola “uomo” è meglio tradurla con “essere umano”, uomo o donna che sia. “Non è bene che sia solo”. Prima ancora di quell’unione tipica che è il matrimonio qui si annuncia una condizione da cui nessuna persona vivente può prescindere: la relazione con gli altri, anzi, la comunione. Celibi o sposati, vedovi o conviventi, vecchi o giovani, noi siamo fatti per la relazione. Senza relazioni non ci si realizza, quel progetto che è la vita non lo si realizza affatto; in altre parole: si è al mondo per niente. Andare verso l’altro, verso gli altri, è assolutamente necessario se ci teniamo ad essere persone. Il che è vero, anche se comporta qualche rischio perché gli altri possono anche approfittare di noi per i loro interessi (ma forse che non rischiano anche gli altri ad entrare in relazioni con noi?).
Può essere la necessità a spingerci verso gli altri: la loro necessità (e allora ci mettiamo a loro disposizione, li aiutiamo come possiamo, diamo quello che ci è possibile dare, ma non sappiamo se è più quello che diamo o quello che riceviamo); oppure può essere il nostro bisogno a portarci verso di loro (e allora questa è per loro un’occasione per realizzare se stessi: donandosi, appunto).
Anche Dio è tra questi “altri” con i quali è necessario entrare in relazione: anzi, lui è il primo di tutti, l’Altro con l’A maiuscola. Chi rifiuta in partenza ogni relazione (magari con la presunzione di bastare a se stesso e non ha bisogno di nessuno) stia pur certo: non incontrerà neanche Dio.
Fratelli, non limitiamoci a diventare adulti per statura. La nostra maturazione, la vera realizzazione di noi stessi, è strettamente legata alla nostra capacità di relazione con gli altri: è questo che modifica in positivo la nostra personalità.
E la modifica più sostanziale di tutte è quella che il linguaggio cristiano chiama “santità”: si proprio santità. Chi sono i santi, se non quelle donne e quegli uomini che avevano una buona relazione con Dio e con il loro prossimo?
Questo è vivere, fratelli, questo il progetto da realizzare. E non è di alcuni (sposati o celibi che siano): ci riguarda tutti. E’ per vivere così che Dio ci ha dato la vita e ci ha messi al mondo.
Le letture bibliche: Genesi 2,18-24; Ebrei 2,9-11; Marco 10,2-16
Vivere, per noi uomini e donne di questo mondo, vuol dire crescere e maturare in continuazione. C’è una crescita fisica, che riguarda la prima stagione della vita. Poi, raggiunto un certo limite, si blocca: da quel punto in poi, di statura non si cresce più (si cresce di circonferenza semmai…).
C’è un’altra crescita che invece non avviene da sé: occorre volerla. E’ quella che ci riguarda come persone, quella maturazione umana per la quale si adopera volentieri il verbo “realizzarsi”: come individui, come persone, proprio come se si trattasse di un progetto. E infatti proprio di un progetto si tratta: noi credenti sappiamo che l’ha fatto Dio, il Signore. Si è servito dei nostri genitori per farci venire al mondo e ce l’ha donato da realizzare. Questo progetto però non si fa da sè, questa crescita occorre proprio volerla.
E’ un progetto tanto nobile e prezioso che anziché affidarlo all’istinto, Dio l’ha consegnato alla nostra libertà: tu maturi come persona se vuoi, dipende da te. Non solo, ma questa crescita non finisce mai; arrivassimo anche a 100 anni, qui non si finisce mai di maturare.
Ma ecco che, proprio per il fatto che è affidata alla nostra libertà, molti non la prendono nemmeno in considerazione: si preoccupano della loro parte corporea, fisica, biologica (che sia bella, che - se diventa meno bella invecchiando - non lo si veda troppo; che stia bene, che - se si ammala - guarisca o non abbia a soffrire granchè), ma della loro vera personalità (da maturare, correggere certe storpiature, irrobustire tutto ciò che ha di buono, di positivo) eh, di questo si preoccupano poco o niente.
Ecco che allora si trovano individui di bell’aspetto, o quanto meno presentabili, magari anche ben educati ma, se si va oltre i primi convenevoli, si scopre che in quanto persone sono delle frane: immaturi, inaffidabili, incostanti, superficiali e altro ancora. Insomma, ben riusciti nel fisico, ma handicappati nello spirito. Questo è evidente soprattutto nel nostro tempo, proprio in questa nostra epoca. Non credo d’esagerare se dico che il 99% di ciò che la cultura attuale offre è tutto per la “carrozzeria” di noi stessi, mentre per il motore – cioè per la personalità (ma potremmo dire per lo spirito) – arriva a ad offrire a malapena forse l’1%.
E cos’è che ci fa maturare davvero come persone, nella nostra piena dignità di figli di Dio? Oggi il vangelo ci parla dell’uomo e della donna, o meglio: di Dio che li ha pensati, “progettati” uno per l’altro. Quindi il fatto di incontrarsi, diventare una sola carne (una sola avventura di vita) è volontà di Dio, è progetto suo. Rifiutare un tale progetto, o spezzarlo, non significa realizzarsi, ma l’opposto, cioè è rovinare se stessi. Cosa che Dio non vuole. Ecco perché questo divieto: “l’uomo non separi ciò che Dio ha unito”.
Sì, alla luce di certe esperienze matrimoniali fallite, si potrebbe discutere se certe unioni – certi matrimoni – erano proprio “progetto” di Dio, o non piuttosto decisioni prese dagli interessati a cuor leggero…
Si potrebbe discutere se tutte le unioni consacrate davanti a un altare siano tali anche davanti al Signore, o se certe altre (che l’altare non l’hanno visto ma che vengono consacrate dalla vita: da tutta una vita insieme), non siano alla fin fine preferibili anche davanti a Dio… Si potrebbe discutere su tutto ciò, ma la risposta definitiva a questi nostri dubbi l’avremo quando saremo in paradiso.
C’è una cosa, però, che viene prima di tutte queste considerazioni. Non penso che oggi il Signore parli solo agli sposati (mariti e mogli); se così fosse, i vedovi, i celibi e le nubili, compresi i preti, i frati e le monache, potrebbero starsene a casa e scusarsi col dire: “oggi il Signore non parla per noi, parla per quelli là…”.
No, il Signore parla per tutti, ogni Domenica. E proprio all’inizio di questa Liturgia della Parola ha detto una cosa che ci riguarda tutti indistintamente. Eccola. Dopo aver creato la prima umanità (siamo nel mitico giardino di Eden), il Signore Dio disse: Non è bene che l’uomo sia solo. Questa parola “uomo” è meglio tradurla con “essere umano”, uomo o donna che sia. “Non è bene che sia solo”. Prima ancora di quell’unione tipica che è il matrimonio qui si annuncia una condizione da cui nessuna persona vivente può prescindere: la relazione con gli altri, anzi, la comunione. Celibi o sposati, vedovi o conviventi, vecchi o giovani, noi siamo fatti per la relazione. Senza relazioni non ci si realizza, quel progetto che è la vita non lo si realizza affatto; in altre parole: si è al mondo per niente. Andare verso l’altro, verso gli altri, è assolutamente necessario se ci teniamo ad essere persone. Il che è vero, anche se comporta qualche rischio perché gli altri possono anche approfittare di noi per i loro interessi (ma forse che non rischiano anche gli altri ad entrare in relazioni con noi?).
Può essere la necessità a spingerci verso gli altri: la loro necessità (e allora ci mettiamo a loro disposizione, li aiutiamo come possiamo, diamo quello che ci è possibile dare, ma non sappiamo se è più quello che diamo o quello che riceviamo); oppure può essere il nostro bisogno a portarci verso di loro (e allora questa è per loro un’occasione per realizzare se stessi: donandosi, appunto).
Anche Dio è tra questi “altri” con i quali è necessario entrare in relazione: anzi, lui è il primo di tutti, l’Altro con l’A maiuscola. Chi rifiuta in partenza ogni relazione (magari con la presunzione di bastare a se stesso e non ha bisogno di nessuno) stia pur certo: non incontrerà neanche Dio.
Fratelli, non limitiamoci a diventare adulti per statura. La nostra maturazione, la vera realizzazione di noi stessi, è strettamente legata alla nostra capacità di relazione con gli altri: è questo che modifica in positivo la nostra personalità.
E la modifica più sostanziale di tutte è quella che il linguaggio cristiano chiama “santità”: si proprio santità. Chi sono i santi, se non quelle donne e quegli uomini che avevano una buona relazione con Dio e con il loro prossimo?
Questo è vivere, fratelli, questo il progetto da realizzare. E non è di alcuni (sposati o celibi che siano): ci riguarda tutti. E’ per vivere così che Dio ci ha dato la vita e ci ha messi al mondo.
Domenica 29 Settembre - Ventiseiesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Numeri 11,25-29; Giacomo 5,1-6; Marco 9,38-43.45.47-48
Era l’immondezzaio di Gerusalemme la Geena. E come tutti gli immondezzai di una volta, bruciava e fumava in continuazione. Gesù – che parlava con immagini e parabole – dice a quelli che l’ascoltano: Ecco, chi rovina la sua vita con scelte sbagliate, rischia di ridursi a immondizia, che brucia e brucia in continuazione in un fuoco che non si spegne mai. E’ così che quel luogo – la Geenna – è diventato il simbolo dell’inferno: chi vive questa vita nel modo sbagliato (mentre potrebbe viverla nel modo giusto), rovina se stesso in modo irrimediabile…
Ma… e com’è che si arriva a questo? Gesù non parla alle folle; parla ai suoi discepoli. Oggi possiamo dire: parla a noi e a tutti i cristiani come noi. E dice, in sostanza: Occorre dire certi no molto determinanti e certi sì altrettanto decisi.
Un atteggiamento sbagliato a cui dire no è l’intolleranza, cioè il pensare che solo noi siamo bravi, abbiamo ragione, solo noi siamo sulla strada giusta. Come pensava Giovanni, l’apostolo (ce l’ha riferito poco fa’ il Vangelo): aveva visto un tale che guariva malati, ma non faceva parte del gruppo dei discepoli di Gesù, e Giovanni avrebbe voluto impedirglielo perché (così pensava lui) “Non è dei nostri”. Abbiamo sentito la risposta del Signore: “Non glielo impedite… perché chi non è contro di noi è per noi”. Da queste parole appare chiaro che il primo no da dire è proprio a quella miopia che ci fa vedere il bene il giusto, solo tra noi, nella nostra cerchia… E sì invece va detto a quello sguardo aperto e ampio che sa arrivare molto lontano – come quello di Gesù – e sa vedere il bene ovunque c’è, anche se non porta la nostra firma o i nostri colori.
Un altro errore (proprio di quelli che rovinano la vita e la fanno diventare immondizia) è l’attaccamento smodato alle cose, alle comodità, a quei quattro soldi che possediamo… come se da questo dipendesse la nostra vita, il nostro futuro, la nostra salvezza. Abbiamo sentito le dure parole dell’apostolo Giacomo (fortunato san Giacomo che parlava così 2000 anni fa’; fosse oggi lo prenderebbero per un comunista!): “Ricchi piangete – diceva così la lettura di poco fa’ - …le vostre ricchezze sono marce, il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine che si alzerà ad accusarvi davanti a Dio nell’ultimo giorno!” (Allora era la ruggine, oggi sono le crisi economiche e finanziarie…).
La ricchezza per Gesù e per il vangelo non è anzitutto una questione di quantità (avere tanto invece che poco); è questione di possesso. C’è chi possiede e chi invece è posseduto: schiavo; poco o tanto che sia quello che ha, ne è schiavo. Ebbene, no a questa passione sfrenata –esorta il Signore – e sì invece alla condivisione di quello che si ha, all’accoglienza solidale.
E a questo proposito non possiamo ignorare che in questa Domenica si celebra in tutto il mondo cristiano la 110° Giornata dei Migranti e dei Rifugiati. Beh che sia il 110° anno che la si celebra sta a dire almeno due cose: che 100 anni fa’ i migranti non venivano dall’Africa o dal Medio Oriente: partivano dall’Italia, dal Trentino, dall’Altopiano di Pinè… costretti da crisi economiche spaventose che portavano alla fame.
L’altra conclusione che traiamo è questa: nonostante quelle tristi esperienze, in 110 anni le nostre nazioni, i nostri Paesi, hanno imparato piuttosto poco. Dopo un decennio di flussi irregolari verso l’Europa, ci si ostina ancora a considerarli un’emergenza, ma un’emergenza che si protrae per 10 anni non è più un’emergenza: è un fenomeno ormai inarrestabile e attende di essere governato con intelligenza, lungimiranza e umanità. Che quanti arrivano contribuiscano onestamente al futuro di tutti, oppure si diano alla criminalità e alla malavita, dipende in gran parte dall’accoglienza o dal rifiuto che trovano. Nel caos di opinioni contrapposte che si respira nella società di oggi, noi cristiani dobbiamo tenere assieme due criteri essenziali: realismo e umanità. Noi non possiamo permetterci di ragionare con il fegato, ma con il cervello e con il cuore assieme.
Papa Francesco, in questa Domenica, ci ricorda che l’ultimo giorno, quando compariremo davanti a Gesù Cristo, lui ci dirà «ero straniero e mi avete accolto – oppure: mi avete respinto» e la conseguenza sarà o la casa del Padre che ci accoglie, o quell’immondezzaio che brucia senza interruzione. E’ il Vangelo. Semplicemente il Vangelo.
Ecco allora il terzo “no” che come discepoli di Cristo dobbiamo trovare il coraggio di pronunciare: il “no” agli scandali. “Eh, ma quando mai diamo scandalo noi?” vi chiederete … “Scandalo” è una parola che vuol dire: intralcio, ostacolo che fa deviare, fa andare fuori strada. E allora ci domandiamo: ma siamo proprio sicuri di non essere mai d’intralcio a qualcuno con i nostri comportamenti? Non è raro trovare, proprio in noi cristiani, una certa connivenza con modi di pensare, di dire, di fare, che di cristiano non hanno proprio niente… Non è dare scandalo, questo, fratelli?
E’ un campo nel quale Gesù ha usato parole molto dure, come avete sentito: “Se la tua mano ti scandalizza, tagliala… Se il tuo piede ti scandalizza, fa’ altrettanto… Se invece è il tuo occhio: cavalo…”. No, Gesù Cristo non vuole mutilazioni: non sono le mani o i piedi che dobbiamo tagliare, ma certi legami con modi di pensare e di agire che di cristiano non hanno nulla. No, quindi, al dare scandalo con facilità; e sì invece a un comportamento cristiano più coerente, più vero, più attraente per chi ci conosce o ci osserva. Oggi il Signore ce l’ha ripetuto con chiarezza.
Si può dare scandalo facendo il male, ma si può dare scandalo anche non facendo quel bene che è nelle nostre possibilità fare, e che il Signore si aspetta da noi.
Riflettiamoci, fratelli, in tutta serenità, ma anche con coraggio.
Le letture bibliche: Numeri 11,25-29; Giacomo 5,1-6; Marco 9,38-43.45.47-48
Era l’immondezzaio di Gerusalemme la Geena. E come tutti gli immondezzai di una volta, bruciava e fumava in continuazione. Gesù – che parlava con immagini e parabole – dice a quelli che l’ascoltano: Ecco, chi rovina la sua vita con scelte sbagliate, rischia di ridursi a immondizia, che brucia e brucia in continuazione in un fuoco che non si spegne mai. E’ così che quel luogo – la Geenna – è diventato il simbolo dell’inferno: chi vive questa vita nel modo sbagliato (mentre potrebbe viverla nel modo giusto), rovina se stesso in modo irrimediabile…
Ma… e com’è che si arriva a questo? Gesù non parla alle folle; parla ai suoi discepoli. Oggi possiamo dire: parla a noi e a tutti i cristiani come noi. E dice, in sostanza: Occorre dire certi no molto determinanti e certi sì altrettanto decisi.
Un atteggiamento sbagliato a cui dire no è l’intolleranza, cioè il pensare che solo noi siamo bravi, abbiamo ragione, solo noi siamo sulla strada giusta. Come pensava Giovanni, l’apostolo (ce l’ha riferito poco fa’ il Vangelo): aveva visto un tale che guariva malati, ma non faceva parte del gruppo dei discepoli di Gesù, e Giovanni avrebbe voluto impedirglielo perché (così pensava lui) “Non è dei nostri”. Abbiamo sentito la risposta del Signore: “Non glielo impedite… perché chi non è contro di noi è per noi”. Da queste parole appare chiaro che il primo no da dire è proprio a quella miopia che ci fa vedere il bene il giusto, solo tra noi, nella nostra cerchia… E sì invece va detto a quello sguardo aperto e ampio che sa arrivare molto lontano – come quello di Gesù – e sa vedere il bene ovunque c’è, anche se non porta la nostra firma o i nostri colori.
Un altro errore (proprio di quelli che rovinano la vita e la fanno diventare immondizia) è l’attaccamento smodato alle cose, alle comodità, a quei quattro soldi che possediamo… come se da questo dipendesse la nostra vita, il nostro futuro, la nostra salvezza. Abbiamo sentito le dure parole dell’apostolo Giacomo (fortunato san Giacomo che parlava così 2000 anni fa’; fosse oggi lo prenderebbero per un comunista!): “Ricchi piangete – diceva così la lettura di poco fa’ - …le vostre ricchezze sono marce, il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine che si alzerà ad accusarvi davanti a Dio nell’ultimo giorno!” (Allora era la ruggine, oggi sono le crisi economiche e finanziarie…).
La ricchezza per Gesù e per il vangelo non è anzitutto una questione di quantità (avere tanto invece che poco); è questione di possesso. C’è chi possiede e chi invece è posseduto: schiavo; poco o tanto che sia quello che ha, ne è schiavo. Ebbene, no a questa passione sfrenata –esorta il Signore – e sì invece alla condivisione di quello che si ha, all’accoglienza solidale.
E a questo proposito non possiamo ignorare che in questa Domenica si celebra in tutto il mondo cristiano la 110° Giornata dei Migranti e dei Rifugiati. Beh che sia il 110° anno che la si celebra sta a dire almeno due cose: che 100 anni fa’ i migranti non venivano dall’Africa o dal Medio Oriente: partivano dall’Italia, dal Trentino, dall’Altopiano di Pinè… costretti da crisi economiche spaventose che portavano alla fame.
L’altra conclusione che traiamo è questa: nonostante quelle tristi esperienze, in 110 anni le nostre nazioni, i nostri Paesi, hanno imparato piuttosto poco. Dopo un decennio di flussi irregolari verso l’Europa, ci si ostina ancora a considerarli un’emergenza, ma un’emergenza che si protrae per 10 anni non è più un’emergenza: è un fenomeno ormai inarrestabile e attende di essere governato con intelligenza, lungimiranza e umanità. Che quanti arrivano contribuiscano onestamente al futuro di tutti, oppure si diano alla criminalità e alla malavita, dipende in gran parte dall’accoglienza o dal rifiuto che trovano. Nel caos di opinioni contrapposte che si respira nella società di oggi, noi cristiani dobbiamo tenere assieme due criteri essenziali: realismo e umanità. Noi non possiamo permetterci di ragionare con il fegato, ma con il cervello e con il cuore assieme.
Papa Francesco, in questa Domenica, ci ricorda che l’ultimo giorno, quando compariremo davanti a Gesù Cristo, lui ci dirà «ero straniero e mi avete accolto – oppure: mi avete respinto» e la conseguenza sarà o la casa del Padre che ci accoglie, o quell’immondezzaio che brucia senza interruzione. E’ il Vangelo. Semplicemente il Vangelo.
Ecco allora il terzo “no” che come discepoli di Cristo dobbiamo trovare il coraggio di pronunciare: il “no” agli scandali. “Eh, ma quando mai diamo scandalo noi?” vi chiederete … “Scandalo” è una parola che vuol dire: intralcio, ostacolo che fa deviare, fa andare fuori strada. E allora ci domandiamo: ma siamo proprio sicuri di non essere mai d’intralcio a qualcuno con i nostri comportamenti? Non è raro trovare, proprio in noi cristiani, una certa connivenza con modi di pensare, di dire, di fare, che di cristiano non hanno proprio niente… Non è dare scandalo, questo, fratelli?
E’ un campo nel quale Gesù ha usato parole molto dure, come avete sentito: “Se la tua mano ti scandalizza, tagliala… Se il tuo piede ti scandalizza, fa’ altrettanto… Se invece è il tuo occhio: cavalo…”. No, Gesù Cristo non vuole mutilazioni: non sono le mani o i piedi che dobbiamo tagliare, ma certi legami con modi di pensare e di agire che di cristiano non hanno nulla. No, quindi, al dare scandalo con facilità; e sì invece a un comportamento cristiano più coerente, più vero, più attraente per chi ci conosce o ci osserva. Oggi il Signore ce l’ha ripetuto con chiarezza.
Si può dare scandalo facendo il male, ma si può dare scandalo anche non facendo quel bene che è nelle nostre possibilità fare, e che il Signore si aspetta da noi.
Riflettiamoci, fratelli, in tutta serenità, ma anche con coraggio.
Domenica 22 Settembre - Venticinquesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Sapienza 2,12.17-20; Giacomo 3,16-4,3; Marco 9,30-37
Tutte le malattie fanno soffrire, a volte molto, troppo. Ma il male che fa soffrire di più sono le offese che vengono dalle persone – vicine o lontane che siano. Non di rado suscita sentimenti di odio, progetti di vendetta, o se non altro rancori, chiusure, che poi – per contagio - si trasformano in atteggiamenti di rifiuto, di razzismo verso interi popoli e nazioni. Ecco la dimostrazione di quanto è vero che il male che proviene dalle persone provoca sofferenze a catena, mali a non finire. Alla fine è come trovarsi a vivere in un’umanità tutta quanta malata di paure, di rancori, di pregiudizio e di rifiuto.
Perché accade questo? Perché? Perché mai alcuni fanno soffrire altri, e a volte in modalità spaventose?
Il dolore che prende la forma della malattia, magari incurabile, magari innocente, si sa: suscita molti “perché?” ma nessuno di quei perché trova spiegazione soddisfacente. Ma il male provocato da persone ad altre persone… ah questo sì che ce l’ha la spiegazione, e più che soddisfacente: “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? – l’abbiamo sentita poco fa’ nelal seconda lettura questa domanda; l’apostolo Giacomo la pose più o meno 2000 anni fa’. E rispondeva già allora così: “Guerre e liti non vengono forse dai vostri egoismi che fanno da padroni dentro la vostra vita? Siete pieni di desideri, ma non riuscite a realizzarli, ecco che allora combattete, uccidete e fate guerra!”.
Eh, ma noi non arriviamo a questi estremi – direte voi. No, probabilmente no, ma sapete anche voi, fratelli, che ci sono tanti modi di combattersi tra persone, tanti modi di uccidere e di farsi guerra: non tutti sono cruenti, non sempre c’è spargimento di sangue, ma il male che provocano… fa male lo stesso, e a volte anche di più.
Ma la risposta esauriente a quella domanda però non l’abbiamo ancora data: perché accade questo?
Ce lo dice il vangelo di oggi’. Gesù sta camminando di buon passo davanti al gruppo dei suoi apostoli, sente che dietro discutono alla grande, e quando arrivano a Cafarnao (dov’erano diretti), chiede: Cosa avevate di tanto interessante su cui discutere lungo la strada? Ma essi tacevano… Tacevano come dei bambini sorpresi nel bel mezzo di una marachella che stavano combinando… Tacevano perché lungo la strada avevano discusso su chi tra loro fosse il più grande: il più intelligente, il più capace, il più quotato, il più grande insomma. Ecco la risposta a quella domanda, fratelli. Ecco la spiegazione al perché certi individui fanno del male ad altri: perché vogliono essere più grandi, più importanti, più potenti; e per questo fan di tutto per avere più mezzi, più risorse, più ricchezze, più tutto insomma. E’ così che si illudono di essere davvero grandi.
Ovvio che alla fin fine è tutta una maschera, e dietro quella maschera sono come tutti gli altri: individui che vengono al mondo senza niente e senza niente se ne andranno… ma loro non accettano questa verità: preferiscono la maschera, l’illusione. Quante sofferenze atroci ha causato questa illusione, e quante ne continua a provocare anche ai nostri giorni: anche tra noi, diciamolo pure tranquillamente. L’illusione di essere grandi, i più grandi! Di aver sempre ragione! C’è malattia o epidemia peggiore di questa?
Ed ecco la splendida lezione di Gesù. Gesù è un maestro che per far imparare bene le cose, le insegna a parole ma anche con i gesti che compie. “Chiamò i dodici e disse: Se uno vuol essere il primo (il più grande!), sia l’ultimo di tutti, il servo di tutti”. Poi prese un bambino, lo pose in mezzo e, abbracciandolo con affetto disse: Ecco chi è il più grande!”. Ma come? Ma da quando in qua il più grande è il bambino, che non oltrepassa neanche il bordo della tavola tanto è piccolo? Perché mai agli occhi di Dio, di Gesù, proprio il bambino è il vero grande? “Perché – continua il Signore – chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me, e in me accoglie nientemeno che Dio, colui che mi ha mandato”.
Insomma, potremmo dire che Dio si identifica volentieri con i bambini, così come si identifica volentieri con i poveri, con tutti quelli che mancano di qualcosa di essenziale per vivere con dignità.
I bambini 2000 anni fa’ erano poveri perché, se pure amati dai loro cari, dalla società erano semplicemente tollerati: certamente godevano di scarsa considerazione; materiale umano di scarso valore sul mercato. Perché… vi pare che ai nostri giorni sia diverso? Ogni 5 secondi muore un bambino: di fame, di miseria, o per violenza… Ma tra noi non è così – direte -: tra noi i bambini sono amati curati accuditi… Sarà anche vero, ma a me vengono spontanee due considerazioni. Per le vie delle città (ma anche nei paesi) ho l’impressione che si vedano più cani al guinzaglio che carrozzelle di bambini… Questo fa sì che (in questo mondo dove milioni di persone muoiono di fame) nei nostri supermercati ci siano interi scaffali di alimenti appositi per cani e gatti…Un dato di fatto che grida vendetta al cielo, per dirla con il linguaggio della S.Scrittura..
L’altra considerazione è la seguente: non vi sembra che i bambini – in certi casi almeno - assomiglino a manichini da rivestire, o a contenitori da riempire di tutto e di più… per la soddisfazione dei genitori? Ma come persone, dotate di creatività e che hanno diritto di svilupparsi secondo la loro indole unica e irrepetibile…eh, non sono molto considerati. Un tempo si diceva: “Cosa non farebbe un papà o una mamma per i suoi bambini?”. Oggi è meglio non dirlo, perché non vale più. Oggi se un papà o una mamma decidono di separarsi (pur sapendo che sarà un’esperienza choccante per i loro figli), lo fanno; non sono certo i bambini a trattenerli dal farlo…
Non intendo giudicare nessuno dicendo questo perché sono vittime prima che colpevoli… Vittime dell’individualismo, quest’epidemia del nostro tempo che vorrebbe tutti diversi… e finisce invece col produrre soltanto eguali, “omologati”, o fotocopie gli uni degli altri più o meno sbiadite. I bambini e i poveri hanno in comune una cosa importante: la disponibilità a cambiare (nei bambini è connaturale ma inconscia, nei poveri invece è consapevole): disponibilità a cambiare, a crescere, ad essere diversi.
Forse è anche per questo che sono davvero grandi e apprezzabili agli occhi di Dio. Lui ha criteri di grandezza diversi dai nostri, ed è ovvio pensare che i suoi siano quelli giusti e i nostri… tutti da rivedere e da correggere.
Le letture bibliche: Sapienza 2,12.17-20; Giacomo 3,16-4,3; Marco 9,30-37
Tutte le malattie fanno soffrire, a volte molto, troppo. Ma il male che fa soffrire di più sono le offese che vengono dalle persone – vicine o lontane che siano. Non di rado suscita sentimenti di odio, progetti di vendetta, o se non altro rancori, chiusure, che poi – per contagio - si trasformano in atteggiamenti di rifiuto, di razzismo verso interi popoli e nazioni. Ecco la dimostrazione di quanto è vero che il male che proviene dalle persone provoca sofferenze a catena, mali a non finire. Alla fine è come trovarsi a vivere in un’umanità tutta quanta malata di paure, di rancori, di pregiudizio e di rifiuto.
Perché accade questo? Perché? Perché mai alcuni fanno soffrire altri, e a volte in modalità spaventose?
Il dolore che prende la forma della malattia, magari incurabile, magari innocente, si sa: suscita molti “perché?” ma nessuno di quei perché trova spiegazione soddisfacente. Ma il male provocato da persone ad altre persone… ah questo sì che ce l’ha la spiegazione, e più che soddisfacente: “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? – l’abbiamo sentita poco fa’ nelal seconda lettura questa domanda; l’apostolo Giacomo la pose più o meno 2000 anni fa’. E rispondeva già allora così: “Guerre e liti non vengono forse dai vostri egoismi che fanno da padroni dentro la vostra vita? Siete pieni di desideri, ma non riuscite a realizzarli, ecco che allora combattete, uccidete e fate guerra!”.
Eh, ma noi non arriviamo a questi estremi – direte voi. No, probabilmente no, ma sapete anche voi, fratelli, che ci sono tanti modi di combattersi tra persone, tanti modi di uccidere e di farsi guerra: non tutti sono cruenti, non sempre c’è spargimento di sangue, ma il male che provocano… fa male lo stesso, e a volte anche di più.
Ma la risposta esauriente a quella domanda però non l’abbiamo ancora data: perché accade questo?
Ce lo dice il vangelo di oggi’. Gesù sta camminando di buon passo davanti al gruppo dei suoi apostoli, sente che dietro discutono alla grande, e quando arrivano a Cafarnao (dov’erano diretti), chiede: Cosa avevate di tanto interessante su cui discutere lungo la strada? Ma essi tacevano… Tacevano come dei bambini sorpresi nel bel mezzo di una marachella che stavano combinando… Tacevano perché lungo la strada avevano discusso su chi tra loro fosse il più grande: il più intelligente, il più capace, il più quotato, il più grande insomma. Ecco la risposta a quella domanda, fratelli. Ecco la spiegazione al perché certi individui fanno del male ad altri: perché vogliono essere più grandi, più importanti, più potenti; e per questo fan di tutto per avere più mezzi, più risorse, più ricchezze, più tutto insomma. E’ così che si illudono di essere davvero grandi.
Ovvio che alla fin fine è tutta una maschera, e dietro quella maschera sono come tutti gli altri: individui che vengono al mondo senza niente e senza niente se ne andranno… ma loro non accettano questa verità: preferiscono la maschera, l’illusione. Quante sofferenze atroci ha causato questa illusione, e quante ne continua a provocare anche ai nostri giorni: anche tra noi, diciamolo pure tranquillamente. L’illusione di essere grandi, i più grandi! Di aver sempre ragione! C’è malattia o epidemia peggiore di questa?
Ed ecco la splendida lezione di Gesù. Gesù è un maestro che per far imparare bene le cose, le insegna a parole ma anche con i gesti che compie. “Chiamò i dodici e disse: Se uno vuol essere il primo (il più grande!), sia l’ultimo di tutti, il servo di tutti”. Poi prese un bambino, lo pose in mezzo e, abbracciandolo con affetto disse: Ecco chi è il più grande!”. Ma come? Ma da quando in qua il più grande è il bambino, che non oltrepassa neanche il bordo della tavola tanto è piccolo? Perché mai agli occhi di Dio, di Gesù, proprio il bambino è il vero grande? “Perché – continua il Signore – chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me, e in me accoglie nientemeno che Dio, colui che mi ha mandato”.
Insomma, potremmo dire che Dio si identifica volentieri con i bambini, così come si identifica volentieri con i poveri, con tutti quelli che mancano di qualcosa di essenziale per vivere con dignità.
I bambini 2000 anni fa’ erano poveri perché, se pure amati dai loro cari, dalla società erano semplicemente tollerati: certamente godevano di scarsa considerazione; materiale umano di scarso valore sul mercato. Perché… vi pare che ai nostri giorni sia diverso? Ogni 5 secondi muore un bambino: di fame, di miseria, o per violenza… Ma tra noi non è così – direte -: tra noi i bambini sono amati curati accuditi… Sarà anche vero, ma a me vengono spontanee due considerazioni. Per le vie delle città (ma anche nei paesi) ho l’impressione che si vedano più cani al guinzaglio che carrozzelle di bambini… Questo fa sì che (in questo mondo dove milioni di persone muoiono di fame) nei nostri supermercati ci siano interi scaffali di alimenti appositi per cani e gatti…Un dato di fatto che grida vendetta al cielo, per dirla con il linguaggio della S.Scrittura..
L’altra considerazione è la seguente: non vi sembra che i bambini – in certi casi almeno - assomiglino a manichini da rivestire, o a contenitori da riempire di tutto e di più… per la soddisfazione dei genitori? Ma come persone, dotate di creatività e che hanno diritto di svilupparsi secondo la loro indole unica e irrepetibile…eh, non sono molto considerati. Un tempo si diceva: “Cosa non farebbe un papà o una mamma per i suoi bambini?”. Oggi è meglio non dirlo, perché non vale più. Oggi se un papà o una mamma decidono di separarsi (pur sapendo che sarà un’esperienza choccante per i loro figli), lo fanno; non sono certo i bambini a trattenerli dal farlo…
Non intendo giudicare nessuno dicendo questo perché sono vittime prima che colpevoli… Vittime dell’individualismo, quest’epidemia del nostro tempo che vorrebbe tutti diversi… e finisce invece col produrre soltanto eguali, “omologati”, o fotocopie gli uni degli altri più o meno sbiadite. I bambini e i poveri hanno in comune una cosa importante: la disponibilità a cambiare (nei bambini è connaturale ma inconscia, nei poveri invece è consapevole): disponibilità a cambiare, a crescere, ad essere diversi.
Forse è anche per questo che sono davvero grandi e apprezzabili agli occhi di Dio. Lui ha criteri di grandezza diversi dai nostri, ed è ovvio pensare che i suoi siano quelli giusti e i nostri… tutti da rivedere e da correggere.
Domenica 15 Settembre - Ventiquattresima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Isaia 50,5-9; Giacomo 2,14-18; Marco 8,27-35
Nella vita delle persone – secondo il buon senso - tutto dev’essere in armonia: il modo di presentarsi, la loro condotta, il loro stile di vita. E’ la norma. Che i poveracci si presentino disordinati, malconci, o che gli vadano tutte storte… è piuttosto normale. Che invece sia un personaggio importante ad affrontare una sorte del genere, questo sì che stupisce; stupisce tanto da fargli perdere il credito.
“Tu sei il Cristo!” afferma oggi Pietro davanti a Gesù. E’ la risposta più azzeccata che un uomo sia mai riuscito a dare a quella domanda che molti si ponevano: “Chi sarà mai questo Gesù di Nazaret?”. Ed ecco che un giorno è lui stesso a fare la domanda, ai suoi: “Ma voi, chi dite voi che io sia?”. ”Tu sei il Cristo”: “Χριξτος” è un nome della lingua greca, e traduce la parola ebraica “Messia”. Dire a Gesù “Tu sei il Cristo” è come dirgli: “Tu sei il Messia!”.
Il Messia! erano secoli che la gente sognava e aspettava il Messia, e più passava il tempo, più si fantasticava su come si sarebbe presentato e su quello che avrebbe dovuto fare: eliminare i prepotenti (a cominciare dai Romani che occupavano la Palestina), liberare il popolo dalle tasse (sempre troppe), fare giustizia, inaugurare un’epoca di benessere per tutti…ecco cosa avrebbe dovuto fare il Messia. E naturalmente tutto questo sarebbe stato coronato da successo, riuscita, vittoria su tutti i fronti! Non sono questi, in fondo, i segnali che distinguono i potenti di questo mondo?
Ed ecco che per Gesù invece è tutto l’opposto; ed è come una doccia fredda per quei discepoli che lo seguono: “Ordinò loro severamente di non parlare di lui a nessuno”. Ma perché? Qual è mai il personaggio potente che rifiuta qualsiasi pubblicità?
Ha un buon motivo Gesù per non condividere questa logica: “Cominciò a insegnare loro che lui - il Figlio dell’uomo - doveva soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”.
Sì, certamente, il risultato ci sarebbe stato, e tale da superare ogni aspettativa (“il terzo giorno risorgerò”), ma grazie…a che prezzo! Rifiuto da parte dei capi del popolo, sofferenza e morte atroce, come per i peggiori criminali: ma è forse questa la strada del successo? Questo – umanamente parlando – è un fiasco, un fallimento su tutta la linea.
Pietro aveva risposto a nome di tutti alla domanda di Gesù: “Tu sei il Cristo, il Messia!” gli aveva detto. Ed ecco che adesso Pietro, davanti a qulla prospettiva fallimentare annunciata da Gesù, reagisce esterrefatto; possiamo immaginare che gli avrà detto: “Eh no, Signore! Il Messia ha davanti a sè una strada lastricata di vittorie e trionfi, non di rifiuto, umiliazioni e morte su un patibolo! Pensaci bene, per favore, prima di dire certe cose!”. Gesù gli risponde con durezza; lo chiama addirittura “Satana”. “Va’ dietro a me, Satana!”. Satana è il Maligno; la sua specialità è quella di passare davanti alle persone per portarle fuori strada. Anche con Gesù Cristo ci ha provato.
“E non crediate – aggiunge Gesù - che la cosa riguardi soltanto me. Se qualcuno vuol venirmi dietro, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua…”.
Pensavano gli apostoli che, al seguito di quel Messia, anche a loro il futuro avrebbe riservato fortuna e successo; e invece no, anzi, avrebbero dovuto mettere da parte quelle attese: cos’altro può voler dire rinnegare se stessi se non rinunciare a certi sogni, a certi progetti che magari stavano molto a cuore?
Quanto alla croce, che ogni discepolo dovrebbe prender su e portare, qui - fratelli - ci sono almeno due cose importanti da chiarire. Anzitutto, quella croce non è solo da accettare quando ci piomba addosso; Gesù dice addirittura che è da prender su spontaneamente. “Ma allora – si dirà – vuol farci diventare tutti masochisti Gesù Cristo?!”. Piano, andiamoci piano: osserviamo l’altro aspetto importante. Non è nel vangelo di Marco (quello che abbiamo ascoltato poco fa), ma è Luca che ce lo fa presente.
Nel vangelo di Luca Gesù dice che la croce – quale che sia – è da prender su non una volta ogni tanto, ma ogni giorno! Al che si potrebbe pensare: “Ma sì, da quando in qua uno va a cercarsi la croce ogni giorno?! Bisogna proprio essere masochisti, cioè gente che prova uno strano piacere a soffrire!”. No, fratelli, qui non è questione di masochismo. Pensate un po’: non è forse vero che nella nostra vita ci sono esperienze o situazioni che, anche se non ci piacciono, ce le prendiamo su ogni mattina?
Il lavoro, ad esempio (specie certi tipi di lavoro), che non è fatto solo di fatica, ma a volte anche di contrasti, di arrabbiature, di nervosismo… forse che non ve lo prendete su ogni mattina? Può essere anche questo la croce di cui parla Gesù? Certamente: a condizione che ogni giorno lo cominciate con un briciolo di Fede, e magari lo offriate a Dio ancor prima di cominciarlo: allora è croce, altrimenti è solo tensione che vi snerva e vi abbrutisce.
Ma pensiamo anche alla vita di famiglia, forse che va tutto liscio come l’olio ogni giorno? Eh, magari! … neanche nella sacra Famiglia era così, figuriamoci nelle nostre. Preoccupazioni per l’uno o per l’altro, a volte anche incomprensioni, difficoltà a capirsi, per non dire di qualche batosta che capita di tanto in tanto senza alcun preavviso… Ma forse che mandate all’aria la famiglia per questo? Sì, c’è chi lo fa, (per esempio certi nostri governanti che si atteggiano a paladini/difensori di Dio e della famiglia… ma Dio, non sanno nemmeno dove sta di casa, e quanto all’esempio di famiglia che offrono… beh, sorvoliamo: per decenza!).
Per fortuna sono molti di più quelle persone, semplici e per niente altolocate, che riprendono su la loro responsabilità di marito o di moglie, di padre o di madre ogni mattina… E perché non chiamare croce proprio anche questo? Sì, ma a condizione di ricominciare ogni giorno con un briciolo di fede e magari offrire tutto a Dio… Allora diventa “croce”, anzi, la nostra croce. Nel comportarsi così c’è anche un vantaggio, fratelli (e non di poco conto!): offrire a Dio tutto questo è come spartire un peso: invece che essere tu solo a portarlo, c’è anche lui, il Signore che lo porta insieme a te. Provate, verificate di persona voi stessi quello che vi sto dicendo.
Perdonare a una persona che ci ha offeso è sempre una fatica: accettare questa fatica è portare la croce. Fare del bene a qualcuno (a un malato, a un anziano), e farlo con costanza, a volte snerva: ebbene, non lasciarti inacidire dal nervosismo, spartisci con Dio quel peso: offrilo a lui. E chiamalo “croce”.
Insomma sì, passare per cristiani in certe grandi occasioni potrà anche essere facile. Esserlo davvero nella vita quotidiana - in famiglia, nel lavoro, nelle nostre situazioni concrete - ed esserlo con semplicità, ma anche con decisione nello stesso tempo, ecco la nostra croce. E’ un dare la vita ogni giorno, goccia a goccia, ma questa – non dimentichiamolo - è anche la strada della vita pienamente realizzata. “Chi perderà la sua vita per me, portando la sua croce, la salverà”: ce lo assicura proprio oggi Gesù.
E, credetelo: questo è un campo nel quale lui ha molta esperienza.
Gli possiamo dare fiducia.
Domenica 8 Settembre - Ventitreesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Isaia 35,4-7; Giacomo 2,1-5; Vangelo di Marco 7,31-37
“Fa udire i sordi e fa parlare i muti”. Eh, non capita mica tutti i giorni. Non pochi oggi si chiedono: ma…queste che ci racconta il vangelo sono proprio vicende accadute, o qualcuno se le è inventate? E se per caso sono realmente accadute, chi è questo Gesù che riesce a far cose del genere?
Se lo chiedeva anche allora la gente: chi sarà mai questo Gesù? Oltre a far udire i sordi e parlare i muti, pare che abbia anche ridato la vista a dei ciechi, raddrizzato sulle loro gambe paralitici, guarito molti malati e richiamato in vita anche alcuni morti…
Molti (siccome erano ebrei e conoscevano la Bibbia) si ricordarono allora delle parole del profeta che secoli prima aveva detto: “Ecco il vostro Dio che viene a salvarvi. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo e griderà di gioia la lingua del muto”. Si ricordarono di queste parole e alcuni conclusero: ecco che la promessa si realizza; è arrivato! Gesù è l’inviato di Dio…
Molti altri però, nonostante le prove, non gli hanno creduto: curiosità sì, molta, ma fiducia, adesione a lui, poca. E ciononostante lui continuava a guarire, a ridare vita e salute. Quelli che ne beneficiavano, di solito lo seguivano: come Maria Maddalena, come Bartimeo, il cieco di Gerico. Avevano toccato con mano che lui era l’inviato di Dio. E lo seguivano.
E noi, oggi, cosa c’entriamo con queste vicende?
Ecco, fratelli: a me pare che il rischio della cecità, della sordità, del mutismo, sia tutt’altro che scomparso al giorno d’oggi, anche tra noi cristiani. Non vi pare che questi handicap stiano contagiando ampiamente il clima sociale del nostro tempo? Quanti drammi, quante tragiche sciagure ha conosciuto la storia (anche la storia vicina a noi) perché molti, troppi, hanno scelto di fare i ciechi, i sordi, i muti… isolandosi nel loro guscio, magari con la sola compagnia di un cagnolino che non disturba mai… e intanto gli arroganti e i prepotenti (oltre che ignoranti) diventano padroni del mondo e mettono a rischio il futuro di tutti! Altro che se riguarda anche noi questo vangelo, fratelli!
Ma soffermiamoci ad osservare con attenzione come fa Gesù a guarire: prende quel sordomuto, lo porta in disparte lontano dalla folla, gli tocca con le dita gli orecchi e la lingua, poi – guardando verso il cielo – emette un sospiro e dice: “Apriti!”. Perché mai questi gesti? E’ una messinscena o cos’altro è?
No, non è una messinscena: ogni gesto qui ha un perché, un significato. Se, tanto per cominciare, Gesù porta quel poveretto in disparte lontano dalla folla, è per dire a tutti (anche a noi) che la relazione che vuol instaurare è “personalizzata”: Gesù Cristo non è quel tale che sta con tutti e quindi con nessuno in particolare, no, il suo modo di entrare in relazione è unico: qui non entra in gioco la folla, o la massa, ma l’individuo con la sua storia e la sua libertà.
"Guardando verso il cielo, emise un sospiro Gesù"… Perché? Cosa significa quel sospiro?
Che Dio soffre a vedere i suoi figli ciechi, sordi, o muti… E’ un sospiro carico di commiserazione sì, ma anche di esasperazione: come un medico che si spazientisce di fronte a un malato che rifiuta ostinatamente di lasciarsi guarire… ecco il perché di quel sospiro di Gesù!
Ma soprattutto quella parola, quel comando, è sorprendente: “Apriti!”. A chi è rivolto? Alla lingua o agli orecchi? Macchè! Qui Cristo si rivolge all’uomo, a ogni individuo – uomo o donna che sia – e gli dice: “Senti: se vuoi ch’io possa fare qualcosa per te, fa tacere la diffidenza, il sospetto, e lasciami entrare nella tua vita. Apriti! Dammi la tua fiducia!”. Ecco il senso di quell’imperativo così pressante.
Il proverbio dice: Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Penso che si potrebbe anche dire: "Non c’è peggior muto di chi non vuol parlare". Anche nell’esperienza della fede capita questo: c’è chi fa finta di simpatizzare per Gesù Cristo, ma in realtà non lo vuol sentire né ascoltare. E siccome non lo ascolta, accade che quando pensa o ragiona o parla, le sue sono parole al vento: ecco il sordomuto. Nessuno lo può guarire, se non decide di accostarsi davvero a Gesù Cristo e di lasciarsi provocare da quell’invito: “Apriti!”.
Alla radice di certe incomprensioni, di tanti malumori, di molti sciocchi pettegolezzi, non c’è proprio questo motivo alla fin fine? Diciamo parole che sono soltanto terra terra, non sono quelle di Gesù Cristo… Buttiamo lì, nelle nostre conversazioni o nelle discussioni, giudizi e opinioni che sono esclusivamente nostri, non sono quelli del vangelo! E allora le parole fanno solo rumore… ma non dicono niente.
Chiediamocelo perciò: ce n’è vangelo nel nostro parlare, fratelli? Nei nostri modi di valutare (persone, situazioni, cose) ce n’è vangelo? Oh, attenzione! del vangelo non occorre affatto ripetere le parole esatte: questo lo può fare anche un disco o un pappagallo ammaestrato! Quando dico “vangelo” intendo i suoi valori, la sua logica, i suoi criteri di valutazione… e questi li possiamo dire solo con parole nostre, con il nostro linguaggio di ogni giorno! Sì, ma questo è possibile via via che il Vangelo diventa il nostro codice di vita… via via che impariamo a ragionare in sintonia col Vangelo.
Se invece le parole di Cristo ci trovano sordi e non possono entrarci nel cuore, di conseguenza siamo anche muti allorché si tratta di lasciarle passare nei nostri discorsi e nelle nostre relazioni…
Ma… bando al pessimismo: non voglio scoraggiare nessuno, perché non veniamo a Messa per andarcene poi a casa tristi o depressi. Il Vangelo è sempre “bella notizia”, anche quando ci rimprovera e ci corregge.
L’Eucaristia che stiamo celebrando anche oggi è proprio l’occasione in cui – come quel sordomuto – accettiamo di andare in disparte con Gesù.
Mai ci è così vicino il Signore come in questo momento dell’Eucaristia: tanto vicino che ci tocca, come ha toccato la lingua e gli orecchi di quel poveretto. E se facciamo attenzione (un’attenzione di fede però!) non è affatto strano sentire anche su di noi quel sospiro di cui parlava il vangelo.
Soprattutto è quella parola, quel comando, che possiamo sentire rivolto proprio a ciascuno di noi: Apriti!
Ma qui, a questo punto, tocca a noi, fratelli – a ognuno personalmente – rispondere.
Ogni Domenica, a ogni Messa, siamo provocati ad allargare un po’ di più la porta del cuore, in modo che il Signore possa entrare non goccia a goccia, ma con tutta la sua potenza, e giorno dopo giorno trasformare – e far bella - tutta la nostra vita.
Le letture bibliche: Isaia 35,4-7; Giacomo 2,1-5; Vangelo di Marco 7,31-37
“Fa udire i sordi e fa parlare i muti”. Eh, non capita mica tutti i giorni. Non pochi oggi si chiedono: ma…queste che ci racconta il vangelo sono proprio vicende accadute, o qualcuno se le è inventate? E se per caso sono realmente accadute, chi è questo Gesù che riesce a far cose del genere?
Se lo chiedeva anche allora la gente: chi sarà mai questo Gesù? Oltre a far udire i sordi e parlare i muti, pare che abbia anche ridato la vista a dei ciechi, raddrizzato sulle loro gambe paralitici, guarito molti malati e richiamato in vita anche alcuni morti…
Molti (siccome erano ebrei e conoscevano la Bibbia) si ricordarono allora delle parole del profeta che secoli prima aveva detto: “Ecco il vostro Dio che viene a salvarvi. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo e griderà di gioia la lingua del muto”. Si ricordarono di queste parole e alcuni conclusero: ecco che la promessa si realizza; è arrivato! Gesù è l’inviato di Dio…
Molti altri però, nonostante le prove, non gli hanno creduto: curiosità sì, molta, ma fiducia, adesione a lui, poca. E ciononostante lui continuava a guarire, a ridare vita e salute. Quelli che ne beneficiavano, di solito lo seguivano: come Maria Maddalena, come Bartimeo, il cieco di Gerico. Avevano toccato con mano che lui era l’inviato di Dio. E lo seguivano.
E noi, oggi, cosa c’entriamo con queste vicende?
Ecco, fratelli: a me pare che il rischio della cecità, della sordità, del mutismo, sia tutt’altro che scomparso al giorno d’oggi, anche tra noi cristiani. Non vi pare che questi handicap stiano contagiando ampiamente il clima sociale del nostro tempo? Quanti drammi, quante tragiche sciagure ha conosciuto la storia (anche la storia vicina a noi) perché molti, troppi, hanno scelto di fare i ciechi, i sordi, i muti… isolandosi nel loro guscio, magari con la sola compagnia di un cagnolino che non disturba mai… e intanto gli arroganti e i prepotenti (oltre che ignoranti) diventano padroni del mondo e mettono a rischio il futuro di tutti! Altro che se riguarda anche noi questo vangelo, fratelli!
Ma soffermiamoci ad osservare con attenzione come fa Gesù a guarire: prende quel sordomuto, lo porta in disparte lontano dalla folla, gli tocca con le dita gli orecchi e la lingua, poi – guardando verso il cielo – emette un sospiro e dice: “Apriti!”. Perché mai questi gesti? E’ una messinscena o cos’altro è?
No, non è una messinscena: ogni gesto qui ha un perché, un significato. Se, tanto per cominciare, Gesù porta quel poveretto in disparte lontano dalla folla, è per dire a tutti (anche a noi) che la relazione che vuol instaurare è “personalizzata”: Gesù Cristo non è quel tale che sta con tutti e quindi con nessuno in particolare, no, il suo modo di entrare in relazione è unico: qui non entra in gioco la folla, o la massa, ma l’individuo con la sua storia e la sua libertà.
"Guardando verso il cielo, emise un sospiro Gesù"… Perché? Cosa significa quel sospiro?
Che Dio soffre a vedere i suoi figli ciechi, sordi, o muti… E’ un sospiro carico di commiserazione sì, ma anche di esasperazione: come un medico che si spazientisce di fronte a un malato che rifiuta ostinatamente di lasciarsi guarire… ecco il perché di quel sospiro di Gesù!
Ma soprattutto quella parola, quel comando, è sorprendente: “Apriti!”. A chi è rivolto? Alla lingua o agli orecchi? Macchè! Qui Cristo si rivolge all’uomo, a ogni individuo – uomo o donna che sia – e gli dice: “Senti: se vuoi ch’io possa fare qualcosa per te, fa tacere la diffidenza, il sospetto, e lasciami entrare nella tua vita. Apriti! Dammi la tua fiducia!”. Ecco il senso di quell’imperativo così pressante.
Il proverbio dice: Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Penso che si potrebbe anche dire: "Non c’è peggior muto di chi non vuol parlare". Anche nell’esperienza della fede capita questo: c’è chi fa finta di simpatizzare per Gesù Cristo, ma in realtà non lo vuol sentire né ascoltare. E siccome non lo ascolta, accade che quando pensa o ragiona o parla, le sue sono parole al vento: ecco il sordomuto. Nessuno lo può guarire, se non decide di accostarsi davvero a Gesù Cristo e di lasciarsi provocare da quell’invito: “Apriti!”.
Alla radice di certe incomprensioni, di tanti malumori, di molti sciocchi pettegolezzi, non c’è proprio questo motivo alla fin fine? Diciamo parole che sono soltanto terra terra, non sono quelle di Gesù Cristo… Buttiamo lì, nelle nostre conversazioni o nelle discussioni, giudizi e opinioni che sono esclusivamente nostri, non sono quelli del vangelo! E allora le parole fanno solo rumore… ma non dicono niente.
Chiediamocelo perciò: ce n’è vangelo nel nostro parlare, fratelli? Nei nostri modi di valutare (persone, situazioni, cose) ce n’è vangelo? Oh, attenzione! del vangelo non occorre affatto ripetere le parole esatte: questo lo può fare anche un disco o un pappagallo ammaestrato! Quando dico “vangelo” intendo i suoi valori, la sua logica, i suoi criteri di valutazione… e questi li possiamo dire solo con parole nostre, con il nostro linguaggio di ogni giorno! Sì, ma questo è possibile via via che il Vangelo diventa il nostro codice di vita… via via che impariamo a ragionare in sintonia col Vangelo.
Se invece le parole di Cristo ci trovano sordi e non possono entrarci nel cuore, di conseguenza siamo anche muti allorché si tratta di lasciarle passare nei nostri discorsi e nelle nostre relazioni…
Ma… bando al pessimismo: non voglio scoraggiare nessuno, perché non veniamo a Messa per andarcene poi a casa tristi o depressi. Il Vangelo è sempre “bella notizia”, anche quando ci rimprovera e ci corregge.
L’Eucaristia che stiamo celebrando anche oggi è proprio l’occasione in cui – come quel sordomuto – accettiamo di andare in disparte con Gesù.
Mai ci è così vicino il Signore come in questo momento dell’Eucaristia: tanto vicino che ci tocca, come ha toccato la lingua e gli orecchi di quel poveretto. E se facciamo attenzione (un’attenzione di fede però!) non è affatto strano sentire anche su di noi quel sospiro di cui parlava il vangelo.
Soprattutto è quella parola, quel comando, che possiamo sentire rivolto proprio a ciascuno di noi: Apriti!
Ma qui, a questo punto, tocca a noi, fratelli – a ognuno personalmente – rispondere.
Ogni Domenica, a ogni Messa, siamo provocati ad allargare un po’ di più la porta del cuore, in modo che il Signore possa entrare non goccia a goccia, ma con tutta la sua potenza, e giorno dopo giorno trasformare – e far bella - tutta la nostra vita.
Domenica 1 Settembre - Ventiduesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Deuteronomio 4,1-2.6-8; Giacomo 1,17-18.21b-22.27; Marco 7,1-8.14-15.21-23
Pulizia, igiene, cura della propria persona (a cominciare dal look), di per sé sono cose buone, abitudini positive; sono anche un bel modo di onorare quell’immagine di Dio che c’è in ognuno di noi.
In Francia due secoli e mezzo fa’, al tempo del Re Sole invece pare che i nobili non adoperassero molta acqua per lavarsi; in compenso usavano molti profumi (per confondere gli odori…). Al giorno d’oggi invece si adoperano sia l’acqua per lavarsi sia i profumi. La cura per la propria persona ha raggiunto tali livelli che, non solo non c’è più nessuno che vada in giro con un vestito rattoppato, ma è preoccupazione di molti utilizzare capi di vestiario ben precisi, cioè quelli “firmati”, per intenderci.
Tra poco ricomincerà la scuola e non pochi genitori si son già preoccupati di procurare ai lori bambini di prima elementare uno zainetto, ma che sia “firmato”, ovviamente. E se per caso vi arrischiate a chiedere a qualcuno di loro: “Ma, scusa, ti piace ’sta roba?” vi sentite rispondere: “E che c’entra? E’ firmata! Sapessi quanto l’ho pagata…”. Poveri noi! Se pulizia e cura della propria persona di per sé sono cose buone, a questo punto si arriva all’eccesso e buone non lo sono più.
Quando vedo in giro persone di bella presenza, come si suol dire, cioè ben curate, ben vestite, perfino eleganti, qualche volta me lo domando: saranno di bella presenza anche dentro, nell’intimo? Bella presenza anche quanto a coscienza, davanti a Dio?
Se poi osservo quelli che fanno la toilette alla loro autovettura, ogni settimana, e poi l’asciugano e la lucidano, penso: che bravi! Quello che fanno alla macchina certamente lo fanno anche alla loro coscienza: tutte le settimane, ah non c’è dubbio! Fratelli, a parte l’ironia, questi esempi forse ci aiutano a capire la lezione di Gesù nel vangelo di oggi. L’attenzione esagerata alle cose, alle esteriorità, agli interessi di facciata (che il consumismo ha senz’altro favorito), ha prodotto nuove maschee d’ipocrisia, sia sul piano semplicemente umano, sia su quello religioso.
I farisei dei quali parla oggi il vangelo erano molto zelanti nell’osservare certe abitudini: abluzioni, lavaggio delle mani fino al gomito (non tanto per igiene, ma perché potevano aver toccato qualcosa di immondo che li avrebbe resi sporchi agli occhi di Dio); e così pure lavature di bicchieri, stoviglie, utensili appena acquistati al mercato (non perché fosse giusto lavarli, ma perché potevano essere stati toccati dai pagani e quindi resi immondi…). In tal modo s’illudevano di piacere a Dio. Poi magari non si facevano scrupolo di abbandonare i loro genitori anziani e bisognosi, o di negare qualsiasi attenzione ai poveri, o di rifiutare il saluto a coloro che consideravano peccatori… Gesù li paragonava a certi monumenti sepolcrali: belli di fuori, artistici perfino, ma dentro…pieni di ossa putride e di marciume.
E’ qui che quel fariseismo si aggiorna e diventa il fariseismo dei nostri giorni: tanta preoccupazione per la facciata, per l’esteriorità, per l’apparire…e poca o nessuna attenzione per l’interiorità, la coscienza, quel centro intimo dove la persona è se stessa in modo irrepetibile e segreto. Gesù lo chiama cuore. “E’ dal cuore che escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza…”. Beh, è un elenco piuttosto esteso, 12: non si direbbe che il cuore sia in grado di produrre tutto questo supermercato di porcherie, ma è così.
Sapete che “impeccabile” è un aggettivo che ha a che vedere con “peccato”. Vuol dire: “uno che non pecca mai”. O meglio, no: voleva dire questo, perché oggi vuol dire invece un’altra cosa. “Impeccabile” al giorno d’oggi è uno così ben vestito da fare una bellissima figura! Beh, già qui abbiamo una dimostrazione dell’ipocrisia dei nostri tempi, perché vedete – fratelli: noi dovremmo ringraziare tutti i giorni il Signore Dio per il fatto che la coscienza, l’anima, non sa odore; e quindi anche quando è sporca e lurida, non puzza. Che fortuna, fratelli! Ma vi rendete conto che, se invece accadesse il contrario, il fetore renderebbe irrespirabile l’aria? le discariche di rifiuti sarebbero niente in confronto…
Quando regna l’ipocrisia anche ad alti livelli, la religione stessa rischia di diventare di facciata, o meglio, una maschera da adoperare in certe occasioni. Allora può accadere di presentarsi come difensori della cultura cristiana, paladini dei valori tradizionali, come la famiglia soprattutto… ma quanto a dare buon esempio di famiglia come Dio comanda… beh, lasciamo perdere… per decenza se non altro; Dio e la religione a questo punto sono soltanto un lasciapassare per far leva sui devoti un po’ ingenui. E allorchè si tratta di affrontare gravi problemi sociali o governare fenomeni di vasta portata, ricorrono a soluzioni nelle quali non c’entrano più né Dio né Vangelo, anzi, nemmeno i valori umani più sacrosanti c’entrano più. Ecco una forma aggiornata e moderna di fariseismo, d’ipocrisia, che è sotto gli occhi di tutti.
Nel marasma che regna agli alti livelli nel nostro Paese – dove sia da una parte che dall’altra tutti mostrano di avere la vista corta – quel vecchio di 88 anni che tutti conosciamo e che domani inizierà un altro lungo viaggio di 33.000 chilometri, pare alla fin fine l’unico che sa guardare lontano e che, senza mai stancarsi, alza la voce perché il futuro non sia disastroso, ma buono per tutti. Che Dio lo protegga!
Fratelli, dove ce l’abbiamo noi il cuore? vicino o lontano da Dio? “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”: Gesù, nel vangelo di oggi, fa sua questa denuncia dei profeti, per il semplice motivo che è sempre ricorrente l’illusione di onorare Dio con gesti di facciata, stando però alla larga da Lui. Perché – vedete - di cuore ne abbiamo uno solo, e se è già pieno di esteriorità, interessi, ingordigia, ripicche e rivalse… non ci può stare anche Dio: non c’è posto per lui a quel punto!
Stare dalla parte di Dio… nessuno sa cosa voglia dire, ma abbiamo un Vangelo che ce lo insegna, solo il Vangelo lo sa: ascoltiamo il Vangelo, fratelli, ma ascoltiamolo seriamente, con il cuore più che con gli orecchi. E ascoltiamolo stando dentro la nostra vita di tutti i giorni: è nella vita infatti – in ogni istante della vita – che dobbiamo preoccuparci di stare dalla parte di Dio, perché dobbiamo? Perché solo così sappiamo di poggiare sul sicuro.
Allora i comportamenti, gli atteggiamenti e tutte le nostre opere, saranno frutti buoni che possiamo portare all’altare ogni Domenica che partecipiamo all’Eucaristia. E Dio li gradirà.
Allora anche i nostri gesti religiosi saranno tutt’altro che pure formalità di facciata.
Le letture bibliche: Deuteronomio 4,1-2.6-8; Giacomo 1,17-18.21b-22.27; Marco 7,1-8.14-15.21-23
Pulizia, igiene, cura della propria persona (a cominciare dal look), di per sé sono cose buone, abitudini positive; sono anche un bel modo di onorare quell’immagine di Dio che c’è in ognuno di noi.
In Francia due secoli e mezzo fa’, al tempo del Re Sole invece pare che i nobili non adoperassero molta acqua per lavarsi; in compenso usavano molti profumi (per confondere gli odori…). Al giorno d’oggi invece si adoperano sia l’acqua per lavarsi sia i profumi. La cura per la propria persona ha raggiunto tali livelli che, non solo non c’è più nessuno che vada in giro con un vestito rattoppato, ma è preoccupazione di molti utilizzare capi di vestiario ben precisi, cioè quelli “firmati”, per intenderci.
Tra poco ricomincerà la scuola e non pochi genitori si son già preoccupati di procurare ai lori bambini di prima elementare uno zainetto, ma che sia “firmato”, ovviamente. E se per caso vi arrischiate a chiedere a qualcuno di loro: “Ma, scusa, ti piace ’sta roba?” vi sentite rispondere: “E che c’entra? E’ firmata! Sapessi quanto l’ho pagata…”. Poveri noi! Se pulizia e cura della propria persona di per sé sono cose buone, a questo punto si arriva all’eccesso e buone non lo sono più.
Quando vedo in giro persone di bella presenza, come si suol dire, cioè ben curate, ben vestite, perfino eleganti, qualche volta me lo domando: saranno di bella presenza anche dentro, nell’intimo? Bella presenza anche quanto a coscienza, davanti a Dio?
Se poi osservo quelli che fanno la toilette alla loro autovettura, ogni settimana, e poi l’asciugano e la lucidano, penso: che bravi! Quello che fanno alla macchina certamente lo fanno anche alla loro coscienza: tutte le settimane, ah non c’è dubbio! Fratelli, a parte l’ironia, questi esempi forse ci aiutano a capire la lezione di Gesù nel vangelo di oggi. L’attenzione esagerata alle cose, alle esteriorità, agli interessi di facciata (che il consumismo ha senz’altro favorito), ha prodotto nuove maschee d’ipocrisia, sia sul piano semplicemente umano, sia su quello religioso.
I farisei dei quali parla oggi il vangelo erano molto zelanti nell’osservare certe abitudini: abluzioni, lavaggio delle mani fino al gomito (non tanto per igiene, ma perché potevano aver toccato qualcosa di immondo che li avrebbe resi sporchi agli occhi di Dio); e così pure lavature di bicchieri, stoviglie, utensili appena acquistati al mercato (non perché fosse giusto lavarli, ma perché potevano essere stati toccati dai pagani e quindi resi immondi…). In tal modo s’illudevano di piacere a Dio. Poi magari non si facevano scrupolo di abbandonare i loro genitori anziani e bisognosi, o di negare qualsiasi attenzione ai poveri, o di rifiutare il saluto a coloro che consideravano peccatori… Gesù li paragonava a certi monumenti sepolcrali: belli di fuori, artistici perfino, ma dentro…pieni di ossa putride e di marciume.
E’ qui che quel fariseismo si aggiorna e diventa il fariseismo dei nostri giorni: tanta preoccupazione per la facciata, per l’esteriorità, per l’apparire…e poca o nessuna attenzione per l’interiorità, la coscienza, quel centro intimo dove la persona è se stessa in modo irrepetibile e segreto. Gesù lo chiama cuore. “E’ dal cuore che escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza…”. Beh, è un elenco piuttosto esteso, 12: non si direbbe che il cuore sia in grado di produrre tutto questo supermercato di porcherie, ma è così.
Sapete che “impeccabile” è un aggettivo che ha a che vedere con “peccato”. Vuol dire: “uno che non pecca mai”. O meglio, no: voleva dire questo, perché oggi vuol dire invece un’altra cosa. “Impeccabile” al giorno d’oggi è uno così ben vestito da fare una bellissima figura! Beh, già qui abbiamo una dimostrazione dell’ipocrisia dei nostri tempi, perché vedete – fratelli: noi dovremmo ringraziare tutti i giorni il Signore Dio per il fatto che la coscienza, l’anima, non sa odore; e quindi anche quando è sporca e lurida, non puzza. Che fortuna, fratelli! Ma vi rendete conto che, se invece accadesse il contrario, il fetore renderebbe irrespirabile l’aria? le discariche di rifiuti sarebbero niente in confronto…
Quando regna l’ipocrisia anche ad alti livelli, la religione stessa rischia di diventare di facciata, o meglio, una maschera da adoperare in certe occasioni. Allora può accadere di presentarsi come difensori della cultura cristiana, paladini dei valori tradizionali, come la famiglia soprattutto… ma quanto a dare buon esempio di famiglia come Dio comanda… beh, lasciamo perdere… per decenza se non altro; Dio e la religione a questo punto sono soltanto un lasciapassare per far leva sui devoti un po’ ingenui. E allorchè si tratta di affrontare gravi problemi sociali o governare fenomeni di vasta portata, ricorrono a soluzioni nelle quali non c’entrano più né Dio né Vangelo, anzi, nemmeno i valori umani più sacrosanti c’entrano più. Ecco una forma aggiornata e moderna di fariseismo, d’ipocrisia, che è sotto gli occhi di tutti.
Nel marasma che regna agli alti livelli nel nostro Paese – dove sia da una parte che dall’altra tutti mostrano di avere la vista corta – quel vecchio di 88 anni che tutti conosciamo e che domani inizierà un altro lungo viaggio di 33.000 chilometri, pare alla fin fine l’unico che sa guardare lontano e che, senza mai stancarsi, alza la voce perché il futuro non sia disastroso, ma buono per tutti. Che Dio lo protegga!
Fratelli, dove ce l’abbiamo noi il cuore? vicino o lontano da Dio? “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”: Gesù, nel vangelo di oggi, fa sua questa denuncia dei profeti, per il semplice motivo che è sempre ricorrente l’illusione di onorare Dio con gesti di facciata, stando però alla larga da Lui. Perché – vedete - di cuore ne abbiamo uno solo, e se è già pieno di esteriorità, interessi, ingordigia, ripicche e rivalse… non ci può stare anche Dio: non c’è posto per lui a quel punto!
Stare dalla parte di Dio… nessuno sa cosa voglia dire, ma abbiamo un Vangelo che ce lo insegna, solo il Vangelo lo sa: ascoltiamo il Vangelo, fratelli, ma ascoltiamolo seriamente, con il cuore più che con gli orecchi. E ascoltiamolo stando dentro la nostra vita di tutti i giorni: è nella vita infatti – in ogni istante della vita – che dobbiamo preoccuparci di stare dalla parte di Dio, perché dobbiamo? Perché solo così sappiamo di poggiare sul sicuro.
Allora i comportamenti, gli atteggiamenti e tutte le nostre opere, saranno frutti buoni che possiamo portare all’altare ogni Domenica che partecipiamo all’Eucaristia. E Dio li gradirà.
Allora anche i nostri gesti religiosi saranno tutt’altro che pure formalità di facciata.
Domenica 25 Agosto - Ventunesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Giosuè 24,1-2a.15-17.18b; Efesini 5,31-32; Giovanni 6,60-69
"Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non potrete avere in voi la vita...". A sentire questo, gli ascoltatori di Gesù quel giorno devono aver pensato:"Questo qui vuol farci diventare cannibali!". Non glielo dissero così di brutto; gli dissero: "Questa parola è dura: chi può ascoltarla?". Per loro Gesù Cristo non era nient'altro che quello strano personaggio di Nazaret, un po' eccentrico, forse un profeta, ma comunque soltanto un uomo, nulla più che un uomo. E di fronte a un uomo che dice "Dovete mangiare la mia carne e bere il mio sangue..." non c'è che da inorridire.
Solo che avevano la vista corta: Gesù non è soltanto un uomo. "E se mi vedeste salire là dov'ero prima?", cioè accanto a Dio, il Padre mio? Gesù è il Figlio di Dio: se fosse soltanto un uomo, non ci sarebbe molto d'aiuto. È lo Spirito che dà la vita, la carne - la sola umanità - non ci aiuta granchè...Siamo già fatti noi di carne e ossa (con tutti i limiti che comporta l'esser fatti di carne e ossa): è di Spirito che abbiamo bisogno. Se Gesù si offre a noi come "pane disceso dal cielo" è perché è pieno di tutta la vitalità di Dio, lo Spirito appunto, e ce l’offre generosamente.
Il momento culminante in cui lo fa è l'Eucaristia, quando si dona a noi nel pane e nel vino. Quel pane è il suo corpo, ma sa di pane, non di carne; e quel vino è il suo sangue, ma sa di vino, non di sangue. No, qui il cannibalismo non c'entra proprio.
Ma allora perché mai Gesù non si è spiegato meglio con quelli che lo ascoltavano? Perché ha lasciato che se ne andassero via inorriditi? Poteva dire: “No, guardate, mi spiego...non è che dovete mangiare proprio la mia carne e bere il mio sangue...Scherzavo! Non dovete prendere troppo sul serio le mie parole!”
No, non l'ha detto. È rimasto fermo su quel discorso che gli ascoltatori sentivano duro da accettare. Tanto irremovibile da correre il rischio che se ne andassero perfino i suoi più intimi, gli apostoli: "Volete andarvene anche voi?".
Ma perché mai un tale atteggiamento? Questo Gesù, che è sempre tanto ben disposto a venire incontro alle persone, tanto sensibile alle loro esigenze, a cominciare da quelle dello stomaco, perché mai qui, ora, è così irremovibile?
Vedete, fratelli: Gesù non si è presentato a noi come l'uovo di Pasqua o il panettone di Natale, che si mangia una volta l'anno... Si è presentato a noi come pane. Il pane lo si mangia tutti i giorni, non una volta all'anno. Cosa significa? Che dobbiamo fare la Comunione tutti i giorni? Si, ci sono persone che la Comunione la ricevono tutti i giorni: ottima cosa, ma non è poi così impegnativo come potrebbe sembrare. C'è qualcosa di più coinvolgente nella proposta di Gesù. Vediamo di capire.
È da qualche domenica che ci intrattiene su questo argomento del pane che sarebbe niente meno che lui stesso. Alla fine ha parlato di corpo e sangue, ma prima ha detto e ripetuto in molte tonalità che Lui tutto intero è pane per noi: tutto intero vuol dire che è pane il suo modo di ragionare, sono pane i valori che ci insegna, le parole che ci dice, le azioni che fa, gli atteggiamenti che assume di fronte alle più svariate situazioni della vita... Per noi, guardare a Lui, ispirarci a Lui nel nostro modo di vivere, cercar di imitare i suoi atteggiamenti, accettare che le sue parole ci educhino a un'altra mentalità, è come nutrirci di Lui, fare di Lui il nostro pane d'ogni giorno. Pane dello spirito, perchè anche lo spirito ha bisogno di alimento; non si può far a meno di nutrirlo, tant'è vero che se questo alimento non è Gesù Cristo, sarà qualcos'altro... (magari le scempiaggini gridate e urlate da certi personaggi discutibili, che siccome non chiedono alcun impegno o sacrificio, hanno sempre molto seguito!).
Il nutrimento, come sapete, ha direttamente a che vedere con la vita; e siccome la nostra vita è scandita dai giorni, non c'è giorno in cui noi restiamo senza nutrimento; non c'è pericolo che ci dimentichiamo di mangiare: la fame, alla sua ora, si fa sempre sentire.
Pensate che per le esigenze dello spirito non valga questa stessa legge della quotidianità? "Ma Gesù Cristo basta la Domenica – penserà qualcuno - è già tanto!". Sì, ma negli altri giorni - quelli infrasettimanali - dove cerchi tu ristoro e alimento per il tuo spirito? Non mi pare che chi s’illude di ristorarsi ad altre fonti, le vada a cercare solo una volta la settimana...
Il pane è alimento di tutti i giorni, sia festivi che feriali. Che c'è di strano se il Signore si presenta come pane, cioè come cibo d'ogni giorno? Si, fratelli, ogni giorno - se siamo coerenti - cerchiamo di vivere da cristiani; ogni giorno quindi occorre nutrirsi di Cristo. Questo può voler dire "partecipare all'Eucaristia" ogni giorno per chi può e dove è possibile; ah certo, molti non possono farlo per ovvii motivi, ma sono sicuro che se tutti quelli che potrebbero lo facessero, non solo riempirebbero le chiese anche nei giorni feriali, ma soprattutto avrebbero un volto cristiano più credibile e meno macilento!
Nutrirsi di Cristo ogni giorno è richiamare alla mente le sue parole, i suoi criteri di comportamento, ogni volta che c'è da agire, da prendere una decisione, da assumere un atteggiamento. Farsi venire in mente il vangelo e trovare ispirazione per agire di conseguenza: questo, fratelli, è nutrirsi di Cristo ogni giorno!
Allora sì che la vita cambia, e l'esperienza cristiana matura. Allora sì che ha senso fare la comunione: se tu vivi di Cristo ogni giorno, mangiare e bere il suo corpo e il suo sangue, quando puoi partecipare alla Messa, è la cosa più naturale che tu possa fare. Ma, attenzione: per poterla fare degnamente, dev'essere vero che tu vivi di Cristo, altrimenti la tua Comunione è un mangiar ostie a tradimento, qualcosa che assomiglia al bacio di Giuda...
E’ duro questo discorso, fratelli? Sì, può darsi che a chi guarda da lontano appaia duro, cioè impegnativo ... Del resto, lo dicevano anche gli ascoltatori di Gesù quel giorno: "Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”. Ma chi guarda da vicino, o ne ha addirittura l'esperienza, sa che non è questione di duro o di tenero: è semplicemente ovvio e naturale ragionare così.
Proprio come il nutrirci ogni giorno, a colazione, a pranzo e a cena: è duro? Ma figuriamoci! È un piacere, è una soddisfazione.
E perché non dovremmo ragionare allo stesso modo dinanzi a Gesù Cristo, Pane vivo disceso dal cielo?
Per non trovarci a vivere un cristianesimo ... macilento, che non va né avanti né indietro, e forse non riesce nemmeno a stare in piedi.
Che non accada, fratelli! Ora dipende da noi, proprio da noi.
Le letture bibliche: Giosuè 24,1-2a.15-17.18b; Efesini 5,31-32; Giovanni 6,60-69
"Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non potrete avere in voi la vita...". A sentire questo, gli ascoltatori di Gesù quel giorno devono aver pensato:"Questo qui vuol farci diventare cannibali!". Non glielo dissero così di brutto; gli dissero: "Questa parola è dura: chi può ascoltarla?". Per loro Gesù Cristo non era nient'altro che quello strano personaggio di Nazaret, un po' eccentrico, forse un profeta, ma comunque soltanto un uomo, nulla più che un uomo. E di fronte a un uomo che dice "Dovete mangiare la mia carne e bere il mio sangue..." non c'è che da inorridire.
Solo che avevano la vista corta: Gesù non è soltanto un uomo. "E se mi vedeste salire là dov'ero prima?", cioè accanto a Dio, il Padre mio? Gesù è il Figlio di Dio: se fosse soltanto un uomo, non ci sarebbe molto d'aiuto. È lo Spirito che dà la vita, la carne - la sola umanità - non ci aiuta granchè...Siamo già fatti noi di carne e ossa (con tutti i limiti che comporta l'esser fatti di carne e ossa): è di Spirito che abbiamo bisogno. Se Gesù si offre a noi come "pane disceso dal cielo" è perché è pieno di tutta la vitalità di Dio, lo Spirito appunto, e ce l’offre generosamente.
Il momento culminante in cui lo fa è l'Eucaristia, quando si dona a noi nel pane e nel vino. Quel pane è il suo corpo, ma sa di pane, non di carne; e quel vino è il suo sangue, ma sa di vino, non di sangue. No, qui il cannibalismo non c'entra proprio.
Ma allora perché mai Gesù non si è spiegato meglio con quelli che lo ascoltavano? Perché ha lasciato che se ne andassero via inorriditi? Poteva dire: “No, guardate, mi spiego...non è che dovete mangiare proprio la mia carne e bere il mio sangue...Scherzavo! Non dovete prendere troppo sul serio le mie parole!”
No, non l'ha detto. È rimasto fermo su quel discorso che gli ascoltatori sentivano duro da accettare. Tanto irremovibile da correre il rischio che se ne andassero perfino i suoi più intimi, gli apostoli: "Volete andarvene anche voi?".
Ma perché mai un tale atteggiamento? Questo Gesù, che è sempre tanto ben disposto a venire incontro alle persone, tanto sensibile alle loro esigenze, a cominciare da quelle dello stomaco, perché mai qui, ora, è così irremovibile?
Vedete, fratelli: Gesù non si è presentato a noi come l'uovo di Pasqua o il panettone di Natale, che si mangia una volta l'anno... Si è presentato a noi come pane. Il pane lo si mangia tutti i giorni, non una volta all'anno. Cosa significa? Che dobbiamo fare la Comunione tutti i giorni? Si, ci sono persone che la Comunione la ricevono tutti i giorni: ottima cosa, ma non è poi così impegnativo come potrebbe sembrare. C'è qualcosa di più coinvolgente nella proposta di Gesù. Vediamo di capire.
È da qualche domenica che ci intrattiene su questo argomento del pane che sarebbe niente meno che lui stesso. Alla fine ha parlato di corpo e sangue, ma prima ha detto e ripetuto in molte tonalità che Lui tutto intero è pane per noi: tutto intero vuol dire che è pane il suo modo di ragionare, sono pane i valori che ci insegna, le parole che ci dice, le azioni che fa, gli atteggiamenti che assume di fronte alle più svariate situazioni della vita... Per noi, guardare a Lui, ispirarci a Lui nel nostro modo di vivere, cercar di imitare i suoi atteggiamenti, accettare che le sue parole ci educhino a un'altra mentalità, è come nutrirci di Lui, fare di Lui il nostro pane d'ogni giorno. Pane dello spirito, perchè anche lo spirito ha bisogno di alimento; non si può far a meno di nutrirlo, tant'è vero che se questo alimento non è Gesù Cristo, sarà qualcos'altro... (magari le scempiaggini gridate e urlate da certi personaggi discutibili, che siccome non chiedono alcun impegno o sacrificio, hanno sempre molto seguito!).
Il nutrimento, come sapete, ha direttamente a che vedere con la vita; e siccome la nostra vita è scandita dai giorni, non c'è giorno in cui noi restiamo senza nutrimento; non c'è pericolo che ci dimentichiamo di mangiare: la fame, alla sua ora, si fa sempre sentire.
Pensate che per le esigenze dello spirito non valga questa stessa legge della quotidianità? "Ma Gesù Cristo basta la Domenica – penserà qualcuno - è già tanto!". Sì, ma negli altri giorni - quelli infrasettimanali - dove cerchi tu ristoro e alimento per il tuo spirito? Non mi pare che chi s’illude di ristorarsi ad altre fonti, le vada a cercare solo una volta la settimana...
Il pane è alimento di tutti i giorni, sia festivi che feriali. Che c'è di strano se il Signore si presenta come pane, cioè come cibo d'ogni giorno? Si, fratelli, ogni giorno - se siamo coerenti - cerchiamo di vivere da cristiani; ogni giorno quindi occorre nutrirsi di Cristo. Questo può voler dire "partecipare all'Eucaristia" ogni giorno per chi può e dove è possibile; ah certo, molti non possono farlo per ovvii motivi, ma sono sicuro che se tutti quelli che potrebbero lo facessero, non solo riempirebbero le chiese anche nei giorni feriali, ma soprattutto avrebbero un volto cristiano più credibile e meno macilento!
Nutrirsi di Cristo ogni giorno è richiamare alla mente le sue parole, i suoi criteri di comportamento, ogni volta che c'è da agire, da prendere una decisione, da assumere un atteggiamento. Farsi venire in mente il vangelo e trovare ispirazione per agire di conseguenza: questo, fratelli, è nutrirsi di Cristo ogni giorno!
Allora sì che la vita cambia, e l'esperienza cristiana matura. Allora sì che ha senso fare la comunione: se tu vivi di Cristo ogni giorno, mangiare e bere il suo corpo e il suo sangue, quando puoi partecipare alla Messa, è la cosa più naturale che tu possa fare. Ma, attenzione: per poterla fare degnamente, dev'essere vero che tu vivi di Cristo, altrimenti la tua Comunione è un mangiar ostie a tradimento, qualcosa che assomiglia al bacio di Giuda...
E’ duro questo discorso, fratelli? Sì, può darsi che a chi guarda da lontano appaia duro, cioè impegnativo ... Del resto, lo dicevano anche gli ascoltatori di Gesù quel giorno: "Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”. Ma chi guarda da vicino, o ne ha addirittura l'esperienza, sa che non è questione di duro o di tenero: è semplicemente ovvio e naturale ragionare così.
Proprio come il nutrirci ogni giorno, a colazione, a pranzo e a cena: è duro? Ma figuriamoci! È un piacere, è una soddisfazione.
E perché non dovremmo ragionare allo stesso modo dinanzi a Gesù Cristo, Pane vivo disceso dal cielo?
Per non trovarci a vivere un cristianesimo ... macilento, che non va né avanti né indietro, e forse non riesce nemmeno a stare in piedi.
Che non accada, fratelli! Ora dipende da noi, proprio da noi.
Domenica 18 Agosto - Ventesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Proverbi 9,1-6; Efesini 5,15-20; Giovanni 6,51-58
Tra tutte le contraddizioni tipiche del nostro tempo ce n’è una che riguarda direttamente la vita, ed è questa: mai come al giorno d’oggi si fa di tutto per salvaguardare la vita (beh, nonostante che il settore sanitario zoppichi un po’ troppo, di questi tempi…); comunque, mai le farmacie sono state così fornite; mai viene meno la ricerca di laboratorio al fine di sconfiggere certe malattie; e mai, come al giorno d’oggi, si è disposti a spendere pur di ricuperare la salute…
Ma allo stesso tempo (ecco la contraddizione), mai come al giorno d’oggi la vita è esposta a rischio: rischio di malattie che una volta non c’erano, rischio di incidenti che possono capitare (e capitano tutti i giorni), rischio anche liberamente accettato e voluto da certuni (pensiamo alla droga, oppure alle velocità pazzesche di chi corre sulle strade, o a certi sport nei quali prevale la dimensione del rischio più che quella autenticamente sportiva). Ecco la contraddizione: da un lato uno straordinario attaccamento alla vita e dall’altro una lunga serie di rischi che la mettono in forse...
E allora torna la domanda di sempre: ma che cos’è, in fondo, la vita? Ma cosa vuol dire vivere? Ma l’esperienza che abbiamo noi, che hanno tutti, della vita… è proprio quella giusta, quella piena, o è solo un assaggio? Ma poi… per che cosa vivere? Per chi? E, se per caso, esiste una vita in pienezza che molti non immaginano neanche, che fare per averla, per goderla? Queste sono domande di sempre che una volta la gente si poneva (oggi, forse, un po’ meno, perché ha paura che non ci siano risposte, oppure che le risposte chiedano un prezzo troppo alto …). Ma il vangelo che abbiamo ascoltato è proprio a queste domande che risponde, e forse a molte altre ancora…
Basta osservare quanto spesso parla Gesù della vita in queste poche frasi che abbiamo appena sentito: “Io sono il pane vivo…se uno ne mangia vivrà in eterno… Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo… Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue non avrete in voi la vita…Chi ne mangia e ne beve invece ha la vita eterna…Chi mangia di me vivrà per me…Chi mangia questo pane vivrà in eterno…”. Insomma, la vita – la vita che ci riguarda tutti – ecco l’argomento della lezione del nostro maestro Gesù. Avrete notato però che lui parla non solo di vita, ma di vita eterna. E cos’è la vita eterna? E’ da qualche domenica che ripeto questa domanda, perché so che non è affatto scontato il significato di vita eterna… E non basta una risposta sola perché sia chiaro a tutti. Poco fa’ mi chiedevo: ma l’esperienza che abbiamo noi e che hanno tutti, della vita… è proprio quella giusta, quella piena, o è solo un’assaggio?
Ed ecco la risposta: la vita non è solo un’esperienza fisica, biologica, che fanno tutti (anche gli animali)… non è quell’esperienza che è bella solo a certe condizioni (se si sta bene di salute, se si hanno molte possibilità economiche, se non ci sono problemi)…Questo tipo di vita è solo una parte di quello che Dio ha pensato per noi, e nemmeno la più importante. La vita in pienezza, quella che Dio vuole per noi, è molto di più. E in cosa consiste? La risposta che posso dare io suona un po’ teorica, perché quella reale nasce solo dall’esperienza che ognuno può fare. Certe cose – si dice – bisogna provare per capirle…
Vivere una vita eterna vuol dire stare a questo mondo sapendo che ci siamo perchè Dio ci ha inventati uno ad uno: e l’ha fatto perché ci ha pensati ed amati. Dio ci ha creati per farci partecipare alla sua intimità, alla sua ricchezza di vita e di amore…
Vivere una vita eterna vuol dire vedere la mano buona di Dio in tutto ciò che sta attorno a noi ogni giorno: nelle persone che ci vogliono bene, nelle creature che ci circondano e che Dio ha creato per rendere bella e piacevole la nostra esistenza: vita eterna è esser convinti di questo…
Vivere una vita eterna è vivere con uno scopo, con un obiettivo, un progetto, ma attenzione : ogni persona ha dei progetti, a volte grandi, a volte di breve durata (oggi voglio fare questo… domani andrò là, farò quest’altro), ma vita eterna vuol dire sintonizzare tutti questi progetti, grandi o piccoli che siano, con uno che è più importante di tutti e che rende ancora più interessanti tutti gli altri… Quella santa donna che era Madre Teresa di Calcutta, con parole semplici la spiegava così la vita eterna: “è svegliarsi ogni mattina con la voglia di fare qualcosa di bello per Dio, insieme a lui”… Gesù lo diceva con altre parole: “Cercate anzitutto il Regno di Dio. Tutto il resto, allora, vi sarà dato in sovrappiù”.
Vita eterna è vivere così: per qualcosa di grande, che va aldilà di ogni singola giornata, anzi, aldilà anche degli anni di questa vita che conduciamo sulla terra… Insomma, è come aggrapparsi solidamente a qualcosa che nulla potrà far vacillare; allora nemmeno la morte potrà portarci via e farci scomparire per sempre.
Chiedevo poco fa: ma per chi vivere? Per che cosa? se esiste una vita così, come fare per goderla?
E anche a queste domande oggi Gesù risponde: Colui che mangia di me, vivrà per me. Cioè la sua esistenza si riempirà di sapore, di gusto, grazie a me. Capisco allora Ignazio, l’ultranovantenne Vescovo di Antiochia in Siria; 1900 anni fa’ fu condotto a Roma per subire il martirio nel Circo (il Colosseo). Lungo il viaggio ha modo di scrivere diverse lettere alle Comunità cristiane; in una di esse si esprime così: “Gesù Cristo è il mio inseparabile vivere… Come potrei vivere io senza di lui?”.
Fratelli, ecco allora la conclusione: o da cristiani impariamo a pensarla così, oppure state sicuri che il cristianesimo non interesserà a nessuno, non avrà niente da dire e da dare a nessuno.
Finiamola col preoccuparci dell’esistenza intesa solo come fenomeno biologico… che dura fin che dura. Lasciamo ad altri l’idea che la vita – per risultare soddisfacente – bisogna riempirla di tutte le esperienze possibili, meglio ancora se stravaganti… No, è un imbroglio. Riserviamo piuttosto cordiale attenzione a quello che Gesù Cristo ci offre: una vita in pienezza, e una pienezza in crescendo alla quale nemmeno la morte potrà porre fine.
Insomma, fratelli, noi siamo fatti per una vita così: fin d’ora. Fin d’ora è possibile vivere una vita eterna. E, visto che è la prima e anche l’unica volta che siamo al mondo, allora l’invito è per tutti e per ciascuno in particolare: non barattiamo la vita eterna per poche cose che passano in fretta.
Non lasciamoci rubare questa opportunità: è troppo preziosa.
Le letture bibliche: Proverbi 9,1-6; Efesini 5,15-20; Giovanni 6,51-58
Tra tutte le contraddizioni tipiche del nostro tempo ce n’è una che riguarda direttamente la vita, ed è questa: mai come al giorno d’oggi si fa di tutto per salvaguardare la vita (beh, nonostante che il settore sanitario zoppichi un po’ troppo, di questi tempi…); comunque, mai le farmacie sono state così fornite; mai viene meno la ricerca di laboratorio al fine di sconfiggere certe malattie; e mai, come al giorno d’oggi, si è disposti a spendere pur di ricuperare la salute…
Ma allo stesso tempo (ecco la contraddizione), mai come al giorno d’oggi la vita è esposta a rischio: rischio di malattie che una volta non c’erano, rischio di incidenti che possono capitare (e capitano tutti i giorni), rischio anche liberamente accettato e voluto da certuni (pensiamo alla droga, oppure alle velocità pazzesche di chi corre sulle strade, o a certi sport nei quali prevale la dimensione del rischio più che quella autenticamente sportiva). Ecco la contraddizione: da un lato uno straordinario attaccamento alla vita e dall’altro una lunga serie di rischi che la mettono in forse...
E allora torna la domanda di sempre: ma che cos’è, in fondo, la vita? Ma cosa vuol dire vivere? Ma l’esperienza che abbiamo noi, che hanno tutti, della vita… è proprio quella giusta, quella piena, o è solo un assaggio? Ma poi… per che cosa vivere? Per chi? E, se per caso, esiste una vita in pienezza che molti non immaginano neanche, che fare per averla, per goderla? Queste sono domande di sempre che una volta la gente si poneva (oggi, forse, un po’ meno, perché ha paura che non ci siano risposte, oppure che le risposte chiedano un prezzo troppo alto …). Ma il vangelo che abbiamo ascoltato è proprio a queste domande che risponde, e forse a molte altre ancora…
Basta osservare quanto spesso parla Gesù della vita in queste poche frasi che abbiamo appena sentito: “Io sono il pane vivo…se uno ne mangia vivrà in eterno… Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo… Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue non avrete in voi la vita…Chi ne mangia e ne beve invece ha la vita eterna…Chi mangia di me vivrà per me…Chi mangia questo pane vivrà in eterno…”. Insomma, la vita – la vita che ci riguarda tutti – ecco l’argomento della lezione del nostro maestro Gesù. Avrete notato però che lui parla non solo di vita, ma di vita eterna. E cos’è la vita eterna? E’ da qualche domenica che ripeto questa domanda, perché so che non è affatto scontato il significato di vita eterna… E non basta una risposta sola perché sia chiaro a tutti. Poco fa’ mi chiedevo: ma l’esperienza che abbiamo noi e che hanno tutti, della vita… è proprio quella giusta, quella piena, o è solo un’assaggio?
Ed ecco la risposta: la vita non è solo un’esperienza fisica, biologica, che fanno tutti (anche gli animali)… non è quell’esperienza che è bella solo a certe condizioni (se si sta bene di salute, se si hanno molte possibilità economiche, se non ci sono problemi)…Questo tipo di vita è solo una parte di quello che Dio ha pensato per noi, e nemmeno la più importante. La vita in pienezza, quella che Dio vuole per noi, è molto di più. E in cosa consiste? La risposta che posso dare io suona un po’ teorica, perché quella reale nasce solo dall’esperienza che ognuno può fare. Certe cose – si dice – bisogna provare per capirle…
Vivere una vita eterna vuol dire stare a questo mondo sapendo che ci siamo perchè Dio ci ha inventati uno ad uno: e l’ha fatto perché ci ha pensati ed amati. Dio ci ha creati per farci partecipare alla sua intimità, alla sua ricchezza di vita e di amore…
Vivere una vita eterna vuol dire vedere la mano buona di Dio in tutto ciò che sta attorno a noi ogni giorno: nelle persone che ci vogliono bene, nelle creature che ci circondano e che Dio ha creato per rendere bella e piacevole la nostra esistenza: vita eterna è esser convinti di questo…
Vivere una vita eterna è vivere con uno scopo, con un obiettivo, un progetto, ma attenzione : ogni persona ha dei progetti, a volte grandi, a volte di breve durata (oggi voglio fare questo… domani andrò là, farò quest’altro), ma vita eterna vuol dire sintonizzare tutti questi progetti, grandi o piccoli che siano, con uno che è più importante di tutti e che rende ancora più interessanti tutti gli altri… Quella santa donna che era Madre Teresa di Calcutta, con parole semplici la spiegava così la vita eterna: “è svegliarsi ogni mattina con la voglia di fare qualcosa di bello per Dio, insieme a lui”… Gesù lo diceva con altre parole: “Cercate anzitutto il Regno di Dio. Tutto il resto, allora, vi sarà dato in sovrappiù”.
Vita eterna è vivere così: per qualcosa di grande, che va aldilà di ogni singola giornata, anzi, aldilà anche degli anni di questa vita che conduciamo sulla terra… Insomma, è come aggrapparsi solidamente a qualcosa che nulla potrà far vacillare; allora nemmeno la morte potrà portarci via e farci scomparire per sempre.
Chiedevo poco fa: ma per chi vivere? Per che cosa? se esiste una vita così, come fare per goderla?
E anche a queste domande oggi Gesù risponde: Colui che mangia di me, vivrà per me. Cioè la sua esistenza si riempirà di sapore, di gusto, grazie a me. Capisco allora Ignazio, l’ultranovantenne Vescovo di Antiochia in Siria; 1900 anni fa’ fu condotto a Roma per subire il martirio nel Circo (il Colosseo). Lungo il viaggio ha modo di scrivere diverse lettere alle Comunità cristiane; in una di esse si esprime così: “Gesù Cristo è il mio inseparabile vivere… Come potrei vivere io senza di lui?”.
Fratelli, ecco allora la conclusione: o da cristiani impariamo a pensarla così, oppure state sicuri che il cristianesimo non interesserà a nessuno, non avrà niente da dire e da dare a nessuno.
Finiamola col preoccuparci dell’esistenza intesa solo come fenomeno biologico… che dura fin che dura. Lasciamo ad altri l’idea che la vita – per risultare soddisfacente – bisogna riempirla di tutte le esperienze possibili, meglio ancora se stravaganti… No, è un imbroglio. Riserviamo piuttosto cordiale attenzione a quello che Gesù Cristo ci offre: una vita in pienezza, e una pienezza in crescendo alla quale nemmeno la morte potrà porre fine.
Insomma, fratelli, noi siamo fatti per una vita così: fin d’ora. Fin d’ora è possibile vivere una vita eterna. E, visto che è la prima e anche l’unica volta che siamo al mondo, allora l’invito è per tutti e per ciascuno in particolare: non barattiamo la vita eterna per poche cose che passano in fretta.
Non lasciamoci rubare questa opportunità: è troppo preziosa.
Giovedì 15 Agosto - Assunzione al Cielo della B.V.Maria
Le letture bibliche: Apocalisse 11,19; 12,1-6.10; 1Corinzi 15,20-26; Luca 1, 39-56
Quando Dio ha creato l’uomo e la donna, ha dato all’uno e all’altra anche una certa dose di vigore, di forza, ma non dello stesso tipo. All’uomo ha dato una forza, una robustezza soprattutto fisica, che gli permette di fare certe azioni, di eseguire certi lavori particolarmente pesanti. Alla donna ha donato un vigore soprattutto interiore, un bagaglio psicologico particolarmente robusto per far fronte agli eventi, alle difficoltà, alle cosiddette traversie della vita…
Per cui ci sono situazioni, in cui gli uomini sono più forti – e ce ne sono altre di fronte alle quali si rivelano invece fragili, e sono più forti le donne. In tal modo Dio è stato imparziale nel distribuire i suoi doni.
In ogni caso, vedere un donna, una mamma, minacciata e insidiata da un avversario brutale e terrificante, è cosa che tocca il cuore e suscita sdegno, oltre che un’infinita compassione. Mi riferisco alla visione – un po’ misteriosa – che ci è stata raccontata poco fa’ da san Giovanni nella prima lettura: una donna nel travaglio del parto e davanti a lei un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna… “Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato”. Non ci riuscì, evidentemente, perché quel bambino (che è Gesù) fu rapito verso Dio: Gesù infatti è quell’anticipo di umanità (della nostra umanità) che Dio ha posto al sicuro, ha sottratto all’influenza nefasta del Male. E il Male – quello che è presente e attivo in questo mondo come una forza brutale e disumana – può essere raffigurato solo a mo’ di simbolo: un drago, e rosso, perché è sanguinario per natura sua; con sette teste, cioè provvisto d’intelligenza e scaltrezza eccezionali; e dieci corna, a significare una potenza sovrumana. Non è una favola da cartone animato, fratelli. E’ la storia di questo nostro mondo, guardata da quel punto di osservazione che è la fede.
Ma come può una donna, oltretutto in quelle condizioni di partoriente, tener testa a quell’enorme drago rosso? Sarà anche vero che per far fronte a certe situazioni le donne sono più forti degli uomini, ma qui siamo oltre ogni limite: qui si tratta di un avversario che è semplicemente invincibile. Nessuno è in grado di fargli fronte, donna o uomo che sia.
Questa donna probabilmente è speciale, si differenzia da tutto il resto dell’umanità. Speciale come quella del vangelo, Maria, che canta: “Dio ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore…ha rovesciato i potenti dai troni…e i ricchi li ha mandati via a mani vuote”. Beh, una donna che canta cose del genere è senz’altro speciale, perché dire cose del genere non è solo cantare fuori dal coro: c’è il rischio di esser presi per rivoluzionari.
Nessuna meraviglia che una donna così speciale possa tener testa al drago che la minaccia: quel drago infatti è il dio dei superbi, dei potenti arroganti, dei ricchi che arrugginiscono insieme alle loro ricchezze… Maria deve essere stata davvero una donna forte, audace e molto coraggiosa.
Ma come si combina tutto questo con la coscienza che lei ha di se stessa? Infatti, lo dice espressamente nel Magnificat – quel suo cantico che è il vangelo di oggi: “serva sono: nient’altro che una povera serva”. Dio ha guardato la pochezza della sua serva, ed è come se dicesse: io valgo poco, sono piccola e insignificante, eppure Dio ha posato lo sguardo proprio su di me.
E Maria – fragile e povera - quello sguardo l’ha accolto, l’ha ricambiato con una fiducia a tutta prova, proprio nel senso che nessuna prova è riuscita a farle cadere le braccia. Infatti, ne ha avuto prove e apparenti smentite…e molte! “Il bambino che darai alla luce sarà Figlio dell’Altissimo – le era stato detto – salirà sul trono di David, il suo regno non avrà mai fine…”. Ma lei trovava strano che quel Figlio dell’Altissimo dovesse nascere in una stalla, e che poi lei dovesse fuggire per metterlo in salvo… Trovava strano che crescesse sotto i suoi occhi come cresce qualsiasi altro bambino di povera gente, in una famiglia come la come le era stato promesso, ma sul colle del Golgotha portando la sua croce:, prima di esservi inchiodato sopra mani e piedi… Tante cose trovò strane Maria in quel Figlio.
E noi non dobbiamo pensare che, ogni volta che le cose andavano storte, lei accettasse tutto senza battere ciglio: offenderemmo la sua umanità se pensassimo così…Quella volta che Gesù, appena dodicenne, rimase a Gerusalemme e lo ritrovarono solo dopo tre giorni di ricerche, la reazione di Maria fu di disappunto a dir poco: “Perché ci hai fatto questo? Tuo padre ed io, addolorati, ti abbiamo tanto cercato…”.
Fratelli, la forza, il vigore di Maria, non si esprime nel cambiare il corso degli eventi (a volte sono ineluttabili o comunque più grandi di noi); la forza e la grandezza di Maria stanno nel fidarsi di Dio lo stesso, nonostante le smentite e le controprove che è costretta a sperimentare. Elisabetta sua cugina, allorché se la vede arrivare in casa, glielo riconosce (e non c’è complimento più bello che si possa fare alla Madonna!): “Beata te che hai creduto alle parole che il Signore ti ha detto!”. Oh, ce ne mettono a volte di tempo per adempiersi le parole del Signore: a volte tutto sembra andare all’incontrario di quelle parole (non capita anche nella nostra vita così?). Ma Maria hai creduto, nonostante tutto. E a un certo punto quell’adempimento l’ha constatato di persona: que suo Figlio – Figlio dell’Altissimo prima che suo – dopo quella drammatica vicenda del Calvario che sembrava un fallimento, è davvero risorto: lei lo vide, lo toccò. Non solo: come tutti ha provato cosa vuol dire morire, ma a differenza di tutti ha anche provato cosa vuol dire risorgere e entrare nel cielo di Dio, accanto a Gesù. E’ proprio per questo che oggi potremo rivolgerci a lei con queste espressioni:
Maria, rivelaci il segreto della tua grandezza.
Tu che sei potente e forte come nessun’altra creatura sulla terra, insegnaci ad essere umili e modesti, come te: insegnaci soprattutto a contare su Dio senza condizioni, ad affidarci alla sua Parola come hai fatto tu. Perché è qui il segreto per tener testa a quel drago sanguinario che è il Maligno, il quale anche in questi nostri tempi sembra voler riemergere, nonostante sia stato sconfitto da Gesù il giorno del Calvario. Ma proprio con tutta la rabbia dello sconfitto continua a insidiare la nostra vita.
Insegnaci, o madre del Signore, come fargli fronte.
Aiutaci a fare tutto quel bene che possiamo fare, con generosità, con dedizione, ma senza l’assurda pretesa di cambiare il corso degli eventi o di ribaltare il mondo in quattro e quattr’otto…
E’ questa la tua specialità, Maria.
Educa anche noi a diventare umili e audaci, come te.
Amen
Le letture bibliche: Apocalisse 11,19; 12,1-6.10; 1Corinzi 15,20-26; Luca 1, 39-56
Quando Dio ha creato l’uomo e la donna, ha dato all’uno e all’altra anche una certa dose di vigore, di forza, ma non dello stesso tipo. All’uomo ha dato una forza, una robustezza soprattutto fisica, che gli permette di fare certe azioni, di eseguire certi lavori particolarmente pesanti. Alla donna ha donato un vigore soprattutto interiore, un bagaglio psicologico particolarmente robusto per far fronte agli eventi, alle difficoltà, alle cosiddette traversie della vita…
Per cui ci sono situazioni, in cui gli uomini sono più forti – e ce ne sono altre di fronte alle quali si rivelano invece fragili, e sono più forti le donne. In tal modo Dio è stato imparziale nel distribuire i suoi doni.
In ogni caso, vedere un donna, una mamma, minacciata e insidiata da un avversario brutale e terrificante, è cosa che tocca il cuore e suscita sdegno, oltre che un’infinita compassione. Mi riferisco alla visione – un po’ misteriosa – che ci è stata raccontata poco fa’ da san Giovanni nella prima lettura: una donna nel travaglio del parto e davanti a lei un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna… “Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato”. Non ci riuscì, evidentemente, perché quel bambino (che è Gesù) fu rapito verso Dio: Gesù infatti è quell’anticipo di umanità (della nostra umanità) che Dio ha posto al sicuro, ha sottratto all’influenza nefasta del Male. E il Male – quello che è presente e attivo in questo mondo come una forza brutale e disumana – può essere raffigurato solo a mo’ di simbolo: un drago, e rosso, perché è sanguinario per natura sua; con sette teste, cioè provvisto d’intelligenza e scaltrezza eccezionali; e dieci corna, a significare una potenza sovrumana. Non è una favola da cartone animato, fratelli. E’ la storia di questo nostro mondo, guardata da quel punto di osservazione che è la fede.
Ma come può una donna, oltretutto in quelle condizioni di partoriente, tener testa a quell’enorme drago rosso? Sarà anche vero che per far fronte a certe situazioni le donne sono più forti degli uomini, ma qui siamo oltre ogni limite: qui si tratta di un avversario che è semplicemente invincibile. Nessuno è in grado di fargli fronte, donna o uomo che sia.
Questa donna probabilmente è speciale, si differenzia da tutto il resto dell’umanità. Speciale come quella del vangelo, Maria, che canta: “Dio ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore…ha rovesciato i potenti dai troni…e i ricchi li ha mandati via a mani vuote”. Beh, una donna che canta cose del genere è senz’altro speciale, perché dire cose del genere non è solo cantare fuori dal coro: c’è il rischio di esser presi per rivoluzionari.
Nessuna meraviglia che una donna così speciale possa tener testa al drago che la minaccia: quel drago infatti è il dio dei superbi, dei potenti arroganti, dei ricchi che arrugginiscono insieme alle loro ricchezze… Maria deve essere stata davvero una donna forte, audace e molto coraggiosa.
Ma come si combina tutto questo con la coscienza che lei ha di se stessa? Infatti, lo dice espressamente nel Magnificat – quel suo cantico che è il vangelo di oggi: “serva sono: nient’altro che una povera serva”. Dio ha guardato la pochezza della sua serva, ed è come se dicesse: io valgo poco, sono piccola e insignificante, eppure Dio ha posato lo sguardo proprio su di me.
E Maria – fragile e povera - quello sguardo l’ha accolto, l’ha ricambiato con una fiducia a tutta prova, proprio nel senso che nessuna prova è riuscita a farle cadere le braccia. Infatti, ne ha avuto prove e apparenti smentite…e molte! “Il bambino che darai alla luce sarà Figlio dell’Altissimo – le era stato detto – salirà sul trono di David, il suo regno non avrà mai fine…”. Ma lei trovava strano che quel Figlio dell’Altissimo dovesse nascere in una stalla, e che poi lei dovesse fuggire per metterlo in salvo… Trovava strano che crescesse sotto i suoi occhi come cresce qualsiasi altro bambino di povera gente, in una famiglia come la come le era stato promesso, ma sul colle del Golgotha portando la sua croce:, prima di esservi inchiodato sopra mani e piedi… Tante cose trovò strane Maria in quel Figlio.
E noi non dobbiamo pensare che, ogni volta che le cose andavano storte, lei accettasse tutto senza battere ciglio: offenderemmo la sua umanità se pensassimo così…Quella volta che Gesù, appena dodicenne, rimase a Gerusalemme e lo ritrovarono solo dopo tre giorni di ricerche, la reazione di Maria fu di disappunto a dir poco: “Perché ci hai fatto questo? Tuo padre ed io, addolorati, ti abbiamo tanto cercato…”.
Fratelli, la forza, il vigore di Maria, non si esprime nel cambiare il corso degli eventi (a volte sono ineluttabili o comunque più grandi di noi); la forza e la grandezza di Maria stanno nel fidarsi di Dio lo stesso, nonostante le smentite e le controprove che è costretta a sperimentare. Elisabetta sua cugina, allorché se la vede arrivare in casa, glielo riconosce (e non c’è complimento più bello che si possa fare alla Madonna!): “Beata te che hai creduto alle parole che il Signore ti ha detto!”. Oh, ce ne mettono a volte di tempo per adempiersi le parole del Signore: a volte tutto sembra andare all’incontrario di quelle parole (non capita anche nella nostra vita così?). Ma Maria hai creduto, nonostante tutto. E a un certo punto quell’adempimento l’ha constatato di persona: que suo Figlio – Figlio dell’Altissimo prima che suo – dopo quella drammatica vicenda del Calvario che sembrava un fallimento, è davvero risorto: lei lo vide, lo toccò. Non solo: come tutti ha provato cosa vuol dire morire, ma a differenza di tutti ha anche provato cosa vuol dire risorgere e entrare nel cielo di Dio, accanto a Gesù. E’ proprio per questo che oggi potremo rivolgerci a lei con queste espressioni:
Maria, rivelaci il segreto della tua grandezza.
Tu che sei potente e forte come nessun’altra creatura sulla terra, insegnaci ad essere umili e modesti, come te: insegnaci soprattutto a contare su Dio senza condizioni, ad affidarci alla sua Parola come hai fatto tu. Perché è qui il segreto per tener testa a quel drago sanguinario che è il Maligno, il quale anche in questi nostri tempi sembra voler riemergere, nonostante sia stato sconfitto da Gesù il giorno del Calvario. Ma proprio con tutta la rabbia dello sconfitto continua a insidiare la nostra vita.
Insegnaci, o madre del Signore, come fargli fronte.
Aiutaci a fare tutto quel bene che possiamo fare, con generosità, con dedizione, ma senza l’assurda pretesa di cambiare il corso degli eventi o di ribaltare il mondo in quattro e quattr’otto…
E’ questa la tua specialità, Maria.
Educa anche noi a diventare umili e audaci, come te.
Amen
Domenica 11 Agosto - Diciannovesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: 1Re 19,4-8; Efesini 4,30-5,2; Giovanni 6, 41-51
Una caratteristica delle vacanze è che di solito non durano mesi e fanno presto a passare. Ora, visto che i giorni sono contati, beh… che almeno siano pieni; che non ci si debba annoiare perché non si sa cosa fare: che senso avrebbe pagare – e magari caro – per perder tempo ad annoiarsi? Ecco che allora le agenzie e tutte le aziende di soggiorno fanno a gara per soddisfare clienti e ospiti, con programmi che scoppiano tanto sono strapieni delle iniziative più disparate… Il che è comprensibile: per chi gestisce la cosa è il suo mestiere; e chi è cliente, è giusto che resti soddisfatto… dal momento che paga.
A me però questo fenomeno fa venir in mente quello che già dicevo in maniera forse un po’ brutale Domenica scorsa: le persone al giorno d’oggi rischiano di ridursi a contenitori di cose, tante cose buttate lì alla rinfusa… Ma la vita, questa benedetta esistenza che è l’unica che abbiamo, è soltanto un contenitore da riempire o è qualcosa di più? Se a rispondere è il vangelo – quello che abbiamo appena ascoltato – allora la risposta è questa: la vita non è un contenitore da riempire di cose, di avventure, di esperienze … fino a scoppiare; è piuttosto una pianta che si apre al sole e alla pioggia: allora germoglia, cresce, fiorisce, e matura i suoi frutti.
La vita – ritmata sul tempo che corre – di per sé è un’esperienza piuttosto limitata in se stessa (tra il resto anche assurda talvolta: perché mai per alcuni il tempo della vita dura 100 anni e per altri invece… neanche vent’anni? Perché ad alcuni riserva una strada tutta piana e liscia, e ad altri invece solo curve, salite e grane a non finire?).
La vita, ritmata sul tempo che passa, è fatta per aprirsi a Dio – che non passa; e allora diventa – ascoltate bene, fratelli – “eterna”. E’ Dio quel sole che fa germogliare la pianta, la fa crescere e maturare: è solo Dio l’eterno! Gesù è venuto da Dio per questo: per dare alla gente di questo mondo la possibilità di fare della propria vita non un contenitore di tante cianfrusaglie, ma una pianta che cresce fino alla sua pienezza.
Oggi ce lo dice e ce lo ripete: “Chi crede in me ha la vita eterna… Io sono il pane della vita: se uno mangia di questo pane, vive in eterno…”. Ce lo dirà anche le prossime Domeniche: non per ripetersi, ma perché è una questione di importanza davvero vitale.
A questo punto, però, è necessario spiegarsi: cosa sarà mai questa “vita eterna”? In cosa consiste? Ecco, fratelli: è quella carica in più che noi non abbiamo, ma che ci può dare soltanto Dio. E’ la vita di Dio; anzi, potremo dire senza timore di sbagliare: è la possibilità di condividere la stessa vita di Dio. Ma fin da adesso: questo è l’aspetto più interessante! Quindi è cominciare a ragionare come ragiona lui, vedere e valutare tutto e tutti come fa lui… è sentire dentro di sé un’energia che non viene dalle cure ricostituenti che potremmo fare noi, perché è soltanto sua: l’energia vitale di Dio. E’ un altro modo di vivere, insomma, di stare al mondo. Non un vegetare epidermico, superficiale, cogliendo da ogni esperienza soltanto la scorza, ma un vivere in profondità, trovando il senso, il sapore autentico di tutto ciò che si vive. E’ un vivere che porta a godere dei beni cosiddetti materiali senza diventare per questo materialisti, e con il vantaggio – oltretutto – di goderne veramente, cioè in maniera più intensa e più profonda: perché? Perché tutto ciò che godi, sai che è dono di quel Dio che ti vuol bene, e questo te lo fa gustare ancora di più. I veri gaudenti a questo mondo non sono i Paperòn de’ Paperoni, sono quei tali che vivono già adesso una vita eterna.
In questo modo si allargano anche gli orizzonti del vivere quotidiano, e non perché cambino i contenuti (gli impegni, le occupazioni), ma perché prendono un altro senso, un altro valore. Ma… sto parlando di cose reali o sto sfornando fantasie?
Fratelli, nessuna pianta cresce, fa fiori e frutti, se non rimane costantemente rivolta al sole: se si ripiega nell’ombra, intristisce e muore. Per noi il sole è Dio, il Signore della vita.
Nessuna vita cresce e si sviluppa senza un’alimentazione continua e adeguata. Per noi l’alimento è il Pane dell’Eucaristia, di cui Gesù ha detto “è la mia carne per la vita del mondo”; ma siccome non si vive soltanto di pane (cioè non basta mangiare ostie consacrate per ritrovarsi senz’altro veri cristiani), ecco che quell’alimento per noi è anche la Parola di Dio, è il vangelo soprattutto: ascoltarlo spesso, portarselo nella mente e nel cuore, è nutrire la vita eterna che c’è in noi. Diversamente è ovvio: quella vita intristisce e muore.
La prima lettura ci parlava del profeta Elia e della sua crisi nel deserto. (Qui si vede un altro aspetto di questa vita eterna che Dio ci mette a disposizione). Elia, il più grande di tutti i profeti, ad un certo punto piomba in una tremenda crisi: si è dato da fare tutta la vita per Dio e per il suo popolo, ma a un certo punto gli sembra di aver lavorato e faticato per niente… Oltretutto c’è chi trama per toglierlo di mezzo, perché Elia – portavoce fedele di Dio - è uno che disturba quelli che hanno la coscienza sporca. (Tra parentesi: vi faccio notare che questa esperienza si ripete spesso nella storia, anche ai nostri giorni: perchè mai Papa Francesco non risulta simpatico a tutti, anzi, anche nella Chiesa c’è chi gli rema contro? Chiaro, è un Papa che – fedele al nome che ha scelto - predica il vangelo e soprattutto lo vive, ma il Vangelo è una bella notizia che disturba chi ha la coscienza sporca…). Ma torniamo al profeta Elia. Demoralizzato e deluso, il profeta non ce la fa più: s’inoltra nel deserto, si sdraia all’ombra di una ginestra deciso a lasciarsi morire. Solo che Dio la pensa diversamente: “Alzati e mangia!” si sente dire…E vede che c’è lì un pane, c’è dell’acqua: mangia e beve, pensando che sia l’ultimo spuntino… Poi s’addormenta di nuovo. Ma poco dopo, ecco lo stesso invito: “Alzati e mangia, perché hai un lungo cammino da fare…”. E con la forza di quel cibo – dice la Bibbia – Elia camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio”… Prendetela pure come una storia infarcita di leggenda, ma Dio è libero di parlare anche con leggende: chi ha in sé la vita eterna, avrà anche da faticare (come tutti), da soffrire (come tutti), andrà in crisi certe volte (e chi non ci va, almeno qualche volta?), ma non sconfina mai nell’angoscia o nella disperazione, e non perché sia più bravo degli altri o più forte di costituzione, ma perché c’è la vita di Dio in lui, e la nutre e l’alimenta quella vita.
Oggi il Signore lo dice a ciascuno di noi: “Alzati e mangia!”. Tra tutte le parole che ascolti o che leggi, scegli questa: il Vangelo, e portatelo nel cuore. Tra tutti i cibi più prelibati che conosci, metti al primo posto l’Eucaristia: quel Pane – povero e semplice – nel quale io, tuo Dio, mi dono a te.
Sarebbe bello, fratelli, se da oggi ciascuno di noi si portasse dentro questa convinzione: grazie a Dio, la mia vita può essere eterna già da adesso, ma tocca a me conservarla eterna, alimentarla e farla crescere.
Le letture bibliche: 1Re 19,4-8; Efesini 4,30-5,2; Giovanni 6, 41-51
Una caratteristica delle vacanze è che di solito non durano mesi e fanno presto a passare. Ora, visto che i giorni sono contati, beh… che almeno siano pieni; che non ci si debba annoiare perché non si sa cosa fare: che senso avrebbe pagare – e magari caro – per perder tempo ad annoiarsi? Ecco che allora le agenzie e tutte le aziende di soggiorno fanno a gara per soddisfare clienti e ospiti, con programmi che scoppiano tanto sono strapieni delle iniziative più disparate… Il che è comprensibile: per chi gestisce la cosa è il suo mestiere; e chi è cliente, è giusto che resti soddisfatto… dal momento che paga.
A me però questo fenomeno fa venir in mente quello che già dicevo in maniera forse un po’ brutale Domenica scorsa: le persone al giorno d’oggi rischiano di ridursi a contenitori di cose, tante cose buttate lì alla rinfusa… Ma la vita, questa benedetta esistenza che è l’unica che abbiamo, è soltanto un contenitore da riempire o è qualcosa di più? Se a rispondere è il vangelo – quello che abbiamo appena ascoltato – allora la risposta è questa: la vita non è un contenitore da riempire di cose, di avventure, di esperienze … fino a scoppiare; è piuttosto una pianta che si apre al sole e alla pioggia: allora germoglia, cresce, fiorisce, e matura i suoi frutti.
La vita – ritmata sul tempo che corre – di per sé è un’esperienza piuttosto limitata in se stessa (tra il resto anche assurda talvolta: perché mai per alcuni il tempo della vita dura 100 anni e per altri invece… neanche vent’anni? Perché ad alcuni riserva una strada tutta piana e liscia, e ad altri invece solo curve, salite e grane a non finire?).
La vita, ritmata sul tempo che passa, è fatta per aprirsi a Dio – che non passa; e allora diventa – ascoltate bene, fratelli – “eterna”. E’ Dio quel sole che fa germogliare la pianta, la fa crescere e maturare: è solo Dio l’eterno! Gesù è venuto da Dio per questo: per dare alla gente di questo mondo la possibilità di fare della propria vita non un contenitore di tante cianfrusaglie, ma una pianta che cresce fino alla sua pienezza.
Oggi ce lo dice e ce lo ripete: “Chi crede in me ha la vita eterna… Io sono il pane della vita: se uno mangia di questo pane, vive in eterno…”. Ce lo dirà anche le prossime Domeniche: non per ripetersi, ma perché è una questione di importanza davvero vitale.
A questo punto, però, è necessario spiegarsi: cosa sarà mai questa “vita eterna”? In cosa consiste? Ecco, fratelli: è quella carica in più che noi non abbiamo, ma che ci può dare soltanto Dio. E’ la vita di Dio; anzi, potremo dire senza timore di sbagliare: è la possibilità di condividere la stessa vita di Dio. Ma fin da adesso: questo è l’aspetto più interessante! Quindi è cominciare a ragionare come ragiona lui, vedere e valutare tutto e tutti come fa lui… è sentire dentro di sé un’energia che non viene dalle cure ricostituenti che potremmo fare noi, perché è soltanto sua: l’energia vitale di Dio. E’ un altro modo di vivere, insomma, di stare al mondo. Non un vegetare epidermico, superficiale, cogliendo da ogni esperienza soltanto la scorza, ma un vivere in profondità, trovando il senso, il sapore autentico di tutto ciò che si vive. E’ un vivere che porta a godere dei beni cosiddetti materiali senza diventare per questo materialisti, e con il vantaggio – oltretutto – di goderne veramente, cioè in maniera più intensa e più profonda: perché? Perché tutto ciò che godi, sai che è dono di quel Dio che ti vuol bene, e questo te lo fa gustare ancora di più. I veri gaudenti a questo mondo non sono i Paperòn de’ Paperoni, sono quei tali che vivono già adesso una vita eterna.
In questo modo si allargano anche gli orizzonti del vivere quotidiano, e non perché cambino i contenuti (gli impegni, le occupazioni), ma perché prendono un altro senso, un altro valore. Ma… sto parlando di cose reali o sto sfornando fantasie?
Fratelli, nessuna pianta cresce, fa fiori e frutti, se non rimane costantemente rivolta al sole: se si ripiega nell’ombra, intristisce e muore. Per noi il sole è Dio, il Signore della vita.
Nessuna vita cresce e si sviluppa senza un’alimentazione continua e adeguata. Per noi l’alimento è il Pane dell’Eucaristia, di cui Gesù ha detto “è la mia carne per la vita del mondo”; ma siccome non si vive soltanto di pane (cioè non basta mangiare ostie consacrate per ritrovarsi senz’altro veri cristiani), ecco che quell’alimento per noi è anche la Parola di Dio, è il vangelo soprattutto: ascoltarlo spesso, portarselo nella mente e nel cuore, è nutrire la vita eterna che c’è in noi. Diversamente è ovvio: quella vita intristisce e muore.
La prima lettura ci parlava del profeta Elia e della sua crisi nel deserto. (Qui si vede un altro aspetto di questa vita eterna che Dio ci mette a disposizione). Elia, il più grande di tutti i profeti, ad un certo punto piomba in una tremenda crisi: si è dato da fare tutta la vita per Dio e per il suo popolo, ma a un certo punto gli sembra di aver lavorato e faticato per niente… Oltretutto c’è chi trama per toglierlo di mezzo, perché Elia – portavoce fedele di Dio - è uno che disturba quelli che hanno la coscienza sporca. (Tra parentesi: vi faccio notare che questa esperienza si ripete spesso nella storia, anche ai nostri giorni: perchè mai Papa Francesco non risulta simpatico a tutti, anzi, anche nella Chiesa c’è chi gli rema contro? Chiaro, è un Papa che – fedele al nome che ha scelto - predica il vangelo e soprattutto lo vive, ma il Vangelo è una bella notizia che disturba chi ha la coscienza sporca…). Ma torniamo al profeta Elia. Demoralizzato e deluso, il profeta non ce la fa più: s’inoltra nel deserto, si sdraia all’ombra di una ginestra deciso a lasciarsi morire. Solo che Dio la pensa diversamente: “Alzati e mangia!” si sente dire…E vede che c’è lì un pane, c’è dell’acqua: mangia e beve, pensando che sia l’ultimo spuntino… Poi s’addormenta di nuovo. Ma poco dopo, ecco lo stesso invito: “Alzati e mangia, perché hai un lungo cammino da fare…”. E con la forza di quel cibo – dice la Bibbia – Elia camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio”… Prendetela pure come una storia infarcita di leggenda, ma Dio è libero di parlare anche con leggende: chi ha in sé la vita eterna, avrà anche da faticare (come tutti), da soffrire (come tutti), andrà in crisi certe volte (e chi non ci va, almeno qualche volta?), ma non sconfina mai nell’angoscia o nella disperazione, e non perché sia più bravo degli altri o più forte di costituzione, ma perché c’è la vita di Dio in lui, e la nutre e l’alimenta quella vita.
Oggi il Signore lo dice a ciascuno di noi: “Alzati e mangia!”. Tra tutte le parole che ascolti o che leggi, scegli questa: il Vangelo, e portatelo nel cuore. Tra tutti i cibi più prelibati che conosci, metti al primo posto l’Eucaristia: quel Pane – povero e semplice – nel quale io, tuo Dio, mi dono a te.
Sarebbe bello, fratelli, se da oggi ciascuno di noi si portasse dentro questa convinzione: grazie a Dio, la mia vita può essere eterna già da adesso, ma tocca a me conservarla eterna, alimentarla e farla crescere.
Martedì 6 Agosto - Festa della TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE
Le letture bibliche: Daniele 7,9-10.13-14; 2Corinzi 3,17-4,6; Marco 9,2-10
Non è una parola che adoperiamo molto spesso “trasfigurazione”. Forse il suo profondo significato “cristiano” ci sfugge…ma non del tutto penso. Quando ad esempio diamo a qualcuno un dono che desiderava da molto tempo (o una bella notizia), per dare un’idea della sua gioiosa sorpresa, diciamo: “si è come trasfigurato nel ricevere quel dono, quella notizia…”.
Trasfigurazione – nel senso cristiano - è l’unica via d’uscita che ci resta, se vogliamo garantire al mondo un futuro “umano” anziché “disumano”. Trasfigurarsi è una necessità ineludibile. Noi ci troviamo dinanzi – oggi più che mai forse – questa alternativa: o trasfigurarsi, o sfigurarsi. La persona trasfigurata è, in fondo, la persona pienamente umana, in tutta quella dignità che ci ha rivelato Gesù, Dio fatto uomo (nessuno è mai stato tanto umano come lo ha saputo essere Gesù!). La persona sfigurata, all’opposto, è quella in cui scompaiono i tratti dell’umanità ed emergono quelli della banalità, o addirittura della brutaltà.
Il profeta Daniele, in quella prima lettura che abbiamo sentito poco fa’, ci diceva di aver contemplato nelle visioni “uno, simile ad un figlio d’uomo, venire sulle nubi del cielo… e il vegliardo – cioè Dio, l'antico di giorni – gli diede potere, gloria e regno su tutti i popoli della terra…”. Detta così, la visione non c’impressiona granchè. Poco prima, però, quel profeta racconta di aver visto delle belve terrificanti avanzare sulla scena del mondo e prenderne il potere; un potere malvagio, “bestiale” nel pieno senso della parola (Daniele 7,1-8).
Quand’ecco che, finalmente, sulle nubi del cielo avanza una figura che non è più bestiale, ma umana: uno simile a un figlio d’uomo, dice il profeta. E il potere del mondo è dato a lui: un dominio finalmente umano, non più all’insegna della brutalità.
Eh, ne abbiamo avute prove di ferocia e di brutalità nella storia, soprattutto alla fine del millennio appena passato. Sì, conquiste positive e progresso… certamente ce ne sono stati; ma quante efferatezze ha sperimentato il secolo scorso, e quanta bestialità e volti sfigurati anche all’inizio di questo! Potrà avere un volto finalmente umano questo mondo? Soltanto uomini e donne “trasfigurati” potranno sollevare il mondo e spingerlo verso traguardi di speranza e di salvezza. Ecco perché non è qualcosa di facoltativo la trasfigurazione: o trasfiguràti, o sfiguràti; non c’è un’altra alternativa.
"Cercansi persone di bella presenza" si leggeva una volta negli annunci pubblicitari. Probabilmente, il mondo e la società dei nostri giorni ne hanno più che a sufficienza di solite belle presenze. E' di presenze trasfigurate che c'è bisogno. Saranno poche? Non importa. Anche quel giorno furono soltanto tre a salire il monte, con Cristo.
Di persone trasfigurate, comunque, ne abbiamo conosciute tutti nella nostra vita: ne conserviamo in cuore i volti - a volte erano volti di anziani, rugosi, emaciati dagli anni o dalle prove, ma belli da incontrare, cioè accoglienti e rasserenanti. Frutto di Trasfigurazione. Qualcuno ha detto: è questa la bellezza che salverà il mondo.
E come si fa ad avere volti così? A trasfigurarsi? Ecco, vedete, non siamo affatto noi che ci trasfiguriamo, è Dio, è il Signore: è competenza sua. L’esempio che mi viene è un po’ banale, ma ci aiuta a capire: è estate, tempo di abbronzature, di tintarella. “Oggi mi metto al sole e mi abbronzo” si dice. Ma va’, non dire baggianate! Quello che tu puoi fare è metterti al sole, ma è il sole che ti abbronza, non tu. E’ Dio che ci trasfigura, fratelli, via via che noi gliene diamo l’occasione, l’opportunità. Quello che noi possiamo fare è stare davanti a Lui, in ascolto, come davanti al sole. Del resto ce l’ha detto Lui stesso oggi, nel vangelo: “Ecco il mio Figlio prediletto. Volete assomigliargli? Ascoltatelo!”. Che poi lui compaia trasfigurato tra Mosè ed Elia sta a dire che la Parola da ascoltare è quella della Bibbia, del vangelo: è da li che ci parla. Parola viva la sua, Parola che crea e trasforma… e che quando può entrare abitualmente nella vita di una persona, la trasfigura davvero.
Insomma, fratelli, è proprio una bella notizia questa Festa del 6 agosto e questo vangelo: noi siamo fatti per trasfigurarci, è un’esigenza che ci portiamo dentro, del resto. E grazie a Dio è possibile, a patto che passiamo da una religiosità di superficie a una relazione vera con Dio, da cristianesimo stazionario a una Fede che è ascesi, cioè cammino in salita con Gesù (non per nulla li portò su di un monte quei tre discepoli).
E tanto per non restare nel vago, impegniamoci a dare respiro, spazio, attenzione a quella che si chiama “spiritualità” (è la spiritualità che ci rende umani); cominciamo a curarci del motore che è in noi – cioè lo spirito! – più di quanto ci preoccupiamo della carrozzeria (il fisico, il corpo). E facciamolo con assiduità (perché senza assiduità non si ottiene nessujn risultato serio nella vita).
Prendiamoci il tempo per pregare, ad esempio, ma un pregare che non sia un dir su quattro formule biascicate; sia anzitutto “ascolto”: ascolto della Parola del Signore, cioè del vangelo in particolare. Mettersi davanti al Vangelo, ascoltarlo, meditarlo e pregare, è come aprire porte e finestre della vita all’azione dello Spirito Santo: è lui il vero sole che ci trasforma, anche nei giorni di nuvolo o di pioggia… e ci rende poco a poco sempre più simili a Gesù “il primogenito tra molti fratelli”! Niente sono le abbronzature più appariscenti in confronto a quella bella trasfigurazione che lo Spirito del Signore saprà operare in tutta la nostra persona!
Le letture bibliche: Daniele 7,9-10.13-14; 2Corinzi 3,17-4,6; Marco 9,2-10
Non è una parola che adoperiamo molto spesso “trasfigurazione”. Forse il suo profondo significato “cristiano” ci sfugge…ma non del tutto penso. Quando ad esempio diamo a qualcuno un dono che desiderava da molto tempo (o una bella notizia), per dare un’idea della sua gioiosa sorpresa, diciamo: “si è come trasfigurato nel ricevere quel dono, quella notizia…”.
Trasfigurazione – nel senso cristiano - è l’unica via d’uscita che ci resta, se vogliamo garantire al mondo un futuro “umano” anziché “disumano”. Trasfigurarsi è una necessità ineludibile. Noi ci troviamo dinanzi – oggi più che mai forse – questa alternativa: o trasfigurarsi, o sfigurarsi. La persona trasfigurata è, in fondo, la persona pienamente umana, in tutta quella dignità che ci ha rivelato Gesù, Dio fatto uomo (nessuno è mai stato tanto umano come lo ha saputo essere Gesù!). La persona sfigurata, all’opposto, è quella in cui scompaiono i tratti dell’umanità ed emergono quelli della banalità, o addirittura della brutaltà.
Il profeta Daniele, in quella prima lettura che abbiamo sentito poco fa’, ci diceva di aver contemplato nelle visioni “uno, simile ad un figlio d’uomo, venire sulle nubi del cielo… e il vegliardo – cioè Dio, l'antico di giorni – gli diede potere, gloria e regno su tutti i popoli della terra…”. Detta così, la visione non c’impressiona granchè. Poco prima, però, quel profeta racconta di aver visto delle belve terrificanti avanzare sulla scena del mondo e prenderne il potere; un potere malvagio, “bestiale” nel pieno senso della parola (Daniele 7,1-8).
Quand’ecco che, finalmente, sulle nubi del cielo avanza una figura che non è più bestiale, ma umana: uno simile a un figlio d’uomo, dice il profeta. E il potere del mondo è dato a lui: un dominio finalmente umano, non più all’insegna della brutalità.
Eh, ne abbiamo avute prove di ferocia e di brutalità nella storia, soprattutto alla fine del millennio appena passato. Sì, conquiste positive e progresso… certamente ce ne sono stati; ma quante efferatezze ha sperimentato il secolo scorso, e quanta bestialità e volti sfigurati anche all’inizio di questo! Potrà avere un volto finalmente umano questo mondo? Soltanto uomini e donne “trasfigurati” potranno sollevare il mondo e spingerlo verso traguardi di speranza e di salvezza. Ecco perché non è qualcosa di facoltativo la trasfigurazione: o trasfiguràti, o sfiguràti; non c’è un’altra alternativa.
"Cercansi persone di bella presenza" si leggeva una volta negli annunci pubblicitari. Probabilmente, il mondo e la società dei nostri giorni ne hanno più che a sufficienza di solite belle presenze. E' di presenze trasfigurate che c'è bisogno. Saranno poche? Non importa. Anche quel giorno furono soltanto tre a salire il monte, con Cristo.
Di persone trasfigurate, comunque, ne abbiamo conosciute tutti nella nostra vita: ne conserviamo in cuore i volti - a volte erano volti di anziani, rugosi, emaciati dagli anni o dalle prove, ma belli da incontrare, cioè accoglienti e rasserenanti. Frutto di Trasfigurazione. Qualcuno ha detto: è questa la bellezza che salverà il mondo.
E come si fa ad avere volti così? A trasfigurarsi? Ecco, vedete, non siamo affatto noi che ci trasfiguriamo, è Dio, è il Signore: è competenza sua. L’esempio che mi viene è un po’ banale, ma ci aiuta a capire: è estate, tempo di abbronzature, di tintarella. “Oggi mi metto al sole e mi abbronzo” si dice. Ma va’, non dire baggianate! Quello che tu puoi fare è metterti al sole, ma è il sole che ti abbronza, non tu. E’ Dio che ci trasfigura, fratelli, via via che noi gliene diamo l’occasione, l’opportunità. Quello che noi possiamo fare è stare davanti a Lui, in ascolto, come davanti al sole. Del resto ce l’ha detto Lui stesso oggi, nel vangelo: “Ecco il mio Figlio prediletto. Volete assomigliargli? Ascoltatelo!”. Che poi lui compaia trasfigurato tra Mosè ed Elia sta a dire che la Parola da ascoltare è quella della Bibbia, del vangelo: è da li che ci parla. Parola viva la sua, Parola che crea e trasforma… e che quando può entrare abitualmente nella vita di una persona, la trasfigura davvero.
Insomma, fratelli, è proprio una bella notizia questa Festa del 6 agosto e questo vangelo: noi siamo fatti per trasfigurarci, è un’esigenza che ci portiamo dentro, del resto. E grazie a Dio è possibile, a patto che passiamo da una religiosità di superficie a una relazione vera con Dio, da cristianesimo stazionario a una Fede che è ascesi, cioè cammino in salita con Gesù (non per nulla li portò su di un monte quei tre discepoli).
E tanto per non restare nel vago, impegniamoci a dare respiro, spazio, attenzione a quella che si chiama “spiritualità” (è la spiritualità che ci rende umani); cominciamo a curarci del motore che è in noi – cioè lo spirito! – più di quanto ci preoccupiamo della carrozzeria (il fisico, il corpo). E facciamolo con assiduità (perché senza assiduità non si ottiene nessujn risultato serio nella vita).
Prendiamoci il tempo per pregare, ad esempio, ma un pregare che non sia un dir su quattro formule biascicate; sia anzitutto “ascolto”: ascolto della Parola del Signore, cioè del vangelo in particolare. Mettersi davanti al Vangelo, ascoltarlo, meditarlo e pregare, è come aprire porte e finestre della vita all’azione dello Spirito Santo: è lui il vero sole che ci trasforma, anche nei giorni di nuvolo o di pioggia… e ci rende poco a poco sempre più simili a Gesù “il primogenito tra molti fratelli”! Niente sono le abbronzature più appariscenti in confronto a quella bella trasfigurazione che lo Spirito del Signore saprà operare in tutta la nostra persona!
Domenica 4 Agosto - Diciottesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Esodo 16,2-4.121-15; Efesini 4,17.20-24; 6,24-35
Ritengo che se uno non sa in che mondo vive, non è in grado di ascoltare e capire le Parole di Dio. Se uno non sente che aria tira nella società, quando si legge il vangelo è portato a pensare che si tratti di una vecchia storia: non è in grado di sentire Dio che parla oggi, adesso, per noi. E, per altro verso, può accadere che chi è immerso fino al collo in certe situazioni non sia in grado di accorgersi dell’aria che tira. Per strano che possa sembrare, non di rado occorre tirarsi fuori, prendere le distanze, per rendersi conto del clima reale che si respira, e verso dove si sta andando. Un monaco del nostro tempo (uno che - si direbbe - s’e’ tirato fuori dal mondo) ha pubblicato una sua diagnosi sul clima che regna al giorno d’oggi in questa nostra Europa. Si, è una diagnosi forse un po’ spietata, ma anche audace e fiduciosa nelle prospettive che presenta.
Ecco alcune espressioni: “Oggi è di moda rifugiarsi nell'indifferenza, percepita come una specie di salvagente in un mare che non si ha più il coraggio di attraversare. Si è perso il desiderio di lottare e di diventare responsabili della propria vita. Vivi e lascia vivere sembra l'unico atteggiamento condiviso dalla maggioranza. Il cartello più in vista è “non disturbare”. I valori sembrano tutti uguali senza più differenza fra valori importanti e secondari. La fedeltà per tutta la vita, per esempio, non sembra essere di casa più da nessuna parte. Ci si tuffa in mare con il salvagente e gli sport che attraggono di più sono quelli che garantiscono emozioni anche forti, ma con solide cinture di sicurezza, che permettono di far finta di aver rischiato la vita, senza averla esposta in fondo più di tanto… Indomma, assaggiare tutti i sapori possibili che può offrire la vita, compresi quelli più mistici e spirituali, senza lasciarsi prendere mai completamente da nessuno di essi; questa sembra essere la filosofia dominante".
Queste parole mi hanno richiamato quelle di Gesù, che abbiamo sentito nel Vangelo di oggi: "Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati...e adesso ne volete ancora. Procuratevi non il cibo che va a male ma quello che dura per la vita eterna".
Non si può dire che alla gente di oggi non interessi Gesù Cristo: sì, si interessa anche di Gesù Cristo, ma così...stando a una certa distanza; esattamente nel modo in cui "si interessa di tante altre cose, senza lasciarsi prendere mai completamente da nessuna di esse", come diceva quel monaco. Alla fin fine, sarà pur vero che l'Europa ha anche radici cristiane, ma la mentalità della gran parte degli europei di oggi ha più a che vedere con il paganesimo che con il vangelo... Questo, però, è ragionare stando sulle generali. C'è il fatto indiscutibile che di questa Europa facciamo parte anche noi; l'aria che circola la respiriamo, poco o tanto, tutti quanti. E allora siamo noi - proprio noi radunati in questa Eucaristia domenicale - che possiamo prenderci a cuore, e portarci a casa, le parole di San Paolo proclamate poco fa’: "Fratelli, attenzione! Non comportatevi come i pagani con i loro vani pensieri... Voi dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente!". Eh sì, ma...come si fa? Cosa vuol dire prendere le distanze dal paganesimo moderno e rinnovarci nello spirito della nostra mente?
La risposta è la stessa che da’ Gesù alla gente che gli chiede: "Cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?". È gente che si interessa anche di Dio, certamente, ma intanto segue Gesù solo perché ha fornito pane e pesce gratis... (là dove si distribuisce qualcosa gratis, si può star sicuri che ci saranno sempre folle che fanno la coda!). Fare qualcosa per Dio: ecco in cosa consiste la religiosità di certuni. Come se Dio fosse sempre lì ad aspettare che la gente faccia qualche cosa per lui! Ma Dio non ha bisogno delle prestazioni di nessuno! Dio aspetta soltanto di donarsi a noi: null'altro che questo sta a cuore a Dio. E vuole donarsi a noi perché sa che ne abbiamo estremo bisogno: senza di Lui, a cosa si riduce la vita se non a un episodio, oltretutto piuttosto insipido? Sembrerà drastica questa conclusione, ma non ce n’è un’altra, è così.
Se in queste domeniche Gesù ci parlerà di vita eterna - di pane di vita eterna - è per portarci proprio a questa convinzione: Dio è essenziale alla vita dell'uomo, tanto essenziale che senza di lui quella vita è un fallimento. Anzi, occorre aggiungere: è più essenziale perfino del pane quotidiano e del companatico!
Del resto Gesù oggi ce lo dice: "Procuratevi non il cibo che non dura, ma per quello che rimane per la vita eterna...". Vuol dire che il cibo che non dura, e per il quale (diciamo la verità!) ci preoccupiamo fin troppo, non ci basta nemmeno per cominciare. La riprova ce l'abbiamo proprio in questa nostra Europa, ricca di consumi e di beni, ma piuttosto povera di valori, di senso, di vita in una parola.
Cosa possiamo fare per Dio? chiedeva quella gente a Gesù. Possiamo riempire le chiese... una volta ogni tanto? fare qualche preghiera, qualche gesto, qualche iniziativa religiosa...una tantum?
Ecco cosa potete fare per Dio - risponde Gesù: credere in Colui che egli ha mandato! Cos'altro può volere Dio da noi se non che accogliamo suo Figlio dentro la nostra vita, e sperimentiamo di persona quanto è davvero prezioso questo dono? Cos'altro può volere Dio da noi?
Credere in Lui con tutta la docilità e la fiducia di cui è capace il nostro cuore; credere - direi - ciecamente, sì - perché ci ama, e porre perciò le sue parole prima di tutte le nostre parole, i suoi insegnamenti prima di tutte le nostre idee e opinioni: questo è credere! Il resto è religiosità che vale quel che vale, cioè poco alal fin fine!
"Io sono il pane della vita – ci dice oggi; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete!". La fame o la sete, fratelli, non è una sensazione leggera cui si può anche non badare. No, fame e sete si sentono: morsi ed arsura provocano.
Ebbene, non sia una sensazione e basta la nostra fede in Gesù. Abbia la stessa tensione della fame, della sete: solo allora si conosce Cristo, perché Lui è appunto PANE DI VITA e sorgente d’ACQUA VIVA.
Allora sì sarà possibile prendere le distanze dal paganesimo moderno e - come ci esorta a fare oggi San Paolo - rinnovarci nello spirito della nostra mente. E preghiamo in questa Messa perché non siano soltanto parole.
Le letture bibliche: Esodo 16,2-4.121-15; Efesini 4,17.20-24; 6,24-35
Ritengo che se uno non sa in che mondo vive, non è in grado di ascoltare e capire le Parole di Dio. Se uno non sente che aria tira nella società, quando si legge il vangelo è portato a pensare che si tratti di una vecchia storia: non è in grado di sentire Dio che parla oggi, adesso, per noi. E, per altro verso, può accadere che chi è immerso fino al collo in certe situazioni non sia in grado di accorgersi dell’aria che tira. Per strano che possa sembrare, non di rado occorre tirarsi fuori, prendere le distanze, per rendersi conto del clima reale che si respira, e verso dove si sta andando. Un monaco del nostro tempo (uno che - si direbbe - s’e’ tirato fuori dal mondo) ha pubblicato una sua diagnosi sul clima che regna al giorno d’oggi in questa nostra Europa. Si, è una diagnosi forse un po’ spietata, ma anche audace e fiduciosa nelle prospettive che presenta.
Ecco alcune espressioni: “Oggi è di moda rifugiarsi nell'indifferenza, percepita come una specie di salvagente in un mare che non si ha più il coraggio di attraversare. Si è perso il desiderio di lottare e di diventare responsabili della propria vita. Vivi e lascia vivere sembra l'unico atteggiamento condiviso dalla maggioranza. Il cartello più in vista è “non disturbare”. I valori sembrano tutti uguali senza più differenza fra valori importanti e secondari. La fedeltà per tutta la vita, per esempio, non sembra essere di casa più da nessuna parte. Ci si tuffa in mare con il salvagente e gli sport che attraggono di più sono quelli che garantiscono emozioni anche forti, ma con solide cinture di sicurezza, che permettono di far finta di aver rischiato la vita, senza averla esposta in fondo più di tanto… Indomma, assaggiare tutti i sapori possibili che può offrire la vita, compresi quelli più mistici e spirituali, senza lasciarsi prendere mai completamente da nessuno di essi; questa sembra essere la filosofia dominante".
Queste parole mi hanno richiamato quelle di Gesù, che abbiamo sentito nel Vangelo di oggi: "Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati...e adesso ne volete ancora. Procuratevi non il cibo che va a male ma quello che dura per la vita eterna".
Non si può dire che alla gente di oggi non interessi Gesù Cristo: sì, si interessa anche di Gesù Cristo, ma così...stando a una certa distanza; esattamente nel modo in cui "si interessa di tante altre cose, senza lasciarsi prendere mai completamente da nessuna di esse", come diceva quel monaco. Alla fin fine, sarà pur vero che l'Europa ha anche radici cristiane, ma la mentalità della gran parte degli europei di oggi ha più a che vedere con il paganesimo che con il vangelo... Questo, però, è ragionare stando sulle generali. C'è il fatto indiscutibile che di questa Europa facciamo parte anche noi; l'aria che circola la respiriamo, poco o tanto, tutti quanti. E allora siamo noi - proprio noi radunati in questa Eucaristia domenicale - che possiamo prenderci a cuore, e portarci a casa, le parole di San Paolo proclamate poco fa’: "Fratelli, attenzione! Non comportatevi come i pagani con i loro vani pensieri... Voi dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente!". Eh sì, ma...come si fa? Cosa vuol dire prendere le distanze dal paganesimo moderno e rinnovarci nello spirito della nostra mente?
La risposta è la stessa che da’ Gesù alla gente che gli chiede: "Cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?". È gente che si interessa anche di Dio, certamente, ma intanto segue Gesù solo perché ha fornito pane e pesce gratis... (là dove si distribuisce qualcosa gratis, si può star sicuri che ci saranno sempre folle che fanno la coda!). Fare qualcosa per Dio: ecco in cosa consiste la religiosità di certuni. Come se Dio fosse sempre lì ad aspettare che la gente faccia qualche cosa per lui! Ma Dio non ha bisogno delle prestazioni di nessuno! Dio aspetta soltanto di donarsi a noi: null'altro che questo sta a cuore a Dio. E vuole donarsi a noi perché sa che ne abbiamo estremo bisogno: senza di Lui, a cosa si riduce la vita se non a un episodio, oltretutto piuttosto insipido? Sembrerà drastica questa conclusione, ma non ce n’è un’altra, è così.
Se in queste domeniche Gesù ci parlerà di vita eterna - di pane di vita eterna - è per portarci proprio a questa convinzione: Dio è essenziale alla vita dell'uomo, tanto essenziale che senza di lui quella vita è un fallimento. Anzi, occorre aggiungere: è più essenziale perfino del pane quotidiano e del companatico!
Del resto Gesù oggi ce lo dice: "Procuratevi non il cibo che non dura, ma per quello che rimane per la vita eterna...". Vuol dire che il cibo che non dura, e per il quale (diciamo la verità!) ci preoccupiamo fin troppo, non ci basta nemmeno per cominciare. La riprova ce l'abbiamo proprio in questa nostra Europa, ricca di consumi e di beni, ma piuttosto povera di valori, di senso, di vita in una parola.
Cosa possiamo fare per Dio? chiedeva quella gente a Gesù. Possiamo riempire le chiese... una volta ogni tanto? fare qualche preghiera, qualche gesto, qualche iniziativa religiosa...una tantum?
Ecco cosa potete fare per Dio - risponde Gesù: credere in Colui che egli ha mandato! Cos'altro può volere Dio da noi se non che accogliamo suo Figlio dentro la nostra vita, e sperimentiamo di persona quanto è davvero prezioso questo dono? Cos'altro può volere Dio da noi?
Credere in Lui con tutta la docilità e la fiducia di cui è capace il nostro cuore; credere - direi - ciecamente, sì - perché ci ama, e porre perciò le sue parole prima di tutte le nostre parole, i suoi insegnamenti prima di tutte le nostre idee e opinioni: questo è credere! Il resto è religiosità che vale quel che vale, cioè poco alal fin fine!
"Io sono il pane della vita – ci dice oggi; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete!". La fame o la sete, fratelli, non è una sensazione leggera cui si può anche non badare. No, fame e sete si sentono: morsi ed arsura provocano.
Ebbene, non sia una sensazione e basta la nostra fede in Gesù. Abbia la stessa tensione della fame, della sete: solo allora si conosce Cristo, perché Lui è appunto PANE DI VITA e sorgente d’ACQUA VIVA.
Allora sì sarà possibile prendere le distanze dal paganesimo moderno e - come ci esorta a fare oggi San Paolo - rinnovarci nello spirito della nostra mente. E preghiamo in questa Messa perché non siano soltanto parole.
Domenica 28 Luglio - Diciasettesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: 2Re 4,42-44; Efesini 4,1-6; Giovanni 6,1-15
Tempo di ferie questo (almeno per chi le può fare). Del resto, è un diritto più che legittimo per chi lavora tutto l’anno dalla mattina alla sera.
Dio però non va mai in ferie, e Gesù Cristo nemmeno: “Il Padre mio opera sempre – afferma nel vangelo (Gv 5,17) – e io opero insieme a lui”. Di fonte alle attese e alle miserie degli uomini Dio non può permettersi di riposare. Ne abbiamo avuto diverse prove nei vangeli di queste Domeniche: è sensibile, straordinariamente sensibile Gesù Cristo. Lo è di fronte a una donna che gli tocca di nascosto l’orlo del mantello per essere guarita, e lui se n’accorge e la risana. Sensibile nei confronti di un papà disperato perché la sua bambina sta morendo. Sensibile anche nei riguardi degli apostoli che tornano stanchi dalla missione: “Venite in disparte e riposatevi un po’”. E si commuove di fronte alle folle che lo seguono perché si tratta di povera gente: pecore senza pastore. E se ne preoccupa anche perché hanno fame e teme che, rientrando a casa, vengano meno per strada. No, Gesù Cristo non va in ferie, non chiude gli occhi o il cuore di fronte alle attese degli uomini, mai: né allora né oggi.
Come farà a rispondere alle attese di oggi? Alla fame che attanaglia intere moltitudini? Dove lo troverà il pane?
Perché quando si parla di fame e di pane non ci si riferisce solo allo stomaco: fame è la somma di tutte le attese urgenti d’ogni persona e pane è ciò che risponde davvero a quelle attese.
Fame è l’esperienza di troppi Paesi condannati a un impoverimento progressivo, di troppe famiglie ridotte sul lastrico per mancanza di lavoro, di popolazioni che fuggono da dittature oppressive o da regimi sanguinari…
Ma fame è anche quell’inquietudine subdola che dilaga nei nostri Paesi: il bisogno di dare un senso alla vita, che rode nell’intimo di molti giovani e adulti (e che cercano troppo spesso di placare ingozzandosi di surrogati che riempiono ma non saziano); il bisogno di fiducia, di sicurezza, di sentirsi accolti anziché rifiutati o esclusi; la necessità di essere riconosciuti, stimati, amati in una parola.
Come farà Gesù Cristo a rispondere a queste molteplici espressioni di fame? “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?” chiede a Filippo, uno degli apostoli. Gli apostoli erano persone come noi, dotati di senso pratico, perciò trovarono una soluzione “facile” che consentiva loro di non sporcarsi le mani: “Congèdali…” (rispondono) cioè: mandali a casa tutti quanti, che s’arrangino… “Eh, insomma, che c’entriamo noi con i problemi del Terzo Mondo? Con le popolazioni che scappano dall’oppressione, dalle violenze o dalla miseria più nera? Cosa possiamo fare noi se i giovani si stordiscono o si drogano? Se quella coppia non riesce più a stare assieme? Se quell’anziano si chiude sempre più nel suo guscio: che ci possiamo fare?”…
“Congèdali, Signore: che s’arrangino!”. Già, ecco le soluzioni comode che non risolvono niente.
Solo che Gesù Cristo non le condivide affatto e dice: “Voi stessi date loro da mangiare” (così leggiamo, ad esempio, nel vangelo di Matteo: 14,16).
Ma come, Signore? Cosa possiamo fare noi?
“C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci, ma cos’è questo per tanta gente?”. Pani d’orzo del resto, cioè pane da poveri. Ma io non credo che quel ragazzo fosse l’unico ad avere con sé qualcosa da mangiare, però era un ragazzo: non aveva la malizia di nascondere quel poco che s’era portato nella saccoccia. Poco, certamente, e gli sputasentenze non si trattengono dal commentare: ““Cos’è mai
questo poco per così tanta gente?”.
Però Gesù Cristo non è qui per niente. Quando affermiamo che è presente in mezzo a noi proprio in questo mondo d’oggi, non è una solenne sparata che facciamo, fratelli: è presente davvero, con tutta la sua forza di risorto. E’ lui in fondo il pane vero (ce lo ricorderà e ce lo ripeterà nelle prossime domeniche), è lui il primo che si dona, che si fa pane. E in sintonia con lui – e sui suoi passi – il poco degli uni si somma a quello degli altri. Il nostro poco, con Gesù Cristo, si moltiplica. È solo allora che ce n’è per tutti.
Questo è un ambito nel quale la matematica non funziona più: in matematica, più una cosa la si divide, più rimpicciolisce e meno ne rimane… Con Cristo accade esattamente il contrario: più la si divide e più ce n’è, si moltiplica: “…riempirono dodici canestri con i pezzi avanzati dei cinque pani d’orzo”.
Il miracolo – se di miracolo si tratta – non va attribuito unicamente alla potenza di Cristo: questa, infatti, non viene mai meno. Lui è sempre tra noi. Ma quella potenza non “opera” fin quando noi non gli mettiamo a disposizione quel poco che abbiamo o che siamo. Ecco l’altro risvolto del miracolo. E questo è di nostra competenza.
Credo che i tempi in cui viviamo, e quelli del prossimo futuro, ci riservino molte occasioni per fare la nostra parte in questo miracolo. Certo, se il mondo con tutte le sue risorse è come una torta, occorrerà dividere in molte più fette questa torta (che Dio ha confezionato non solo per alcuni ma per tutti, del resto), e – credetelo, fratelli - sarebbe molto più dignitoso farlo di nostra spontanea volontà, cioè per amore, piuttosto che doverlo fare per costrizione.
Perché, allora, non esercitarci più spesso in questo tirocinio della condivisione, della disponibilità? Perché non mettere a disposizione di Gesù Cristo quel poco che abbiamo e che siamo? Con qualche gesto ogni giorno, nelle occasioni più normali e ordinarie: è uno stile di vita cui educarci questo, non viene da sé.
Solo allora il pane basterà per tutti. Quel pane che non di rado anche al giorno d’oggi finisce ammuffito nei cassonetti delle immondizie, torneremo a gustarlo anche noi…
Insomma, sì: con Cristo anche noi possiamo fare miracoli. Egli del resto è qui anche oggi, in questa Eucaristia, con la sua potenza di risorto. Attende quei cinque pani e due pesci che ognuno può mettergli a disposizione.
E’ a questa condizione infatti che avvengono certi prodigi e si risolvono certi problemi che paiono insolubili.
Solo a questa condizione.
Le letture bibliche: 2Re 4,42-44; Efesini 4,1-6; Giovanni 6,1-15
Tempo di ferie questo (almeno per chi le può fare). Del resto, è un diritto più che legittimo per chi lavora tutto l’anno dalla mattina alla sera.
Dio però non va mai in ferie, e Gesù Cristo nemmeno: “Il Padre mio opera sempre – afferma nel vangelo (Gv 5,17) – e io opero insieme a lui”. Di fonte alle attese e alle miserie degli uomini Dio non può permettersi di riposare. Ne abbiamo avuto diverse prove nei vangeli di queste Domeniche: è sensibile, straordinariamente sensibile Gesù Cristo. Lo è di fronte a una donna che gli tocca di nascosto l’orlo del mantello per essere guarita, e lui se n’accorge e la risana. Sensibile nei confronti di un papà disperato perché la sua bambina sta morendo. Sensibile anche nei riguardi degli apostoli che tornano stanchi dalla missione: “Venite in disparte e riposatevi un po’”. E si commuove di fronte alle folle che lo seguono perché si tratta di povera gente: pecore senza pastore. E se ne preoccupa anche perché hanno fame e teme che, rientrando a casa, vengano meno per strada. No, Gesù Cristo non va in ferie, non chiude gli occhi o il cuore di fronte alle attese degli uomini, mai: né allora né oggi.
Come farà a rispondere alle attese di oggi? Alla fame che attanaglia intere moltitudini? Dove lo troverà il pane?
Perché quando si parla di fame e di pane non ci si riferisce solo allo stomaco: fame è la somma di tutte le attese urgenti d’ogni persona e pane è ciò che risponde davvero a quelle attese.
Fame è l’esperienza di troppi Paesi condannati a un impoverimento progressivo, di troppe famiglie ridotte sul lastrico per mancanza di lavoro, di popolazioni che fuggono da dittature oppressive o da regimi sanguinari…
Ma fame è anche quell’inquietudine subdola che dilaga nei nostri Paesi: il bisogno di dare un senso alla vita, che rode nell’intimo di molti giovani e adulti (e che cercano troppo spesso di placare ingozzandosi di surrogati che riempiono ma non saziano); il bisogno di fiducia, di sicurezza, di sentirsi accolti anziché rifiutati o esclusi; la necessità di essere riconosciuti, stimati, amati in una parola.
Come farà Gesù Cristo a rispondere a queste molteplici espressioni di fame? “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?” chiede a Filippo, uno degli apostoli. Gli apostoli erano persone come noi, dotati di senso pratico, perciò trovarono una soluzione “facile” che consentiva loro di non sporcarsi le mani: “Congèdali…” (rispondono) cioè: mandali a casa tutti quanti, che s’arrangino… “Eh, insomma, che c’entriamo noi con i problemi del Terzo Mondo? Con le popolazioni che scappano dall’oppressione, dalle violenze o dalla miseria più nera? Cosa possiamo fare noi se i giovani si stordiscono o si drogano? Se quella coppia non riesce più a stare assieme? Se quell’anziano si chiude sempre più nel suo guscio: che ci possiamo fare?”…
“Congèdali, Signore: che s’arrangino!”. Già, ecco le soluzioni comode che non risolvono niente.
Solo che Gesù Cristo non le condivide affatto e dice: “Voi stessi date loro da mangiare” (così leggiamo, ad esempio, nel vangelo di Matteo: 14,16).
Ma come, Signore? Cosa possiamo fare noi?
“C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci, ma cos’è questo per tanta gente?”. Pani d’orzo del resto, cioè pane da poveri. Ma io non credo che quel ragazzo fosse l’unico ad avere con sé qualcosa da mangiare, però era un ragazzo: non aveva la malizia di nascondere quel poco che s’era portato nella saccoccia. Poco, certamente, e gli sputasentenze non si trattengono dal commentare: ““Cos’è mai
questo poco per così tanta gente?”.
Però Gesù Cristo non è qui per niente. Quando affermiamo che è presente in mezzo a noi proprio in questo mondo d’oggi, non è una solenne sparata che facciamo, fratelli: è presente davvero, con tutta la sua forza di risorto. E’ lui in fondo il pane vero (ce lo ricorderà e ce lo ripeterà nelle prossime domeniche), è lui il primo che si dona, che si fa pane. E in sintonia con lui – e sui suoi passi – il poco degli uni si somma a quello degli altri. Il nostro poco, con Gesù Cristo, si moltiplica. È solo allora che ce n’è per tutti.
Questo è un ambito nel quale la matematica non funziona più: in matematica, più una cosa la si divide, più rimpicciolisce e meno ne rimane… Con Cristo accade esattamente il contrario: più la si divide e più ce n’è, si moltiplica: “…riempirono dodici canestri con i pezzi avanzati dei cinque pani d’orzo”.
Il miracolo – se di miracolo si tratta – non va attribuito unicamente alla potenza di Cristo: questa, infatti, non viene mai meno. Lui è sempre tra noi. Ma quella potenza non “opera” fin quando noi non gli mettiamo a disposizione quel poco che abbiamo o che siamo. Ecco l’altro risvolto del miracolo. E questo è di nostra competenza.
Credo che i tempi in cui viviamo, e quelli del prossimo futuro, ci riservino molte occasioni per fare la nostra parte in questo miracolo. Certo, se il mondo con tutte le sue risorse è come una torta, occorrerà dividere in molte più fette questa torta (che Dio ha confezionato non solo per alcuni ma per tutti, del resto), e – credetelo, fratelli - sarebbe molto più dignitoso farlo di nostra spontanea volontà, cioè per amore, piuttosto che doverlo fare per costrizione.
Perché, allora, non esercitarci più spesso in questo tirocinio della condivisione, della disponibilità? Perché non mettere a disposizione di Gesù Cristo quel poco che abbiamo e che siamo? Con qualche gesto ogni giorno, nelle occasioni più normali e ordinarie: è uno stile di vita cui educarci questo, non viene da sé.
Solo allora il pane basterà per tutti. Quel pane che non di rado anche al giorno d’oggi finisce ammuffito nei cassonetti delle immondizie, torneremo a gustarlo anche noi…
Insomma, sì: con Cristo anche noi possiamo fare miracoli. Egli del resto è qui anche oggi, in questa Eucaristia, con la sua potenza di risorto. Attende quei cinque pani e due pesci che ognuno può mettergli a disposizione.
E’ a questa condizione infatti che avvengono certi prodigi e si risolvono certi problemi che paiono insolubili.
Solo a questa condizione.
Domenica 21 Luglio - Sedicesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Geremia 23,1-6; Efesini 2,13-18; Marco 6,30-34
Lo sappiamo da sempre, la nostra vita è fatta di diverse esperienze: c’è il lavoro, c’è il riposo, c’è la mensa, e c’è lo svago. Si direbbe che lo sa anche Gesù, il Figlio di quel Dio che ci ha creati: aveva chiesto ai suoi apostoli di dargli una mano, di andare in giro per città e villaggi ad annunciare anche loro la bella notizia, il vangelo… Se ne tornano entusiasti e stanchi, e lui – che sa cosa vuol dire stancarsi – li invita a prendersi un po’ di riposo: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’…”. Non ha detto : Andate, no: “Venite”, perché c’era anche Lui insieme a loro, anche lui bisognoso di riposo come loro.
Ecco, fratelli, penso che queste parole, questo invito, è il buon motivo che ci induce a partecipare alla Messa la Domenica… cosa significa infatti partecipare all’Eucaristia, alla Messa domenicale, se non mettere da parte gli affanni e i pensieri della settimana e andare un po’ in disparte con il Signore? Non è forse vero che da questa partecipazione - convinta e attiva ovviamente - si esce ogni volta ristorati? Sì, la vita è fatta di lavoro, di impegni da assolvere, di prestazioni che ci vengono richieste, ma deve essere fatta anche di riposo, di ristoro. E per noi cristiani non c’è vero ristoro se non c’è anche lui con noi: Gesù Cristo; infatti, l’ha detto espressamente: “Venite a me voi che siete affaticati e stanchi: io vi darò ristoro…”.
Un cristiano, come ogni altra persona, ha diritto di riposare e di fare le sue ferie; ma il cristiano, a differenza di ogni altra persona, proprio nel riposo e nel far vacanze cerca anche la compagnia di Gesù, il ristoro che solo lui sa dare: lo può trovare nell’ombra di una chiesa dove si ferma un po’ a riflettere, o in una passeggiata in montagna dove lascia che parlino le creature che vede sui suoi passi…ma lo trova , e soprattutto, alla Messa domenicale, magari in una Comunità diversa da quella cui appartiene…
Sono diversi i modi di lasciarsi ristorare dal Signore, ma è certo – fratelli – che se noi cristiani, quando ci prendiamo riposo o andiamo in vacanze, non ci curiamo di ristorare anche il nostro spirito, ce ne torniamo a casa stressati così come eravamo partiti, o forse addirittura più fiacchi di prima (sì, perché ci sono certi modi di far vacanze che stancano più del lavoro e degli straordinari…).
Noi non siamo macchine, alle quali basta fermarsi di tanto in tanto per lasciar raffreddare il motore. La società, la vita che facciamo, la cultura in cui viviamo, vorrebbero ridurci a macchine, o a esseri umani privi di spirito, ma noi siamo discepoli di Gesù Cristo e riconosciamo solo lui come Pastore.
Non per niente si parla di pecore e di pastori qui oggi nelle letture che sono state fatte. Se ne parla anzitutto con un linguaggio minaccioso (era la prima lettura). Per bocca del profeta Geremia è Dio che parla e dice: «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il mio gregge… Guai! Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati. Io vi punirò per la malvagità delle vostre opere”. Pastori – nella Bibbia – son tutti coloro che si mettono a capo della convivenza civile… Migliaia di anni fa’, accadeva spesso che quei tali si preoccupavano di fare i loro interessi anziché curarsi davvero del bene di tutti…
Allora, dico, cioè migliaia di anni fa’… Oggi, nel 21° secolo non accade più come sapete: oggi i responsabili dei popoli sono tutti personaggi integerrimi, generosi, attenti ai bisogni delle persone, disinteressati, solleciti, sensibili… peccato che non abbiamo abbastanza chiese e altari per metterceli su e bruciare davanti a loro le nostre candeline… ma è meglio così, perché potrebbe accadere che invece che le candeline magari finiremmo col bruciare loro stessi… Pastori questi? Dio ce ne liberi.
Non siamo macchine, dicevo, siamo persone umane: abbiamo bisogno di qualcuno che si prenda davvero a cuore la nostra vita, cioè di un Pastore come Dio comanda. Dove lo troveremo? Oggi il Vangelo ci ha detto che Gesù Cristo si accorge quando i suoi sono stanchi, è sensibile, e li invita a riposare con lui. Domenica prossima ci riferirà che è sensibile anche alla fame delle folle che lo seguono e si preoccupa perché nessuno venga meno per strada quando se ne tornerà a casa… Dove lo troviamo un Pastore così umano e attento alle nostre reali esigenze? Dove?
“Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose”. Ah, qui si va ben aldilà delle pecore: qui si tratta di persone che hanno bisogno di buoni motivi per vivere, per tirare ogni giorno la carretta; è lo spirito qui che deperisce: e Gesù lo cura, lo alimenta, con parole che vengono da Dio… Perché - lo dovremmo sapere tutti ormai e per esperienza - non si vive solo di frigorifero e di supermercato, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.
Fratelli, non cadiamo nell’ingenuità di pensare che ci basta il cibo per lo stomaco (cucinato bene ovviamente), un po’ di divertimento per il tempo libero, e un buon posto per fare le vacanze… Non cadiamo nell’ingenuità di pensare che basti questo per ritrovarci ristorati e pronti ad affrontare la vita. Saremmo come quelle folle per le quali Gesù si commosse perché sembravano pecore allo sbando… Noi abbiamo bisogno di un Pastore che si prenda cura di tutta la nostra persona: Gesù è questo pastore. Diamogli fiducia: il suo Vangelo è una scuola che non invecchia mai, perché ci insegna vivere.
Ai personaggi che tornano noiosamente tutti i giorni sulle prime pagine dei giornali o sugli schermi televisivi, riserviamo pure una qualche attenzione; quanto a fiducia, sia critica, parziale, mai piena, se non vogliamo ritrovarci delusi prima o poi. Ma con Gesù, quale nostro pastore, è totalmente diverso: a lui possiamo dare la nostra fiducia totale, incondizionata: l’ha pagata con la sua vita. Chi altri ha mai fatto altrettanto per noi? Lui non ci prende in giro. Ne siamo certi. Tutta la sua persona trasuda tenerezza, sensibilità, umanità!
Di cosa abbiamo bisogno noi, di cosa ha fame e sete il mondo d’oggi, se non proprio di questo?
Le letture bibliche: Geremia 23,1-6; Efesini 2,13-18; Marco 6,30-34
Lo sappiamo da sempre, la nostra vita è fatta di diverse esperienze: c’è il lavoro, c’è il riposo, c’è la mensa, e c’è lo svago. Si direbbe che lo sa anche Gesù, il Figlio di quel Dio che ci ha creati: aveva chiesto ai suoi apostoli di dargli una mano, di andare in giro per città e villaggi ad annunciare anche loro la bella notizia, il vangelo… Se ne tornano entusiasti e stanchi, e lui – che sa cosa vuol dire stancarsi – li invita a prendersi un po’ di riposo: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’…”. Non ha detto : Andate, no: “Venite”, perché c’era anche Lui insieme a loro, anche lui bisognoso di riposo come loro.
Ecco, fratelli, penso che queste parole, questo invito, è il buon motivo che ci induce a partecipare alla Messa la Domenica… cosa significa infatti partecipare all’Eucaristia, alla Messa domenicale, se non mettere da parte gli affanni e i pensieri della settimana e andare un po’ in disparte con il Signore? Non è forse vero che da questa partecipazione - convinta e attiva ovviamente - si esce ogni volta ristorati? Sì, la vita è fatta di lavoro, di impegni da assolvere, di prestazioni che ci vengono richieste, ma deve essere fatta anche di riposo, di ristoro. E per noi cristiani non c’è vero ristoro se non c’è anche lui con noi: Gesù Cristo; infatti, l’ha detto espressamente: “Venite a me voi che siete affaticati e stanchi: io vi darò ristoro…”.
Un cristiano, come ogni altra persona, ha diritto di riposare e di fare le sue ferie; ma il cristiano, a differenza di ogni altra persona, proprio nel riposo e nel far vacanze cerca anche la compagnia di Gesù, il ristoro che solo lui sa dare: lo può trovare nell’ombra di una chiesa dove si ferma un po’ a riflettere, o in una passeggiata in montagna dove lascia che parlino le creature che vede sui suoi passi…ma lo trova , e soprattutto, alla Messa domenicale, magari in una Comunità diversa da quella cui appartiene…
Sono diversi i modi di lasciarsi ristorare dal Signore, ma è certo – fratelli – che se noi cristiani, quando ci prendiamo riposo o andiamo in vacanze, non ci curiamo di ristorare anche il nostro spirito, ce ne torniamo a casa stressati così come eravamo partiti, o forse addirittura più fiacchi di prima (sì, perché ci sono certi modi di far vacanze che stancano più del lavoro e degli straordinari…).
Noi non siamo macchine, alle quali basta fermarsi di tanto in tanto per lasciar raffreddare il motore. La società, la vita che facciamo, la cultura in cui viviamo, vorrebbero ridurci a macchine, o a esseri umani privi di spirito, ma noi siamo discepoli di Gesù Cristo e riconosciamo solo lui come Pastore.
Non per niente si parla di pecore e di pastori qui oggi nelle letture che sono state fatte. Se ne parla anzitutto con un linguaggio minaccioso (era la prima lettura). Per bocca del profeta Geremia è Dio che parla e dice: «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il mio gregge… Guai! Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati. Io vi punirò per la malvagità delle vostre opere”. Pastori – nella Bibbia – son tutti coloro che si mettono a capo della convivenza civile… Migliaia di anni fa’, accadeva spesso che quei tali si preoccupavano di fare i loro interessi anziché curarsi davvero del bene di tutti…
Allora, dico, cioè migliaia di anni fa’… Oggi, nel 21° secolo non accade più come sapete: oggi i responsabili dei popoli sono tutti personaggi integerrimi, generosi, attenti ai bisogni delle persone, disinteressati, solleciti, sensibili… peccato che non abbiamo abbastanza chiese e altari per metterceli su e bruciare davanti a loro le nostre candeline… ma è meglio così, perché potrebbe accadere che invece che le candeline magari finiremmo col bruciare loro stessi… Pastori questi? Dio ce ne liberi.
Non siamo macchine, dicevo, siamo persone umane: abbiamo bisogno di qualcuno che si prenda davvero a cuore la nostra vita, cioè di un Pastore come Dio comanda. Dove lo troveremo? Oggi il Vangelo ci ha detto che Gesù Cristo si accorge quando i suoi sono stanchi, è sensibile, e li invita a riposare con lui. Domenica prossima ci riferirà che è sensibile anche alla fame delle folle che lo seguono e si preoccupa perché nessuno venga meno per strada quando se ne tornerà a casa… Dove lo troviamo un Pastore così umano e attento alle nostre reali esigenze? Dove?
“Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose”. Ah, qui si va ben aldilà delle pecore: qui si tratta di persone che hanno bisogno di buoni motivi per vivere, per tirare ogni giorno la carretta; è lo spirito qui che deperisce: e Gesù lo cura, lo alimenta, con parole che vengono da Dio… Perché - lo dovremmo sapere tutti ormai e per esperienza - non si vive solo di frigorifero e di supermercato, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.
Fratelli, non cadiamo nell’ingenuità di pensare che ci basta il cibo per lo stomaco (cucinato bene ovviamente), un po’ di divertimento per il tempo libero, e un buon posto per fare le vacanze… Non cadiamo nell’ingenuità di pensare che basti questo per ritrovarci ristorati e pronti ad affrontare la vita. Saremmo come quelle folle per le quali Gesù si commosse perché sembravano pecore allo sbando… Noi abbiamo bisogno di un Pastore che si prenda cura di tutta la nostra persona: Gesù è questo pastore. Diamogli fiducia: il suo Vangelo è una scuola che non invecchia mai, perché ci insegna vivere.
Ai personaggi che tornano noiosamente tutti i giorni sulle prime pagine dei giornali o sugli schermi televisivi, riserviamo pure una qualche attenzione; quanto a fiducia, sia critica, parziale, mai piena, se non vogliamo ritrovarci delusi prima o poi. Ma con Gesù, quale nostro pastore, è totalmente diverso: a lui possiamo dare la nostra fiducia totale, incondizionata: l’ha pagata con la sua vita. Chi altri ha mai fatto altrettanto per noi? Lui non ci prende in giro. Ne siamo certi. Tutta la sua persona trasuda tenerezza, sensibilità, umanità!
Di cosa abbiamo bisogno noi, di cosa ha fame e sete il mondo d’oggi, se non proprio di questo?
Domenica 14 Luglio - Quindicesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Amos 7,12-15; Efesini 1,3-10; Marco 6,7-13
Chi è così distratto da affrontare un viaggio di più giorni senza portarsi appresso un bagaglio, per quanto sobrio ed essenziale, e soprattutto una somma di denaro (o una carta di credito), per far fronte alle spese? Chi è così irresponsabile da non farlo?
Gesù ordinò ai Dodici di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né bagaglio, né denaro…Solo i sandali e il vestito che avevano addosso. Ma è sensato dare un ordine di questo genere a chi parte per un viaggio? Chi viaggia così, o è un imprudente, o è uno che è motivato da un’urgenza tale che non può pensare a nient’altro… Uno che scappa, ad esempio: eh, quel tale non ha tempo da portarsi dietro tutto l’arredamento e il guardaroba… Eh, no. Scappare, mettersi in salvo è l’unica preoccupazione per lui.
Ma allora cerchiamo di capire perché Gesù Cristo da’ ai suoi un ordine come questo.
Vedete, fratelli: noi cristiani, quando perdiamo di vista che siamo cristiani, oscilliamo tra due estremi:
- quello della presunzione, per cui ci diamo delle arie e, pur nel nostro piccolo, pensiamo di essere chissà chi…
- e quello dell’abbattimento o scoraggiamento, che ci porta ad avere di noi stessi una totale sfiducia…
Gran parte dei nostri peccati (gravi o leggeri che siano) li facciamo quando ci barcameniamo tra questi due estremi: presunzione o scoraggiamento. Per cui, se io oggi (come penso faranno tutti i preti che predicano questo vangelo), vi dico: “guardate che quei Dodici rappresentano tutti noi… adesso siamo noi coloro che il Signore manda ad annunciare, in un modo o nell’altro, il suo vangelo”… io – e tutti preti che dicono così – rischiamo di essere guardati come degli alieni. E chi ci ascolta può pensare: “Ma figurati se Gesù Cristo deve mandare proprio me… E chi sono io perché mi debba prendere in considerazione? E poi… io ho ben altro da fare nella mia vita, altro cui pensare ogni giorno…”.
Ecco ciò che capita, fratelli, quando perdiamo la coscienza di chi siamo. Ma poi… sappiamo davvero chi siamo?
Oh non occorre fare chissà quali elucubrazioni narcisistiche, quel pezzo di lettera di San Paolo ai cristiani di Efeso che abbiamo ascoltato qualche minuto fa’, ci ha rimesso davanti agli occhi i dati essenziali della nostra identità. Chi siamo precisamente?
Coloro che “Dio, il Padre, ha benedetto con ogni benedizione”: in altre parole, ci ha pensati, “scelti” dice Paolo, prima della creazione del mondo: altro che frutto del caso! è dall’eternità che Dio, nostro Padre, ci ha pensati e scelti… E per quale motivo? Per fare di ognuno di noi un figlio suo, unico e irripetibile com’è ogni figlio; perché potessimo vivere nella sua familiarità, santi e immacolati nell’amore. E se per caso – dato che ci ha creati liberi – decidiamo di mandare in frantumi questo stupendo progetto, ha previsto anche questa eventualità: nel suo Figlio Gesù ci ha donato la redenzione, la remissione dei peccati, che è come dire: la possibilità di ricomporre quel progetto e di realizzarlo. Con Dio, nulla e nessuno è mai perduto per sempre. Parlava proprio di progetto Paolo nella sua lettera.
Gesù in effetti ci ha fatto comprendere il progetto che Dio ha su tutto questo mondo, su tutta l’umanità: sì, è caos (e lo vediamo), è disordine il mondo (e lo constatiamo), ma sarà comunque ricapitolato in Cristo, tutto… E allora tutto troverà un senso.
Ci ha fatto anche eredi: eredi della sua vita senza limiti né ombre, nella gioia. E senza fine. E a conferma di tutto questo – a sigillo di tutto questo dice Paolo – ci ha dato il suo Spirito, lo Spirito Santo, come una caparra, in attesa che tutto il progetto si realizzi in pienezza.
Ecco chi siamo noi cristiani. Ecco perché non c’è né titolo né compenso a questo mondo che si possa paragonare a questa dignità: questa, e solo questa, è la nostra vera ricchezza che nulla e nessuno può portarci via, neanche la morte. Le altre ricchezze, poche o tante che siano, non potranno accompagnarci sempre: all’ultima frontiera non passeranno.
A differenza di quei primi credenti ai quali Paolo si rivolgeva, noi probabilmente ci pensiamo poco, sappiamo valutare poco quest’unica vera ricchezza. E sì che quei cristiani di Efeso, ai quali l’apostolo scriveva, erano quattro gatti… dispersi in un mare di paganesimo che era la fiera permanente delle stravaganze: cosa possono fare quei pochi se non contar poco o niente in un ambiente così… Eppure, nonostante questo, anche se non rappresentavano affatto la crème della società di allora, quei cristiani erano così consapevoli della loro dignità che la lasciavano trasparire del tutto spontaneamente: nelle parole, nelle relazioni, negli atteggiamenti, nello stile di vita… Tanto che il Cristianesimo grazie anche a loro, poco per volta, si diffuse dappertutto: nelle culture, nelle razze, nelle classi sociali…No, non è stato merito di persone colte, di gente di prestigio… macché! Tutto è partito da alcuni pescatori che han saputo stare al gioco di Dio. Poi altri, della stessa estrazione sociale, si son lasciati coinvolgere. E un po’ alla volta accadde che quel mare di paganesimo non era più fatto di solo paganesimo.
Oggi però il cammino della storia ci ha riservato un nuovo paganesimo, proprio nella nostra civiltà occidentale che a volte osa definirsi ancora cristiana ma che cristiana in gran parte non è più. Come comportarci, in questo contesto? Sì, perché – prendetela pure come una provocazione, se volete – ma guardate che resta vera lo stesso: il Signore oggi manda noi per le strade del nuovo paganesimo; tocca a noi portare la bella notizia che Dio non ha voltato le spalle a questo mondo, la notizia della sua presenza tra noi, del suo amore per ogni persona… Come potremo svolgere questo compito, questa missione? Con strategie, mezzi, qualità o competenze, che magari non abbiamo?
Macchè… “Non prendete nulla per il viaggio: né pane, né sacca, né denaro … Solo un bastone”.
Per me quel bastone di appoggio è la Parola di Dio, ma credo che dovrebbe esserlo per noi tutti: ogni giorno ci occorre quel bastone (se non vogliamo soccombere come cristiani). E per il resto, portiamo solo noi stessi, non come degli smemorati, ma con la coscienza viva di chi siamo: quella coscienza che oggi san Paolo ci ha rinfrescato. Possiamo e dobbiamo essere audacemente convinti della nostra identità cristiana, non presuntuosi, fanatici o intolleranti, no… ma audacemente convinti sì. E la testimonianza verrà da sé: il Signore non resterà deluso per averci inviato ad annunciare – nel modo in cui ciascuno è capace - la bella notizia del suo vangelo.
Le letture bibliche: Amos 7,12-15; Efesini 1,3-10; Marco 6,7-13
Chi è così distratto da affrontare un viaggio di più giorni senza portarsi appresso un bagaglio, per quanto sobrio ed essenziale, e soprattutto una somma di denaro (o una carta di credito), per far fronte alle spese? Chi è così irresponsabile da non farlo?
Gesù ordinò ai Dodici di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né bagaglio, né denaro…Solo i sandali e il vestito che avevano addosso. Ma è sensato dare un ordine di questo genere a chi parte per un viaggio? Chi viaggia così, o è un imprudente, o è uno che è motivato da un’urgenza tale che non può pensare a nient’altro… Uno che scappa, ad esempio: eh, quel tale non ha tempo da portarsi dietro tutto l’arredamento e il guardaroba… Eh, no. Scappare, mettersi in salvo è l’unica preoccupazione per lui.
Ma allora cerchiamo di capire perché Gesù Cristo da’ ai suoi un ordine come questo.
Vedete, fratelli: noi cristiani, quando perdiamo di vista che siamo cristiani, oscilliamo tra due estremi:
- quello della presunzione, per cui ci diamo delle arie e, pur nel nostro piccolo, pensiamo di essere chissà chi…
- e quello dell’abbattimento o scoraggiamento, che ci porta ad avere di noi stessi una totale sfiducia…
Gran parte dei nostri peccati (gravi o leggeri che siano) li facciamo quando ci barcameniamo tra questi due estremi: presunzione o scoraggiamento. Per cui, se io oggi (come penso faranno tutti i preti che predicano questo vangelo), vi dico: “guardate che quei Dodici rappresentano tutti noi… adesso siamo noi coloro che il Signore manda ad annunciare, in un modo o nell’altro, il suo vangelo”… io – e tutti preti che dicono così – rischiamo di essere guardati come degli alieni. E chi ci ascolta può pensare: “Ma figurati se Gesù Cristo deve mandare proprio me… E chi sono io perché mi debba prendere in considerazione? E poi… io ho ben altro da fare nella mia vita, altro cui pensare ogni giorno…”.
Ecco ciò che capita, fratelli, quando perdiamo la coscienza di chi siamo. Ma poi… sappiamo davvero chi siamo?
Oh non occorre fare chissà quali elucubrazioni narcisistiche, quel pezzo di lettera di San Paolo ai cristiani di Efeso che abbiamo ascoltato qualche minuto fa’, ci ha rimesso davanti agli occhi i dati essenziali della nostra identità. Chi siamo precisamente?
Coloro che “Dio, il Padre, ha benedetto con ogni benedizione”: in altre parole, ci ha pensati, “scelti” dice Paolo, prima della creazione del mondo: altro che frutto del caso! è dall’eternità che Dio, nostro Padre, ci ha pensati e scelti… E per quale motivo? Per fare di ognuno di noi un figlio suo, unico e irripetibile com’è ogni figlio; perché potessimo vivere nella sua familiarità, santi e immacolati nell’amore. E se per caso – dato che ci ha creati liberi – decidiamo di mandare in frantumi questo stupendo progetto, ha previsto anche questa eventualità: nel suo Figlio Gesù ci ha donato la redenzione, la remissione dei peccati, che è come dire: la possibilità di ricomporre quel progetto e di realizzarlo. Con Dio, nulla e nessuno è mai perduto per sempre. Parlava proprio di progetto Paolo nella sua lettera.
Gesù in effetti ci ha fatto comprendere il progetto che Dio ha su tutto questo mondo, su tutta l’umanità: sì, è caos (e lo vediamo), è disordine il mondo (e lo constatiamo), ma sarà comunque ricapitolato in Cristo, tutto… E allora tutto troverà un senso.
Ci ha fatto anche eredi: eredi della sua vita senza limiti né ombre, nella gioia. E senza fine. E a conferma di tutto questo – a sigillo di tutto questo dice Paolo – ci ha dato il suo Spirito, lo Spirito Santo, come una caparra, in attesa che tutto il progetto si realizzi in pienezza.
Ecco chi siamo noi cristiani. Ecco perché non c’è né titolo né compenso a questo mondo che si possa paragonare a questa dignità: questa, e solo questa, è la nostra vera ricchezza che nulla e nessuno può portarci via, neanche la morte. Le altre ricchezze, poche o tante che siano, non potranno accompagnarci sempre: all’ultima frontiera non passeranno.
A differenza di quei primi credenti ai quali Paolo si rivolgeva, noi probabilmente ci pensiamo poco, sappiamo valutare poco quest’unica vera ricchezza. E sì che quei cristiani di Efeso, ai quali l’apostolo scriveva, erano quattro gatti… dispersi in un mare di paganesimo che era la fiera permanente delle stravaganze: cosa possono fare quei pochi se non contar poco o niente in un ambiente così… Eppure, nonostante questo, anche se non rappresentavano affatto la crème della società di allora, quei cristiani erano così consapevoli della loro dignità che la lasciavano trasparire del tutto spontaneamente: nelle parole, nelle relazioni, negli atteggiamenti, nello stile di vita… Tanto che il Cristianesimo grazie anche a loro, poco per volta, si diffuse dappertutto: nelle culture, nelle razze, nelle classi sociali…No, non è stato merito di persone colte, di gente di prestigio… macché! Tutto è partito da alcuni pescatori che han saputo stare al gioco di Dio. Poi altri, della stessa estrazione sociale, si son lasciati coinvolgere. E un po’ alla volta accadde che quel mare di paganesimo non era più fatto di solo paganesimo.
Oggi però il cammino della storia ci ha riservato un nuovo paganesimo, proprio nella nostra civiltà occidentale che a volte osa definirsi ancora cristiana ma che cristiana in gran parte non è più. Come comportarci, in questo contesto? Sì, perché – prendetela pure come una provocazione, se volete – ma guardate che resta vera lo stesso: il Signore oggi manda noi per le strade del nuovo paganesimo; tocca a noi portare la bella notizia che Dio non ha voltato le spalle a questo mondo, la notizia della sua presenza tra noi, del suo amore per ogni persona… Come potremo svolgere questo compito, questa missione? Con strategie, mezzi, qualità o competenze, che magari non abbiamo?
Macchè… “Non prendete nulla per il viaggio: né pane, né sacca, né denaro … Solo un bastone”.
Per me quel bastone di appoggio è la Parola di Dio, ma credo che dovrebbe esserlo per noi tutti: ogni giorno ci occorre quel bastone (se non vogliamo soccombere come cristiani). E per il resto, portiamo solo noi stessi, non come degli smemorati, ma con la coscienza viva di chi siamo: quella coscienza che oggi san Paolo ci ha rinfrescato. Possiamo e dobbiamo essere audacemente convinti della nostra identità cristiana, non presuntuosi, fanatici o intolleranti, no… ma audacemente convinti sì. E la testimonianza verrà da sé: il Signore non resterà deluso per averci inviato ad annunciare – nel modo in cui ciascuno è capace - la bella notizia del suo vangelo.
Domenica 7 Luglio - Quattordicesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Ezechiele 2,2-5; 2Corinzi 12,7-10; Marco 6,1-6
"Rischio” è una parola che fa parte del vocabolario della vita, perché – con maggiore o minore frequenza - è l’esperienza di tutti. Tutti rischiamo. Non solo nel senso che siamo esposti a rischi che non possiamo evitare, ma anche perchè rischiamo proprio di nostra iniziativa: lo fanno soprattutto in questi giorni d’estate certi motociclisti correndo sulle nostre strade a velocità supersoniche … lo fanno sul piano finanziario quelli che investono i loro capitali in una direzione o nell’altra (a volte ci guadagnano, a volte ci rimettono). Rischiano anche quelli che si sposano e mettono su famiglia (nessuno parte con la garanzia che riuscirà senz’altro).
Che ci sia anche nella Fede un po’ di rischio? Qui, ad essere precisi, i primi a rischiare non siamo noi: è Dio stesso. E le letture di oggi ce lo ricordano molto chiaramente: è Dio il primo a rischiare.
Ezechiele, il profeta di cui parlava la prima lettura, si sente dire da Dio: “Tu va’, parla al mio popolo: ascoltino o non ascoltino, tu parla!”. Quindi Dio sa – anzi, l’ha sempre messo in preventivo – che la gente può anche voltargli le spalle e chiudergli il cuore. E’ il prezzo che paga per averci creato liberi; se ci avesse fatti come dei burattini o dei robot, questo rischio non l’avrebbe avuto. Ma ci ha voluti liberi, responsabili.
Il profeta Ezechiele, però, era solo un intermediario di Dio, al suo servizio. Ma Gesù no, Gesù è si umano come noi ma è anche più di noi: Lui è il Figlio di questo Dio in cui crediamo. In questo nostro mondo che rischia perdizione e rovina, è venuto per aprirci una via che conduce alla vita. Per questo passava di villaggio in villaggio, annunciando che Dio è Padre e ci vuol bene, guarendo malati, ridando fiducia e speranza a chi si sentiva perduto.
E un giorno decide di passare al suo paese– Nazaret - che l’aveva visto crescere bambino, ragazzo, giovane, diventare adulto… Lo conoscevano tutti. Ma allorché si presenta da Figlio di Dio e Salvatore qual è - ecco che non gli credono. Pensano che Gesù sia semplicemente un loro compaesano che si è fatto strada…lo ammirano, ma non gli credono. Ha sempre fatto il carpentiere fin che era in paese! come può essere che adesso, di punto in bianco, sia diventato il profeta, il Figlio di Dio addirittura? Rifiuto, insomma, incredulità: tanto che lui conclude amaramente: “Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. I pescatori, gli operai che aveva chiamato al suo seguito, gli avevano creduto… E anche molti tra i poveri e tra gli emarginati l’avevano preso sul serio. Ma i suoi paesani, i suoi parenti, no.
Oh, non meravigliamoci troppo! Al loro posto, come avremmo reagito noi? Anzi, come reagiamo noi? Non è facile, non viene da sé credere in un Dio che è dentro la vita di tutti i giorni, misteriosamente presente nelle nostre relazioni, nei volti delle persone con le quali abbiamo a che fare… E’ sempre stato più facile comportarsi da persone religiose anziché da credenti: cioè persone che se vogliono incontrare Dio vanno nel tal posto, il tal giorno, alla tal ora… ma dopo che si illudono d’averlo incontrato, tutto procede come prima. Anzi, magari peggio di prima: come sta accadendo in questa nostra vecchia Europa, che abbonda di chiese e cattedrali meravigliose… e vuote! Perché vuote? Perché si sta dimenticando il Vangelo, là dove Cristo dice: “Avevo fame… Avevo sete… Ero malato… Ero straniero… e mi avete ignorato, rifiutato…”: Vangelo di Matteo (l’evangelista), capitolo 25 per la precisione. Perdere di vista il Vangelo e ciò che dice, per noi cristiani è rischiare di ritrovarci peggiori degli atei… e allora a che servono le cattedrali meravigliose? Cosa impedisce che diventino musei?
Un cristiano, se è onesto, sa per certo che se lascia entrare Dio nella sua vita, e l’ascolta, l’incontro con Dio può avvenire ovunque, in qualsiasi istante. Come per la gente di Nazaret che poteva incontrare Gesù – il carpentiere – intento a lavorare in una casa, o nella sua bottega, o per strada con gli amici… Dio si è mescolato con la nostra vita, insomma: ecco cosa crediamo noi cristiani.
Ecco perché la Fede è rischio, per Dio e per noi: per Lui perché si presenta così umano, così ordinario, al punto che rischia di non essere preso sul serio. Per noi, perchè dobbiamo decidere se credergli, se affidargli davvero la nostra vita, anche se si presenta così dimesso, così diverso da come l’immaginiamo, così addentro nelle nostre faccende quotidiane.
Ma la più interessante di tutte le affermazioni del vangelo di oggi è la conclusione: “Gesù, al suo paese, non poté compiere nessun prodigio… e si meravigliava della loro incredulità”. Qui, fratelli, abbiamo la descrizione più sobria e più affascinante di che cosa vuol dire “credere”: è l’opportunità che diamo a Dio, a Gesù, di entrare non solo nella nostra vita e fare qualcosa, ma nelle vicende più o meno strampalate di questo mondo. Lo ripeteva spesso Papa Benedetto: “Dio può essere presente e operoso nelle vicende di questo mondo solo se noi cristiani lo lasciamo entrare nella nostra vita”. Al punto che se non gli diamo quest’opportunità (cioè rifiutiamo di credergli) è come se gli chiudessimo la porta, e Dio – pur essendo l’Onnipotente – non può entrare, perché a quella sua onnipotenza Lui stesso ha posto un limite: la nostra libertà. Ci ha fatti liberi, liberi anche di rifiutarlo, di mettere il suo vangelo in soffitta… o nel bidone della carta straccia. Liberi di bloccare la sua onnipotenza e farla diventare impotenza. Sì, è abbastanza normale lasciarsi contagiare dall’incredulità, fratelli: più normale di quanto si pensi. Perché credere non è poter disporre di Dio come vorremmo, illuderci che le nostre idee siano senz’altro anche le sue, con il diritto di sbattergli la poreta in faccia… No, fede è credere anche se i problemi restano irrisolti, anche se le cose vanno storte invece che dritte, anche se su certe cose le nostre idee sarebbero diverse dalle sue…
Come per san Paolo che (l’abbiamo sentito nella seconda lettura) prega più volte Dio di liberarlo da una spina nella carne (una malattia fastidiosa, forse, o chissà cos’altro…). E Dio, cosa gli risponde? “No, e’ meglio che te la tieni la tua spina… perché essa ti mantiene debole, altrimenti tu – da sano e pimpante - ti monteresti la testa: allora non saresti più mio messaggero affidabile. La mia potenza si esprime meglio nella tua debolezza che nella tua tracotanza”. E Paolo, l’apostolo, conclude: “Va bene, Signore, me la tengo. Vorrà dire che solo nella mia debolezza sarò davvero forte: perché mi fiderò di te, e tu potrai entrare nella mia vita e agire con tutta la tua potenza.”)
Fratelli, è sempre povera la Fede, sarà sempre fragile, sempre a rischio. Ma guardate che è proprio in questa fragilità, in questa debolezza, che Dio preferisce abitare e agire. Perché Egli non condivide le logiche di questo mondo, preferisce le sue: quelle del Vangelo.
Le letture bibliche: Ezechiele 2,2-5; 2Corinzi 12,7-10; Marco 6,1-6
"Rischio” è una parola che fa parte del vocabolario della vita, perché – con maggiore o minore frequenza - è l’esperienza di tutti. Tutti rischiamo. Non solo nel senso che siamo esposti a rischi che non possiamo evitare, ma anche perchè rischiamo proprio di nostra iniziativa: lo fanno soprattutto in questi giorni d’estate certi motociclisti correndo sulle nostre strade a velocità supersoniche … lo fanno sul piano finanziario quelli che investono i loro capitali in una direzione o nell’altra (a volte ci guadagnano, a volte ci rimettono). Rischiano anche quelli che si sposano e mettono su famiglia (nessuno parte con la garanzia che riuscirà senz’altro).
Che ci sia anche nella Fede un po’ di rischio? Qui, ad essere precisi, i primi a rischiare non siamo noi: è Dio stesso. E le letture di oggi ce lo ricordano molto chiaramente: è Dio il primo a rischiare.
Ezechiele, il profeta di cui parlava la prima lettura, si sente dire da Dio: “Tu va’, parla al mio popolo: ascoltino o non ascoltino, tu parla!”. Quindi Dio sa – anzi, l’ha sempre messo in preventivo – che la gente può anche voltargli le spalle e chiudergli il cuore. E’ il prezzo che paga per averci creato liberi; se ci avesse fatti come dei burattini o dei robot, questo rischio non l’avrebbe avuto. Ma ci ha voluti liberi, responsabili.
Il profeta Ezechiele, però, era solo un intermediario di Dio, al suo servizio. Ma Gesù no, Gesù è si umano come noi ma è anche più di noi: Lui è il Figlio di questo Dio in cui crediamo. In questo nostro mondo che rischia perdizione e rovina, è venuto per aprirci una via che conduce alla vita. Per questo passava di villaggio in villaggio, annunciando che Dio è Padre e ci vuol bene, guarendo malati, ridando fiducia e speranza a chi si sentiva perduto.
E un giorno decide di passare al suo paese– Nazaret - che l’aveva visto crescere bambino, ragazzo, giovane, diventare adulto… Lo conoscevano tutti. Ma allorché si presenta da Figlio di Dio e Salvatore qual è - ecco che non gli credono. Pensano che Gesù sia semplicemente un loro compaesano che si è fatto strada…lo ammirano, ma non gli credono. Ha sempre fatto il carpentiere fin che era in paese! come può essere che adesso, di punto in bianco, sia diventato il profeta, il Figlio di Dio addirittura? Rifiuto, insomma, incredulità: tanto che lui conclude amaramente: “Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. I pescatori, gli operai che aveva chiamato al suo seguito, gli avevano creduto… E anche molti tra i poveri e tra gli emarginati l’avevano preso sul serio. Ma i suoi paesani, i suoi parenti, no.
Oh, non meravigliamoci troppo! Al loro posto, come avremmo reagito noi? Anzi, come reagiamo noi? Non è facile, non viene da sé credere in un Dio che è dentro la vita di tutti i giorni, misteriosamente presente nelle nostre relazioni, nei volti delle persone con le quali abbiamo a che fare… E’ sempre stato più facile comportarsi da persone religiose anziché da credenti: cioè persone che se vogliono incontrare Dio vanno nel tal posto, il tal giorno, alla tal ora… ma dopo che si illudono d’averlo incontrato, tutto procede come prima. Anzi, magari peggio di prima: come sta accadendo in questa nostra vecchia Europa, che abbonda di chiese e cattedrali meravigliose… e vuote! Perché vuote? Perché si sta dimenticando il Vangelo, là dove Cristo dice: “Avevo fame… Avevo sete… Ero malato… Ero straniero… e mi avete ignorato, rifiutato…”: Vangelo di Matteo (l’evangelista), capitolo 25 per la precisione. Perdere di vista il Vangelo e ciò che dice, per noi cristiani è rischiare di ritrovarci peggiori degli atei… e allora a che servono le cattedrali meravigliose? Cosa impedisce che diventino musei?
Un cristiano, se è onesto, sa per certo che se lascia entrare Dio nella sua vita, e l’ascolta, l’incontro con Dio può avvenire ovunque, in qualsiasi istante. Come per la gente di Nazaret che poteva incontrare Gesù – il carpentiere – intento a lavorare in una casa, o nella sua bottega, o per strada con gli amici… Dio si è mescolato con la nostra vita, insomma: ecco cosa crediamo noi cristiani.
Ecco perché la Fede è rischio, per Dio e per noi: per Lui perché si presenta così umano, così ordinario, al punto che rischia di non essere preso sul serio. Per noi, perchè dobbiamo decidere se credergli, se affidargli davvero la nostra vita, anche se si presenta così dimesso, così diverso da come l’immaginiamo, così addentro nelle nostre faccende quotidiane.
Ma la più interessante di tutte le affermazioni del vangelo di oggi è la conclusione: “Gesù, al suo paese, non poté compiere nessun prodigio… e si meravigliava della loro incredulità”. Qui, fratelli, abbiamo la descrizione più sobria e più affascinante di che cosa vuol dire “credere”: è l’opportunità che diamo a Dio, a Gesù, di entrare non solo nella nostra vita e fare qualcosa, ma nelle vicende più o meno strampalate di questo mondo. Lo ripeteva spesso Papa Benedetto: “Dio può essere presente e operoso nelle vicende di questo mondo solo se noi cristiani lo lasciamo entrare nella nostra vita”. Al punto che se non gli diamo quest’opportunità (cioè rifiutiamo di credergli) è come se gli chiudessimo la porta, e Dio – pur essendo l’Onnipotente – non può entrare, perché a quella sua onnipotenza Lui stesso ha posto un limite: la nostra libertà. Ci ha fatti liberi, liberi anche di rifiutarlo, di mettere il suo vangelo in soffitta… o nel bidone della carta straccia. Liberi di bloccare la sua onnipotenza e farla diventare impotenza. Sì, è abbastanza normale lasciarsi contagiare dall’incredulità, fratelli: più normale di quanto si pensi. Perché credere non è poter disporre di Dio come vorremmo, illuderci che le nostre idee siano senz’altro anche le sue, con il diritto di sbattergli la poreta in faccia… No, fede è credere anche se i problemi restano irrisolti, anche se le cose vanno storte invece che dritte, anche se su certe cose le nostre idee sarebbero diverse dalle sue…
Come per san Paolo che (l’abbiamo sentito nella seconda lettura) prega più volte Dio di liberarlo da una spina nella carne (una malattia fastidiosa, forse, o chissà cos’altro…). E Dio, cosa gli risponde? “No, e’ meglio che te la tieni la tua spina… perché essa ti mantiene debole, altrimenti tu – da sano e pimpante - ti monteresti la testa: allora non saresti più mio messaggero affidabile. La mia potenza si esprime meglio nella tua debolezza che nella tua tracotanza”. E Paolo, l’apostolo, conclude: “Va bene, Signore, me la tengo. Vorrà dire che solo nella mia debolezza sarò davvero forte: perché mi fiderò di te, e tu potrai entrare nella mia vita e agire con tutta la tua potenza.”)
Fratelli, è sempre povera la Fede, sarà sempre fragile, sempre a rischio. Ma guardate che è proprio in questa fragilità, in questa debolezza, che Dio preferisce abitare e agire. Perché Egli non condivide le logiche di questo mondo, preferisce le sue: quelle del Vangelo.
Domenica 30 Giugno - Tredicesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Sapienza 1,13-15; 2,23-24; 2Corinzi 8,7.9.13-15; Marco5,21-43
Che gran cosa la Fede! Fortunati quelli che ce l’hanno!
Si sentono spesso espressioni di questo genere. C’è dietro l’idea che la Fede sia una specie di assicurazione sulla vita, o un gioiello di grande valore, oppure un prezioso quadro d'autore ...
E se invece assomigliasse piuttosto a una pianta... una pianta qualsiasi ma viva, e che cresce? Un quadro d’autore non si muove e non muove niente; un gioiello, una pietra preziosa, per quanto preziosa sia, è inerte, sempre quella, non cresce... e se hai freddo non è che ti riscalda… o se fa troppo caldo, non ti ristora affatto.
Con una pianta è diverso: non è mai sempre la stessa; anche se non te n’accorgi, si muove, cresce... e se per caso è germogliata nella spaccatura d’una roccia, muovendosi e crescendo spacca anche la roccia con le sue radici...
Poca o tanta che sia, piccola o grande, la Fede è così: come una pianta viva. Oggi il Vangelo ce lo conferma. Ce lo fa vedere nell'esperienza di una donna, malata da anni senza alcuna prospettiva di guarigione, e poi in quella ancor più drammatica di un uomo, un papà angosciato perché ha una bambina che sta morendo. Due situazioni di sofferenza che le parole non bastano a descrivere. Oh, non che la Fede abbia a che vedere solo con il dolore e con le esperienze difficili della vita. Se è vera, impregna e trasforma tutti i momenti: sia quelli drammatici, sia quelli sereni, ma queste due vicende che oggi il Vangelo riferisce ci dicono che la Fede non è un soprammobile (che può esserci o non esserci)... e neanche un dessert, che se arriva in tavola, bene, e se non arriva se ne fa senza. Interferisce direttamente con la vita reale invece la Fede, essenziale come l'aria che si respira.
Quella donna di cui ci parla il Vangelo cerca guarigione da 12 anni; ha speso tutti i suoi averi con i medici, con l’unico risultato di peggiorare, e allorché sente parlare di Gesù che guarisce malati inguaribili, decide di andare da lui; non può parlargli della sua malattia perché il sangue che perdeva la rendeva impura per la legge degli Ebrei, e impuro diventava chiunque fosse entrato in contatto con lei. La sua Fede la spinge a inventare uno stratagemma: toccare il mantello di Gesù, senza che se n'accorga... Ci riesce e si sente finalmente guarita. Ma Gesù se n'accorge: “Chi è che mi ha toccato?”. Quella povera donna si aspettava quantomeno una lavata di capo a quel punto, ma non è affatto così.
Gesù Cristo non è un marchingegno che distribuisce miracoli a gettone, o premendo un pulsante… Lui vuole instaurare un dialogo con coloro che lo cercano, perchè è questo la Fede: dialogo, relazione con Gesù. E’ nella relazione viva con lui che la pianta della Fede cresce.
Quanto a Giairo - il papà di quella bambina di cui parla oggi il Vangelo - la sua esperienza è ancora più drammatica: quando parte da casa per cercare Gesù, la sua bambina è si gravemente malata, ma è ancora viva.
Allorché lo incontra, e Gesù si rende disponibile a seguirlo per guarirla, ecco che vengono a dirgli: “La tua bambina è morta: non disturbare Il Maestro perchè non c’è più niente da fare!”. Possiamo immaginare l'angoscia, la disperazione che ribolle nel cuore di un papà in una situazione del genere? Tanti papà e mamme l’hanno provata… tanti la provano anche ai nostri giorni… E Gesù comunque cammina con quel papà, e gli dice una parola che è dell'altro mondo ma che è anche interessante e provocatoria per tutti noi: Smetti di temere - continua solo ad avere fede...
Si, in effetti timore e fede sono inconciliabili, non possono convivere insieme. Se non c'è la Fede, è il timore, e’ la paura a dominare. Se la Fede invece è viva, il timore e la paura o se ne vanno, o si possono comunque tenere sotto controllo. E il motivo è presto detto: solo Dio può sconfiggere le nostre paure. Fede è permettere a Dio di entrare nella nostra vita, anche per tenere a bada i nostri timori, la nostre paure.
I parenti di quel papà che gli dicono “Non c’è più niente da fare!” non sono degli atei, ma la loro Fede non c'entra con la vita: davanti alla morte (che comunque fa parte della vita), s'arresta, non funziona più.
Ha un bel dire Gesù “la bambina non è morta, ma dorme”: loro lo deridono, lo prendono per un ingenuo, uno che è fuori dalla realtà... E invece il seguito della vicenda da’ ragione a quell'ingenuo: “Bambina, alzati!”. E ai suoi genitori trasecolati nel vederla viva e guarita, dice con semplice realismo: “Datele da mangiare!”. Perché Gesù Cristo, Figlio dell’Altissimo, alla fin fine è anche il primo ad avere i piedi per terra…
Qual è il messaggio per noi, fratelli?
E prima ancora: ma si può avere una Fede così coraggiosa e audace, che cresce via via che le situazioni si fanno sempre più contorte? Una Fede che non s'arresta mai?
Sì, la si può avere a una condizione: camminare con Gesù. La Fede, oggi - in questi nostri tempi, ancor più che in passato - è viva e resiste solo se è un rapporto, una relazione appassionata e forte con Gesù Cristo. E lo è effettivamente se ci porta ad ascoltare con cordiale attenzione le sue parole, a ripensarle e portarcele nel cuore… E’ viva e resiste solo se non passa giorno senza che dialoghiamo con Gesù Cristo da veri amici. Sì, a queste condizioni la Fede può renderci capaci di far fronte a tutte le situazioni e impregnare poco a poco la nostra esistenza fino a renderla dignitosa e bella.
Ecco la condizione, il segreto. Io non ne conosco altri se non questo, fratelli.
Le letture bibliche: Sapienza 1,13-15; 2,23-24; 2Corinzi 8,7.9.13-15; Marco5,21-43
Che gran cosa la Fede! Fortunati quelli che ce l’hanno!
Si sentono spesso espressioni di questo genere. C’è dietro l’idea che la Fede sia una specie di assicurazione sulla vita, o un gioiello di grande valore, oppure un prezioso quadro d'autore ...
E se invece assomigliasse piuttosto a una pianta... una pianta qualsiasi ma viva, e che cresce? Un quadro d’autore non si muove e non muove niente; un gioiello, una pietra preziosa, per quanto preziosa sia, è inerte, sempre quella, non cresce... e se hai freddo non è che ti riscalda… o se fa troppo caldo, non ti ristora affatto.
Con una pianta è diverso: non è mai sempre la stessa; anche se non te n’accorgi, si muove, cresce... e se per caso è germogliata nella spaccatura d’una roccia, muovendosi e crescendo spacca anche la roccia con le sue radici...
Poca o tanta che sia, piccola o grande, la Fede è così: come una pianta viva. Oggi il Vangelo ce lo conferma. Ce lo fa vedere nell'esperienza di una donna, malata da anni senza alcuna prospettiva di guarigione, e poi in quella ancor più drammatica di un uomo, un papà angosciato perché ha una bambina che sta morendo. Due situazioni di sofferenza che le parole non bastano a descrivere. Oh, non che la Fede abbia a che vedere solo con il dolore e con le esperienze difficili della vita. Se è vera, impregna e trasforma tutti i momenti: sia quelli drammatici, sia quelli sereni, ma queste due vicende che oggi il Vangelo riferisce ci dicono che la Fede non è un soprammobile (che può esserci o non esserci)... e neanche un dessert, che se arriva in tavola, bene, e se non arriva se ne fa senza. Interferisce direttamente con la vita reale invece la Fede, essenziale come l'aria che si respira.
Quella donna di cui ci parla il Vangelo cerca guarigione da 12 anni; ha speso tutti i suoi averi con i medici, con l’unico risultato di peggiorare, e allorché sente parlare di Gesù che guarisce malati inguaribili, decide di andare da lui; non può parlargli della sua malattia perché il sangue che perdeva la rendeva impura per la legge degli Ebrei, e impuro diventava chiunque fosse entrato in contatto con lei. La sua Fede la spinge a inventare uno stratagemma: toccare il mantello di Gesù, senza che se n'accorga... Ci riesce e si sente finalmente guarita. Ma Gesù se n'accorge: “Chi è che mi ha toccato?”. Quella povera donna si aspettava quantomeno una lavata di capo a quel punto, ma non è affatto così.
Gesù Cristo non è un marchingegno che distribuisce miracoli a gettone, o premendo un pulsante… Lui vuole instaurare un dialogo con coloro che lo cercano, perchè è questo la Fede: dialogo, relazione con Gesù. E’ nella relazione viva con lui che la pianta della Fede cresce.
Quanto a Giairo - il papà di quella bambina di cui parla oggi il Vangelo - la sua esperienza è ancora più drammatica: quando parte da casa per cercare Gesù, la sua bambina è si gravemente malata, ma è ancora viva.
Allorché lo incontra, e Gesù si rende disponibile a seguirlo per guarirla, ecco che vengono a dirgli: “La tua bambina è morta: non disturbare Il Maestro perchè non c’è più niente da fare!”. Possiamo immaginare l'angoscia, la disperazione che ribolle nel cuore di un papà in una situazione del genere? Tanti papà e mamme l’hanno provata… tanti la provano anche ai nostri giorni… E Gesù comunque cammina con quel papà, e gli dice una parola che è dell'altro mondo ma che è anche interessante e provocatoria per tutti noi: Smetti di temere - continua solo ad avere fede...
Si, in effetti timore e fede sono inconciliabili, non possono convivere insieme. Se non c'è la Fede, è il timore, e’ la paura a dominare. Se la Fede invece è viva, il timore e la paura o se ne vanno, o si possono comunque tenere sotto controllo. E il motivo è presto detto: solo Dio può sconfiggere le nostre paure. Fede è permettere a Dio di entrare nella nostra vita, anche per tenere a bada i nostri timori, la nostre paure.
I parenti di quel papà che gli dicono “Non c’è più niente da fare!” non sono degli atei, ma la loro Fede non c'entra con la vita: davanti alla morte (che comunque fa parte della vita), s'arresta, non funziona più.
Ha un bel dire Gesù “la bambina non è morta, ma dorme”: loro lo deridono, lo prendono per un ingenuo, uno che è fuori dalla realtà... E invece il seguito della vicenda da’ ragione a quell'ingenuo: “Bambina, alzati!”. E ai suoi genitori trasecolati nel vederla viva e guarita, dice con semplice realismo: “Datele da mangiare!”. Perché Gesù Cristo, Figlio dell’Altissimo, alla fin fine è anche il primo ad avere i piedi per terra…
Qual è il messaggio per noi, fratelli?
E prima ancora: ma si può avere una Fede così coraggiosa e audace, che cresce via via che le situazioni si fanno sempre più contorte? Una Fede che non s'arresta mai?
Sì, la si può avere a una condizione: camminare con Gesù. La Fede, oggi - in questi nostri tempi, ancor più che in passato - è viva e resiste solo se è un rapporto, una relazione appassionata e forte con Gesù Cristo. E lo è effettivamente se ci porta ad ascoltare con cordiale attenzione le sue parole, a ripensarle e portarcele nel cuore… E’ viva e resiste solo se non passa giorno senza che dialoghiamo con Gesù Cristo da veri amici. Sì, a queste condizioni la Fede può renderci capaci di far fronte a tutte le situazioni e impregnare poco a poco la nostra esistenza fino a renderla dignitosa e bella.
Ecco la condizione, il segreto. Io non ne conosco altri se non questo, fratelli.
Domenica 23 Giugno - Dodicesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Giobbe 38,1.8-11; 2Corinzi 5,14-17; Vangelo di Marco 4,35-41
Il mare.
In questi giorni m’e capitato di chiamare qualche amico al telefono e sentirmi rispondere: “Sono in spiaggia, al mare…”. Qualche altro mi ha preavvisato che ci andrà prossimamente… Si, non sono pochi i trentini che proprio in questi giorni hanno pensato di prendersi un po’ di relax con qualche nuotata nelle acque dell’Adriatico e di meritato riposo all’ombra d’un ombrellone. Sono da capire: dopo una lunga serie di giorni che, se non erano di pioggia erano di freddo, un po’ di sole che asciughi l’umidità accumulata nelle ossa è quello che ci vuole…
Purtroppo non per tutti il mare è sinonimo di vacanza e distensione; per certuni, che lo attraversano per scappare dalle guerre o dalla miseria, a volte (troppo spesso a dire il vero) diventa un tragico cimitero. E se siamo… non dico cristiani, ma semplicemente umani, non possiamo cambiar canale in fretta e far finta che non accada. Quel giorno che compariremo davanti a Gesù Cristo per essere pesati sulla bilancia del Vangelo, non potremo affatto cambiare canale... E anche quando, sentendo di queste tragiche vicende, ci sembra di non poter far niente, ricordiamoci che almeno due cose possiamo sempre fare: se siamo umani possiamo condividere quelle sofferenze con autentica compassione, se siamo cristiani... non possiamo far a meno di intercedere presso Dio, cioè pregare per quelle povere vittime!
Anche per la gente della Bibbia comunque il mare non è affatto un posto dove andare in vacanze: è simbolo o immagine della vita. Soprattutto quando è in burrasca e le onde riempiono d’acqua la barca: per quanto bravi siano il timoniere e coloro che remano, non si è sicuri di arrivare in porto. Burrasche e onde più alte della barca sono certe grosse difficoltà, certe prove improvvise e inaspettate che la vita a volte ci riserva. Ecco perché il mare - nella Bibbia, nei Vangeli - diventa metafora, espressione della vita.
Noi parliamo di contrarietà, di ostacoli, di accidenti… ma la Bibbia non ama le astrazioni, è concreta nel suo linguaggio: “mare in burrasca” dice, e noi siamo coloro che lo devono attraversare.“Passiamo all’altra riva” ordina Gesù al suo gruppo di discepoli: erano in 12; su una barca – quella di Pietro forse – ci stavano tutti. Ma non erano soli: “c’erano anche altre barche “ che facevano quella stessa traversata: le burrasche, quando vengono, vengono per tutti. Non fanno distinzione.
La cosa un po’ strana è quella constatazione che fa l’evangelista: “Dopo che Gesù lasciò la folla, lo presero con sé così com’era, sulla barca…”. Quasi quasi è come se lui avesse chiesto un passaggio e gli avessero risposto: "Ma sì, dai… vieni anche tu: ci stai!". E se lo son portati dietro un po’ come un peso morto, perché una volta su quella barca Gesù crolla dal sonno e dorme alla grossa… Doveva essere davvero stanco morto se non s’accorge nemmeno della tempesta, del vento e delle onde che gettavano l’acqua dentro la barca. L’evangelista, quasi con ironia, nota che se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Indisturbato e tranquillo, in una posizione addirittura regale, da signore: si, Gesù è uno che, anche quando c’è da preoccuparsi seriamente o addirittura da disperare, conserva un atteggiamento indisturbato e tranquillo. Tanto da suscitare l’invidia e la reazione indispettita dei suoi discepoli, i quali prima avranno senz’altro mugugnato: “Ma guardalo lì come dorme lui… e noi qui che andiamo a fondo!” E poi si decisero a svegliarlo di brutto. “Maestro, ma insomma, non t’importa che moriamo?”.
Il seguito lo conosciamo: ordina al mare e al vento di calmarsi – cosa che accade infatti – ma poi rimprovera i discepoli: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?”. Per i discepoli di Cristo – cioè per noi cristiani – paura e mancanza di fede vanno a braccetto. Anzi, spesso è proprio la mancanza di fede che si tira dietro la paura.
Mancanza di Fede non nel senso che sia assente del tutto; se siamo cristiani è da supporre che un po’ di fede ce l’abbiamo nel cuore. Ma ce l’abbiamo così mescolata con tante altre cose (interessi, ansie, hobby, preoccupazioni, progetti…) che alla fin fine, quando la cerchi, è come rovistare in un cassetto tra tante cianfrusaglie… ("Ma dove l’ho messa? Ma perché non la trovo più? Eppure era qui!…"). La Fede!
I discepoli avevano preso Gesù con loro sulla barca, ma così... come un passeggero qualsiasi: “Ma sì, vieni anche tu che c’è posto!”. Non avevano visto in lui il timoniere, quello che poteva dare la rotta. Non gli avevano detto: “Sali per primo e mettiti alla guida, perché se sorge la burrasca tu solo la puoi acquietare!” No, non gliel’avevano detto.
Si erano preoccupati di chissà quante cose prima di partire, tutte cose che sarebbero finite a fondo se Lui non avesse calmato quella tempesta con la sua autorità; ma Lui, no: che ci fosse Lui non si erano preoccupati. Nessuno aveva chiesto: “C’è Gesù con noi?”. Soltanto: “Ma sì, vieni che c’è posto…”.
Fratelli, capite in cosa consiste quella mancanza di Fede che Gesù rimprovera loro? Vedere nella Fede solo una cosa in più tra tante altre, è mancare di Fede.
Gesù non è il megalomane che vuole davanti a sé il tappeto rosso per passare per primo ed entrare nella nostra vita; no, Gesù è il salvatore potente che può dire al vento e al mare in burrasca: “Taci…Calmati!”.
Il segreto allora, e l’insegnamento che ci viene da questo vivacissimo fatto evangelico, è abbastanza chiaro, perfino semplice: sì, gridiamo pure a Gesù quando non sappiamo più dove sbattere la testa, svegliamolo pure se ci sembra addormentato… ma la cosa più saggia e più giusta da fare è un’altra, e viene prima: Gesù non è un passeggero qualsiasi che prendiamo con noi alla pari di tante altre cose per fare la traversata (che è la nostra vita). Gesù è il primo passeggero in assoluto, il timoniere, quello che indica la rotta da seguire.
Prima di partire, per qualsiasi impresa, per qualsiasi iniziativa, noi dobbiamo imparare a domandarci: "C’è Gesù con noi?". E pregarlo: "Signore, vieni, mettiti al timone!".
Allora sì , ma solo allora potremo non cedere alla paura, alla disperazione, anche se sorgono burrasche e tempeste durante la traversata.
Le letture bibliche: Giobbe 38,1.8-11; 2Corinzi 5,14-17; Vangelo di Marco 4,35-41
Il mare.
In questi giorni m’e capitato di chiamare qualche amico al telefono e sentirmi rispondere: “Sono in spiaggia, al mare…”. Qualche altro mi ha preavvisato che ci andrà prossimamente… Si, non sono pochi i trentini che proprio in questi giorni hanno pensato di prendersi un po’ di relax con qualche nuotata nelle acque dell’Adriatico e di meritato riposo all’ombra d’un ombrellone. Sono da capire: dopo una lunga serie di giorni che, se non erano di pioggia erano di freddo, un po’ di sole che asciughi l’umidità accumulata nelle ossa è quello che ci vuole…
Purtroppo non per tutti il mare è sinonimo di vacanza e distensione; per certuni, che lo attraversano per scappare dalle guerre o dalla miseria, a volte (troppo spesso a dire il vero) diventa un tragico cimitero. E se siamo… non dico cristiani, ma semplicemente umani, non possiamo cambiar canale in fretta e far finta che non accada. Quel giorno che compariremo davanti a Gesù Cristo per essere pesati sulla bilancia del Vangelo, non potremo affatto cambiare canale... E anche quando, sentendo di queste tragiche vicende, ci sembra di non poter far niente, ricordiamoci che almeno due cose possiamo sempre fare: se siamo umani possiamo condividere quelle sofferenze con autentica compassione, se siamo cristiani... non possiamo far a meno di intercedere presso Dio, cioè pregare per quelle povere vittime!
Anche per la gente della Bibbia comunque il mare non è affatto un posto dove andare in vacanze: è simbolo o immagine della vita. Soprattutto quando è in burrasca e le onde riempiono d’acqua la barca: per quanto bravi siano il timoniere e coloro che remano, non si è sicuri di arrivare in porto. Burrasche e onde più alte della barca sono certe grosse difficoltà, certe prove improvvise e inaspettate che la vita a volte ci riserva. Ecco perché il mare - nella Bibbia, nei Vangeli - diventa metafora, espressione della vita.
Noi parliamo di contrarietà, di ostacoli, di accidenti… ma la Bibbia non ama le astrazioni, è concreta nel suo linguaggio: “mare in burrasca” dice, e noi siamo coloro che lo devono attraversare.“Passiamo all’altra riva” ordina Gesù al suo gruppo di discepoli: erano in 12; su una barca – quella di Pietro forse – ci stavano tutti. Ma non erano soli: “c’erano anche altre barche “ che facevano quella stessa traversata: le burrasche, quando vengono, vengono per tutti. Non fanno distinzione.
La cosa un po’ strana è quella constatazione che fa l’evangelista: “Dopo che Gesù lasciò la folla, lo presero con sé così com’era, sulla barca…”. Quasi quasi è come se lui avesse chiesto un passaggio e gli avessero risposto: "Ma sì, dai… vieni anche tu: ci stai!". E se lo son portati dietro un po’ come un peso morto, perché una volta su quella barca Gesù crolla dal sonno e dorme alla grossa… Doveva essere davvero stanco morto se non s’accorge nemmeno della tempesta, del vento e delle onde che gettavano l’acqua dentro la barca. L’evangelista, quasi con ironia, nota che se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Indisturbato e tranquillo, in una posizione addirittura regale, da signore: si, Gesù è uno che, anche quando c’è da preoccuparsi seriamente o addirittura da disperare, conserva un atteggiamento indisturbato e tranquillo. Tanto da suscitare l’invidia e la reazione indispettita dei suoi discepoli, i quali prima avranno senz’altro mugugnato: “Ma guardalo lì come dorme lui… e noi qui che andiamo a fondo!” E poi si decisero a svegliarlo di brutto. “Maestro, ma insomma, non t’importa che moriamo?”.
Il seguito lo conosciamo: ordina al mare e al vento di calmarsi – cosa che accade infatti – ma poi rimprovera i discepoli: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?”. Per i discepoli di Cristo – cioè per noi cristiani – paura e mancanza di fede vanno a braccetto. Anzi, spesso è proprio la mancanza di fede che si tira dietro la paura.
Mancanza di Fede non nel senso che sia assente del tutto; se siamo cristiani è da supporre che un po’ di fede ce l’abbiamo nel cuore. Ma ce l’abbiamo così mescolata con tante altre cose (interessi, ansie, hobby, preoccupazioni, progetti…) che alla fin fine, quando la cerchi, è come rovistare in un cassetto tra tante cianfrusaglie… ("Ma dove l’ho messa? Ma perché non la trovo più? Eppure era qui!…"). La Fede!
I discepoli avevano preso Gesù con loro sulla barca, ma così... come un passeggero qualsiasi: “Ma sì, vieni anche tu che c’è posto!”. Non avevano visto in lui il timoniere, quello che poteva dare la rotta. Non gli avevano detto: “Sali per primo e mettiti alla guida, perché se sorge la burrasca tu solo la puoi acquietare!” No, non gliel’avevano detto.
Si erano preoccupati di chissà quante cose prima di partire, tutte cose che sarebbero finite a fondo se Lui non avesse calmato quella tempesta con la sua autorità; ma Lui, no: che ci fosse Lui non si erano preoccupati. Nessuno aveva chiesto: “C’è Gesù con noi?”. Soltanto: “Ma sì, vieni che c’è posto…”.
Fratelli, capite in cosa consiste quella mancanza di Fede che Gesù rimprovera loro? Vedere nella Fede solo una cosa in più tra tante altre, è mancare di Fede.
Gesù non è il megalomane che vuole davanti a sé il tappeto rosso per passare per primo ed entrare nella nostra vita; no, Gesù è il salvatore potente che può dire al vento e al mare in burrasca: “Taci…Calmati!”.
Il segreto allora, e l’insegnamento che ci viene da questo vivacissimo fatto evangelico, è abbastanza chiaro, perfino semplice: sì, gridiamo pure a Gesù quando non sappiamo più dove sbattere la testa, svegliamolo pure se ci sembra addormentato… ma la cosa più saggia e più giusta da fare è un’altra, e viene prima: Gesù non è un passeggero qualsiasi che prendiamo con noi alla pari di tante altre cose per fare la traversata (che è la nostra vita). Gesù è il primo passeggero in assoluto, il timoniere, quello che indica la rotta da seguire.
Prima di partire, per qualsiasi impresa, per qualsiasi iniziativa, noi dobbiamo imparare a domandarci: "C’è Gesù con noi?". E pregarlo: "Signore, vieni, mettiti al timone!".
Allora sì , ma solo allora potremo non cedere alla paura, alla disperazione, anche se sorgono burrasche e tempeste durante la traversata.
Domenica 16 Giugno - Undicesima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Ezechiele 17,22-24; 2Corinzi 5,6-10; Marco 4,26-34
"Parlava loro con molte parabole, secondo quello che potevano intendere". E intendevano infatti. Gesù Cristo lo capivano tutti. A differenza di certi parolai di oggi: spesso non li capiamo, non perché siamo stupidi o corti di cervello, ma perché quando parlano, pare ci provino gusto ad usare un linguaggio complicato. Per non dire di quell’antipatico vizio di inserire ogni tanto parole straniere (inglesi soprattutto): è una specie di nuovo colonialismo culturale (gli inglesi son sempre stati esperti di colonialismo!). Certuni oggi pensano che per essere persone di una certa cultura si debba per forza adoperare un linguaggio complicato, infarcito di termini tecnici o inventati l’altro ieri, ma che la maggior parte della gente non è in grado di capire.
Gesù; parlava in parabole, e tutti lo capivano.
"Il Regno di Dio e come un uomo che getta il seme nella terra... e come un granello di senapa, il più piccolo di tutti i semi, ma che poi diventa albero con tanto di rami che gli uccelli possono farci il nido".
E' un messaggio di speranza questo, fratelli. Gesù Cristo ci vuole riportare alla speranza: "E' una storia umile la mia, ci dice, un'impresa che non fa rumore: nessun seme fa rumore quando cresce. Ma sappiate che comunque cresce; la maturazione procede, tanto che ne resterete meravigliati”.
E’ un messaggio di speranza che riguarda non solo l'avventura personale di Gesù, ma tutta questa avventura del Regno di Dio che lui ha cominciato tra noi e alla quale ci offre l’opportunità di collaborare con la nostra fede.
Eh, la Fede! A volte ci guardiamo attorno e restiamo delusi: ci accorgiamo che la Chiesa non è più quella chioccia che raccoglie tutti i pulcini sotto le sue ali, o quella rete che si estende sulla società per raccogliere e imbrigliare tutto quanto... Siccome molti prendono le distanze da Gesù Cristo e dalla Chiesa e vanno per conto loro, puo' accadere di rimanere delusi. Si', perché fin che ad andarsene sono gli altri, puoi parlare di diritto alla libertà di pensiero, di emancipazione finalmente raggiunta, ma quando è tuo figlio o tua figlia a prendere certe strade... allora forse ragioni diversamente...
Quando cominciò a dilagare il Covid – o Coronavirus - circolava una specie di profezia: “Dopo non sarà più come prima!”. Ricordate? Si è realizzata, senza dubbio, ma all’incontrario: nel senso che il dopo rischia essere peggiore del prima… Pare che alcuni si sentano autorizzati a infrangere tutte le regole, a calpestare ogni morale e diventare perfino disumani… Sì, il degrado morale è piuttosto notevole. E la delusione, il senso di amarezza per chi crede a certi valori, è forte. Ma guardate che questo non lo dico da pessimista o per abbassare ancor più il morale mio e vostro. Lo dico per far risaltare ancor più e meglio il prezioso messaggio che il vangelo di oggi ci consegna. Lo rivolge a noi oggi il Signore: sì, proprio a noi.
"Il Regno di Dio e' come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli quell’uomo, il seme germoglia e cresce... E il granello di senape fa lo stesso: diventa albero, anche se era il più piccolo di tutti i semi...".
Dio non si smentisce, come la terra, che ha creato. Dio non lo blocca nessuno: le grandi potenze, le ideologie sempre in agguato, possono fare l’alto e il basso per qualche stagione, ma nulla e nessuno può bloccare la crescita del Regno di Dio in mezzo a noi. E a noi cosa resta da fare? La vitalità del Regno di Dio viene da Dio, ovviamente, non è di nostra competenza; il seme e l'iniziativa di seminarlo e farlo germogliare e crescere, sono suoi. A noi tocca far sì che la Fede che abbiamo ricevuta in dono resti viva… e resta viva se cresce, se matura via via che passa il tempo, se anima davvero la nostra vita di ogni giorno e le dà sapore. Ecco come possiamo far spazio a Dio, lasciarlo agire e collaborare con Lui.
Eh, sì è vero: non è sempre facile camminare al passo con Dio. Più facile e comodo è dedicargli qualche momento di tanto in tanto, ma poi andare per conto proprio. Ma allora, fratelli, il seme non può germogliare, il grano di senapa non può crescere... Chi dà fiducia a Gesù Cristo, è scontato che cerchi poi di camminare sui suoi passi, di condividere la sua logica, i suoi ideali (non sempre ci riesce, evidentemente, ma lui non pretende che ci riusciamo sempre, ci chiede di provare sempre di nuovo…). Altrimenti come potrebbero vivere in noi la fiducia e la speranza? Dove potrebbero alimentarsi, fuori da Gesù Cristo?
Altro riferimento che ci viene dalla parabola di oggi è quello che riguarda il terreno: è la nostra vita il terreno; c'è posto per il seme di Dio nella nostra vita, fratelli? O il terreno è già tutto occupato da erbe e piantagioni di altro genere? Ci premuriamo di dissodare il terreno, di far posto estirpando erbacce (ognuno ha le sue, lo sappiamo). Chi possiede un orto e lo semina, ma dopo averlo seminato vi entra molto di rado, rimane deluso quando scopre che cresce di tutto in quell'orto... tranne che quello che aveva seminato. Sarebbe deludente anche per noi cristiani dover constatare che nella nostra vita c'è posto per tutto tranne che per Dio, e per quello che Gesù vorrebbe seminare... Si', molto deludente sarebbe.
Anche perché, vedete, il clima stesso deve essere adatto: l'insalata d'inverno non cresce negli orti, e neanche il grano sotto la neve germoglia. Il clima – nella vita - dipende da noi, fratelli, siamo noi che lo dobbiamo favorire. Che clima dovrà essere? Quello della Fede, vissuta, sperimentata, celebrata in Comunità. La chiusura verso Dio e verso il prossimo, dissipazioni e interessi tutti raso terra, danno un clima freddo e arido. Non è adatto. Neanche iI clima di cameratismo che può regnare tra amici, tra conoscenti, è sufficiente: non basta a infondere fiducia e speranza, specie quando la vita si appesantisce di problemi o di apprensioni...
Fede vissuta, sperimentata, celebrata insieme: questo è l'unico clima adatto per far germogliare e crescere quei valori che fanno la nostra vita di cristiani, la storia cristiana delle nostre famiglie, se cristiane vogliamo che siano.
Dio fa la sua parte. Gesù Cristo non smette di passare e di seminare. Anche oggi lo sta facendo: proprio ora, qui durante questa Eucaristia.
E ciò che semina, crescerà, certo… con i ritmi e i tempi di Dio, ma crescerà, siatene certi. Questo vangelo oggi vuole darci fiducia, ma vuole anche far leva sulla nostra responsabilità.
Dio semina sempre, non si stanca mai, ma il terreno e il clima, ricordiamolo: dipendono da noi.
Le letture bibliche: Ezechiele 17,22-24; 2Corinzi 5,6-10; Marco 4,26-34
"Parlava loro con molte parabole, secondo quello che potevano intendere". E intendevano infatti. Gesù Cristo lo capivano tutti. A differenza di certi parolai di oggi: spesso non li capiamo, non perché siamo stupidi o corti di cervello, ma perché quando parlano, pare ci provino gusto ad usare un linguaggio complicato. Per non dire di quell’antipatico vizio di inserire ogni tanto parole straniere (inglesi soprattutto): è una specie di nuovo colonialismo culturale (gli inglesi son sempre stati esperti di colonialismo!). Certuni oggi pensano che per essere persone di una certa cultura si debba per forza adoperare un linguaggio complicato, infarcito di termini tecnici o inventati l’altro ieri, ma che la maggior parte della gente non è in grado di capire.
Gesù; parlava in parabole, e tutti lo capivano.
"Il Regno di Dio e come un uomo che getta il seme nella terra... e come un granello di senapa, il più piccolo di tutti i semi, ma che poi diventa albero con tanto di rami che gli uccelli possono farci il nido".
E' un messaggio di speranza questo, fratelli. Gesù Cristo ci vuole riportare alla speranza: "E' una storia umile la mia, ci dice, un'impresa che non fa rumore: nessun seme fa rumore quando cresce. Ma sappiate che comunque cresce; la maturazione procede, tanto che ne resterete meravigliati”.
E’ un messaggio di speranza che riguarda non solo l'avventura personale di Gesù, ma tutta questa avventura del Regno di Dio che lui ha cominciato tra noi e alla quale ci offre l’opportunità di collaborare con la nostra fede.
Eh, la Fede! A volte ci guardiamo attorno e restiamo delusi: ci accorgiamo che la Chiesa non è più quella chioccia che raccoglie tutti i pulcini sotto le sue ali, o quella rete che si estende sulla società per raccogliere e imbrigliare tutto quanto... Siccome molti prendono le distanze da Gesù Cristo e dalla Chiesa e vanno per conto loro, puo' accadere di rimanere delusi. Si', perché fin che ad andarsene sono gli altri, puoi parlare di diritto alla libertà di pensiero, di emancipazione finalmente raggiunta, ma quando è tuo figlio o tua figlia a prendere certe strade... allora forse ragioni diversamente...
Quando cominciò a dilagare il Covid – o Coronavirus - circolava una specie di profezia: “Dopo non sarà più come prima!”. Ricordate? Si è realizzata, senza dubbio, ma all’incontrario: nel senso che il dopo rischia essere peggiore del prima… Pare che alcuni si sentano autorizzati a infrangere tutte le regole, a calpestare ogni morale e diventare perfino disumani… Sì, il degrado morale è piuttosto notevole. E la delusione, il senso di amarezza per chi crede a certi valori, è forte. Ma guardate che questo non lo dico da pessimista o per abbassare ancor più il morale mio e vostro. Lo dico per far risaltare ancor più e meglio il prezioso messaggio che il vangelo di oggi ci consegna. Lo rivolge a noi oggi il Signore: sì, proprio a noi.
"Il Regno di Dio e' come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli quell’uomo, il seme germoglia e cresce... E il granello di senape fa lo stesso: diventa albero, anche se era il più piccolo di tutti i semi...".
Dio non si smentisce, come la terra, che ha creato. Dio non lo blocca nessuno: le grandi potenze, le ideologie sempre in agguato, possono fare l’alto e il basso per qualche stagione, ma nulla e nessuno può bloccare la crescita del Regno di Dio in mezzo a noi. E a noi cosa resta da fare? La vitalità del Regno di Dio viene da Dio, ovviamente, non è di nostra competenza; il seme e l'iniziativa di seminarlo e farlo germogliare e crescere, sono suoi. A noi tocca far sì che la Fede che abbiamo ricevuta in dono resti viva… e resta viva se cresce, se matura via via che passa il tempo, se anima davvero la nostra vita di ogni giorno e le dà sapore. Ecco come possiamo far spazio a Dio, lasciarlo agire e collaborare con Lui.
Eh, sì è vero: non è sempre facile camminare al passo con Dio. Più facile e comodo è dedicargli qualche momento di tanto in tanto, ma poi andare per conto proprio. Ma allora, fratelli, il seme non può germogliare, il grano di senapa non può crescere... Chi dà fiducia a Gesù Cristo, è scontato che cerchi poi di camminare sui suoi passi, di condividere la sua logica, i suoi ideali (non sempre ci riesce, evidentemente, ma lui non pretende che ci riusciamo sempre, ci chiede di provare sempre di nuovo…). Altrimenti come potrebbero vivere in noi la fiducia e la speranza? Dove potrebbero alimentarsi, fuori da Gesù Cristo?
Altro riferimento che ci viene dalla parabola di oggi è quello che riguarda il terreno: è la nostra vita il terreno; c'è posto per il seme di Dio nella nostra vita, fratelli? O il terreno è già tutto occupato da erbe e piantagioni di altro genere? Ci premuriamo di dissodare il terreno, di far posto estirpando erbacce (ognuno ha le sue, lo sappiamo). Chi possiede un orto e lo semina, ma dopo averlo seminato vi entra molto di rado, rimane deluso quando scopre che cresce di tutto in quell'orto... tranne che quello che aveva seminato. Sarebbe deludente anche per noi cristiani dover constatare che nella nostra vita c'è posto per tutto tranne che per Dio, e per quello che Gesù vorrebbe seminare... Si', molto deludente sarebbe.
Anche perché, vedete, il clima stesso deve essere adatto: l'insalata d'inverno non cresce negli orti, e neanche il grano sotto la neve germoglia. Il clima – nella vita - dipende da noi, fratelli, siamo noi che lo dobbiamo favorire. Che clima dovrà essere? Quello della Fede, vissuta, sperimentata, celebrata in Comunità. La chiusura verso Dio e verso il prossimo, dissipazioni e interessi tutti raso terra, danno un clima freddo e arido. Non è adatto. Neanche iI clima di cameratismo che può regnare tra amici, tra conoscenti, è sufficiente: non basta a infondere fiducia e speranza, specie quando la vita si appesantisce di problemi o di apprensioni...
Fede vissuta, sperimentata, celebrata insieme: questo è l'unico clima adatto per far germogliare e crescere quei valori che fanno la nostra vita di cristiani, la storia cristiana delle nostre famiglie, se cristiane vogliamo che siano.
Dio fa la sua parte. Gesù Cristo non smette di passare e di seminare. Anche oggi lo sta facendo: proprio ora, qui durante questa Eucaristia.
E ciò che semina, crescerà, certo… con i ritmi e i tempi di Dio, ma crescerà, siatene certi. Questo vangelo oggi vuole darci fiducia, ma vuole anche far leva sulla nostra responsabilità.
Dio semina sempre, non si stanca mai, ma il terreno e il clima, ricordiamolo: dipendono da noi.
Domenica 9 Giugno - Decima del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Genesi 3,9-15; 2 Corinzi 4,13-5,1; Marco 2,20-35
Come è potuto accadere?
Mi riferisco al 20° secolo, quello appena passato… Come son potute accadere certe cose disumane, crudeli e raccapriccianti, e proprio nei nostri Paesi occidentali di antica tradizione cristiana?
Forse che il Cristianesimo tollera certe tragedie disumane, certi crimini di massa? Voi, fratelli, direte: ma noi siamo venuti in chiesa per sentire una parola buona che ci tiri su di morale, non per sentirci ricordare cose spiacevoli che vorremmo sepolte per sempre!
Certo, e avete ragione – ma Gesù Cristo è un medico onesto e leale. Se il male c’è ed è grave non lo minimizza, non dice: “Oh non preoccuparti, non è niente…”. No, lo rivela per quello che è, e poi ti dice: Vuoi guarire? Vuoi davvero sfuggire a questo male?
Mi pare che il vangelo di oggi sia di questo tenore: suona questa musica, in altre parole.
Parlava di demòni Gesù, di una casa in cui spadroneggia il demonio… e deve arrivare uno più forte di lui perché quella casa possa esserne liberata.
Ma… esiste davvero il demònio, il diavolo, Satana? Ma non l’hanno inventato le religioni (quella cristiana in particolare) per far star buona la gente? Per tenerla al guinzaglio, docile sotto padrone, in altre parole? Non sono pochi gli individui – emancipati, magari anche colti – che la pensano così… pur frequentando le chiese forse: “Tanto, male non fa…” pensano.
Fratelli, io non condivido il terrorismo spirituale di quei tali (preti o frati o laici) che vedono demòni o diavoli dappertutto, no… ma da questo a negarne totalmente l’esistenza e la drammaticità, eh… ce ne passa. Forse è necessario che rivediamo certe nostre idee, che le correggiamo con l’aiuto della Bibbia, del Vangelo soprattutto.
L’immagine del diavoletto tutto nero, con occhi rossi, coda e forca… lasciamola pure al Medio Evo: quello… è perfino folkloristico. Ma quello vero è tutt’altro che folkloristico. La parola stessa, diavolo – che deriva dal greco diabolos – vuol dire semplicemente “divisore”; la sua specialità è portare divisione: tra l’uomo e Dio, tra l’uomo e la donna, all’interno delle famiglie, tra popolo e popolo, tra nazioni. Perfino dentro la stessa persona porta divisione: può accadere che in apparenza, a livello superficiale, la persona sia religiosa, aderisca a Dio, ma in sostanza, a livello di decisioni importanti e vitali, no: ragiona in modo del tutto contrario a Dio. Ecco come si può essere schiavi del Maligno. E quello che accade alla persona accade alle moltitudini, alle culture dei popoli, alle nazioni… Ecco perché nel secolo scorso, nella cristianissima Europa (cristianissima all’apparenza!), son potute accadere certe immani tragedie…
Il diavolo, il maligno, eccelle per astuzia secondo la Bibbia. La prima lettura di poco fa’ lo paragonava al serpente. E’ astuto il serpente, non fa rumore, striscia e s’intrufola per tutti gli anfratti e le aperture che trova, anche le più strette… Nell’esperienza umana, nella stessa storia del mondo, il Maligno si è sempre infiltrato così: con l’astuzia.
Nell’epoca moderna ha preso il volto degli –ismi. Di fronte alle parole che finiscono in –ismo, noi cristiani dovremmo rizzare gli orecchi: oh, non tutte hanno un significato cattivo, ma molte sì; o forse, più che cattivo, velenoso. Al giorno d’oggi poi l’elenco s’è allungato con altre parole nuove … pertanto, attenti, fratelli, al dèmone che si nasdonde dietro agli -ismi! Non lasciamo che s’infiltri di soppiatto nelle nostre menti e nei nostri cuori.
Il vangelo di oggi, poi, ci ha riferito un fatto interessante: Gesù aveva lasciato il suo paese, Nazaret, e aveva cominciato a predicare il Vangelo dappertutto. Il Vangelo, si sa, non è certo tenero con gli ipocriti, con i potenti che opprimono, con quelli che vorrebbero piegare anche Dio ai loro interessi: Gesù diceva cose che mai nessuno prima di lui aveva osato dire. Allora i suoi parenti di Nazaret cominciarono a preoccuparsi: “Questo qui rischia grosso – pensarono. E’ andato fuori di testa! ”. E decisero di andarlo a prendere per riportarlo a casa. Gesù era a Cafarnao in quel momento e c’era molta gente attorno a lui, tutta intenta ad ascoltare le sue parole, il Vangelo. “Giunsero sua madre e i suoi fratelli (per il mondo ebraico tutti i parenti, di qualsiasi grado, sono semplicemente “fratelli”); arrivarono per riportarlo a casa, ma siccome non riuscivano ad avvicinarsi a causa della ressa, lo mandarono a chiamare: “Ci sono qui fuori i tuoi, tua madre, i tuoi fratelli: ti cercano”. Gesù non si scompose nemmeno. “Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?” e girando lo sguardo su quelli che erano attorno a lui intenti ad ascoltarlo, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi fa la volontà di Dio – cioè mette in pratica il vangelo che ascolta – costui per me è fratello, sorella e madre!”.
No, non basta avere il proprio nome scritto sui registri del Battesimo, non basta nemmeno varcare le porte delle chiese o fare di tanto in tanto la comunione per essere vaccinati contro il Maligno… No, fratelli, non basta proprio. E’ necessario invece ascoltare il vangelo con il cuore oltre che con gli orecchi, anzi, portarsi nel cuore le buone parole del vangelo…
Forse non riusciamo a metterle in pratica tutte e subito, ma nessuno lo pretende, nemmeno Gesù Cristo. Ma se le conserviamo nel cuore, un po’ alla volta diventeranno nostre, nostri ideali, nostre idee, nostra mentalità… E allora sì che – passo dopo passo – potremo metterle in pratica e fare, finalmente, la volontà di Dio! “Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre!”. Oggi lo dice a noi Gesù.
Maria sua madre, la Madonna, non è grande e importante anzitutto perché ha dato i natali a lui, Gesù… E’ grande e beata soprattutto perché lo ascoltava come una discepola, si lasciava istruire da lui, e metteva in pratica ciò che ascoltava. Per questo è grande Maria!
Fratelli, preoccupiamoci di fare la volontà di Dio, cioè di ascoltare e custodire nel cuore le sue Parole. Sta in questo il nostro vero bene. E allora il Maligno, per quanto astuto, qualsiasi aspetto abbia, non riuscirà a intrufolarsi nella nostra vita, non potrà mai fare da padrone nei nostri cuori.
Le letture bibliche: Genesi 3,9-15; 2 Corinzi 4,13-5,1; Marco 2,20-35
Come è potuto accadere?
Mi riferisco al 20° secolo, quello appena passato… Come son potute accadere certe cose disumane, crudeli e raccapriccianti, e proprio nei nostri Paesi occidentali di antica tradizione cristiana?
Forse che il Cristianesimo tollera certe tragedie disumane, certi crimini di massa? Voi, fratelli, direte: ma noi siamo venuti in chiesa per sentire una parola buona che ci tiri su di morale, non per sentirci ricordare cose spiacevoli che vorremmo sepolte per sempre!
Certo, e avete ragione – ma Gesù Cristo è un medico onesto e leale. Se il male c’è ed è grave non lo minimizza, non dice: “Oh non preoccuparti, non è niente…”. No, lo rivela per quello che è, e poi ti dice: Vuoi guarire? Vuoi davvero sfuggire a questo male?
Mi pare che il vangelo di oggi sia di questo tenore: suona questa musica, in altre parole.
Parlava di demòni Gesù, di una casa in cui spadroneggia il demonio… e deve arrivare uno più forte di lui perché quella casa possa esserne liberata.
Ma… esiste davvero il demònio, il diavolo, Satana? Ma non l’hanno inventato le religioni (quella cristiana in particolare) per far star buona la gente? Per tenerla al guinzaglio, docile sotto padrone, in altre parole? Non sono pochi gli individui – emancipati, magari anche colti – che la pensano così… pur frequentando le chiese forse: “Tanto, male non fa…” pensano.
Fratelli, io non condivido il terrorismo spirituale di quei tali (preti o frati o laici) che vedono demòni o diavoli dappertutto, no… ma da questo a negarne totalmente l’esistenza e la drammaticità, eh… ce ne passa. Forse è necessario che rivediamo certe nostre idee, che le correggiamo con l’aiuto della Bibbia, del Vangelo soprattutto.
L’immagine del diavoletto tutto nero, con occhi rossi, coda e forca… lasciamola pure al Medio Evo: quello… è perfino folkloristico. Ma quello vero è tutt’altro che folkloristico. La parola stessa, diavolo – che deriva dal greco diabolos – vuol dire semplicemente “divisore”; la sua specialità è portare divisione: tra l’uomo e Dio, tra l’uomo e la donna, all’interno delle famiglie, tra popolo e popolo, tra nazioni. Perfino dentro la stessa persona porta divisione: può accadere che in apparenza, a livello superficiale, la persona sia religiosa, aderisca a Dio, ma in sostanza, a livello di decisioni importanti e vitali, no: ragiona in modo del tutto contrario a Dio. Ecco come si può essere schiavi del Maligno. E quello che accade alla persona accade alle moltitudini, alle culture dei popoli, alle nazioni… Ecco perché nel secolo scorso, nella cristianissima Europa (cristianissima all’apparenza!), son potute accadere certe immani tragedie…
Il diavolo, il maligno, eccelle per astuzia secondo la Bibbia. La prima lettura di poco fa’ lo paragonava al serpente. E’ astuto il serpente, non fa rumore, striscia e s’intrufola per tutti gli anfratti e le aperture che trova, anche le più strette… Nell’esperienza umana, nella stessa storia del mondo, il Maligno si è sempre infiltrato così: con l’astuzia.
Nell’epoca moderna ha preso il volto degli –ismi. Di fronte alle parole che finiscono in –ismo, noi cristiani dovremmo rizzare gli orecchi: oh, non tutte hanno un significato cattivo, ma molte sì; o forse, più che cattivo, velenoso. Al giorno d’oggi poi l’elenco s’è allungato con altre parole nuove … pertanto, attenti, fratelli, al dèmone che si nasdonde dietro agli -ismi! Non lasciamo che s’infiltri di soppiatto nelle nostre menti e nei nostri cuori.
Il vangelo di oggi, poi, ci ha riferito un fatto interessante: Gesù aveva lasciato il suo paese, Nazaret, e aveva cominciato a predicare il Vangelo dappertutto. Il Vangelo, si sa, non è certo tenero con gli ipocriti, con i potenti che opprimono, con quelli che vorrebbero piegare anche Dio ai loro interessi: Gesù diceva cose che mai nessuno prima di lui aveva osato dire. Allora i suoi parenti di Nazaret cominciarono a preoccuparsi: “Questo qui rischia grosso – pensarono. E’ andato fuori di testa! ”. E decisero di andarlo a prendere per riportarlo a casa. Gesù era a Cafarnao in quel momento e c’era molta gente attorno a lui, tutta intenta ad ascoltare le sue parole, il Vangelo. “Giunsero sua madre e i suoi fratelli (per il mondo ebraico tutti i parenti, di qualsiasi grado, sono semplicemente “fratelli”); arrivarono per riportarlo a casa, ma siccome non riuscivano ad avvicinarsi a causa della ressa, lo mandarono a chiamare: “Ci sono qui fuori i tuoi, tua madre, i tuoi fratelli: ti cercano”. Gesù non si scompose nemmeno. “Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?” e girando lo sguardo su quelli che erano attorno a lui intenti ad ascoltarlo, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi fa la volontà di Dio – cioè mette in pratica il vangelo che ascolta – costui per me è fratello, sorella e madre!”.
No, non basta avere il proprio nome scritto sui registri del Battesimo, non basta nemmeno varcare le porte delle chiese o fare di tanto in tanto la comunione per essere vaccinati contro il Maligno… No, fratelli, non basta proprio. E’ necessario invece ascoltare il vangelo con il cuore oltre che con gli orecchi, anzi, portarsi nel cuore le buone parole del vangelo…
Forse non riusciamo a metterle in pratica tutte e subito, ma nessuno lo pretende, nemmeno Gesù Cristo. Ma se le conserviamo nel cuore, un po’ alla volta diventeranno nostre, nostri ideali, nostre idee, nostra mentalità… E allora sì che – passo dopo passo – potremo metterle in pratica e fare, finalmente, la volontà di Dio! “Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre!”. Oggi lo dice a noi Gesù.
Maria sua madre, la Madonna, non è grande e importante anzitutto perché ha dato i natali a lui, Gesù… E’ grande e beata soprattutto perché lo ascoltava come una discepola, si lasciava istruire da lui, e metteva in pratica ciò che ascoltava. Per questo è grande Maria!
Fratelli, preoccupiamoci di fare la volontà di Dio, cioè di ascoltare e custodire nel cuore le sue Parole. Sta in questo il nostro vero bene. E allora il Maligno, per quanto astuto, qualsiasi aspetto abbia, non riuscirà a intrufolarsi nella nostra vita, non potrà mai fare da padrone nei nostri cuori.
Domenica 2 Giugno - Solennità del Corpo e Sangue del Signore
Le letture bibliche: Esodo 24,3-8; Lettera agli Ebrei 9,11-15; Vangelo di Marco 14,12-16.22-26
Oggi, in questa solennità del Corpo e Sangue del Signore, al posto della solita omelia, mi permetto di riferirvi una testimonianza, una vicenda di vita realissima.
Buchenwald – uno dei principali campi di concentramento della Germania Nazista. Vi furono internate circa 240.000 persone provenienti da trenta nazionalità diverse… Le vittime che vi persero la vita, per le estenuanti condizioni di lavoro forzato, o a causa di brutali esperimenti medici, furono circa 56 500. Vi erano internati anche un migliaio di bambini. Dal 1943 al 1945 i prigionieri a Buchenwald vennero brutalmente sfruttati per l'industria bellica, cioè per la produzione di armi d’ogni genere.
Tra quelli che riuscirono a sopravvivere vi fu un giovane francese, appartenente alla gioventù operaia cattolica: Albert Simon, che liberato da quell’inferno, dopo alcuni anni descrisse in un libro la sua esperienza.
Ecco le sue parole: “A Buchenwald ogni espressione religiosa era vietata e per essa si era condannati a morte. Vi erano alcuni sacerdoti cattolici che celebravano la Messa di nascosto e altrettanto di nascosto distribuivano la comunione ai prigionieri che la desideravano. Ad un certo punto furono scoperti dalla polizia nazista e deportati a Dachau, il campo di concentramento nel quale erano prigionieri migliaia di sacerdoti. Prima della loro partenza – scrive questo giovane – sapendo che tra loro vi era un prete originario di un paese vicino al mio, andai nella sua baracca per salutarlo. Appena mi vide, mi disse: “Albert, coraggio, su di morale! Altrimenti qui passeremo come fumo per i camini dei fori crematori!”. Poi, con mia immensa sorpresa, aggiunse: “Io partirò per Dachau, ma voglio affidarti il Santissimo Sacramento (le ostie consacrate che sono il Corpo del Signore) e ti autorizzo a condividerlo con quelli che te lo chiederanno per averne conforto …”. Ciò detto mi consegna una grande ostia consacrata: “Ne farai 20 o 25 pezzetti. La piccolezza non cambia nulla: in ognuno di essi c’è il Signore. Li terrai sempre con te e li darai a quanti sei sicuro che li ricevono con fede e con amore. Le SS vietano tutto questo sotto pena di morte. Ma tu sei giovane (aveva 18 anni); nessuno penserà che tu porti con te il Corpo del Signore. Comunque sii prudente. La grazia di Dio ti sosterrà, ne sono sicuro”.
Al che – continua questo giovane – la prima reazione che mi viene è: “Signore. Io non sono degno: perché proprio io? Io sono fragile, debole, peccatore…Ma poi alla fine concludo: Ebbene, Signore, sia fatta la tua volontà!”. Era l’estate del 1944 (80 anni fa’).
Il Mercoledì 2 Agosto di quell’anno, rientrando dal lavoro cui eravamo costretti, il mio gruppo viene fermato e separato dagli altri. I soldati delle SS, con il manganello bene in vista, ci fanno mettere in fila e ci ordinano di spogliarci completamente, mettendo i nostri vestiti (o meglio, i nostri stracci) per terra davanti a noi. Il mio pensiero va subito al Santissimo Sacramento (il pane consacrato) che custodisco nella tasca sinistra e interna dei miei pantaloni. Il cuore mi batte da impazzire e prego con ardore. Siamo disposti su cinque file, tutti nudi come Adamo. In maniera meticolosa il comandante delle SS esamina i vestiti di ciascuno. C’è un silenzio impressionante. Ogni piccola carta trovata viene messa da parte e sarà esaminata. Che ne sarà dell’Eucaristia, avvolta in una pezzuola bianca nella tasca dei miei pantaloni? Gli abiti del compagno vicino a me vengono perquisiti in maniera minuziosissima. Io impallidisco. Le gambe mi tremano dalla paura. La fifa è una sensazione incontrollabile. L’unico aiuto ora mi può venire solo da Dio. Il comandante che guida la perquisizione si piazza davanti a me, i nostri occhi s’incontrano. Non so perché ma sembra che il mio sguardo lo ipnotizzi. Qualcosa d’inspiegabile accomuna i nostri spiriti. Io non ho più paura di lui. Un fluido misterioso lo costringe a guardare i miei vestiti senza toccarli: vi legge la lettera F (Francese). Dalla sua bocca escono solo queste due parole: “Piccolo francese!”. E passa oltre, senza perquisire i miei stracci. Per me questa è la prova che i piccoli pezzetti di quell’ostia consacrata che è il Corpo del Signore – nella tasca interna dei miei pantaloni - sono rimasti immacolati, e sono intoccabili.
Rientrando nella nostra baracca, mi rifugio nel dormitorio, da solo, e ringrazio Dio. Poi depongo sulla mia lingua un pezzetto di quell’Ostia consacrata. Non ho mai fatto una comunione così intensa in tutta la mia vita. Nei giorni successivi, a più riprese, distribuisco i pezzetti ancora rimasti a quei miei compagni che ne sentono il bisogno e cercano un po’ di consolazione. Ovviamente, tutto di nascosto, spesso di notte, nella maniera più discreta e clandestina possibile”.
Ecco la testimonianza di quel giovane operaio cattolico.
Penso che valga almeno quanto una predica – e forse anche di più – per farci capire quanto sia prezioso il Corpus Domini, il pane consacrato che è il Corpo del Signore.
Le letture bibliche: Esodo 24,3-8; Lettera agli Ebrei 9,11-15; Vangelo di Marco 14,12-16.22-26
Oggi, in questa solennità del Corpo e Sangue del Signore, al posto della solita omelia, mi permetto di riferirvi una testimonianza, una vicenda di vita realissima.
Buchenwald – uno dei principali campi di concentramento della Germania Nazista. Vi furono internate circa 240.000 persone provenienti da trenta nazionalità diverse… Le vittime che vi persero la vita, per le estenuanti condizioni di lavoro forzato, o a causa di brutali esperimenti medici, furono circa 56 500. Vi erano internati anche un migliaio di bambini. Dal 1943 al 1945 i prigionieri a Buchenwald vennero brutalmente sfruttati per l'industria bellica, cioè per la produzione di armi d’ogni genere.
Tra quelli che riuscirono a sopravvivere vi fu un giovane francese, appartenente alla gioventù operaia cattolica: Albert Simon, che liberato da quell’inferno, dopo alcuni anni descrisse in un libro la sua esperienza.
Ecco le sue parole: “A Buchenwald ogni espressione religiosa era vietata e per essa si era condannati a morte. Vi erano alcuni sacerdoti cattolici che celebravano la Messa di nascosto e altrettanto di nascosto distribuivano la comunione ai prigionieri che la desideravano. Ad un certo punto furono scoperti dalla polizia nazista e deportati a Dachau, il campo di concentramento nel quale erano prigionieri migliaia di sacerdoti. Prima della loro partenza – scrive questo giovane – sapendo che tra loro vi era un prete originario di un paese vicino al mio, andai nella sua baracca per salutarlo. Appena mi vide, mi disse: “Albert, coraggio, su di morale! Altrimenti qui passeremo come fumo per i camini dei fori crematori!”. Poi, con mia immensa sorpresa, aggiunse: “Io partirò per Dachau, ma voglio affidarti il Santissimo Sacramento (le ostie consacrate che sono il Corpo del Signore) e ti autorizzo a condividerlo con quelli che te lo chiederanno per averne conforto …”. Ciò detto mi consegna una grande ostia consacrata: “Ne farai 20 o 25 pezzetti. La piccolezza non cambia nulla: in ognuno di essi c’è il Signore. Li terrai sempre con te e li darai a quanti sei sicuro che li ricevono con fede e con amore. Le SS vietano tutto questo sotto pena di morte. Ma tu sei giovane (aveva 18 anni); nessuno penserà che tu porti con te il Corpo del Signore. Comunque sii prudente. La grazia di Dio ti sosterrà, ne sono sicuro”.
Al che – continua questo giovane – la prima reazione che mi viene è: “Signore. Io non sono degno: perché proprio io? Io sono fragile, debole, peccatore…Ma poi alla fine concludo: Ebbene, Signore, sia fatta la tua volontà!”. Era l’estate del 1944 (80 anni fa’).
Il Mercoledì 2 Agosto di quell’anno, rientrando dal lavoro cui eravamo costretti, il mio gruppo viene fermato e separato dagli altri. I soldati delle SS, con il manganello bene in vista, ci fanno mettere in fila e ci ordinano di spogliarci completamente, mettendo i nostri vestiti (o meglio, i nostri stracci) per terra davanti a noi. Il mio pensiero va subito al Santissimo Sacramento (il pane consacrato) che custodisco nella tasca sinistra e interna dei miei pantaloni. Il cuore mi batte da impazzire e prego con ardore. Siamo disposti su cinque file, tutti nudi come Adamo. In maniera meticolosa il comandante delle SS esamina i vestiti di ciascuno. C’è un silenzio impressionante. Ogni piccola carta trovata viene messa da parte e sarà esaminata. Che ne sarà dell’Eucaristia, avvolta in una pezzuola bianca nella tasca dei miei pantaloni? Gli abiti del compagno vicino a me vengono perquisiti in maniera minuziosissima. Io impallidisco. Le gambe mi tremano dalla paura. La fifa è una sensazione incontrollabile. L’unico aiuto ora mi può venire solo da Dio. Il comandante che guida la perquisizione si piazza davanti a me, i nostri occhi s’incontrano. Non so perché ma sembra che il mio sguardo lo ipnotizzi. Qualcosa d’inspiegabile accomuna i nostri spiriti. Io non ho più paura di lui. Un fluido misterioso lo costringe a guardare i miei vestiti senza toccarli: vi legge la lettera F (Francese). Dalla sua bocca escono solo queste due parole: “Piccolo francese!”. E passa oltre, senza perquisire i miei stracci. Per me questa è la prova che i piccoli pezzetti di quell’ostia consacrata che è il Corpo del Signore – nella tasca interna dei miei pantaloni - sono rimasti immacolati, e sono intoccabili.
Rientrando nella nostra baracca, mi rifugio nel dormitorio, da solo, e ringrazio Dio. Poi depongo sulla mia lingua un pezzetto di quell’Ostia consacrata. Non ho mai fatto una comunione così intensa in tutta la mia vita. Nei giorni successivi, a più riprese, distribuisco i pezzetti ancora rimasti a quei miei compagni che ne sentono il bisogno e cercano un po’ di consolazione. Ovviamente, tutto di nascosto, spesso di notte, nella maniera più discreta e clandestina possibile”.
Ecco la testimonianza di quel giovane operaio cattolico.
Penso che valga almeno quanto una predica – e forse anche di più – per farci capire quanto sia prezioso il Corpus Domini, il pane consacrato che è il Corpo del Signore.
Domenica 26 Maggio - SS.ma Trinità e Solennità del Santuario
Le letture bibliche: Deuteronomio 4, 32-34 . 39-40; Romano 8,14-17; Matteo 28,16-20
Non sono pochi a pensare che le religioni siano, in fondo, teorie diverse su Dio. Ammesso che Dio esista, gli uomini si sono fatti delle teorie su di lui. Chi condivide una teoria, chi un’altra, chi un’altra ancora.
Una teoria è quella dei buddisti, un’altra quella degli ebrei, poi c’è quella dei musulmani… e l’elenco, come si sa, sarebbe piuttosto lungo (che se poi ci mettiamo a considerare anche le sette, più o meno stravaganti, che prolificano sempre), quell’elenco non finirebbe più…
Poi è sempre accaduto – e accade anche ai nostri giorni – che gli esponenti di una certa teoria pensano che la loro è l’unica giusta e fanno di tutto per imporla anche agli altri…
Ma il Cristianesimo… è anch’esso una teoria tra le altre?
Io che da prete – cristiano – sto parlando a quei cristiani che siete voi, dovrei dire: no, il Cristianesimo non è una teoria come le altre; è migliore delle altre… Ma l’affermazione sarebbe sospetta, come quella del commerciante che fa pubblicità alla sua merce, a scapito di quella dei suoi colleghi o di altre botteghe…
“Noi crediamo in un unico Dio in tre persone: tre persone ma un solo Dio”. L’espressione fa pensare a un teorema di Pitagora, uno di quelli che imparavamo alle medie quando studiavamo la geometria…
No, fratelli: il Cristianesimo non è una teoria tra le altre, e non è nemmeno la migliore tra tutte le altre, per il semplice fatto che il Cristianesimo non è una teoria. E che cos’è allora? Un avvenimento. Un fatto. Una storia.
“Ha mai tentato un Dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo alle altre… con mano potente e con braccio teso, come fece per voi il Signore vostro Dio? E’ mai accaduto un fatto come questo?”. Era Mosè a parlare così: a quel popolo che, scappando dall’oppressione dell’Egitto, era arrivato alle soglie della Terra Promessa… Da allora sono passati secoli, anzi: millenni; ma queste parole continueranno a risuonare per chi si domanda “Chi è Dio? Dov’è mai questo Dio?”. “Ha mai tentato un Dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo alle altre… con mano potente e con braccio teso, come fece per voi il Signore vostro Dio?”.
E fu solo l’inizio. A un certo punto di quella vicenda Dio si rende visibile, prende le nostre fattezze umane e cammina sulla nostra terra. Dio diventa Gesù. Lavora, mangia, dorme, parla, soffre, muore… in tutto come noi. E risorge.
No, fratelli, il cristianesimo non è una teoria. E’ un avvenimento. Un fatto. Una storia.
Ecco perché ci sono sempre stati quelli che, amanti delle teorie e dei ragionamenti a tavolino, hanno trovato incredibile questa storia. E non l’hanno creduta, infatti. Ci sono anche oggi costoro. Ed è inevitabile che accada, perché se Dio è entrato dentro la storia di questo mondo, è nella vita che lo puoi incontrare, non con i ragionamenti o le discussioni astratte attorno a un tavolo. Se tu cerchi Dio con i ragionamenti, lo vedrai allontanarsi da te; se ti apri a Lui con la Fede, lo troverai alla tua porta che bussa da tanto tempo… in attesa di incontrarti.
E lo potrai conoscere solo così. Padre, Figlio, Spirito Santo, non è un teorema di geometria, è esperienza di vita.
Egli è Padre, perciò in qualunque situazione e a qualsiasi età, tu puoi vincere le paure e lasciarti portare dalla sua sollecitudine… Egli è Figlio, e tu puoi guardare a lui come al fratello maggiore a cui far riferimento, e anche tu puoi vivere da figlio davanti a Dio… E’ Spirito santo, grazie al quale tutto questo non resta teoria, ma diventa davvero vita, cioè: esperienza. Infatti, oggi san Paolo ce l’ha ricordato: “figli di Dio sono quelli che sono guidati dallo Spirito di Santo”.
Sì, perché si potrebbe anche lasciarsi guidare da qualche altro spirito (non certo santo), a cominciare da quello della presunzione o dell’egoismo o da quel pensiero unico cosiddetto (per cui molta gente per essere à la page ragiona alla stessa maniera e condivide le stesse idee su tutto…): allora si ricadrebbe in quel pericolo che denunciavo poco fa’: tutto il cristianesimo si ridurrebbe a teoria e il Mistero di Dio non sarebbe altro che un teorema. No, fratelli: dormiamo pure di notte, ma la nostra coscienza resti sveglia sempre. Che sia davvero lo Spirito di Dio a guidarci nelle nostre scelte e nei nostri comportamenti: è fuoco, ci dice la Bibbia. Ebbene, ogni Domenica (almeno) cerchiamo di ascoltare quella Parola che ha l’effetto di alimentare quel fuoco e tenerlo vivo.
Il segno della croce, che anche oggi abbiamo fatto su di noi, è una piccola porta che si apre e ci permette di entrare nel Mistero della Santissima Trinità. Questo Mistero che non è un enigma, ma un dono, una sorgente di vita alla quale possiamo dissetarci.
Pensate: la mano sale e tocca la fronte. "Nel nome del Padre, diciamo, come un bambino che tende la mano al papà…
Riconoscere Dio come Padre significa: Lui mi ha voluto, mi ha creato, il mio nome è scritto nella sua mano. Mi conosce, sa di me, non mi dimentica e non mi lascia mai.
Poi portiamo la mano dall'alto verso il basso, verso il cuore, dicendo: "e del Figlio". Il Dio altissimo è disceso a noi nel suo Figlio. In Gesù è diventato nostro fratello, ha condiviso la nostra vita, ha sperimentato la gioia e la sofferenza come noi.
Davanti a questo Dio che si fa bambino, che da adulto si inginocchia davanti ai discepoli e lava loro i piedi, e che muore sulla croce per nostro amore, non dobbiamo aver paura di Dio. Chi crede in Lui può respirare bene; è nel Suo nome che siamo salvati e liberati. Infine, la mano va da spalla a spalla, mentre diciamo: e dello Spirito Santo. In questo modo è come se Dio ci stringesse in un abbraccio. Così Dio dimora in noi e ognuno di noi è il tempio dello Spirito Santo. Egli vive in noi e con noi, ci anima, ci pervade, ci riempie, ci incoraggia e ci sostiene.
Non facciamo il segno della croce in modo superficiale o meccanico. Pensiamoci: è una porta che si apre sul Mistero di Dio . E questo mistero non è un enigma, ma una casa che ci accoglie e dove vivremo per sempre.
Le letture bibliche: Deuteronomio 4, 32-34 . 39-40; Romano 8,14-17; Matteo 28,16-20
Non sono pochi a pensare che le religioni siano, in fondo, teorie diverse su Dio. Ammesso che Dio esista, gli uomini si sono fatti delle teorie su di lui. Chi condivide una teoria, chi un’altra, chi un’altra ancora.
Una teoria è quella dei buddisti, un’altra quella degli ebrei, poi c’è quella dei musulmani… e l’elenco, come si sa, sarebbe piuttosto lungo (che se poi ci mettiamo a considerare anche le sette, più o meno stravaganti, che prolificano sempre), quell’elenco non finirebbe più…
Poi è sempre accaduto – e accade anche ai nostri giorni – che gli esponenti di una certa teoria pensano che la loro è l’unica giusta e fanno di tutto per imporla anche agli altri…
Ma il Cristianesimo… è anch’esso una teoria tra le altre?
Io che da prete – cristiano – sto parlando a quei cristiani che siete voi, dovrei dire: no, il Cristianesimo non è una teoria come le altre; è migliore delle altre… Ma l’affermazione sarebbe sospetta, come quella del commerciante che fa pubblicità alla sua merce, a scapito di quella dei suoi colleghi o di altre botteghe…
“Noi crediamo in un unico Dio in tre persone: tre persone ma un solo Dio”. L’espressione fa pensare a un teorema di Pitagora, uno di quelli che imparavamo alle medie quando studiavamo la geometria…
No, fratelli: il Cristianesimo non è una teoria tra le altre, e non è nemmeno la migliore tra tutte le altre, per il semplice fatto che il Cristianesimo non è una teoria. E che cos’è allora? Un avvenimento. Un fatto. Una storia.
“Ha mai tentato un Dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo alle altre… con mano potente e con braccio teso, come fece per voi il Signore vostro Dio? E’ mai accaduto un fatto come questo?”. Era Mosè a parlare così: a quel popolo che, scappando dall’oppressione dell’Egitto, era arrivato alle soglie della Terra Promessa… Da allora sono passati secoli, anzi: millenni; ma queste parole continueranno a risuonare per chi si domanda “Chi è Dio? Dov’è mai questo Dio?”. “Ha mai tentato un Dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo alle altre… con mano potente e con braccio teso, come fece per voi il Signore vostro Dio?”.
E fu solo l’inizio. A un certo punto di quella vicenda Dio si rende visibile, prende le nostre fattezze umane e cammina sulla nostra terra. Dio diventa Gesù. Lavora, mangia, dorme, parla, soffre, muore… in tutto come noi. E risorge.
No, fratelli, il cristianesimo non è una teoria. E’ un avvenimento. Un fatto. Una storia.
Ecco perché ci sono sempre stati quelli che, amanti delle teorie e dei ragionamenti a tavolino, hanno trovato incredibile questa storia. E non l’hanno creduta, infatti. Ci sono anche oggi costoro. Ed è inevitabile che accada, perché se Dio è entrato dentro la storia di questo mondo, è nella vita che lo puoi incontrare, non con i ragionamenti o le discussioni astratte attorno a un tavolo. Se tu cerchi Dio con i ragionamenti, lo vedrai allontanarsi da te; se ti apri a Lui con la Fede, lo troverai alla tua porta che bussa da tanto tempo… in attesa di incontrarti.
E lo potrai conoscere solo così. Padre, Figlio, Spirito Santo, non è un teorema di geometria, è esperienza di vita.
Egli è Padre, perciò in qualunque situazione e a qualsiasi età, tu puoi vincere le paure e lasciarti portare dalla sua sollecitudine… Egli è Figlio, e tu puoi guardare a lui come al fratello maggiore a cui far riferimento, e anche tu puoi vivere da figlio davanti a Dio… E’ Spirito santo, grazie al quale tutto questo non resta teoria, ma diventa davvero vita, cioè: esperienza. Infatti, oggi san Paolo ce l’ha ricordato: “figli di Dio sono quelli che sono guidati dallo Spirito di Santo”.
Sì, perché si potrebbe anche lasciarsi guidare da qualche altro spirito (non certo santo), a cominciare da quello della presunzione o dell’egoismo o da quel pensiero unico cosiddetto (per cui molta gente per essere à la page ragiona alla stessa maniera e condivide le stesse idee su tutto…): allora si ricadrebbe in quel pericolo che denunciavo poco fa’: tutto il cristianesimo si ridurrebbe a teoria e il Mistero di Dio non sarebbe altro che un teorema. No, fratelli: dormiamo pure di notte, ma la nostra coscienza resti sveglia sempre. Che sia davvero lo Spirito di Dio a guidarci nelle nostre scelte e nei nostri comportamenti: è fuoco, ci dice la Bibbia. Ebbene, ogni Domenica (almeno) cerchiamo di ascoltare quella Parola che ha l’effetto di alimentare quel fuoco e tenerlo vivo.
Il segno della croce, che anche oggi abbiamo fatto su di noi, è una piccola porta che si apre e ci permette di entrare nel Mistero della Santissima Trinità. Questo Mistero che non è un enigma, ma un dono, una sorgente di vita alla quale possiamo dissetarci.
Pensate: la mano sale e tocca la fronte. "Nel nome del Padre, diciamo, come un bambino che tende la mano al papà…
Riconoscere Dio come Padre significa: Lui mi ha voluto, mi ha creato, il mio nome è scritto nella sua mano. Mi conosce, sa di me, non mi dimentica e non mi lascia mai.
Poi portiamo la mano dall'alto verso il basso, verso il cuore, dicendo: "e del Figlio". Il Dio altissimo è disceso a noi nel suo Figlio. In Gesù è diventato nostro fratello, ha condiviso la nostra vita, ha sperimentato la gioia e la sofferenza come noi.
Davanti a questo Dio che si fa bambino, che da adulto si inginocchia davanti ai discepoli e lava loro i piedi, e che muore sulla croce per nostro amore, non dobbiamo aver paura di Dio. Chi crede in Lui può respirare bene; è nel Suo nome che siamo salvati e liberati. Infine, la mano va da spalla a spalla, mentre diciamo: e dello Spirito Santo. In questo modo è come se Dio ci stringesse in un abbraccio. Così Dio dimora in noi e ognuno di noi è il tempio dello Spirito Santo. Egli vive in noi e con noi, ci anima, ci pervade, ci riempie, ci incoraggia e ci sostiene.
Non facciamo il segno della croce in modo superficiale o meccanico. Pensiamoci: è una porta che si apre sul Mistero di Dio . E questo mistero non è un enigma, ma una casa che ci accoglie e dove vivremo per sempre.
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T E M P O D I P A S Q U A
19 Maggio - Solennità di PENTECOSTE
Le letture bibliche: Atti degli Apostoli 2,1-11; San Paolo ai Galati 5,16-25; Vangelo di Giovanni 15,26-27;16,12-15
Cos’è che può rendere coraggioso e audace, uno che per carattere è timido e pavido? uno che per natura sua di fronte alle difficoltà della vita si lascia cadere le braccia? Può essere l’interesse: l’interesse economico, intendo ( i soldi fanno vedere anche gli orbi, si dice; mettono le ali ai piedi anche ai pigri). Può essere la necessità: la necessità aguzza l’ingegno. Chi ha fame, piuttosto che morir di fame può darsi che vada a rubare, anche se non è affatto un ladro! Può anche essere l’amore: la fame fa far salti e l’amore ancor più alti, si dice… Per cui, sì: l’interesse, o la fame, o l’amore, possono rendere coraggiosi e audaci se è necessario.
Ma quel giorno di Pentecoste a Gerusalemme non c’entrava né l’interesse, né la fame, né l’amore. C’erano 12 individui (gli apostoli) che, dopo quello che era accaduto al loro capo (Gesù) avevano paura perfino di mettere il naso fuori dalla porta… ed ecco che quel giorno, improvvisamente, uscirono per le strade e per le piazze e cominciarono a “comunicare” la bella notizia di Gesù (cioè il Vangelo) a tutti quelli che incontravano. Tenete presente che tutti quei 12 erano stati pescatori, o operai a giornata… nessuno di loro aveva frequentato l’università, anzi, neanche le scuole medie e superiori. E seppero comunicare con tale convinzione la bella notizia di Gesù che fin da quel primo giorno molti se ne lasciarono coinvolgere. Non solo: gli ascoltatori erano stupefatti perché, pur essendoci anche stranieri tra loro, costoro li capivano nella loro lingua…
No, qui non basta più l’interesse, o la fame, o l’amore, a produrre un tale effetto. Qui c’è un’altra spiegazione; e la spiegazione da allora si chiama semplicemente così: Spirito Santo. Dopo averlo atteso nella preghiera tutti insieme, proprio il giorno della Pentecoste (che era un’antica festa ebraica), venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si posarono su ciascuno di loro ed essi furono tutti riempiti dallo Spirito Santo… Riempiti fino a traboccare, tanto che quella sala in cui si trovavano divenne troppo stretta. Lo Spirito santo li convinse ad uscire.
Gesù lo chiama “Paràclito” (parola greca questa): il Paràclito è uno che ti pungola se batti la fiacca, ti sta accanto e ti rialza se cadi, ti sostiene quando le batterie rischiano di scaricarsi…“Quando verrà il Paràclito…egli mi renderà testimonianza, e anche voi allora mi sarete testimoni…” aveva promesso Gesù.
Perché la nostra Fede in Lui a volte vacilla, fratelli? Perché è debole invece che forte e potente? Perché nei nostri paesi Occidentali, il primo mondo, invece che il vangelo di Dio ha più presa l’ideologia della chiusura sui propri interessi? Perché sta dilagando l’individualismo? Non sarà che proprio noi cristiani ignoriamo lo Spirito Paraclito (che pure ci è stato dato) e ci fidiamo di più dello spirito di questo mondo, che non è certo ne’ santo ne’ Paraclito?
A volte è necessario essere messi alle strette, per accorgersi che con le proprie risorse si conclude poco o niente. Sì, pare che stia accadendo su tutti i fronti. Pensate: quasi tutti d’accordo i nostri Paesi Europei sul fatto che profughi e rifugiati vanno accolti e trattati con umanità, ma poi a lato pratico è la logica dello scarica barile quella che funziona.
Sul piano dei mertcati, l’unico commercio che non va mai in crisi è quello delle armi: sempre più sofisticate e micidiali… e intanto le folle dei disperati aumentano e non cessano di rischiare il tutto per tutto pur di salvare la pelle e la vita. Cos’è questo se non trovarsi in un vicolo cieco, esser messi alle strette?
Si parla di ripresa in campo economico, si riportano dati, previsioni, percentuali… e nello stesso tempo la Caritas (ma non solo quella) ci informa che le persone e le famiglie in situazione di povertà stanno aumentando in continuazione. Non è come trovarsi in un vicolo cieco… esser messi alle strette?
Anche nella Chiesa lo stiamo sperimentando. Le vicende scandalose di certi preti o religiosi, finite sulle prime pagine dei giornali, non hanno reso certo un buon servizio alla Fede, al Vangelo, alla Chiesa stessa… Non vi pare che anche qui è come esser messi alle strette?
Ma possiamo anche guardarci nello specchio noi stessi come individui, cristiani certamente… Le parole volano e gli esempi invece trascinano, si dice. Eppure non abbiamo spesso la sensazione di essere poco incisivi: sui vicini, sui colleghi di lavoro, sui più giovani? Perché mai la testimonianza dei cristiani a volte è piuttosto fiacca, tanto da risultare poco credibile? Non è come trovarsi in un vicolo cieco anche qui…ed esser messi alle strette?
Oh, guardiamoci dal pensare allo Spirito Santo come allo zio d’America che risolve o ripara tutti i nostri errori, ma è comunque lui che ha fatto saltare le strettoie di quel cenacolo in cui si trovavano gli apostoli… e allora, fratelli, come minimo ce lo dobbiamo domandare oggi, sì…ciascuno personalmente: ma io mi lascio animare dallo Spirito Santo? E prima ancora: c’è posto per lui nella mia vita? Gesù ha messo in guardia con molta chiarezza: “Guardate che il mondo non lo può ricevere!”. Oh, bella! E perché non lo può ricevere? Perché è pieno di se stesso, dei suoi ideali fasulli, delle sue presunzioni… non saprebbe dove metterlo lo Spirito Santo!
Non è che accade anche a noi? Dio nostro Padre è generoso a questo riguardo: è il dono più prezioso che può fare e vorrebbe farlo a tutti… ma in certuni questo Spirito buono e prezioso è costretto a fare toccata e fuga, perché sono così pieni di loro stessi che per lui proprio non hanno posto. E allora torno alla domanda: in me, in te, in noi… può venire e restare lo Spirito Paraclito?
Come può essere diversa la vita con lui, fratelli! Che buon sapore possono prendere i nostri giorni, anche quelli più abituali che in apparenza potrebbero sembrare monotoni o grigi! E che soddisfazione nel poter affrontare difficoltà e prove senza il rischio di piombare nella paura o nell’angoscia, perché qualcuno più forte di noi ci sostiene e va davanti!
Che poi, non crediate che per riceverlo in dono questo Spirito santo “amico” si debbano fare chissà quali cose straordinarie… No, affatto. Le occasioni per riceverlo sono tutte a nostra disposizione, basta saperle cogliere con costanza: l’ascolto frequente del vangelo, la preghiera di ogni giorno, la carità in tutte le sue espressioni, quelle occasioni preziose che sono i “sacramenti” (l’Eucaristia, ma anche la Confessione): ecco i canali attraverso i quali arriva a noi lo Spirito Paràclito. E allora tante cose possono cambiare! Eccome! Certe strettoie salterebbero e certi vicoli… sì, magari rimarrebbero stretti lostesso, ma non sarebbero più vicoli ciechi.
Perciò, Fratelli cristiani, siamo saggi, anzi, e meglio ancora, facciamoci furbi! Cerchiamo e chiediamo pure a Dio tutti i doni che ci può fare, ma tra tutti, il più prezioso in assoluto: lo Spirito santo. A una condizione ben precisa tuttavia: che ci sia posto per lui nella nostra vita e possa trovarsi abbastanza bene con noi.
Le letture bibliche: Atti degli Apostoli 2,1-11; San Paolo ai Galati 5,16-25; Vangelo di Giovanni 15,26-27;16,12-15
Cos’è che può rendere coraggioso e audace, uno che per carattere è timido e pavido? uno che per natura sua di fronte alle difficoltà della vita si lascia cadere le braccia? Può essere l’interesse: l’interesse economico, intendo ( i soldi fanno vedere anche gli orbi, si dice; mettono le ali ai piedi anche ai pigri). Può essere la necessità: la necessità aguzza l’ingegno. Chi ha fame, piuttosto che morir di fame può darsi che vada a rubare, anche se non è affatto un ladro! Può anche essere l’amore: la fame fa far salti e l’amore ancor più alti, si dice… Per cui, sì: l’interesse, o la fame, o l’amore, possono rendere coraggiosi e audaci se è necessario.
Ma quel giorno di Pentecoste a Gerusalemme non c’entrava né l’interesse, né la fame, né l’amore. C’erano 12 individui (gli apostoli) che, dopo quello che era accaduto al loro capo (Gesù) avevano paura perfino di mettere il naso fuori dalla porta… ed ecco che quel giorno, improvvisamente, uscirono per le strade e per le piazze e cominciarono a “comunicare” la bella notizia di Gesù (cioè il Vangelo) a tutti quelli che incontravano. Tenete presente che tutti quei 12 erano stati pescatori, o operai a giornata… nessuno di loro aveva frequentato l’università, anzi, neanche le scuole medie e superiori. E seppero comunicare con tale convinzione la bella notizia di Gesù che fin da quel primo giorno molti se ne lasciarono coinvolgere. Non solo: gli ascoltatori erano stupefatti perché, pur essendoci anche stranieri tra loro, costoro li capivano nella loro lingua…
No, qui non basta più l’interesse, o la fame, o l’amore, a produrre un tale effetto. Qui c’è un’altra spiegazione; e la spiegazione da allora si chiama semplicemente così: Spirito Santo. Dopo averlo atteso nella preghiera tutti insieme, proprio il giorno della Pentecoste (che era un’antica festa ebraica), venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si posarono su ciascuno di loro ed essi furono tutti riempiti dallo Spirito Santo… Riempiti fino a traboccare, tanto che quella sala in cui si trovavano divenne troppo stretta. Lo Spirito santo li convinse ad uscire.
Gesù lo chiama “Paràclito” (parola greca questa): il Paràclito è uno che ti pungola se batti la fiacca, ti sta accanto e ti rialza se cadi, ti sostiene quando le batterie rischiano di scaricarsi…“Quando verrà il Paràclito…egli mi renderà testimonianza, e anche voi allora mi sarete testimoni…” aveva promesso Gesù.
Perché la nostra Fede in Lui a volte vacilla, fratelli? Perché è debole invece che forte e potente? Perché nei nostri paesi Occidentali, il primo mondo, invece che il vangelo di Dio ha più presa l’ideologia della chiusura sui propri interessi? Perché sta dilagando l’individualismo? Non sarà che proprio noi cristiani ignoriamo lo Spirito Paraclito (che pure ci è stato dato) e ci fidiamo di più dello spirito di questo mondo, che non è certo ne’ santo ne’ Paraclito?
A volte è necessario essere messi alle strette, per accorgersi che con le proprie risorse si conclude poco o niente. Sì, pare che stia accadendo su tutti i fronti. Pensate: quasi tutti d’accordo i nostri Paesi Europei sul fatto che profughi e rifugiati vanno accolti e trattati con umanità, ma poi a lato pratico è la logica dello scarica barile quella che funziona.
Sul piano dei mertcati, l’unico commercio che non va mai in crisi è quello delle armi: sempre più sofisticate e micidiali… e intanto le folle dei disperati aumentano e non cessano di rischiare il tutto per tutto pur di salvare la pelle e la vita. Cos’è questo se non trovarsi in un vicolo cieco, esser messi alle strette?
Si parla di ripresa in campo economico, si riportano dati, previsioni, percentuali… e nello stesso tempo la Caritas (ma non solo quella) ci informa che le persone e le famiglie in situazione di povertà stanno aumentando in continuazione. Non è come trovarsi in un vicolo cieco… esser messi alle strette?
Anche nella Chiesa lo stiamo sperimentando. Le vicende scandalose di certi preti o religiosi, finite sulle prime pagine dei giornali, non hanno reso certo un buon servizio alla Fede, al Vangelo, alla Chiesa stessa… Non vi pare che anche qui è come esser messi alle strette?
Ma possiamo anche guardarci nello specchio noi stessi come individui, cristiani certamente… Le parole volano e gli esempi invece trascinano, si dice. Eppure non abbiamo spesso la sensazione di essere poco incisivi: sui vicini, sui colleghi di lavoro, sui più giovani? Perché mai la testimonianza dei cristiani a volte è piuttosto fiacca, tanto da risultare poco credibile? Non è come trovarsi in un vicolo cieco anche qui…ed esser messi alle strette?
Oh, guardiamoci dal pensare allo Spirito Santo come allo zio d’America che risolve o ripara tutti i nostri errori, ma è comunque lui che ha fatto saltare le strettoie di quel cenacolo in cui si trovavano gli apostoli… e allora, fratelli, come minimo ce lo dobbiamo domandare oggi, sì…ciascuno personalmente: ma io mi lascio animare dallo Spirito Santo? E prima ancora: c’è posto per lui nella mia vita? Gesù ha messo in guardia con molta chiarezza: “Guardate che il mondo non lo può ricevere!”. Oh, bella! E perché non lo può ricevere? Perché è pieno di se stesso, dei suoi ideali fasulli, delle sue presunzioni… non saprebbe dove metterlo lo Spirito Santo!
Non è che accade anche a noi? Dio nostro Padre è generoso a questo riguardo: è il dono più prezioso che può fare e vorrebbe farlo a tutti… ma in certuni questo Spirito buono e prezioso è costretto a fare toccata e fuga, perché sono così pieni di loro stessi che per lui proprio non hanno posto. E allora torno alla domanda: in me, in te, in noi… può venire e restare lo Spirito Paraclito?
Come può essere diversa la vita con lui, fratelli! Che buon sapore possono prendere i nostri giorni, anche quelli più abituali che in apparenza potrebbero sembrare monotoni o grigi! E che soddisfazione nel poter affrontare difficoltà e prove senza il rischio di piombare nella paura o nell’angoscia, perché qualcuno più forte di noi ci sostiene e va davanti!
Che poi, non crediate che per riceverlo in dono questo Spirito santo “amico” si debbano fare chissà quali cose straordinarie… No, affatto. Le occasioni per riceverlo sono tutte a nostra disposizione, basta saperle cogliere con costanza: l’ascolto frequente del vangelo, la preghiera di ogni giorno, la carità in tutte le sue espressioni, quelle occasioni preziose che sono i “sacramenti” (l’Eucaristia, ma anche la Confessione): ecco i canali attraverso i quali arriva a noi lo Spirito Paràclito. E allora tante cose possono cambiare! Eccome! Certe strettoie salterebbero e certi vicoli… sì, magari rimarrebbero stretti lostesso, ma non sarebbero più vicoli ciechi.
Perciò, Fratelli cristiani, siamo saggi, anzi, e meglio ancora, facciamoci furbi! Cerchiamo e chiediamo pure a Dio tutti i doni che ci può fare, ma tra tutti, il più prezioso in assoluto: lo Spirito santo. A una condizione ben precisa tuttavia: che ci sia posto per lui nella nostra vita e possa trovarsi abbastanza bene con noi.
12 Maggio - Solennità dell'Ascensione del Signore
Le letture bibliche: Atti degli Apostoli 1,1-11; Efesini 4,1-13; Marco 16,15-20
Abitare in un posto dove non si vede quasi mai il sole è molto diverso dal dimorare in un luogo dal quale si gode un bel panorama: anche i modi di vivere sono diversi. Così come è diverso quel ragazzo che studia medicina coll’idea di fare un domani qualcosa di buono per il suo prossimo, da quell’altro che frequenta la stessa facoltà con la sola idea di andare un domani all’estero e guadagnare parecchio (visto che in Italia quest’ambizione è difficile poterla soddisfare dì questi tempi). Ma anche chi si muove coll’idea di andare per funghi ha un passo diverso da chi lo fa per salire in cima a una montagna.
Con questi esempi intendo riferirmi ai traguardi, agli orizzonti che danno senso, sapore, sprint al nostro modo di vivere. Possono essere traguardi molto ravvicinati, terra terra, e allora anche lo stile di vita, sarà terra terra…Possono essere orizzonti vasti, elevati, e allora si vive con un’altra anima, con altra mentalità.
Oggi, il Signore Gesù fa una cosa che è ha l’effetto di ampliare all’infinito i nostri orizzonti: ascende al cielo. A questo punto molti pensano che così ha abbandonato la nostra terra e si è messo per conto suo al sicuro, vicino a Dio: alla destra del Padre, appunto. Ebbene no, l’ascensione di Gesù Cristo non è da pensare così. Il vangelo ci ha detto che sì, è asceso al cielo, ma mentre i suoi discepoli se ne andavano per il mondo ad annunciare il vangelo lui era con loro, agiva e operava insieme a loro. Ma la logica dice che se uno se n’è andato non può più essere qui. O è partito, o è qui.
No, fratelli, guardiamoci dal pensare all’ascensione di Gesù come alla sua partenza, e quindi alla sua assenza; vorrebbe dire che non abbiamo capito quasi niente del Cristianesimo. E perché non cercar di capire un po’ meglio, e di più, se possibile? Perché è asceso al cielo Gesù Cristo? Cosa vuol dire ascendere al cielo?
Lui è il Figlio di Dio, ma si è fatto in tutto e per tutto umano come noi, che invece siamo di questa terra e qui poggiamo i piedi: per quanto proviamo ad allungarci, ad innalzarci, noi al cielo non ci arriviamo affatto (oh, non parlo di quello solcato dagli aerei o dai droni: non è il cielo quello, è semplicemente la stratosfera: il cielo di Dio è tutt’altra cosa!).
Noi non siamo né dèi né angeli: il cielo di Dio è aldilà delle nostre capacità; da soli non ci arriveremo mai. Ed ecco che uno, venuto da lì, fattosi uomo in carne e ossa come noi, ci ha aperto la strada per arrivare proprio lì, al cielo di Dio. E’ per noi che Gesù ascende al cielo; non è per far scena agli occhi dei suoi apostoli che ha condotto sul Monte degli ulivi e poi da lì fu elevato in alto fin che una nube lo sottrasse al loro sguardo (come ci ha raccontato oggi san Luca): no, non era per far scena; era per dire: "Cari discepoli, io vi apro la strada, vado avanti. Guardate che dove vado io è lì che arriverete anche voi: perché voi siete fatti per il cielo, concittadini dei santi e familiari di Dio; ecco il vostro traguardo, l’orizzonte che vi aspetta."
Vivere in un buco di casa o di paese – dicevo - è molto diverso dal vivere in un posto dove si ha un orizzonte ampio davanti a sé. Ebbene, ecco una prima conclusione per noi cristiani: se l’orizzonte della nostra vita non è quello che oggi Gesù ci apre davanti, allora per noi è come vivere in un buco. Non permettiamo che il cielo di Dio si oscuri sopra la nostra vita, fratelli. Che il tempo atmosferico sia brutto o bello dipende dalle nubi: che ci siano o non ci siano; ma che il cielo di Dio sia sempre limpido e terso sulla nostra vita, dipende da noi: Gesù l’ha aperto, tocca noi tenerlo sgombro dalle nubi. Quand’è che subentrano le nubi?
Quando ci dimentichiamo di sollevare lo sguardo verso Dio e di ascoltarlo aprendogli il cuore… quando ci abituiamo a vivere come se Lui non ci fosse e noi potessimo far senza di lui… Ecco quando arrivano le nubi.
E i risultati, gli effetti, si vedono: in tutti i settori della vita, sia quella individuale sia quella sociale. E’ come se sparisse il sole: tutto diventa grigio, monotono. Allora la gente deve inventarsi molte stravaganze per illudersi che è bello lo stesso! Il lavoro, la professione, il proprio dovere … decadono a un peso noioso da portare senza impegno né entusiasmo; oppure ci si affanna a spron battuto come delle macchine, dimenticandosi che si è persone, non macchine… E l’amore - pensate - cosa diventa l’amore senza il cielo di Dio che splende sopra di noi? Diventa un’avventura piccina, stagionale… dal respiro piuttosto corto! Ma la stessa esperienza cristiana, la nostra vita di Comunità, di Chiesa, a cosa si ridurrebbe se chiudessimo l’orizzonte di Dio sopra i nostri cuori? Il nostro servire, il volontariato (nei gruppi, nelle associazioni) si ridurrebbe a un affannoso arrabattarsi, a un correre in continuazione, che alla fine ci sfibra e ci inaridisce.
Fratelli, il cielo di Dio rimane aperto sopra di noi quando diamo opportuno spazio alla preghiera, fatta di ascolto del Signore prima che di dir su parole... Rimane limpido il cielo quando sappiamo fermarci a contemplare tutto ciò che il Signore fa per noi… Perché se non sappiamo farlo, è come se quel cielo si chiudesse: allora anche la Chiesa diventerebbe un’azienda, o tutt’al più un’organizzazione umanitaria, dove ci potrà essere anche religiosità, ma Fede, poca…
Certo che dobbiamo occuparci delle cose di questa terra, della vita decorosa delle nostre famiglie, dei problemi e delle attese della società e di tutto questo mondo di oggi: Gesù stesso ci dice: “Andate, siate miei testimoni per tutta la terra”, ma lo potremo essere se il cielo di Dio rimane ben aperto sopra di noi, e soprattutto se non dimenticheremo la sua promessa: “Non abbiate timore: io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo!”. E gli possiamo credere, fratelli, perché lui non è il politicante che si rimangia il giorno dopo le parole che aveva detto il giorno prima!
Quando sentiamo la parola “cielo”, noi cristiani di solito pensiamo alla mèta che ci attende quando moriremo e ce ne andremo da questo mondo. Ma le donne e gli uomini di oggi – cristiani compresi – non hanno nessuna fretta di andare in cielo, anzi, cercano di star qui più che possono e meglio che possono: giusto, la vita è comunque dono di Dio; amarla e goderla è onorare Colui che ce l’ha donata. Ma ricordiamocelo: prima che traguardo finale – il cielo è orizzonte che dà senso e colore proprio alla vita su questa terra: traguardo futuro e orizzonte di adesso, quindi.
Se si chiudesse, se lo perdessimo di vista (cosa che dipende solo da noi): tutto si ridurrebbe e perderebbe sapore. E anche quello che oggi ci appare seducente, in un battibaleno potrebbe diventare grigio e monotono. Pertanto: teniamo aperto il cielo di Dio sulla nostra vita, fratelli!
Le letture bibliche: Atti degli Apostoli 1,1-11; Efesini 4,1-13; Marco 16,15-20
Abitare in un posto dove non si vede quasi mai il sole è molto diverso dal dimorare in un luogo dal quale si gode un bel panorama: anche i modi di vivere sono diversi. Così come è diverso quel ragazzo che studia medicina coll’idea di fare un domani qualcosa di buono per il suo prossimo, da quell’altro che frequenta la stessa facoltà con la sola idea di andare un domani all’estero e guadagnare parecchio (visto che in Italia quest’ambizione è difficile poterla soddisfare dì questi tempi). Ma anche chi si muove coll’idea di andare per funghi ha un passo diverso da chi lo fa per salire in cima a una montagna.
Con questi esempi intendo riferirmi ai traguardi, agli orizzonti che danno senso, sapore, sprint al nostro modo di vivere. Possono essere traguardi molto ravvicinati, terra terra, e allora anche lo stile di vita, sarà terra terra…Possono essere orizzonti vasti, elevati, e allora si vive con un’altra anima, con altra mentalità.
Oggi, il Signore Gesù fa una cosa che è ha l’effetto di ampliare all’infinito i nostri orizzonti: ascende al cielo. A questo punto molti pensano che così ha abbandonato la nostra terra e si è messo per conto suo al sicuro, vicino a Dio: alla destra del Padre, appunto. Ebbene no, l’ascensione di Gesù Cristo non è da pensare così. Il vangelo ci ha detto che sì, è asceso al cielo, ma mentre i suoi discepoli se ne andavano per il mondo ad annunciare il vangelo lui era con loro, agiva e operava insieme a loro. Ma la logica dice che se uno se n’è andato non può più essere qui. O è partito, o è qui.
No, fratelli, guardiamoci dal pensare all’ascensione di Gesù come alla sua partenza, e quindi alla sua assenza; vorrebbe dire che non abbiamo capito quasi niente del Cristianesimo. E perché non cercar di capire un po’ meglio, e di più, se possibile? Perché è asceso al cielo Gesù Cristo? Cosa vuol dire ascendere al cielo?
Lui è il Figlio di Dio, ma si è fatto in tutto e per tutto umano come noi, che invece siamo di questa terra e qui poggiamo i piedi: per quanto proviamo ad allungarci, ad innalzarci, noi al cielo non ci arriviamo affatto (oh, non parlo di quello solcato dagli aerei o dai droni: non è il cielo quello, è semplicemente la stratosfera: il cielo di Dio è tutt’altra cosa!).
Noi non siamo né dèi né angeli: il cielo di Dio è aldilà delle nostre capacità; da soli non ci arriveremo mai. Ed ecco che uno, venuto da lì, fattosi uomo in carne e ossa come noi, ci ha aperto la strada per arrivare proprio lì, al cielo di Dio. E’ per noi che Gesù ascende al cielo; non è per far scena agli occhi dei suoi apostoli che ha condotto sul Monte degli ulivi e poi da lì fu elevato in alto fin che una nube lo sottrasse al loro sguardo (come ci ha raccontato oggi san Luca): no, non era per far scena; era per dire: "Cari discepoli, io vi apro la strada, vado avanti. Guardate che dove vado io è lì che arriverete anche voi: perché voi siete fatti per il cielo, concittadini dei santi e familiari di Dio; ecco il vostro traguardo, l’orizzonte che vi aspetta."
Vivere in un buco di casa o di paese – dicevo - è molto diverso dal vivere in un posto dove si ha un orizzonte ampio davanti a sé. Ebbene, ecco una prima conclusione per noi cristiani: se l’orizzonte della nostra vita non è quello che oggi Gesù ci apre davanti, allora per noi è come vivere in un buco. Non permettiamo che il cielo di Dio si oscuri sopra la nostra vita, fratelli. Che il tempo atmosferico sia brutto o bello dipende dalle nubi: che ci siano o non ci siano; ma che il cielo di Dio sia sempre limpido e terso sulla nostra vita, dipende da noi: Gesù l’ha aperto, tocca noi tenerlo sgombro dalle nubi. Quand’è che subentrano le nubi?
Quando ci dimentichiamo di sollevare lo sguardo verso Dio e di ascoltarlo aprendogli il cuore… quando ci abituiamo a vivere come se Lui non ci fosse e noi potessimo far senza di lui… Ecco quando arrivano le nubi.
E i risultati, gli effetti, si vedono: in tutti i settori della vita, sia quella individuale sia quella sociale. E’ come se sparisse il sole: tutto diventa grigio, monotono. Allora la gente deve inventarsi molte stravaganze per illudersi che è bello lo stesso! Il lavoro, la professione, il proprio dovere … decadono a un peso noioso da portare senza impegno né entusiasmo; oppure ci si affanna a spron battuto come delle macchine, dimenticandosi che si è persone, non macchine… E l’amore - pensate - cosa diventa l’amore senza il cielo di Dio che splende sopra di noi? Diventa un’avventura piccina, stagionale… dal respiro piuttosto corto! Ma la stessa esperienza cristiana, la nostra vita di Comunità, di Chiesa, a cosa si ridurrebbe se chiudessimo l’orizzonte di Dio sopra i nostri cuori? Il nostro servire, il volontariato (nei gruppi, nelle associazioni) si ridurrebbe a un affannoso arrabattarsi, a un correre in continuazione, che alla fine ci sfibra e ci inaridisce.
Fratelli, il cielo di Dio rimane aperto sopra di noi quando diamo opportuno spazio alla preghiera, fatta di ascolto del Signore prima che di dir su parole... Rimane limpido il cielo quando sappiamo fermarci a contemplare tutto ciò che il Signore fa per noi… Perché se non sappiamo farlo, è come se quel cielo si chiudesse: allora anche la Chiesa diventerebbe un’azienda, o tutt’al più un’organizzazione umanitaria, dove ci potrà essere anche religiosità, ma Fede, poca…
Certo che dobbiamo occuparci delle cose di questa terra, della vita decorosa delle nostre famiglie, dei problemi e delle attese della società e di tutto questo mondo di oggi: Gesù stesso ci dice: “Andate, siate miei testimoni per tutta la terra”, ma lo potremo essere se il cielo di Dio rimane ben aperto sopra di noi, e soprattutto se non dimenticheremo la sua promessa: “Non abbiate timore: io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo!”. E gli possiamo credere, fratelli, perché lui non è il politicante che si rimangia il giorno dopo le parole che aveva detto il giorno prima!
Quando sentiamo la parola “cielo”, noi cristiani di solito pensiamo alla mèta che ci attende quando moriremo e ce ne andremo da questo mondo. Ma le donne e gli uomini di oggi – cristiani compresi – non hanno nessuna fretta di andare in cielo, anzi, cercano di star qui più che possono e meglio che possono: giusto, la vita è comunque dono di Dio; amarla e goderla è onorare Colui che ce l’ha donata. Ma ricordiamocelo: prima che traguardo finale – il cielo è orizzonte che dà senso e colore proprio alla vita su questa terra: traguardo futuro e orizzonte di adesso, quindi.
Se si chiudesse, se lo perdessimo di vista (cosa che dipende solo da noi): tutto si ridurrebbe e perderebbe sapore. E anche quello che oggi ci appare seducente, in un battibaleno potrebbe diventare grigio e monotono. Pertanto: teniamo aperto il cielo di Dio sulla nostra vita, fratelli!
5 Maggio - Sesta Domenica di Pasqua
Le letture bibliche: Atti degli Apostoli 10,25-26. 34- 35.44-48; 1Giovanni4,7-10; Vangelo di Giovanni 15,9-17
Son finiti i tempi in cui, per indurre uno a fare o non fare una cosa, bastava motivarla con un “perché di sì”; oppure “perché di no”. Non convincono più nessuno queste risposte prive di qualsiasi motivazione ragionevole; indicherebbero solo che l’autorevolezza di chi parla così è proprio ridotta a zero.
Occorre portare motivi plausibili, ragioni valide; c’è una logica per la quale si devono fare o non fare certe cose. Se dicessero a me: “C’è qui un malato grave che ha bisogno di essere operato: datti le mani d’attorno, intervieni…” – io dovrei dire: “no, cari miei, non lo so fare”. Se mi dicono invece: “C’è bisogno di un prete!”, “Beh…allora sì, eccomi”. Non si può chiedere qualsiasi cosa a chiunque; qualsiasi prestazione al primo che passa per strada.
Si può chiedere ai cristiani di amare? Si può pretendere da noi cristiani che sappiamo amare? “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri”: l’abbiamo risentito anche oggi, nel caso che l’avessimo dimenticato. Ma si può pretendere da noi cristiani che sappiamo amare? E perché proprio da noi, e non dagli atei, o dai miscredenti? E’ molto diffusa l’idea che amare, perdonare, aiutare il prossimo, sia prerogativa dei cristiani; non che non lo sappiano fare anche i buddisti, o i musulmani, o gli atei, ma se non lo fanno i cristiani…che cristiani sono? E’ qui, però, che per molti cristiani…casca l’asino, cioè non sanno rispondere a questo “perché?”. “Perché di sì”, dicono tutt’al più. Come se Gesù Cristo, quando ci ha consegnato questo comandamento, non ci avesse dato ancor prima le ragioni, i buoni motivi per osservarlo. Le letture di questa Liturgia ce li ripresentano in lungo e in largo; sì, ma val la pena ascoltarle davvero, oltre che sentirle. “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi” afferma Gesù. Ecco la prima buona ragione per amare da cristiani. E cerchiamo di capire.
Con la primavera e soprattutto l’estate si riapre il tempo delle gite in montagna. Capita di passare accanto a ruscelli, a torrenti, che scendono formando delle piccole cascate: l’acqua scroscia giù da un’altura e riempie un bacino, o fa un piccolo lago in uno slargo del torrente; ma poi trabocca anche da lì e balza giù di nuovo, riempiendo un altro bacino ancora…e continua in questo modo fin che dura la pendenza del terreno.
”Il Padre ha amato me” dice Gesù: ecco la cascata che irrompe e forma il primo bacino. Ma poi quello trabocca in una nuova cascata: “così io ho amato voi”. L’impeto della corrente si placa sul piano: là può formare anche un lago dalle acque calme e tranquille; là è perfino bello sostare. “Rimanete nel mio amore”, conclude Gesù, ed è come se dicesse: abitate in questa corrente, fatene la vostra stabile dimora, perché fuori di lì l’acqua diventa stagnante, o si prosciuga. L’amore perde audacia, perde mordente, si snerva.
Ecco la prima ragione per amare da cristiani: noi cristiani siamo tenuti a farlo perché ne abbiamo le motivazioni e la capacità. Noi possiamo amare perché siamo dentro una corrente d’amore che viene da lontano, da Dio per l’esattezza: se non amiamo, è perché da quella corrente ci siamo tirati fuori. Punto e basta. Sì, pur con tutte le difficoltà che comporta – fratelli – io credo che amare, per noi, è nella logica del nostro essere; quando non amiamo, noi andiamo contro la nostra natura. Diffidiamo di quei tali che dicono di voler difendere e promuovere la civiltà cristiana (a parole!): ci dimostrino piuttosto che sanno amare come insegna il Vangelo, cioè privilegiando nel loro amore quei tali che hanno più urgente bisogno di essere amati: allora gli crederemo. Altrimenti le loro sono soltanto chiacchiere interessate per attrarre le simpatie degli ingenui.
“Rimanete nella corrente del mio amore”, ci ha esortati Gesù: cioè abitate, fatene la vostra stabile dimora. E tanto perché non sembri una teoria quello che dice, scende subito al pratico: “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore”: questo significa star dentro quella corrente. Che poi tali comandamenti si riducono a uno solo alla fine: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati”.
Che amare richieda un impegno, una decisione di volontà, è fuori dubbio: certo che devo metterci un po’ del mio, anche a prezzo di sacrificio, ma fuori da quella corrente non c’è né impegno né volontà che bastino per amare. E’ l’amore con cui siamo amati da Dio che avvalora e potenzia la nostra volontà, la disponibilità a fare anche dei sacrifici per amare. E questo è tanto vero, che se lo dimentichiamo saremmo sempre lì a lamentarci…che è difficile, che è dura, che ho provato ma è inutile, e via dicendo… Quando ci tiriamo fuori dalla corrente dell’amore di Dio, siamo costretti a fare i conti con la nostra inadeguatezza, e allora subentra un’altra corrente: quella del nostro egoismo.
No, fratelli, non siamo noi gli inventori dell’amore, è altrove, è un altro. “In questo sta l’amore – ci ha precisato oggi l’apostolo Giovanni – non siamo stati noi ad amare Dio, è Lui che ha amato noi…”. Ed è tanto vero che l’ha fatto, da renderci ai suoi occhi “amici” a tutti gli effetti. Ogni religione fa dei suoi adepti dei servi: servi della divinità. Nel cristianesimo no: “Io non vi considero servi, ma amici - ci dice oggi il Signor: voi siete miei amici… e lo sarete effettivamente e sempre se osserverete il mio comandamento”: se abiterete in quella corrente d’amore che viene da Dio e, grazie ad essa, potrete amarvi gli uni gli altri.
Il mio Comandamento lo chiama. Vi faccio osservare, fratelli, che questa parola nel vangelo non significa anzitutto “dovere morale, obbligo o imposizione dall’esterno”. Vuol dire prima di tutto “incarico, mandato, compito da assolvere”. Quando una persona la si ritiene abile per una certa missione, le si dà il mandato. Ebbene, così ha fatto il Signore con noi: ci ha amati per primo, ci ha amati senza sconti, divinamente e totalmente; a questo punto ci affida il suo mandato, con la fiducia con cui ci si fida degli amici: “Amatevi anche voi gli uni gli altri, come ho fatto io”.
Cosa desiderare allora? Cos’altro chiedere oggi al Signore che passa tra noi in questa Eucaristia? Che possiamo essere profondamente coscienti di quanto ci ama lui per primo, per sentirci così abilitati, ad amare come fratelli coloro che -vicini o lontani che siano - hanno bisogno di essere amati da noi. È lui che ce ne rende capaci perché è vivo.
Per questo anche oggi risuoni il nostro saluto Pasquale: Cristo è risorto!
E' davvero risorto!
Le letture bibliche: Atti degli Apostoli 10,25-26. 34- 35.44-48; 1Giovanni4,7-10; Vangelo di Giovanni 15,9-17
Son finiti i tempi in cui, per indurre uno a fare o non fare una cosa, bastava motivarla con un “perché di sì”; oppure “perché di no”. Non convincono più nessuno queste risposte prive di qualsiasi motivazione ragionevole; indicherebbero solo che l’autorevolezza di chi parla così è proprio ridotta a zero.
Occorre portare motivi plausibili, ragioni valide; c’è una logica per la quale si devono fare o non fare certe cose. Se dicessero a me: “C’è qui un malato grave che ha bisogno di essere operato: datti le mani d’attorno, intervieni…” – io dovrei dire: “no, cari miei, non lo so fare”. Se mi dicono invece: “C’è bisogno di un prete!”, “Beh…allora sì, eccomi”. Non si può chiedere qualsiasi cosa a chiunque; qualsiasi prestazione al primo che passa per strada.
Si può chiedere ai cristiani di amare? Si può pretendere da noi cristiani che sappiamo amare? “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri”: l’abbiamo risentito anche oggi, nel caso che l’avessimo dimenticato. Ma si può pretendere da noi cristiani che sappiamo amare? E perché proprio da noi, e non dagli atei, o dai miscredenti? E’ molto diffusa l’idea che amare, perdonare, aiutare il prossimo, sia prerogativa dei cristiani; non che non lo sappiano fare anche i buddisti, o i musulmani, o gli atei, ma se non lo fanno i cristiani…che cristiani sono? E’ qui, però, che per molti cristiani…casca l’asino, cioè non sanno rispondere a questo “perché?”. “Perché di sì”, dicono tutt’al più. Come se Gesù Cristo, quando ci ha consegnato questo comandamento, non ci avesse dato ancor prima le ragioni, i buoni motivi per osservarlo. Le letture di questa Liturgia ce li ripresentano in lungo e in largo; sì, ma val la pena ascoltarle davvero, oltre che sentirle. “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi” afferma Gesù. Ecco la prima buona ragione per amare da cristiani. E cerchiamo di capire.
Con la primavera e soprattutto l’estate si riapre il tempo delle gite in montagna. Capita di passare accanto a ruscelli, a torrenti, che scendono formando delle piccole cascate: l’acqua scroscia giù da un’altura e riempie un bacino, o fa un piccolo lago in uno slargo del torrente; ma poi trabocca anche da lì e balza giù di nuovo, riempiendo un altro bacino ancora…e continua in questo modo fin che dura la pendenza del terreno.
”Il Padre ha amato me” dice Gesù: ecco la cascata che irrompe e forma il primo bacino. Ma poi quello trabocca in una nuova cascata: “così io ho amato voi”. L’impeto della corrente si placa sul piano: là può formare anche un lago dalle acque calme e tranquille; là è perfino bello sostare. “Rimanete nel mio amore”, conclude Gesù, ed è come se dicesse: abitate in questa corrente, fatene la vostra stabile dimora, perché fuori di lì l’acqua diventa stagnante, o si prosciuga. L’amore perde audacia, perde mordente, si snerva.
Ecco la prima ragione per amare da cristiani: noi cristiani siamo tenuti a farlo perché ne abbiamo le motivazioni e la capacità. Noi possiamo amare perché siamo dentro una corrente d’amore che viene da lontano, da Dio per l’esattezza: se non amiamo, è perché da quella corrente ci siamo tirati fuori. Punto e basta. Sì, pur con tutte le difficoltà che comporta – fratelli – io credo che amare, per noi, è nella logica del nostro essere; quando non amiamo, noi andiamo contro la nostra natura. Diffidiamo di quei tali che dicono di voler difendere e promuovere la civiltà cristiana (a parole!): ci dimostrino piuttosto che sanno amare come insegna il Vangelo, cioè privilegiando nel loro amore quei tali che hanno più urgente bisogno di essere amati: allora gli crederemo. Altrimenti le loro sono soltanto chiacchiere interessate per attrarre le simpatie degli ingenui.
“Rimanete nella corrente del mio amore”, ci ha esortati Gesù: cioè abitate, fatene la vostra stabile dimora. E tanto perché non sembri una teoria quello che dice, scende subito al pratico: “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore”: questo significa star dentro quella corrente. Che poi tali comandamenti si riducono a uno solo alla fine: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati”.
Che amare richieda un impegno, una decisione di volontà, è fuori dubbio: certo che devo metterci un po’ del mio, anche a prezzo di sacrificio, ma fuori da quella corrente non c’è né impegno né volontà che bastino per amare. E’ l’amore con cui siamo amati da Dio che avvalora e potenzia la nostra volontà, la disponibilità a fare anche dei sacrifici per amare. E questo è tanto vero, che se lo dimentichiamo saremmo sempre lì a lamentarci…che è difficile, che è dura, che ho provato ma è inutile, e via dicendo… Quando ci tiriamo fuori dalla corrente dell’amore di Dio, siamo costretti a fare i conti con la nostra inadeguatezza, e allora subentra un’altra corrente: quella del nostro egoismo.
No, fratelli, non siamo noi gli inventori dell’amore, è altrove, è un altro. “In questo sta l’amore – ci ha precisato oggi l’apostolo Giovanni – non siamo stati noi ad amare Dio, è Lui che ha amato noi…”. Ed è tanto vero che l’ha fatto, da renderci ai suoi occhi “amici” a tutti gli effetti. Ogni religione fa dei suoi adepti dei servi: servi della divinità. Nel cristianesimo no: “Io non vi considero servi, ma amici - ci dice oggi il Signor: voi siete miei amici… e lo sarete effettivamente e sempre se osserverete il mio comandamento”: se abiterete in quella corrente d’amore che viene da Dio e, grazie ad essa, potrete amarvi gli uni gli altri.
Il mio Comandamento lo chiama. Vi faccio osservare, fratelli, che questa parola nel vangelo non significa anzitutto “dovere morale, obbligo o imposizione dall’esterno”. Vuol dire prima di tutto “incarico, mandato, compito da assolvere”. Quando una persona la si ritiene abile per una certa missione, le si dà il mandato. Ebbene, così ha fatto il Signore con noi: ci ha amati per primo, ci ha amati senza sconti, divinamente e totalmente; a questo punto ci affida il suo mandato, con la fiducia con cui ci si fida degli amici: “Amatevi anche voi gli uni gli altri, come ho fatto io”.
Cosa desiderare allora? Cos’altro chiedere oggi al Signore che passa tra noi in questa Eucaristia? Che possiamo essere profondamente coscienti di quanto ci ama lui per primo, per sentirci così abilitati, ad amare come fratelli coloro che -vicini o lontani che siano - hanno bisogno di essere amati da noi. È lui che ce ne rende capaci perché è vivo.
Per questo anche oggi risuoni il nostro saluto Pasquale: Cristo è risorto!
E' davvero risorto!
28 Aprile - Quinta Domenica di Pasqua
Le letture bibliche: Atti degli Apostoli 9,26-31; 1Giovanni 3,18-24; Vangelo di Giovanni 15,1-8
La tecnica moderna riesce a riprodurre così bene certe cose esistenti in natura da farle sembrare vere… La scorsa settimana sono passato in una serra e la prima cosa che ho visto all’ingresso erano dei gran mazzi di fiori di ogni specie. Bellissimi. Tanto che mi sono avvicinato per verificare se erano anche profumati e allora ho visto la scritta “Fiori artificiali”. Han dovuto scrivercelo perché i clienti avrebbero potuto prenderli per veri. Ah, certo… se sono artificiali, non appassiscono mai; le foglie non ingialliscono, non cadono… sì, ma è anche vero che possono coprirsi di polvere e, soprattutto, se sono fiori tipici di certi alberi, quei fiori non diventano mai frutti. E’ ovvio: è tutto artificiale.
Ebbene, al mondo d’oggi si pone anche per noi cristiani l’alternativa: siamo cristiani veri… o siamo cristiani “artificiali”? Dove sta la differenza?
“Io sono la vite e voi i tralci – ci dice oggi il Signore - Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto… Chi non rimane in me, viene gettato via come il tralcio e si secca…”. Quando Gesù diceva queste cose (era la sera dell’ultima Cena) non avevano ancora inventato i manufatti di plastica; oggi, per completare la parabola, potrebbe aggiungere: “siete talmente bravi nella tecnologia da produrre anche vigne e tralci artificiali; possono fare perfino bella figura, ma frutti no, eh no... non ne possono fare”.
“Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”. E’ in queste parole la chiave per capire la lezione sulla vite che è Gesù e sui tralci che siamo noi. Anzi, per essere esatti, il senso è tutto in un un verbo, che Gesù ripete in maniera quasi ossessionante: “rimanere”. “Rimanete in me e io in voi… Come il tralcio non può far frutto se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me… Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto… Chi non rimane in me viene gettato via… Se rimanete in me e le mie parola rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà dato…”. Sette volte ripete questo verbo rimanere; è come dire che qui c’è il segreto per essere cristiani autentici invece che artficiali come quei fiori di cui dicevo.
Ma cosa significherà “rimanere” per Gesù? Questo, in sostanza: che la nostra relazione con Lui non si riduca a qualche momento passeggero, ma diventi costante, stabile, un’esperienza continua. E se essere cristiani vuol dire questo, allora sì: ci saranno frutti, e probabilmente anche abbondanti. Ma se il nostro cristianesimo si riduce a qualche occasione frettolosa di tanto in tanto, allora è molto probabile che tutto sia apparenza, facciata: tralci belli, perfino frondosi, ma frutti niente, perché sono artificiali.
Che tipo di cristiani siamo noi, fratelli?
Veri, autentici (pur con i nostri difetti), oppure artificiali, cioè cristiani di facciata? Ma forse è meglio passare a un’altra domanda, prima di questa, e cioè - a lato pratico - cosa vorrà dire per me, per te, per ognuno di noi “rimanere in Gesù Cristo”?
Ascoltare la sua parola, anzitutto (notate: non solo sentirla come quando siamo seduti in poltrona davanti alla televisione, ma ascoltarla: con lo stesso interesse di quelle folle che assediano le piazze per ascoltare qualche personaggio che le affascina (con le sue parole, ma più spesso con le sue bagguianatye!); è ben diverso. L’ascolto serio diventa confronto tra la Parola di Gesù e i miei comportamenti, le mie scelte, i miei interessi, i miei criteri di valutazione abituali. A volte sarà una parola di confronto che ci consola, ci tira su di morale, ci ridà carica; altre volte magari ci farà capire che siamo fuori strada, e allora ci provoca a cambiare…
Noi siamo in grado di portare frutto, quando la sua Parola la conserviamo nella mente e nel cuore, e facciamo in modo che ci accompagni nella vita quotidiana, ovunque siamo.
“Se le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che vorrete e vi sarà dato”… Qui arriva al paradosso Gesù: no, non è che Dio ci concede tutto quello che ci passa per la testa (compresi i capricci o le cose stupide): no, ma se le sue parole rimangono in noi, cambiano la nostra mentalità, ci educano a ragionare come ragiona Lui, a distinguere ciò che è importante da ciò che è secondario; e allora impariamo a chiedere ciò che è davvero importante, e Dio ce lo concede sempre: ha ragione Gesù.
Io rimango davvero in Gesù Cristo quando prendo a cuore la mia relazione con lui, vale a dire: la mia vita spirituale, nella quale trova posto la preghiera, il silenzio, e anche il confronto con qualcuno che è più saggio di me. E tutto questo con fedeltà, in continuità. Non perché si deve, ma perché viene da sé: per amore. Ecco cosa può voler dire “rimanere in Gesù Cristo”. Comunione di vita, di ideali, di valori insomma.
Quando veniamo alla Messa è ottima cosa accostarsi alla Comunione. Ma è anche doveroso domandarsi ogni tanto: la mia vita scorre davvero in comunione con Gesù Cristo? Le mie Comunioni alla Messa mi aiutano a radicarmi sempre più saldamente in lui, a rimanere in Lui? O sono momenti passeggeri e isolati rispetto alla mia vita reale (che magari scorre su tutt’altri binari che non sono quelli del vangelo)? Se così fosse, saremmo cristiani artificiali invece che autentici e vivi.
Nella vita poi, si sa, ci sono anche stagioni di fatica, tornanti di prova, salite su cui c’è da arrancare, sudare, e anche soffrire; e magari ci si chiede: perché? Che senso ha tutto questo? E’ proprio a questa domanda che oggi il Signore risponde: “Ogni tralcio che in me non porta frutto, il Padre mio – il grande agricoltore - lo taglia, e quello che porta frutto lo pota, perché porti più frutto…”.
Le potature nel corso della vita sono certe difficoltà, certi tornanti faticosi, certi problemi che ci tocca affrontare… Ebbene, fratelli: non consideriamoli accidenti che capitano a casaccio e senza alcun senso; no, sono potature: certo, fanno soffrire a volte, ma anche le vigne piangono quando vengono potate (non si dice, in dialetto trentino, “pianzer come ‘na vigna”?). Non darebbero frutto senza quelle potature. Ma è possibile accettarle? Chi è che ci rende capaci di accettarle? Lui, la vite stessa: Gesù. Rimanere ben innestati in lui, consentendo alla sua linfa di passare nei tralci (che siamo noi) è il segreto per saper accettare, se pure con fatica, certe potature…
Quanto ai frutti, fratelli, il loro valore non è quantificabile in moneta sonante, ma in quella valuta inestimabile che è l’amore: quello di cui ci parla oggi san Giovanni nella sua lettera, là dove ci dice: Figlioli, non amiamo a parole o con la lingua, ma con i fatti e nella verità. Ecco i frutti.
Auguriamoci che possano maturare in abbondanza, proprio dentro la nostra vita.
E perché questo augurio si realizzi scambiamoci il consueto saluto pasquale:
Cristo è risorto!
E’ davvero risorto!
21 Aprile - Quarta Domenica di Pasqua
Le letture bibliche: Atti degli Apostoli 4,8-12; 1Giovanni 3,1-2; Vangelo di Giovanni 10,11-18
E’ sempre un piacere andare da qualche parte ed essere accolti da qualcuno che ci viene incontro con un sorriso, ci chiama per nome e ci porge anche la mano.
Abbiamo mai pensato che, anche qanmdo veniamo in chiesa, c’è qualcuno qui che è contento di vederci? Sì, il Signore Gesù che ci conosce e ci accoglie così come siamo e ci apprezza per quello che siamo? Abbiamo mai provato a immaginare la sua voce che pronuncia il nostro nome, il suo sorriso di soddisfazione nel vederci qui? Forse è anche a questo che si riferisce quando afferma nel vangelo di oggi: “Io - il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”. Quando la Bibbia, il Vangelo, parla di conoscenza, intende un legame forte, non superficiale; una conoscenza motivata solo dall’amore. “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”.
La fede matura veramente quando diventa relazione d’amore (lo dice anche l’anello che gli sposi portano al dito: fede > relazione d’amore). Se è giusto che il nostro rapporto con Dio diventi relazione di amore anche da parte nostra, allora è normale che quando entriamo in una chiesa, prima ancora di pensare a dire qualcosa, risvegliamo questa convinzione: c’è il Signore qui che mi accoglie e mi dice: “Sono contento di vederti… mi fa piacere che tu sia qui!”. Non sono suggestioni queste, fratelli, o parole che vanno bene per i bambini: è semplicemente la conclusione che traiamo dal vangelo di oggi: “Io conosco le mie pecore – afferma Gesù - e le mie pecore conoscono me”. Se è l’amore ad animare, a muovere le nostre relazioni personali, nell’amore ci si regola così anche con Dio, con Gesù: in tutta spontaneità e naturalezza.
Gesù Cristo non è un leader o un duce; è un salvatore: e qual è la differenza? I leader sono personaggi di spicco: nella cultura, o nella politica, o anche nelle religioni… Ogni leader cerca un seguito, desidera trovar gente che gli va dietro; e ne vien fuori un’associazione, o un movimento, o un partito. E pone delle condizioni: “chi sta con me deve ragionare come ragiono io, deve fare questo, quello e quest’altro”: insomma un leader chiede fedeltà e dedizione per la sua causa, e anche qualche sacrificio… Tutti i leader di questo mondo fanno così: tutti.
Gesù Cristo non è un leader. Invece di chiedere, lui comincia col dare, con l’offrire: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore…”. E ci tiene così tanto a distinguersi da ogni leader o capo, che lo ripete più volte in questo breve discorsetto che è il vangelo di oggi: “Io offro la mia vita per le pecore…nessuno me la toglie: sono io che la offro, da me stesso…”.
Qual è il pastore che dal gregge non si aspetta di guadagnarci qualcosa? La lana, il latte, gli agnelli da vendere, e la carne? No, con Gesù Cristo capita esattamente il contrario: non è il gregge che dà da vivere al pastore, è il pastore – il buon pastore – che dà la vita per il suo gregge.
Quando la logica del vivere è questa, allora fratelli la vita non finisce nel nulla, ma sconfina nella risurrezione: il Pastore che accetta di morire per dare la vita, non può che risorgere. Avete notato che strana espressione usa Gesù? “Io ho il potere di offrire la mia vita e il potere di riprenderla di nuovo” – come dire: posso permettermi di morire (per amore) e posso permettermi di risorgere… Che strano potere questo!
Per la maggior parte degli uomini a questo mondo il potere consiste nel tenere il coltello per il manico, nello star sopra tutti e eliminare gli avversari, potere di sopravvivere anche a costo di far morire tutto il gregge… potere di fare l’alto e il basso insomma. Gesù ha inventato un altro potere: quello di sacrificare se stessi invece che gli altri, e non da vittime che non possono far altro che sacrificarsi, ma da protagonisti: “Io ho il potere di dare la mia vita… Nessuno me la toglie: la do liberamente io stesso”. Ogni altro potere di questo mondo crolla di fronte alla morte; questo potere instaurato da Gesù, no: “Io ho il potere di donare la mia vita e il potere di riprenderla di nuovo”.
Noi veniamo qui la Domenica per imparare da Gesù a esercitare anche noi questo potere. Diventarne esperti, imparare ad esercitarlo, è fare della vita una vocazione, o meglio, la risposta a una vocazione (vocazione vuol dire “chiamata”).
E’ la giornata questa in cui siamo invitati a pregare Dio per le vocazioni speciali nella Chiesa: quelle dei consacrati alla vita religiosa, sacerdotale, missionaria. Non perché solo queste siano vocazioni degne di questo nome… ma perché, se vengono a mancare queste, è molto probabile che anche le altre vocazioni calino di tono: come la vocazione degli sposi, dei genitori, degli educatori…
Si, i genitori cristiani devono esserne convinti oggi più che in passato: la loro è una vocazione. Sono chiamati a dare la vita ma in pienezza; e in pienezza vuol dire che non basta far nascere i figli, dar loro da mangiare, vestirli bene, mandarli a scuola… a questo possono provvedere anche il Comune o le pubbliche istituzioni (se i genitori non ne hanno la possibilità), ma c’è una cosa che né il Comune né lo stato possono fare ed è questa: trasmettere ai figli il senso della vita. Solo i genitori lo possono trasmettere (ammesso che ce l’abbiano loro anzitutto!). Qual è? In cosa consiste il senso della vita? Nel donarsi con generosità, nel pensare agli altri e non solo a se stessi, disposti a servire anziché pretendere di essere serviti. Se non si impara a vivere così, la vita finisce in un fallimento, fratelli! Perché solo nel donarsi ci si realizza veramente. Non è questo che ci insegna la Pasqua di Gesù Cristo? Ecco il senso della vita che solo i genitori possono trasmettere ai figli… Ecco qual è la vocazione dei genitori.
Siamo perfino stufi di sentir dire che calano alla grande i preti, i frati, le suore… Qualcuno va dicendo che sono categorie in via di estinzione. Io penso che l’aspetto drammatico non sta nell’estinzione di una categoria, ma nel venir meno della generosità: il potere di donare la propria vita, come ha fatto Gesù, sta diventando una merce rara… non solo tra i giovani, tra i ragazzi, è tutta questa nostra società che sta diventando sterile in fatto di generosità. E perché pregare allora? (Giornata di preghiera per le vocazioni oggi). Perché, per quanto arido e secco sia un deserto, Dio può far scaturire sorgenti anche nel deserto. Sì, è sempre accaduto. (Ma forse dobbiamo riconoscere con realismo che anche la nostra vita fa parte di questo deserto).
Ebbene, bando al pessimismo. Ricordiamoci piuttosto che Dio può far scaturire sorgenti anche nel deserto. E’ il Dio della Pasqua, il Dio delle sorprese. E’ con questa convinzione che anche oggi possiamo scambiarci il nostro consueto saluto pasquale:
Cristo è risorto!
E’ davvero risorto!
14 Aprile - Terza Domenica di Pasqua
Le letture bibliche: Atti degli Apostoli 3,13-15.17-19; 1Giovanni 2,1-5a; Vangelo di Luca 24,35-48
“Di ritorno da Emmaus”: comincia così il vangelo di oggi. Era accaduto proprio il giorno di Pasqua, nel pomeriggio: due discepoli di Gesù stavano andando da Gerusalemme a Emmaus (l’unico villaggio della Terra Santa che non si sa esattamente dove fosse… ma anche questo particolare forse è interessante). Non sappiamo cosa andassero a fare a Emmaus quei due: per affari probabilmente, perché quello era un giorno feriale, il primo dopo la festa del sabato…quindi una specie di Lunedì. Da quando in qua ci si imbatte con Dio di Lunedì? Tutt’alpiù il giorno prima, giorno di festa; il lunedì sono altre le cose cui pensare… Non è così che si ragiona di solito? E se invece Dio, o Gesù risorto, ci venisse incontro proprio di Lunedì? o di martedì? o in un giorno qualsiasi durante la settimana? Forse qualcuno sarebbe talmente sorpreso che gli direbbe: “Signore, no, guarda: il tuo giorno è la Domenica… Se vuoi farti sentire, o battere un colpo, fallo quel giorno! accontèntati di quello!”.
Fattostà che quei due, proprio mentre stavano camminando su quella strada di Lunedì, hanno incontrato il Signore… O meglio: non è esatto dire che l’hanno incontrato. Ad un certo punto Lui si è messo a camminare con loro: forse era dietro e li ha raggiunti, forse era davanti e ha rallentato il passo… fattostà che, però, non l’hanno riconosciuto. Parlarono con lui di quello che era capitato in quei giorni a Gerusalemme… di quel Gesù che era stato giustiziato e sepolto…senza sapere che quel viandante che camminava con loro era proprio Lui… s’erano accirti però che quando prendeva la parola per dire la sua, era come se il ghiaccio che avevano dentro si sciogliesse, come se qualcuno scaldasse loro il cuore… Poi arrivarono a Emmaus, nei pressi della locanda, e loro pensarono di invitarlo a prendere un boccone assieme. Lui accettò. Quando furono a tavola, lui prese il pane e lo spezzò, con un gesto e un modo di fare che era tutto suo; e fu allora che lo riconobbero. Però, appena lo ebbero riconosciuto, lui sparì…
Quei due non fecero altro che tornare di corsa a Gerusalemme da dove erano partiti (è qui che si riallaccia il vangelo di oggi): riferirono ai loro amici ciò che era capitato lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Ecco, fratelli: questa espressione “spezzare il pane”, forse a noi, distanti 2000 anni da quei fatti, dice poco… (Ovvio che se non vuoi ingoiarlo intero, il pane, devi spezzarlo). No, per i discepoli della prima ora, per i cristiani delle prime generazioni, “spezzare il pane” voleva dire “possibilità di toccare con mano che Gesù è vivo”, è davvero in mezzo a noi. Noi l’abbiamo chiamata “messa” (parola che vuol dire poco o niente); loro la chiamavano “fractio panis”: spezzare il pane; e non occorreva dire altro, tutti capivano: “Gesù è risorto, è vivo, è tra noi: è Lui stesso che spezza il pane…”. E’ quello che stiamo sperimentando anche oggi, qui all’Eucaristia.
Ma ecco che quei due non hanno ancora finito di raccontare che Gesù in persona appare in mezzo a loro: e non sono più loro due soli, c’è tutto il gruppo degli apostoli. Stupiti e spaventati, dice il vangelo, pensavano di vedere un fantasma. Interessante questa reazione. Vedete: noi continuiamo a ripetere che il Signore è in mezzo a noi, che Gesù è risorto e vivo, addirittura che cammina con noi sulle strade del mondo… Lo cantiamo, perfino, con tutte le melodie possibili. Glielo diciamo nella preghiera: “Resta con me, resta con noi, Signore… Tu sei in mezzo a noi!”. Ma ci crediamo davvero? Io penso che se lui decidesse di manifestarsi, di farsi vedere e toccare dalle nostre mani, noi rimarremmo lì con un palmo di naso: forse addirittura spaventati, come se si trattasse di un fantasma…
Non rischiamo anche noi di dire “Credo”, ma di credere in realtà in un Cristo-fantasma…un Cristo da leggenda, da favole alla fin fine? In ogni caso, a Lui non sta bene che lo riteniamo un fantasma, perché è vivo e reale; non ha più i limiti mortali che ci ritroviamo noi perché ha già superato la frontiera della morte e anche quella della risurrezione; questo però non significa ridursi a fantasmi, a qualcosa di evanescente e di impalpabile…tutt’altro. Tanto che per convincerli non trovò di meglio che mettersi a mangiare davanti a loro: “Avete qui qualcosa da mangiare?” domandò (i fantasmi non mangiano…). Gli diedero del pesce arrostito e lui lo mangiò davanti a loro. Non poteva dare una dimostrazione più efficace di questa, per provare che era proprio lui, in carne e ossa. E non c’è gesto più efficace per dire la concretezza, il realismo della vita… Noi possiamo anche perderci in discorsi e conversazioni stratosferiche, astratte… ma l’appetito e la voglia di mangiare ci riportano sempre coi piedi per terra.
Non è che Cristo risorto avesse fame e avesse bisogno di mangiare: aldilà della risurrezione, bisogni non ce ne sono più. Il Signore ha voluto dare un avvertimento piuttosto; era come se dicesse: non cercatemi nell’astratto, nelle evasioni, fuori dalla vita. Io non sono lì.
Penso che il Signore Gesù è proprio questo che ci vuol dire: “Cercatemi nel realismo della vostre situazioni di ogni giorno: quel realismo che è fatto spesso di cose solite (incontri, relazioni, doveri professionali, servizio…), ogni tanto è fatto di cose piacevoli, gustose, rasserenanti…e ogni tanto è fatto anche di preoccupazioni, di tensioni, di problemi veri e propri… Ebbene: cercatemi là, proprio dentro queste situazioni, perché è là che io sono presente. E’ là che mi troverete. Vi aspetto. E, tanto per cominciare, credetelo: quando pensate a me, pensatemi già presente, già addentro, già con voi in tutto quello che vivete. Prima o poi accadrà che, oltre la Fede, proverete anche la sensazione della mia presenza. E scoprirete che non sono affatto un fantasma. “Io sono con voi”; non con tutti in generale e quindi con nessuno alla fin fine, ma con ciascuno di voi… Non dite ogni Domenica “Credo in Dio creatore delle cose visibili e INVISIBILI”? Ma allora, ci credete o no che esistono le realtà invisibili? Ebbene, io sono tra queste: con voi, tutti i giorni! Abituatevi a pensarlo, e verrà il momento che ve n’accorgerete. Allora sì che vi verrà spontaneo vivere da cristiani, perché sarà la pace vera, anzi, la gioia piena ad abitare il vostro cuore.”
Fratelli, forse sono presuntuoso ma oso pensare che il Signore ci parli così. Ebbene, sia forte in noi questa certezza, e per darle voce scambiamoci il saluto pasquale che ormai conoscete: “Cristo è risorto!”
“E’ davvero risorto!”
Le letture bibliche: Atti degli Apostoli 3,13-15.17-19; 1Giovanni 2,1-5a; Vangelo di Luca 24,35-48
“Di ritorno da Emmaus”: comincia così il vangelo di oggi. Era accaduto proprio il giorno di Pasqua, nel pomeriggio: due discepoli di Gesù stavano andando da Gerusalemme a Emmaus (l’unico villaggio della Terra Santa che non si sa esattamente dove fosse… ma anche questo particolare forse è interessante). Non sappiamo cosa andassero a fare a Emmaus quei due: per affari probabilmente, perché quello era un giorno feriale, il primo dopo la festa del sabato…quindi una specie di Lunedì. Da quando in qua ci si imbatte con Dio di Lunedì? Tutt’alpiù il giorno prima, giorno di festa; il lunedì sono altre le cose cui pensare… Non è così che si ragiona di solito? E se invece Dio, o Gesù risorto, ci venisse incontro proprio di Lunedì? o di martedì? o in un giorno qualsiasi durante la settimana? Forse qualcuno sarebbe talmente sorpreso che gli direbbe: “Signore, no, guarda: il tuo giorno è la Domenica… Se vuoi farti sentire, o battere un colpo, fallo quel giorno! accontèntati di quello!”.
Fattostà che quei due, proprio mentre stavano camminando su quella strada di Lunedì, hanno incontrato il Signore… O meglio: non è esatto dire che l’hanno incontrato. Ad un certo punto Lui si è messo a camminare con loro: forse era dietro e li ha raggiunti, forse era davanti e ha rallentato il passo… fattostà che, però, non l’hanno riconosciuto. Parlarono con lui di quello che era capitato in quei giorni a Gerusalemme… di quel Gesù che era stato giustiziato e sepolto…senza sapere che quel viandante che camminava con loro era proprio Lui… s’erano accirti però che quando prendeva la parola per dire la sua, era come se il ghiaccio che avevano dentro si sciogliesse, come se qualcuno scaldasse loro il cuore… Poi arrivarono a Emmaus, nei pressi della locanda, e loro pensarono di invitarlo a prendere un boccone assieme. Lui accettò. Quando furono a tavola, lui prese il pane e lo spezzò, con un gesto e un modo di fare che era tutto suo; e fu allora che lo riconobbero. Però, appena lo ebbero riconosciuto, lui sparì…
Quei due non fecero altro che tornare di corsa a Gerusalemme da dove erano partiti (è qui che si riallaccia il vangelo di oggi): riferirono ai loro amici ciò che era capitato lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Ecco, fratelli: questa espressione “spezzare il pane”, forse a noi, distanti 2000 anni da quei fatti, dice poco… (Ovvio che se non vuoi ingoiarlo intero, il pane, devi spezzarlo). No, per i discepoli della prima ora, per i cristiani delle prime generazioni, “spezzare il pane” voleva dire “possibilità di toccare con mano che Gesù è vivo”, è davvero in mezzo a noi. Noi l’abbiamo chiamata “messa” (parola che vuol dire poco o niente); loro la chiamavano “fractio panis”: spezzare il pane; e non occorreva dire altro, tutti capivano: “Gesù è risorto, è vivo, è tra noi: è Lui stesso che spezza il pane…”. E’ quello che stiamo sperimentando anche oggi, qui all’Eucaristia.
Ma ecco che quei due non hanno ancora finito di raccontare che Gesù in persona appare in mezzo a loro: e non sono più loro due soli, c’è tutto il gruppo degli apostoli. Stupiti e spaventati, dice il vangelo, pensavano di vedere un fantasma. Interessante questa reazione. Vedete: noi continuiamo a ripetere che il Signore è in mezzo a noi, che Gesù è risorto e vivo, addirittura che cammina con noi sulle strade del mondo… Lo cantiamo, perfino, con tutte le melodie possibili. Glielo diciamo nella preghiera: “Resta con me, resta con noi, Signore… Tu sei in mezzo a noi!”. Ma ci crediamo davvero? Io penso che se lui decidesse di manifestarsi, di farsi vedere e toccare dalle nostre mani, noi rimarremmo lì con un palmo di naso: forse addirittura spaventati, come se si trattasse di un fantasma…
Non rischiamo anche noi di dire “Credo”, ma di credere in realtà in un Cristo-fantasma…un Cristo da leggenda, da favole alla fin fine? In ogni caso, a Lui non sta bene che lo riteniamo un fantasma, perché è vivo e reale; non ha più i limiti mortali che ci ritroviamo noi perché ha già superato la frontiera della morte e anche quella della risurrezione; questo però non significa ridursi a fantasmi, a qualcosa di evanescente e di impalpabile…tutt’altro. Tanto che per convincerli non trovò di meglio che mettersi a mangiare davanti a loro: “Avete qui qualcosa da mangiare?” domandò (i fantasmi non mangiano…). Gli diedero del pesce arrostito e lui lo mangiò davanti a loro. Non poteva dare una dimostrazione più efficace di questa, per provare che era proprio lui, in carne e ossa. E non c’è gesto più efficace per dire la concretezza, il realismo della vita… Noi possiamo anche perderci in discorsi e conversazioni stratosferiche, astratte… ma l’appetito e la voglia di mangiare ci riportano sempre coi piedi per terra.
Non è che Cristo risorto avesse fame e avesse bisogno di mangiare: aldilà della risurrezione, bisogni non ce ne sono più. Il Signore ha voluto dare un avvertimento piuttosto; era come se dicesse: non cercatemi nell’astratto, nelle evasioni, fuori dalla vita. Io non sono lì.
Penso che il Signore Gesù è proprio questo che ci vuol dire: “Cercatemi nel realismo della vostre situazioni di ogni giorno: quel realismo che è fatto spesso di cose solite (incontri, relazioni, doveri professionali, servizio…), ogni tanto è fatto di cose piacevoli, gustose, rasserenanti…e ogni tanto è fatto anche di preoccupazioni, di tensioni, di problemi veri e propri… Ebbene: cercatemi là, proprio dentro queste situazioni, perché è là che io sono presente. E’ là che mi troverete. Vi aspetto. E, tanto per cominciare, credetelo: quando pensate a me, pensatemi già presente, già addentro, già con voi in tutto quello che vivete. Prima o poi accadrà che, oltre la Fede, proverete anche la sensazione della mia presenza. E scoprirete che non sono affatto un fantasma. “Io sono con voi”; non con tutti in generale e quindi con nessuno alla fin fine, ma con ciascuno di voi… Non dite ogni Domenica “Credo in Dio creatore delle cose visibili e INVISIBILI”? Ma allora, ci credete o no che esistono le realtà invisibili? Ebbene, io sono tra queste: con voi, tutti i giorni! Abituatevi a pensarlo, e verrà il momento che ve n’accorgerete. Allora sì che vi verrà spontaneo vivere da cristiani, perché sarà la pace vera, anzi, la gioia piena ad abitare il vostro cuore.”
Fratelli, forse sono presuntuoso ma oso pensare che il Signore ci parli così. Ebbene, sia forte in noi questa certezza, e per darle voce scambiamoci il saluto pasquale che ormai conoscete: “Cristo è risorto!”
“E’ davvero risorto!”
7 Aprile - Seconda Domenica di Pasqua
Le letture bibliche: Atti degli Apostoli 4,32-35; 1Giovanni 5,1-6; Vangelo di Giovanni 20,19-31
Erano rimasti sbalorditi nel vederselo comparire davanti all’improvviso: e chi se l’aspettava? Dopo che avevano sigillato la grossa pietra che chiudeva il suo sepolcro tre giorni prima, com’era possibile che Gesù si presentasse di nuovo in mezzo a loro, lì in quella sala dove avevano mangiato insieme la cena pasquale? E non aveva neanche bisogno di passare per la porta per entrare: infatti era sbarrata. “Venne Gesù, stette in mezzo a loro e disse: Pace a voi!”. Sarà stato solo un saluto convenzionale – tipo: Oh, chi si vede! – o qualcosa di più? Quando a pronunciare la parola “Pace” è uno che è risorto dai morti, il Figlio di Dio, quella pace la porta davvero.
E perché allora ci sono ancora tanti rumori di guerra, di stragi, di atrocità inaudite? A ogni fine settimana ce n’è sempre un nuovo elenco impressionante… Non è che si è sbagliato il Signore risorto dicendo “Pace a voi”? Non è che ci ha presi in giro?
“Pace” si dice shalòm nella Bibbia, lo sapete. Non è solo silenzio di guerra, di armi e di cacciabombardieri … è molto di più: è nuovo clima di convivenza tra gli uomini (cioè tra i popoli, le culture, le razze, le religioni), e per poter essere questo, la pace comincia nell’intimo di ogni persona. Sì, il terreno nel quale attecchisce è il cuore umano (anche se dire così può sembrare teoria); è inutile parlare di pace “fuori” se non ha radici “dentro” le persone. Fuori si arriverà, per bene che vada, a delle tregue, a degli armistizi, a delle capitolazioni…ma la pace vera è un’altra cosa.
E’ un ponte, un ponte sul baratro più profondo che ci possa essere: quello che separa gli uomini da Dio (ed essere separati da Dio non è cosa da poco: vuol dire trovarsi divisi “dentro”, in se stessi …e da qui poi le divisioni tra persona e persona, che quando si sommano insieme diventano ostilità di popoli che si divorano a vicenda).
Su quel baratro tra gli uomini e Dio è stato gettato un ponte: la croce è quel ponte. Ecco perché Gesù, crocifisso e risorto, può dire: “Pace a voi!”. No, non si è sbagliato il Signore dicendo così, non ci ha presi in giro. Ma c’è un particolare nel vangelo di oggi che non ci deve sfuggire. Dopo quell’augurio/dono della pace, Gesù dice così agli apostoli: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. Questo vuol dire che il peccato – o i peccati – non sono un problema di poco conto: chi prende alla leggera il peccato non saprà mai cos’è la pace, e se ne parla è un irresponsabile che si illude e semina illusioni. Il peccato è un ostacolo inamovibile per noi uomini e donne di questo mondo. Solo Dio lo può rimuovere: con la sua misericordia.
La misericordia!
Papa Giovanni Paolo II ha voluto anni fa’ che questa seconda Domenica di Pasqua fosse dedicata alla Misericordia di Dio. L’immagine – che è ormai il simbolo di questa festa – dice che quella misericordia arriva a noi dal cuore aperto di Gesù, crocifisso e risorto…
Ma qui occorre intendersi bene, perché quando si tratta della misericordia di Dio (che la Chiesa deve offrire a tutti) non di rado circolano idee strane, se non addirittura sbagliate. C’è chi intende la misericordia come un atteggiamento buonista che fa passare per buono, lecito, legittimo, quello che fino a ieri era cattivo, riprovevole, sbagliato… “Rubare? Oh, non è mica male: è furbizia… Rompere un legame d’amore, mancare di fedeltà? Ma è umano, anzi, è un diritto: che male c’è? E a livello civile, politico, amministrativo: corruzione, tangenti, appalti truccati… ma è normale: è la logica delle cose che fa agire così, quindi… finiamola col parlare di disonestà… E’ legittimo. Tutto legittimo”.
E' di questi giorni la notizia. La Procura Europea ha avviato delle indagini in tutti i Paesi dell'Unione, motivata dal fatto che l'ormai noto Pnrr sarebbero stato utilizzato da certuni (individui o gruppi) in maniera disonesta. Su 206 indagini fatte o in corso, ben 179 riguarderebbero l'Italia! "Italiani brava gente" si suol dire... Sì, ci sono senza dubbio non poche persone oneste nel nostro Paese, ma a quanto pare è anche terra fertile per non pochi individui o gruppi che l'onestà non sanno nemmeno dove stia di casa.
Ecco, fratelli, sia chiaro: la misericordia non ha nulla a che vedere con questi modi di agire. Non è una mano di bianco su quello che fino a ieri era nero e sporco… Non è questo la misericordia di Dio. Avete notato le parole esatte di Gesù? “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; ma poi ha aggiunto: a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. E perché non saranno perdonati? Forse perché Dio è avaro e perdona solo alcuni... mentre altri no? Ci mancherebbe! E’ un’altra la ragione, e ci possiamo spiegare con un esempio terra terra… Quando uno s’ammala, qual è la prima condizione per cercare di guarire? Riconoscere di essere malato, ammettere di non star bene… Solo allora il medico potrà iniziare una terapia di guarigione. Ma se quel tale si ostina a non riconoscere il suo male, a illudersi che non è niente, come potrà guarire? Tutt’altro, andrà peggiorando invece sempre più. “Coloro che non saranno perdonati”, come dice Gesù, sono quei tali che non vogliono essere perdonati, perché o non riconoscono il male che hanno fatto, oppure pensano che non era affatto male e quindi non provano nessun bisogno di farsi perdonare.
La misericordia di Dio è infinita, si dice: sì, ma siamo noi che possiamo metterle dei limiti: con la nostra ostinazione a considerare bene quello che bene non è affatto. La malvagità che si constata a livello mondiale ha le sue radici, le sue motivazioni nelle coscienze, nei modi di pensare e di comportarsi delle singole persone.
No, non è facile credere nella pace di questi tempi. Non è facile apprezzare la misericordia in tutta la sua preziosità. Chi vive la sua fede in modo molto, troppo individualistico, non è in grado di capire, di credere.
La vicenda di Tommaso conferma quello che sto dicendo: non era nel Cenacolo con gli altri apostoli quel primo giorno della settimana quando venne Gesù risorto. E quando glielo dissero, esclamò: “Io non credo”. Per forza! L’individualismo può anche esprimersi in atteggiamenti molto religiosi o devoti, ma è un terreno troppo arido per la Fede. Fede e individualismo non possono andare d’accordo.
Se la fede è una fiammella sola e isolata, basta una folata di vento per spegnerla… Ma se le fiammelle sono molte e tutte insieme, è meno facile che un colpo di vento le spenga tutte quante: in tal caso, quelle che eventualmente si spengono, possono riaccendersi da quelle che ardono.
Anche nel mondo di oggi la fiammella della fiducia e della speranza rischia di languire e di spegnersi. E’ Gesù risorto – presente tra noi all’Eucaristia di ogni primo giorno della settimana (la Domenica) – è lui che può ravvivare costantemente la fiammella della nostra fede. Perciò, è tutto di guadagnato per noi cristiani - se ci teniamo a rimanere cristiani – non mancare mai a questo appuntamento.
31 Marzo - PASQUA DI RISURREZIONE
Le letture bibliche: Atti degli Apostoli 10,34a.37-43; Colossesi 3,1-4; Giovanni 20,1-9
“Sì, ne siamo certi, Cristo è davvero risorto”: sono queste le parole che la Pasqua pone sulle nostre labbra. Ma è anche ragionevole domandarsi: ci crediamo davvero? Andiamo piano con le risposte.
Umanamente parlando, questa è una di quelle notizie che hanno più a che vedere con le favole, con i miti, che con la realtà; da che mondo è mondo, è normale morire, ma non risorgere una volta che si è morti. Noi cristiani lo affermiamo di Gesù Cristo perché quei tali che l’hanno conosciuto da vicino ce l’hanno testimoniato; sì, hanno faticato anch’essi a crederlo, ad accettarlo, ma alla fine era diventata per loro una convinzione indiscutibile. All’inizio tentennavano, erano perplessi, non sapevano cosa pensare. Anche perché quell’avvenimento – la risurrezione - non si è verificato con effetti speciali, tipo un’esplosione di eccezionale portata… sconvolgimenti cosmici da fantascienza… luci abbaglianti dal cielo… rumori o suoni da far tremare i sassi… No no, niente di tutto questo. Anche da risorto Gesù Cristo non vuol plagiare nessuno con fenomeni o effetti speciali: tutto avviene nella discrezione più totale.
Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio ed ebbe il primo segnale che qualcosa di strano era accaduto… Ma tutto questo di buon mattino, quand’era ancora buio appunto. A volte abbiamo l’impressione che – nonostante la Fede che pure abbiamo nel cuore – attorno a noi sia ancora buio, tanto buio: soprattutto in certe situazioni l’oscurità pare più forte di quella piccola fiamma che è la “Fede”…
All’annuncio precipitoso di Maria Maddalena (“Hanno portato via il Signore dal sepolcro…”) sono in due a muoversi per verificare la cosa: uno era Pietro, l’altro è nominato semplicemente così: “il discepolo che Gesù amava”. Costui arrivò per primo a quel sepolcro; Pietro arrivò dopo. Tutti e due videro quello che c’era da vedere: la tomba era vuota, il sudario e le bende piegati in un angolo; ma quel discepolo che Gesù amava, a differenza di Pietro non solo vide, ma credette : cosa credette? Che Gesù non l’avevano portato via i ladri, ma era risorto, ed era vivo.
Fratelli, oggi sono in tanti a festeggiare la Pasqua, anzi, penso che se escludiamo quelli che appartengono a un’altra religione, tutti gli italiani e gli Europei festeggiano la Pasqua, anche i miscredenti, anche gli atei… Sì, ma quanti credono davvero che Gesù Cristo è risorto ed è vivo? Quanti sono “contenti come una Pasqua” per questo? E del resto, se non è questo, a cosa si riduce la Pasqua? Come si può pretendere che cambi qualcosa in noi e attorno a noi? Se Pasqua non è questo… tutto è come prima.
Si è fatto vedere poi il Signore risorto, ma solo da gente che lo conosceva, da discepoli che gli volevano bene. E qui allora c’è una conclusione che ci riguarda tutti.
Fratelli, per poter dire con convinzione “Sì, è davvero risorto!” occorre essere in buona relazione con Gesù Cristo: avere un rapporto di amicizia, proprio come quel discepolo che “vide e credette”… o quantomeno una simpatia per Gesù, ansiosa magari e tormentata come quella di Tommaso… perché anche nel dubbio, nella ricerca sofferta c’è amore per Gesù Cristo.
Ma se non c’è questo, si finisce col mettere in dubbio tutto: la risurrezione, la vita oltre la morte, la vittoria del bene sul male, perfino l’esistenza di Dio… Perché queste sono cose dell’altro mondo, e per crederle mentre siamo ancora in questo mondo, ci occorre una sensibilità particolare che è fatta di fede audace e di amore appassionato per Gesù Cristo.
Chi continua a blaterare che bisogna essere furbi (cioè egoisti) per farsi strada, che i potenti avranno sempre la meglio, e i miti e i buoni saranno sempre sconfitti in partenza, state pur certi: chi lo dice non crede che Gesù Cristo è risorto, anche se magari a Pasqua va a Messa e pure alla Comunione. E se costui vi dice “Buona Pasqua”, sì rispondetegli per buona educazione, ma son parole al vento le sue, che non dicono e non danno un bel niente.
Perché c’entra con la vita il fatto che Gesù Cristo è risorto: la nostra vita personale e la vita di tutto questo nostro mondo d’oggi… Eccome che c’entra!
Se è vero che è risorto, allora non saranno la cattiveria e l’egoismo ad avere l’ultima parola sulle vicende umane: no, assolutamente. Allora questo mondo potrà diventare davvero una dimora più “umana”, invece che ridursi ad una giungla dove i lupi divorano gli agnelli. Perciò vedete, fratelli: non è affatto una questione di poco conto credere o non credere che Gesù è risorto…
Io vi auguro di condividere dal profondo del cuore queste certezza pasquale che può cambiare noi anzitutto, e di conseguenza il mondo attorno a noi.
E per dare fiato a questa convinzione, come dicevo già ‘stanotte alla Veglia Pasquale, il saluto che - a partire da oggi - ci scambieremo alla fine d’ogni predica, sarà quello dei cristiani d’Oriente; quando s’incontrano, l’uno dice: “Cristo è risorto” e l’altro risponde: “È davvero risorto!”.
Sia questa la certezza che anima i nostri auguri di buona Pasqua e visto che l’Omelia è conclusa, cominciamo a salutarci così già fin d'ora:
CRISTO E’ RISORTO!
E’ DAVVERO RISORTO!
Le letture bibliche: Atti degli Apostoli 4,32-35; 1Giovanni 5,1-6; Vangelo di Giovanni 20,19-31
Erano rimasti sbalorditi nel vederselo comparire davanti all’improvviso: e chi se l’aspettava? Dopo che avevano sigillato la grossa pietra che chiudeva il suo sepolcro tre giorni prima, com’era possibile che Gesù si presentasse di nuovo in mezzo a loro, lì in quella sala dove avevano mangiato insieme la cena pasquale? E non aveva neanche bisogno di passare per la porta per entrare: infatti era sbarrata. “Venne Gesù, stette in mezzo a loro e disse: Pace a voi!”. Sarà stato solo un saluto convenzionale – tipo: Oh, chi si vede! – o qualcosa di più? Quando a pronunciare la parola “Pace” è uno che è risorto dai morti, il Figlio di Dio, quella pace la porta davvero.
E perché allora ci sono ancora tanti rumori di guerra, di stragi, di atrocità inaudite? A ogni fine settimana ce n’è sempre un nuovo elenco impressionante… Non è che si è sbagliato il Signore risorto dicendo “Pace a voi”? Non è che ci ha presi in giro?
“Pace” si dice shalòm nella Bibbia, lo sapete. Non è solo silenzio di guerra, di armi e di cacciabombardieri … è molto di più: è nuovo clima di convivenza tra gli uomini (cioè tra i popoli, le culture, le razze, le religioni), e per poter essere questo, la pace comincia nell’intimo di ogni persona. Sì, il terreno nel quale attecchisce è il cuore umano (anche se dire così può sembrare teoria); è inutile parlare di pace “fuori” se non ha radici “dentro” le persone. Fuori si arriverà, per bene che vada, a delle tregue, a degli armistizi, a delle capitolazioni…ma la pace vera è un’altra cosa.
E’ un ponte, un ponte sul baratro più profondo che ci possa essere: quello che separa gli uomini da Dio (ed essere separati da Dio non è cosa da poco: vuol dire trovarsi divisi “dentro”, in se stessi …e da qui poi le divisioni tra persona e persona, che quando si sommano insieme diventano ostilità di popoli che si divorano a vicenda).
Su quel baratro tra gli uomini e Dio è stato gettato un ponte: la croce è quel ponte. Ecco perché Gesù, crocifisso e risorto, può dire: “Pace a voi!”. No, non si è sbagliato il Signore dicendo così, non ci ha presi in giro. Ma c’è un particolare nel vangelo di oggi che non ci deve sfuggire. Dopo quell’augurio/dono della pace, Gesù dice così agli apostoli: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. Questo vuol dire che il peccato – o i peccati – non sono un problema di poco conto: chi prende alla leggera il peccato non saprà mai cos’è la pace, e se ne parla è un irresponsabile che si illude e semina illusioni. Il peccato è un ostacolo inamovibile per noi uomini e donne di questo mondo. Solo Dio lo può rimuovere: con la sua misericordia.
La misericordia!
Papa Giovanni Paolo II ha voluto anni fa’ che questa seconda Domenica di Pasqua fosse dedicata alla Misericordia di Dio. L’immagine – che è ormai il simbolo di questa festa – dice che quella misericordia arriva a noi dal cuore aperto di Gesù, crocifisso e risorto…
Ma qui occorre intendersi bene, perché quando si tratta della misericordia di Dio (che la Chiesa deve offrire a tutti) non di rado circolano idee strane, se non addirittura sbagliate. C’è chi intende la misericordia come un atteggiamento buonista che fa passare per buono, lecito, legittimo, quello che fino a ieri era cattivo, riprovevole, sbagliato… “Rubare? Oh, non è mica male: è furbizia… Rompere un legame d’amore, mancare di fedeltà? Ma è umano, anzi, è un diritto: che male c’è? E a livello civile, politico, amministrativo: corruzione, tangenti, appalti truccati… ma è normale: è la logica delle cose che fa agire così, quindi… finiamola col parlare di disonestà… E’ legittimo. Tutto legittimo”.
E' di questi giorni la notizia. La Procura Europea ha avviato delle indagini in tutti i Paesi dell'Unione, motivata dal fatto che l'ormai noto Pnrr sarebbero stato utilizzato da certuni (individui o gruppi) in maniera disonesta. Su 206 indagini fatte o in corso, ben 179 riguarderebbero l'Italia! "Italiani brava gente" si suol dire... Sì, ci sono senza dubbio non poche persone oneste nel nostro Paese, ma a quanto pare è anche terra fertile per non pochi individui o gruppi che l'onestà non sanno nemmeno dove stia di casa.
Ecco, fratelli, sia chiaro: la misericordia non ha nulla a che vedere con questi modi di agire. Non è una mano di bianco su quello che fino a ieri era nero e sporco… Non è questo la misericordia di Dio. Avete notato le parole esatte di Gesù? “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; ma poi ha aggiunto: a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. E perché non saranno perdonati? Forse perché Dio è avaro e perdona solo alcuni... mentre altri no? Ci mancherebbe! E’ un’altra la ragione, e ci possiamo spiegare con un esempio terra terra… Quando uno s’ammala, qual è la prima condizione per cercare di guarire? Riconoscere di essere malato, ammettere di non star bene… Solo allora il medico potrà iniziare una terapia di guarigione. Ma se quel tale si ostina a non riconoscere il suo male, a illudersi che non è niente, come potrà guarire? Tutt’altro, andrà peggiorando invece sempre più. “Coloro che non saranno perdonati”, come dice Gesù, sono quei tali che non vogliono essere perdonati, perché o non riconoscono il male che hanno fatto, oppure pensano che non era affatto male e quindi non provano nessun bisogno di farsi perdonare.
La misericordia di Dio è infinita, si dice: sì, ma siamo noi che possiamo metterle dei limiti: con la nostra ostinazione a considerare bene quello che bene non è affatto. La malvagità che si constata a livello mondiale ha le sue radici, le sue motivazioni nelle coscienze, nei modi di pensare e di comportarsi delle singole persone.
No, non è facile credere nella pace di questi tempi. Non è facile apprezzare la misericordia in tutta la sua preziosità. Chi vive la sua fede in modo molto, troppo individualistico, non è in grado di capire, di credere.
La vicenda di Tommaso conferma quello che sto dicendo: non era nel Cenacolo con gli altri apostoli quel primo giorno della settimana quando venne Gesù risorto. E quando glielo dissero, esclamò: “Io non credo”. Per forza! L’individualismo può anche esprimersi in atteggiamenti molto religiosi o devoti, ma è un terreno troppo arido per la Fede. Fede e individualismo non possono andare d’accordo.
Se la fede è una fiammella sola e isolata, basta una folata di vento per spegnerla… Ma se le fiammelle sono molte e tutte insieme, è meno facile che un colpo di vento le spenga tutte quante: in tal caso, quelle che eventualmente si spengono, possono riaccendersi da quelle che ardono.
Anche nel mondo di oggi la fiammella della fiducia e della speranza rischia di languire e di spegnersi. E’ Gesù risorto – presente tra noi all’Eucaristia di ogni primo giorno della settimana (la Domenica) – è lui che può ravvivare costantemente la fiammella della nostra fede. Perciò, è tutto di guadagnato per noi cristiani - se ci teniamo a rimanere cristiani – non mancare mai a questo appuntamento.
31 Marzo - PASQUA DI RISURREZIONE
Le letture bibliche: Atti degli Apostoli 10,34a.37-43; Colossesi 3,1-4; Giovanni 20,1-9
“Sì, ne siamo certi, Cristo è davvero risorto”: sono queste le parole che la Pasqua pone sulle nostre labbra. Ma è anche ragionevole domandarsi: ci crediamo davvero? Andiamo piano con le risposte.
Umanamente parlando, questa è una di quelle notizie che hanno più a che vedere con le favole, con i miti, che con la realtà; da che mondo è mondo, è normale morire, ma non risorgere una volta che si è morti. Noi cristiani lo affermiamo di Gesù Cristo perché quei tali che l’hanno conosciuto da vicino ce l’hanno testimoniato; sì, hanno faticato anch’essi a crederlo, ad accettarlo, ma alla fine era diventata per loro una convinzione indiscutibile. All’inizio tentennavano, erano perplessi, non sapevano cosa pensare. Anche perché quell’avvenimento – la risurrezione - non si è verificato con effetti speciali, tipo un’esplosione di eccezionale portata… sconvolgimenti cosmici da fantascienza… luci abbaglianti dal cielo… rumori o suoni da far tremare i sassi… No no, niente di tutto questo. Anche da risorto Gesù Cristo non vuol plagiare nessuno con fenomeni o effetti speciali: tutto avviene nella discrezione più totale.
Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio ed ebbe il primo segnale che qualcosa di strano era accaduto… Ma tutto questo di buon mattino, quand’era ancora buio appunto. A volte abbiamo l’impressione che – nonostante la Fede che pure abbiamo nel cuore – attorno a noi sia ancora buio, tanto buio: soprattutto in certe situazioni l’oscurità pare più forte di quella piccola fiamma che è la “Fede”…
All’annuncio precipitoso di Maria Maddalena (“Hanno portato via il Signore dal sepolcro…”) sono in due a muoversi per verificare la cosa: uno era Pietro, l’altro è nominato semplicemente così: “il discepolo che Gesù amava”. Costui arrivò per primo a quel sepolcro; Pietro arrivò dopo. Tutti e due videro quello che c’era da vedere: la tomba era vuota, il sudario e le bende piegati in un angolo; ma quel discepolo che Gesù amava, a differenza di Pietro non solo vide, ma credette : cosa credette? Che Gesù non l’avevano portato via i ladri, ma era risorto, ed era vivo.
Fratelli, oggi sono in tanti a festeggiare la Pasqua, anzi, penso che se escludiamo quelli che appartengono a un’altra religione, tutti gli italiani e gli Europei festeggiano la Pasqua, anche i miscredenti, anche gli atei… Sì, ma quanti credono davvero che Gesù Cristo è risorto ed è vivo? Quanti sono “contenti come una Pasqua” per questo? E del resto, se non è questo, a cosa si riduce la Pasqua? Come si può pretendere che cambi qualcosa in noi e attorno a noi? Se Pasqua non è questo… tutto è come prima.
Si è fatto vedere poi il Signore risorto, ma solo da gente che lo conosceva, da discepoli che gli volevano bene. E qui allora c’è una conclusione che ci riguarda tutti.
Fratelli, per poter dire con convinzione “Sì, è davvero risorto!” occorre essere in buona relazione con Gesù Cristo: avere un rapporto di amicizia, proprio come quel discepolo che “vide e credette”… o quantomeno una simpatia per Gesù, ansiosa magari e tormentata come quella di Tommaso… perché anche nel dubbio, nella ricerca sofferta c’è amore per Gesù Cristo.
Ma se non c’è questo, si finisce col mettere in dubbio tutto: la risurrezione, la vita oltre la morte, la vittoria del bene sul male, perfino l’esistenza di Dio… Perché queste sono cose dell’altro mondo, e per crederle mentre siamo ancora in questo mondo, ci occorre una sensibilità particolare che è fatta di fede audace e di amore appassionato per Gesù Cristo.
Chi continua a blaterare che bisogna essere furbi (cioè egoisti) per farsi strada, che i potenti avranno sempre la meglio, e i miti e i buoni saranno sempre sconfitti in partenza, state pur certi: chi lo dice non crede che Gesù Cristo è risorto, anche se magari a Pasqua va a Messa e pure alla Comunione. E se costui vi dice “Buona Pasqua”, sì rispondetegli per buona educazione, ma son parole al vento le sue, che non dicono e non danno un bel niente.
Perché c’entra con la vita il fatto che Gesù Cristo è risorto: la nostra vita personale e la vita di tutto questo nostro mondo d’oggi… Eccome che c’entra!
Se è vero che è risorto, allora non saranno la cattiveria e l’egoismo ad avere l’ultima parola sulle vicende umane: no, assolutamente. Allora questo mondo potrà diventare davvero una dimora più “umana”, invece che ridursi ad una giungla dove i lupi divorano gli agnelli. Perciò vedete, fratelli: non è affatto una questione di poco conto credere o non credere che Gesù è risorto…
Io vi auguro di condividere dal profondo del cuore queste certezza pasquale che può cambiare noi anzitutto, e di conseguenza il mondo attorno a noi.
E per dare fiato a questa convinzione, come dicevo già ‘stanotte alla Veglia Pasquale, il saluto che - a partire da oggi - ci scambieremo alla fine d’ogni predica, sarà quello dei cristiani d’Oriente; quando s’incontrano, l’uno dice: “Cristo è risorto” e l’altro risponde: “È davvero risorto!”.
Sia questa la certezza che anima i nostri auguri di buona Pasqua e visto che l’Omelia è conclusa, cominciamo a salutarci così già fin d'ora:
CRISTO E’ RISORTO!
E’ DAVVERO RISORTO!
T E M PO D I Q U A R E S I M A
24 Marzo - DOMENICA di Passione o delle Palme
Le letture bibliche: Isaia 50,4-7; Filippesi 2,6-11; Marco 14,1 - 15,47
Ci soffermiamo qualche istante a contemplare, cioè a osservare con con amore e con Fede, 6 scene di questo dramma che è la Passione del Signore (la 7° che le completa la contempleremo il giorno di Pasqua).
Prima scena
I discepoli portarono un puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì. Era un asino quel puledro: un asino. Con tutto quello che evoca questo quadrupede: fatica, mitezza, insignificanza. Bestia da soma. Nessun conquistatore ha mai fatto il suo ingresso trionfale su di un asino. Solo Gesù, Figlio di Dio, poteva decidere di comportarsi così. E nessuna accoglienza è mai stata più sincera di questa.
Seconda scena
Pietro disse a Gesù: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!». «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano pure tutti gli altri. Non di rado la presunzione contagia anche le migliori intenzioni. Quasi sempre è la superficialità a farci presumere di noi stessi. E quel che è peggio è l’ostinazione che l’accompagna. Perché non passiamo in rassegna anche i nostri fallimenti per trarre qualche salutare conclusione? Non per demoralizzarci o lasciar cadere le braccia, ma per non rischiare di montarci la testa sempre di nuovo. E per imparare ad essere cristiani in umiltà.
Terza scena.
Giunsero a un podere chiamato Getsèmani e Gesù disse ai suoi discepoli: «Sedetevi qui, mentre io prego». «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate con me». E’ umano, è perfino normale ricorrere a Dio nelle ore della prova. Ma i cristiani son quelli che fanno compagnia a Dio nelle sue prove. Abbiamo mai pensato che anche Dio – forse - ha bisogno certe volte di qualcuno che gli stia vicino?
Quarta scena
Pietro lo aveva seguito da lontano e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco… venne una serva e, vedendo Pietro, lo guardò in faccia e gli disse: «Anche tu eri con Gesù». Ma egli negò, dicendo: «Non so e non capisco che cosa dici». No, non dev’esser stato molto convincente nella sua risposta se di lì a poco la scena s’è ripetuta altre due volte. Caro Pietro: tu ci rappresenti tutti. Non siamo molto bravi a mantenere i nostri propositi, ma neanche a nascondere i nostri fallimenti. Tuttavia non è questo l’assolutamente importante. Ciò che conta di più è avere sempre una buona riserva di lacrime, e nutrire una sconfinata fiducia in quel Gesù che ha affascinato te e noi con la sua coerenza, e con quella sua sconfinata misericordia.
Quinta scena
Dopo essersi fatti beffe di Gesù, i soldati lo condussero fuori per crocifiggerlo. Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna… E’ passato alla storia come il “Cireneo”. Il suo unico interesse, quel giorno, era di tornarsene a casa, sudato e sporco come sempre dopo aver faticato tutta la mattina nel suo campo arido e pietroso; aveva pur diritto di prepararsi alla Pasqua! Ed ecco che invece deve cambiare programma. (Un consiglio, a questo punto: se abbiamo bisogno di una mano, non chiediamola a chi ha sempre tempo da perdere. Chiediamola a chi ha già faticato molto. Forse brontolando, o di malavoglia, ma ce la darà).
Sesta scena
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Poi, dando un forte grido, spirò. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» Quest’uomo (pagano) non ha incontrato Dio nell’imponenza del Tempio – stupendo e meraviglioso - ma nella debolezza e nell’impotenza di Gesù Crocifisso. Probabilmente non era il primo condannato che vedeva morire: cosa c’era di diverso in lui? L’amore. Quell’amore che aveva trasformato il suo morire in dono della vita. Si può amare anche nella disfatta, anche nell’impotenza. E allora è l’amore a vincere, e con l’amore la vita. Alla Pasqua di risurrezione si arriva solo così. Non ci sono scorciatoie. E’ questo l’itinerario che rende questa settimana diversa da tutte le altre. Cioè: santa.
E allora in questi giorni cerchiamo di amare di più e meglio del solito, sia il Signore sua il nostro prossimo. E sarà una settimana davvero Santa anche per noi.
DOMENICA 17 Marzo - V° di Quaresima
Le letture bibliche: Geremia 31,31-34; Ebrei 5,7-9; Giovanni 12,20-33
Mancano ormai solo due settimane alla Pasqua: è come avvicinarci alla mèta di un viaggio e allora – prima dell’arrivo – è utile avere qualche indicazione. Cosa ci aspetta? Cosa troveremo? La gloria di Dio. A Pasqua avremo la sorprendente manifestazione della gloria di Dio. Oh, ma attenzione: quando si dice “gloria”, di solito si pensa a “successo”, riuscita, trionfo d’un vincitore. Certo, c’è anche questo, ma questo viene di conseguenza. Sentendo la parola “Pasqua”, non pensate anzitutto al giorno di Pasqua, quando tutto, anche le pietre, cantano alleluia… e tutte le campane, anche quelle stonate, suonano a festa: questa è l’altra faccia della Pasqua, ma quello che viene prima è più sorprendente. E cos’è che viene prima?
“In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Ecco l’aspetto sorprendente della Pasqua. Ecco qual è la gloria di Dio, il successo di Gesù…
Sì, sarà innalzato sopra tutti quanti; starà più in alto di tutti e nessuno potrà far a meno di sollevare lo sguardo verso di lui (“Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” ci ha detto oggi nel vangelo): eh, ma grazie a che prezzo! Chi vuol mettersi sopra tutti di solito non sale su una croce, non si lascia crocifiggere, caso mai crocifigge altri per innalzare se stesso…
Ebbene, Dio ha tutt’altra logica. Non gli diciamo sempre che è santo santo santo? “santo” vuol diverso, ma diverso fino all’inverosimile… Lui trova la sua gloria, il suo successo, nell’abbassarsi, e non solo fino a terra, ma fino a scomparire sotto terra. E se c’è una crocifissione da mettere in preventivo, è la sua, non quella degli altri: lui si lascia crocifiggere e muore perché gli altri vivano. Insomma, se per la logica di questo mondo, gloria e successo si ottengono sorpassando tutti e a qualsiasi prezzo, per Dio è esattamente l’opposto: Gesù si identifica con quel chicco di grano che proprio perché cade nella terra e muore produce molto frutto.
Chissà quante volte l’abbiamo sentito questo paragone, questo simbolo, ma non possiamo accontentarci di sentirlo o risentirlo: dovremmo portarcelo dentro come criterio di vita, rendercelo familiare… perché qui – in un certo senso – c’è tutta la logica del cristianesimo, cioè di come si comporta Dio verso di noi e di come dobbiamo comportarci noi se vogliamo davvero realizzare noi stessi.
Ciò che accade nella natura è una bella dimostrazione di quanto sia vero quello che Gesù dice: da noi non ci sono campi di grano come in altre regioni d’Italia dove lo scorso autunno il grano è stato seminato, poi è piovuto, magari anche nevicato … e quel grano sepolto nella terra era scomparso, finito! Ma ecco che ora, da quella terra ove era sepolto germoglia, e cresce, e da ogni chicco si avrà una spiga piena di molti altri grani… Ogni primavera e ogni estate ci danno la prova di quanto è vero quello che ci dice oggi il Signore.
La terra è il grembo della vita per il grano. E anche se ormai la maggioranza dei nostri passi li facciamo su strade asfaltate o lastricate, non per questo abbiamo dimenticato com’è fatta la terra… In antico, quando si parlava latino, la si chiamava “humus” la terra: termine dal quale sono poi derivate parole come “umile”, “umiltà”… sì c’è un legame tra la terra e l’umiltà.
L’esperienza di Gesù, nella sua Pasqua, è stata proprio quella di una straordinaria umiltà.
Ce l’ha lasciata intravedere la seconda lettura, ma era un brano così denso e così breve che forse non abbiamo neanche fatto in tempo ad afferrarne il messaggio. Risentiamola un po’ con calma: “Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte”…ecco quale umiltà ha praticato Gesù, ecco l’esempio che ci offre. Momenti di prova di tanto in tanto capitano a tutti, ebbene, anziché voltare le spalle a Dio quando si tocca il fondo, Lui ci insegna a sprigionare “preghiere e suppliche… che se poi ci sono anche lacrime” ebbene sì, questa è l’umiltà. “Pur essendo Figlio (diceva quella lettura), Gesù Cristo imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”. Pensate un po’: ma se c’era uno perfetto da sempre, era proprio Gesù Cristo! Sì, perfetto, però nel suo Paradiso. Ma cosa volesse dire lambire la polvere di questa nostra terra, provare fatica, umiliazione, dolore, anzi, scomparire sotto, no: questo non lo sapeva, quest’esperienza gli mancava. E l’ha vissuta, l’ha provata: “imparò l’obbedienza da ciò che patì: così fu reso perfetto, e perciò può salvare tutti coloro che gli obbediscono”.
Fratelli, come dicevo: siamo ormai vicini al traguardo del nostro viaggio. E allora, ecco, le istruzioni o raccomandazioni si riducono tutte a questa: Umiltà.
Ognuno conosce le sue situazioni di vita e sa quali sono le occasioni di praticare l’umiltà. Ebbene, cogliamole: forse riguardano i nostri rapporti con Dio (abbiamo tutti bisogno di obbedire a Dio non per forza, ma per convinzione personale, anzi, per amore: è solo per amore che possiamo abbandonarci con totale fiducia a lui, come ha fatto Gesù).
Forse è nelle nostre relazioni con gli altri che c’è bisogno di più umiltà da parte nostra (quell’immagine del chicco di grano che accetta di morire per portare frutto, dovrà pur insegnare qualcosa, soprattutto a genitori, nonni, oltre che a noi preti!).
O forse anche nel rapporto con noi stessi sarebbe un toccasana l’umiltà: per accettarci con i nostri limiti, per non drammatizzare troppo sui nostri problemi personali o familiari, o per rendere un po’ secondari certi nostri progetti, certe pretese, certe idee eccessivamente presuntuose…
Sì, fratelli, ricordiamocelo: umiltà deriva da humus, terra. Quella sulla quale è opportuno poggiare i piedi (proprio per avere i piedi per terra, come si suol dire).
Quella terra, che accoglie il chicco di grano che muore, ma che muore per amore – non dimentichiamolo – e perciò con la certezza di portare frutto.
Credetelo, fratelli, non c’è una strada altrettanto sicura di questa per sperimentare e provare personalmente cosa vuol dire Pasqua di Risurrezione.
DOMENICA 10 Marzo - IV° di Quaresima
Le letture bibliche: 2Cronache 36,14-16.19-23; Efesini 2,4-10; Giovanni 3,14-21
Come si potrebbe vivere senza amare e senza essere amati? “Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che disprezzo…” - leggiamo nel Cantico del cantici della Bibbia – “perché forte come la morte è l’amore!”.
Cosa sarebbe la vita senza l’amore?
Non ogni amore, ovviamente. Ci sono anche manifestazioni d’amore piuttosto deboli e fragili: stagionali, insomma, provvisorie. Un amore che dura fin che dura. Non è vero che ogni amore è forte come la morte… A volte gli interessi risultano più forti dell’amore…. E allora “addio amore”. La nostra è stata definita l’epoca del “pensiero debole”, cioè quella in cui i grandi ideali sono scomparsi dall’orizzonte. Forse potremmo dire che è anche l’epoca dell’amore debole…Non più l’amore eterno, l’amore a caro prezzo, ma l’amore debole.
Noi cristiani, e noi preti in particolare, ci ostiniamo a ripetere che Dio ci ama, che il suo amore è eterno, inesauribile. E’ dai tempi di san Paolo che andiamo dicendo che “Dio è ricco di misericordia, e per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo…ci ha fatti rivivere con Gesù”. Ma sarà vero? è credibile quello che diciamo? Chi ci ascolta, cosa penserà?
A guardare il mondo, e come vanno le cose a questo mondo, c’è da restare frastornati, increduli… Viene da chiedersi: ma se è proprio vero che Dio ci ama, come mai accadono certe brutte cose? Come può accadere che tanti innocenti, dei quali i giornali non parlano, patiscano violenze e soprusi senza che nessuno muova un dito per difenderli? Come si accorda tutto questo, e tanto altro ancora, con l’amore di Dio? Ma da che parte sta Dio?
“Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio unigenito…”: ce l’ha appena ricordato il Vangelo di questa Domenica.
La Quaresima, ormai lo sappiamo, è un viaggio di conversione che conduce alla Pasqua. Conversione però non è solo questione di condotta, di azioni cattive da eliminare per sostituirle con delle opere buone. Conversione è prima di tutto “cambio di mentalità”, di criteri e di ideali di vita. Anche nel modo di pensare a Dio occorre fare una conversione, perché è troppo facile pensare a lui in maniera mondana, grossolana…e perciò stesso sbagliata. Come capita di fare con le persone: fin che le guardiamo da lontano, è facile formulare giudizi superficiali; allorché ci avviciniamo ed entriamo in familiarità, ci accorgiamo che sono diverse da come le pensavamo…
Noi, fratelli, riusciremo a convertire i nostri atti, la nostra condotta, solo dopo che avremo corretto, convertito, i nostri modi di pensare a Dio. E io credo che per capire l’amore di Dio non basta guardare come vanno le cose a questo mondo; non basta nemmeno osservare la nostra personale esperienza di vita o quella della nostre famiglie… Per credere, per “vedere” l’amore di Dio, occorre portarsi davanti al Crocifisso… sostare davanti a Cristo Crocifisso… guardarlo, o meglio, contemplarlo…
Gesù oggi ci parla di sguardi che si sollevano, di occhi che si alzano: a guardare che cosa?
“Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo…”. Allude a quegli Ebrei che, insieme a Mosè, attraversavano il deserto e, tra tutte le prove che dovettero affrontare, c’era anche quella dei serpenti: erano morsi dai serpenti. Dio suggerisce a Mosè di forgiare un serpente di bronzo e di innalzarlo sopra un palo: chi lo guarda e invoca Dio si salverà.
“Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo…”. E’ Gesù questo figlio dell’uomo; parla di se stesso Gesù, della sua fine, che vista dalla parte di Dio è un traguardo più che una fine, un progetto che arriva a realizzazione. Gesù, innalzato sulla croce, è l’unica dimostrazione tangibile e credibile che Dio ama davvero questo mondo. Lo ama con i suoi limiti, con i suoi errori, lo ama anche se lo ha rifiutato e continua a rifiutarlo. Lo ama perché lo vuole salvo…
Noi saremmo più propensi a denigrare il mondo e scuotere la testa amareggiati su tutti gli orrori e le crudeltà che lo deturpano; ma Dio no: ama questo mondo, fino al punto da donare il suo Figlio, perché amare significa dare, condividere. E questo Figlio non è uno schiavo che deve sottostare per forza, tutt’altro: condivide pienamente l’amore del Padre per questo mondo: non solo si lascia donare, ma si dona liberamente lui stesso… Nemmeno il male più disumano, nemmeno il più tremendo dei peccati potrà impedire a Dio di amarci, anzi, potrà solo rivelarci quanto è ostinato, grande, gratuito il suo amore per noi.
E di tutto questo, la croce è la prova, la dimostrazione: la croce abbassa il cielo fino a noi e innalza noi, con tutte le nostre miserie e povertà, fino a Dio. La Croce è la via dell’amore: è per questa via che Dio viene a noi, e per questa stessa via noi possiamo andare da lui. No, fratelli, non si può credere all’amore di Dio, se non ci si ferma a contemplare il Crocifisso.
E dobbiamo fermarci davvero, e fermarci spesso, se non vogliamo finire – come quegli ebrei del deserto – vittime del veleno che insidia in molti modi anche oggi la nostra vita: il veleno del dubbio, il veleno del risentimento, il veleno della paura e dell’angoscia che porta al pessimismo o addirittura alla disperazione… Dio lo sa che il rischio che corriamo è di restare avvelenati da queste cose, lo sa che sarà sempre questo il rischio, anche al giorno d’oggi, perciò “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna”.
Non vi pare, a questo punto, che ci sia qualcosa da correggere nella nostra idea di Dio, nell’immagine che ci eravamo fatti di Lui? Non vi pare che la Quaresima sia davvero il tempo favorevole per farlo?
Le letture bibliche: 2Cronache 36,14-16.19-23; Efesini 2,4-10; Giovanni 3,14-21
Come si potrebbe vivere senza amare e senza essere amati? “Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che disprezzo…” - leggiamo nel Cantico del cantici della Bibbia – “perché forte come la morte è l’amore!”.
Cosa sarebbe la vita senza l’amore?
Non ogni amore, ovviamente. Ci sono anche manifestazioni d’amore piuttosto deboli e fragili: stagionali, insomma, provvisorie. Un amore che dura fin che dura. Non è vero che ogni amore è forte come la morte… A volte gli interessi risultano più forti dell’amore…. E allora “addio amore”. La nostra è stata definita l’epoca del “pensiero debole”, cioè quella in cui i grandi ideali sono scomparsi dall’orizzonte. Forse potremmo dire che è anche l’epoca dell’amore debole…Non più l’amore eterno, l’amore a caro prezzo, ma l’amore debole.
Noi cristiani, e noi preti in particolare, ci ostiniamo a ripetere che Dio ci ama, che il suo amore è eterno, inesauribile. E’ dai tempi di san Paolo che andiamo dicendo che “Dio è ricco di misericordia, e per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo…ci ha fatti rivivere con Gesù”. Ma sarà vero? è credibile quello che diciamo? Chi ci ascolta, cosa penserà?
A guardare il mondo, e come vanno le cose a questo mondo, c’è da restare frastornati, increduli… Viene da chiedersi: ma se è proprio vero che Dio ci ama, come mai accadono certe brutte cose? Come può accadere che tanti innocenti, dei quali i giornali non parlano, patiscano violenze e soprusi senza che nessuno muova un dito per difenderli? Come si accorda tutto questo, e tanto altro ancora, con l’amore di Dio? Ma da che parte sta Dio?
“Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio unigenito…”: ce l’ha appena ricordato il Vangelo di questa Domenica.
La Quaresima, ormai lo sappiamo, è un viaggio di conversione che conduce alla Pasqua. Conversione però non è solo questione di condotta, di azioni cattive da eliminare per sostituirle con delle opere buone. Conversione è prima di tutto “cambio di mentalità”, di criteri e di ideali di vita. Anche nel modo di pensare a Dio occorre fare una conversione, perché è troppo facile pensare a lui in maniera mondana, grossolana…e perciò stesso sbagliata. Come capita di fare con le persone: fin che le guardiamo da lontano, è facile formulare giudizi superficiali; allorché ci avviciniamo ed entriamo in familiarità, ci accorgiamo che sono diverse da come le pensavamo…
Noi, fratelli, riusciremo a convertire i nostri atti, la nostra condotta, solo dopo che avremo corretto, convertito, i nostri modi di pensare a Dio. E io credo che per capire l’amore di Dio non basta guardare come vanno le cose a questo mondo; non basta nemmeno osservare la nostra personale esperienza di vita o quella della nostre famiglie… Per credere, per “vedere” l’amore di Dio, occorre portarsi davanti al Crocifisso… sostare davanti a Cristo Crocifisso… guardarlo, o meglio, contemplarlo…
Gesù oggi ci parla di sguardi che si sollevano, di occhi che si alzano: a guardare che cosa?
“Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo…”. Allude a quegli Ebrei che, insieme a Mosè, attraversavano il deserto e, tra tutte le prove che dovettero affrontare, c’era anche quella dei serpenti: erano morsi dai serpenti. Dio suggerisce a Mosè di forgiare un serpente di bronzo e di innalzarlo sopra un palo: chi lo guarda e invoca Dio si salverà.
“Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo…”. E’ Gesù questo figlio dell’uomo; parla di se stesso Gesù, della sua fine, che vista dalla parte di Dio è un traguardo più che una fine, un progetto che arriva a realizzazione. Gesù, innalzato sulla croce, è l’unica dimostrazione tangibile e credibile che Dio ama davvero questo mondo. Lo ama con i suoi limiti, con i suoi errori, lo ama anche se lo ha rifiutato e continua a rifiutarlo. Lo ama perché lo vuole salvo…
Noi saremmo più propensi a denigrare il mondo e scuotere la testa amareggiati su tutti gli orrori e le crudeltà che lo deturpano; ma Dio no: ama questo mondo, fino al punto da donare il suo Figlio, perché amare significa dare, condividere. E questo Figlio non è uno schiavo che deve sottostare per forza, tutt’altro: condivide pienamente l’amore del Padre per questo mondo: non solo si lascia donare, ma si dona liberamente lui stesso… Nemmeno il male più disumano, nemmeno il più tremendo dei peccati potrà impedire a Dio di amarci, anzi, potrà solo rivelarci quanto è ostinato, grande, gratuito il suo amore per noi.
E di tutto questo, la croce è la prova, la dimostrazione: la croce abbassa il cielo fino a noi e innalza noi, con tutte le nostre miserie e povertà, fino a Dio. La Croce è la via dell’amore: è per questa via che Dio viene a noi, e per questa stessa via noi possiamo andare da lui. No, fratelli, non si può credere all’amore di Dio, se non ci si ferma a contemplare il Crocifisso.
E dobbiamo fermarci davvero, e fermarci spesso, se non vogliamo finire – come quegli ebrei del deserto – vittime del veleno che insidia in molti modi anche oggi la nostra vita: il veleno del dubbio, il veleno del risentimento, il veleno della paura e dell’angoscia che porta al pessimismo o addirittura alla disperazione… Dio lo sa che il rischio che corriamo è di restare avvelenati da queste cose, lo sa che sarà sempre questo il rischio, anche al giorno d’oggi, perciò “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna”.
Non vi pare, a questo punto, che ci sia qualcosa da correggere nella nostra idea di Dio, nell’immagine che ci eravamo fatti di Lui? Non vi pare che la Quaresima sia davvero il tempo favorevole per farlo?
DOMENICA 3 Marzo - III° di Quaresima
Le letture bibliche: Esodo 20,1-17; 1Corinzi 1,22-25; Giovanni 2,13-25
Pulizia. Il Signore ama la pulizia.
Se la Domenica voi trovate la chiesa pulita e potete prendere posto nei banchi senza sporcarvi di polvere, il merito è di quelle persone che durante la settimana dedicano tempo a fare le pulizie della chiesa. Sempre fedeli, meticolose, sempre gratuitamente (il che non è affatto un particolare da poco!): meritano proprio riconoscenza, e dal momento che il Signore ama la pulizia, come dicevo, penso che le saprà ricompensare degnamente.
A dire il vero, non consiste solo nello spolverare o nel lavare pavimenti la pulizia che ama il Signore: va molto più in là. “…Fatta una frusta di cordicelle, Gesù scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». ”.
Ecco la pulizia che ama il Signore, e la ama a tal punto da attuarla in maniera molto decisa, indignata addirittura: “…lo zelo della tua casa mi divora” commenta l’evangelista Giovanni che riferisce questa vicenda.
Non c’è niente quanto l’ipocrisia, cioè la mescolanza di religione ed affari, acqua santa e diavolo, che possa suscitare l’indignazione di Dio. Penso di non essere troppo irriverente a pensare che Gesù Cristo avrebbe buoni motivi anche oggi di usare la sferza all’interno della sua Chiesa, dove – come si sa – ogni tanto si scopre che religione ed affari di mercato vanno ancora a braccetto: son cose che, quando uno le dice, rischia di passare per sovversivo, ma il vangelo è di una limpidezza così evidente che bisogna proprio chiudere gli occhi per non vederle…
Il vangelo è “potenza di Dio per tutti coloro che credono” ci ricorda san Paolo; chi lo predica, chi lo annuncia – con le parole, con le opere, o con la propria testimonianza - deve fidarsi di Dio; ogni altro affidamento o sostegno è una palla al piede, e perciò è fuori luogo, perché allora il vangelo cessa di essere strumento della “potenza di Dio” e diventa una banale ideologia tra le altre, che pretende di accontentare tutti, ma non soddisfa in realtà nessuno. Sì, penso che Gesù avrebbe buoni motivi per adoperare ancora la sferza nel Tempio.
Così come li troverebbe nella vita di tutti noi, cristiani, allorché mescoliamo allegramente diavolo e acqua santa. Succede, infatti: riconosciamolo onestamente. E’ sempre successo. Quando, per esempio, si afferma di credere “in Dio, Padre onnipotente” e poi, invece, ci si affida ciecamente alle idee di qualche paparazzo televisivo o di qualche politicante di turno …è come mettere assieme acqua santa e diavolo. Dio non ci sta.
“Non avrai altri dèi di fronte a me - così risuona oggi la Parola di Dio - …Non ti farai idolo né immagine alcuna… Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, solo io sono il Signore tuo Dio, un Dio geloso…” (quando Dio, nella Bibbia, si definisce “geloso” è come se dicesse: Guarda che io ti amo molto seriamente e appassionatamente!).
Allora possiamo domandarci: Davanti a chi ci inginocchiamo noi di solito, fratelli? Le genuflessioni in chiesa, al giorno d’oggi, si fanno un po’ press’a poco: di sghimbescio, alla meno peggio, come se bastasse la “mossa” per intenderci. Ma fuori di chiesa, oh quante genuflessioni devote che si fanno! Quanti atteggiamenti rispettosi e devoti, quanti inchini e prostrazioni (con la coscienza, invece che con il corpo) di fronte a questo o a quel personaggio influente… per averne qualche vantaggio! E quante generose offerte a quella falsa “trinità” che invece che chiamarsi “Padre, Figlio, Spirito Santo” si chiama “avere”, “possedere”,“apparire”! Come la mettiamo, a questo punto, con quel comandamento che dice “non ti farai idoli…non ti prostrerai davanti a loro… Io sono il Signore, il tuo Dio, un Dio geloso…”?
Il grave male del cristianesimo in questa nostra epoca è la separazione tra la fede e la vita; male che non pochi accettano senza fiatare quando affermano: “la fede è una cosa ma la vita è tutt’altra cosa”. Accade allora che, da un lato si può credere in Dio, e dall’altro – ad esempio - dimenticarsi dei propri genitori. Si può non bestemmiare (perché è cattiva educazione) ma, nello stesso tempo, uccidere (perché ci sono molti modi di uccidere). Si può santificare la festa (almeno formalmente) e, al contempo, rubare al prossimo o allo Stato; farsi le corna tra coniugi, danneggiare il prossimo con la menzogna e con la calunnia… in tutta tranquillità. A questo porta quel male che dicevo: la separazione tra fede e vita. Cos’altro diventa allora l’esperienza religiosa se non esibizione dell’ipocrisia, o tempio in cui si tenta di far convivere Dio e il mercato?
Fratelli, non diciamo mai più che tutte le religioni sono eguali: la nostra – la fede biblica – si distingue dalle altre perché è inscindibile dalla vita. Noi crediamo in un Dio che è intervenuto nella vita, nella storia degli uomini: è su questo terreno che vuole essere adorato e ascoltato. Ma è possibile una fede così nel mondo d’oggi, dove la vita è diventata per tanti motivi problematica e caotica? Non è una pretesa irragionevole quella della nostra fede cristiana di voler impregnare ed animare la vita?
“Distruggete questo tempio – afferma oggi Gesù – e io in tre giorni lo ricostruirò”. Parlava di se stesso. Della sua morte sulla croce e della sua risurrezione tre giorni dopo. E voleva dire: “Sono io ormai l’unico Tempio di Dio, quello vero: se volete vivere un’esistenza religiosa autentica, è in me che dovete entrare, è la mia logica che dovete condividere”. Entrare in Gesù Cristo, condividere la sua logica: che senso ha questo per noi? Che cosa vuol dire in sostanza?
Che ci dobbiamo legare a lui con vera passione, fratelli. Appassionarsi è come innamorarsi: quando ci si innamora di una persona, si fa di tutto per incontrarla, per conoscerla sempre di più e sempre meglio; non si può più far a meno di pensare a lei.
Legarsi a Gesù Cristo così è vivere in lui, come in un Tempio.
Non si tratta di illusione, o di autosuggestione, perché lui – risorto e vivo per sempre - è davvero con noi; ce l’ha assicurato: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Lui non è uno che si rimangia le parole che ha detto.
Vivere in Cristo come in un Tempio è la meravigliosa prospettiva pasquale che oggi Dio fa brillare davanti ai nostri occhi. A quel punto, fratelli, non c’è più separazione tra fede e vita perché fede e vita un po’ alla volta diventano un’unica cosa. A quel punto anche l’ipocrisia se ne va sconfitta e subentra l’autenticità, la verità, la limpidezza. Sì, è possibile!
E’ questa la bella notizia – l’evangelo – che oggi Dio ci consegna.
Le letture bibliche: Esodo 20,1-17; 1Corinzi 1,22-25; Giovanni 2,13-25
Pulizia. Il Signore ama la pulizia.
Se la Domenica voi trovate la chiesa pulita e potete prendere posto nei banchi senza sporcarvi di polvere, il merito è di quelle persone che durante la settimana dedicano tempo a fare le pulizie della chiesa. Sempre fedeli, meticolose, sempre gratuitamente (il che non è affatto un particolare da poco!): meritano proprio riconoscenza, e dal momento che il Signore ama la pulizia, come dicevo, penso che le saprà ricompensare degnamente.
A dire il vero, non consiste solo nello spolverare o nel lavare pavimenti la pulizia che ama il Signore: va molto più in là. “…Fatta una frusta di cordicelle, Gesù scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». ”.
Ecco la pulizia che ama il Signore, e la ama a tal punto da attuarla in maniera molto decisa, indignata addirittura: “…lo zelo della tua casa mi divora” commenta l’evangelista Giovanni che riferisce questa vicenda.
Non c’è niente quanto l’ipocrisia, cioè la mescolanza di religione ed affari, acqua santa e diavolo, che possa suscitare l’indignazione di Dio. Penso di non essere troppo irriverente a pensare che Gesù Cristo avrebbe buoni motivi anche oggi di usare la sferza all’interno della sua Chiesa, dove – come si sa – ogni tanto si scopre che religione ed affari di mercato vanno ancora a braccetto: son cose che, quando uno le dice, rischia di passare per sovversivo, ma il vangelo è di una limpidezza così evidente che bisogna proprio chiudere gli occhi per non vederle…
Il vangelo è “potenza di Dio per tutti coloro che credono” ci ricorda san Paolo; chi lo predica, chi lo annuncia – con le parole, con le opere, o con la propria testimonianza - deve fidarsi di Dio; ogni altro affidamento o sostegno è una palla al piede, e perciò è fuori luogo, perché allora il vangelo cessa di essere strumento della “potenza di Dio” e diventa una banale ideologia tra le altre, che pretende di accontentare tutti, ma non soddisfa in realtà nessuno. Sì, penso che Gesù avrebbe buoni motivi per adoperare ancora la sferza nel Tempio.
Così come li troverebbe nella vita di tutti noi, cristiani, allorché mescoliamo allegramente diavolo e acqua santa. Succede, infatti: riconosciamolo onestamente. E’ sempre successo. Quando, per esempio, si afferma di credere “in Dio, Padre onnipotente” e poi, invece, ci si affida ciecamente alle idee di qualche paparazzo televisivo o di qualche politicante di turno …è come mettere assieme acqua santa e diavolo. Dio non ci sta.
“Non avrai altri dèi di fronte a me - così risuona oggi la Parola di Dio - …Non ti farai idolo né immagine alcuna… Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, solo io sono il Signore tuo Dio, un Dio geloso…” (quando Dio, nella Bibbia, si definisce “geloso” è come se dicesse: Guarda che io ti amo molto seriamente e appassionatamente!).
Allora possiamo domandarci: Davanti a chi ci inginocchiamo noi di solito, fratelli? Le genuflessioni in chiesa, al giorno d’oggi, si fanno un po’ press’a poco: di sghimbescio, alla meno peggio, come se bastasse la “mossa” per intenderci. Ma fuori di chiesa, oh quante genuflessioni devote che si fanno! Quanti atteggiamenti rispettosi e devoti, quanti inchini e prostrazioni (con la coscienza, invece che con il corpo) di fronte a questo o a quel personaggio influente… per averne qualche vantaggio! E quante generose offerte a quella falsa “trinità” che invece che chiamarsi “Padre, Figlio, Spirito Santo” si chiama “avere”, “possedere”,“apparire”! Come la mettiamo, a questo punto, con quel comandamento che dice “non ti farai idoli…non ti prostrerai davanti a loro… Io sono il Signore, il tuo Dio, un Dio geloso…”?
Il grave male del cristianesimo in questa nostra epoca è la separazione tra la fede e la vita; male che non pochi accettano senza fiatare quando affermano: “la fede è una cosa ma la vita è tutt’altra cosa”. Accade allora che, da un lato si può credere in Dio, e dall’altro – ad esempio - dimenticarsi dei propri genitori. Si può non bestemmiare (perché è cattiva educazione) ma, nello stesso tempo, uccidere (perché ci sono molti modi di uccidere). Si può santificare la festa (almeno formalmente) e, al contempo, rubare al prossimo o allo Stato; farsi le corna tra coniugi, danneggiare il prossimo con la menzogna e con la calunnia… in tutta tranquillità. A questo porta quel male che dicevo: la separazione tra fede e vita. Cos’altro diventa allora l’esperienza religiosa se non esibizione dell’ipocrisia, o tempio in cui si tenta di far convivere Dio e il mercato?
Fratelli, non diciamo mai più che tutte le religioni sono eguali: la nostra – la fede biblica – si distingue dalle altre perché è inscindibile dalla vita. Noi crediamo in un Dio che è intervenuto nella vita, nella storia degli uomini: è su questo terreno che vuole essere adorato e ascoltato. Ma è possibile una fede così nel mondo d’oggi, dove la vita è diventata per tanti motivi problematica e caotica? Non è una pretesa irragionevole quella della nostra fede cristiana di voler impregnare ed animare la vita?
“Distruggete questo tempio – afferma oggi Gesù – e io in tre giorni lo ricostruirò”. Parlava di se stesso. Della sua morte sulla croce e della sua risurrezione tre giorni dopo. E voleva dire: “Sono io ormai l’unico Tempio di Dio, quello vero: se volete vivere un’esistenza religiosa autentica, è in me che dovete entrare, è la mia logica che dovete condividere”. Entrare in Gesù Cristo, condividere la sua logica: che senso ha questo per noi? Che cosa vuol dire in sostanza?
Che ci dobbiamo legare a lui con vera passione, fratelli. Appassionarsi è come innamorarsi: quando ci si innamora di una persona, si fa di tutto per incontrarla, per conoscerla sempre di più e sempre meglio; non si può più far a meno di pensare a lei.
Legarsi a Gesù Cristo così è vivere in lui, come in un Tempio.
Non si tratta di illusione, o di autosuggestione, perché lui – risorto e vivo per sempre - è davvero con noi; ce l’ha assicurato: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Lui non è uno che si rimangia le parole che ha detto.
Vivere in Cristo come in un Tempio è la meravigliosa prospettiva pasquale che oggi Dio fa brillare davanti ai nostri occhi. A quel punto, fratelli, non c’è più separazione tra fede e vita perché fede e vita un po’ alla volta diventano un’unica cosa. A quel punto anche l’ipocrisia se ne va sconfitta e subentra l’autenticità, la verità, la limpidezza. Sì, è possibile!
E’ questa la bella notizia – l’evangelo – che oggi Dio ci consegna.
DOMENICA 25 Febbraio - II° di Quaresima
Le letture bibliche: Genesi 22,1-2.9a.10-13.15-18; Romani 8,31b-34; Marco 9,2-10
L’inverno di quest’anno ci riserva molti giorni belli, di sole, e pochi di pioggia (come quelli di questo fine-settimana). Il contrario di quello che accade nella nostra vita: dove per noi adulti ci sono pochi giorni di ferie e molti di più di lavoro… (chissà perché poi li chiamano “feriali” se invece si lavora!). Ma poi è così anche nella vita in fondo: è un cammino in cui si sperimenta più spesso la fatica di arrancare che la soddisfazione di fermarsi a godere il panorama.
La cultura del nostro tempo invece tende a diffondere l’idea che la vita è un’avventura tutta allegra e spensierata, e che è da furbi godersela tutta, spremendola come un limone… (non abbiamo idea di quanto fascino eserciti questa cultura anche nei paesi più poveri del mondo, grazie agli spot televisivi che via satellite arrivano ormai dappertutto).
Comunque, sappiamo tutti che questa visuale non sta in piedi, anzi è semplicemente una banalità. La vita è fatta più di giorni feriali in cui c’è da arrancare che di giorni festivi da godere. Non ci sono soltanto gioie e gratificazioni – magari! – ci sono anche tribolazioni, apprensioni, tappe o stagioni di oscurità, in cui è come brancolare nel buio, o nella nebbia… Tant’è vero che, soprattutto in quei momenti, ognuno si domanda: Ma c’è un senso in tutto questo? Faticare… va bene, ma c’è un risultato per cui vale la pena faticare? Soffrire, poi…ma che senso ha soffrire?
Tutti se li pongono questi interrogativi…Non tutti trovano le risposte, anche perché le risposte sono aldilà del nostro raggio di visuale. Le risposte ce le può dare Qualcuno che vede oltre il nostro orizzonte e a Lui noi possiamo solo dare fiducia…
E’ per questo che Gesù porta quei tre - Pietro, Giacomo e Giovanni - su quel monte… come ci ha raccontato oggi il vangelo. Anzi, per essere più esatti – e per capire davvero quello che il vangelo ci vuol far capire – dovremmo dire: è per questo che Gesù, prima di condurci a Gerusalemme ad affrontare la Pasqua - ci porta su quel monte e si trasfigura davanti a noi: per assicurarci che la sua via Crucis (ma anche le nostre via Crucis, se le facciamo con lui) sfoceranno nella vita piena del Regno di Dio, dove non c’è più lutto, né sofferenza, né affanno…
“Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti…”: è Gesù risorto questo, il Gesù della mattina di Pasqua! Ma come può essere, se la Pasqua deve ancora arrivare?
Ecco, su quel monte ha voluto dare un piccolo anticipo, un assaggio della Pasqua che verrà…E’ sensibile il Signore, conosce così bene la nostra fatica e la nostra debolezza, che non vuol tirare troppo la corda della Fede; non si accontenta di dirci: “eh… abbiate pazienza, aspettate, vedrete che…”, no. Ci dà un anticipo di quello che aspettiamo, di quello che vedremo: la sua Trasfigurazione su quel monte è appunto questo anticipo. A dire il vero, sempre il Signore ci dà qualche anticipo, qualche piccolo assaggio di quella pienezza di vita che ha preparato per noi. Ognuno, se guarda la sua esperienza, il cammino della sua vita, sa che è così…
Ma sono momenti rapidi, sprazzi di luce che durano quel che durano: Pietro e gli altri avrebbero voluto rimanere là su quel monte, ma Gesù – che li aveva condotti lassù – li invita a scendere con lui: “Torniamo alla vita adesso…occorre andare a Gerusalemme… c’è la croce da affrontare: non confondete l’anticipo con il traguardo definitivo. La Pasqua di risurrezione verrà, certamente, ma prima c’è il deserto, la croce, il Calvario…E’ lungo il tragitto”. E cos’è che ci permetterà di percorrerlo, di attraversare il deserto, di restare in piedi e camminare fino al traguardo?
La parola, ma quella di Dio!
E’ risuonato un preciso invito su quel monte: “Questi è mio Figlio che amo molto: ascoltatelo!”. Ascoltatelo! E’ la sua Parola che ci tiene in piedi, fratelli! Le prove che il cammino ci riserva (perché ogni deserto ha le sue prove: lo vedevamo già domenica scorsa…) è la sua Parola che ci consente di superarle! E’ questa la luce sicura che non viene mai meno, anche quando tutto si spegne e ci troviamo immersi nell’oscurità. Eh, sì… ci sono per tutti i tempi dell’oscurità. L’ha provata anche Abramo, il primo dei credenti.
Mentre saliva su quel monte a sacrificare suo figlio a Dio, altro che se era oscurità quella! L’uomo d’oggi si chiede: ma che Dio è questo che ordina a un padre di sacrificargli suo figlio? Poi magari questo stesso uomo d’oggi non ci pensa due volte a eliminare suo figlio, e la moglie e alla fine anche se stesso… Tragedie che accadono, lo sappiamo.
Abramo l’aveva desiderato così tanto e atteso così a lungo quel figlio… come avrebbe potuto pensare di sacrificarlo? Si è trovato di fronte a un’alternativa tremenda: chi viene prima, Dio oppure io e mio figlio? Dio viene prima: è lui che mi ha donato questo figlio; non l’ho costruito io in laboratorio: è lui che me l’ha regalato. Quindi è lui il Signore e unico padrone della vita: la mia, di mio figlio, di ogni essere vivente.
Poi, allorché Dio gli bloccò il braccio che stava per colpire quel ragazzo, Abramo capi’: era una prova della sua Fede quella; non solo: era chiaro anche il messaggio che Dio voleva affidargli: se Lui è davvero il Signore e padrone della vita, allora ogni vita è al sicuro… Ma se invece è l’uomo - o la donna - a voler essere padrone e signore della vita, allora nessuna vita può ritenersi al sicuro. Ogni vita allora è a rischio.
È stata comunque un’esperienza di oscurità per Abramo. E cos’è che l’ha sostenuto se non la Parola di quel Dio al quale si era affidato senza condizioni?
Cos’è che sosterrà Gesù nell’ora delle tenebre quando vedrà davanti a se solo il calvario, la croce, e il fallimento di tutta la sua missione? La fiducia nel Padre: non l’avrebbe affatto abbandonato il Padre, anche se tutto portava a pensarlo…
Ecco allora la conclusione, fratelli: la Parola di Dio è luce, è sostegno, è forza; sì, ma attenzione: occorre amare Colui che ce la dice; occorre dargli una fiducia così incondizionata da affidargli tutta la nostra vita! Altrimenti è una Parola che risuona estranea, lontana… una Parola che presenta solo esigenze, obblighi, pretese…
Occorre amare la Parola di Dio, ma occorre soprattutto amare quel Dio che ce la dice per amore: amarlo con tutto il cuore, l’anima e le forze. Come ha fatto Gesù, come ha fatto prima di lui Abramo, il nostro padre nella fede.
Allora sì, è possibile andare avanti con serenità e fiducia, anche quando c’è da arrancare e da faticare in quel cammino che è la nostra vita.
Le letture bibliche: Genesi 22,1-2.9a.10-13.15-18; Romani 8,31b-34; Marco 9,2-10
L’inverno di quest’anno ci riserva molti giorni belli, di sole, e pochi di pioggia (come quelli di questo fine-settimana). Il contrario di quello che accade nella nostra vita: dove per noi adulti ci sono pochi giorni di ferie e molti di più di lavoro… (chissà perché poi li chiamano “feriali” se invece si lavora!). Ma poi è così anche nella vita in fondo: è un cammino in cui si sperimenta più spesso la fatica di arrancare che la soddisfazione di fermarsi a godere il panorama.
La cultura del nostro tempo invece tende a diffondere l’idea che la vita è un’avventura tutta allegra e spensierata, e che è da furbi godersela tutta, spremendola come un limone… (non abbiamo idea di quanto fascino eserciti questa cultura anche nei paesi più poveri del mondo, grazie agli spot televisivi che via satellite arrivano ormai dappertutto).
Comunque, sappiamo tutti che questa visuale non sta in piedi, anzi è semplicemente una banalità. La vita è fatta più di giorni feriali in cui c’è da arrancare che di giorni festivi da godere. Non ci sono soltanto gioie e gratificazioni – magari! – ci sono anche tribolazioni, apprensioni, tappe o stagioni di oscurità, in cui è come brancolare nel buio, o nella nebbia… Tant’è vero che, soprattutto in quei momenti, ognuno si domanda: Ma c’è un senso in tutto questo? Faticare… va bene, ma c’è un risultato per cui vale la pena faticare? Soffrire, poi…ma che senso ha soffrire?
Tutti se li pongono questi interrogativi…Non tutti trovano le risposte, anche perché le risposte sono aldilà del nostro raggio di visuale. Le risposte ce le può dare Qualcuno che vede oltre il nostro orizzonte e a Lui noi possiamo solo dare fiducia…
E’ per questo che Gesù porta quei tre - Pietro, Giacomo e Giovanni - su quel monte… come ci ha raccontato oggi il vangelo. Anzi, per essere più esatti – e per capire davvero quello che il vangelo ci vuol far capire – dovremmo dire: è per questo che Gesù, prima di condurci a Gerusalemme ad affrontare la Pasqua - ci porta su quel monte e si trasfigura davanti a noi: per assicurarci che la sua via Crucis (ma anche le nostre via Crucis, se le facciamo con lui) sfoceranno nella vita piena del Regno di Dio, dove non c’è più lutto, né sofferenza, né affanno…
“Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti…”: è Gesù risorto questo, il Gesù della mattina di Pasqua! Ma come può essere, se la Pasqua deve ancora arrivare?
Ecco, su quel monte ha voluto dare un piccolo anticipo, un assaggio della Pasqua che verrà…E’ sensibile il Signore, conosce così bene la nostra fatica e la nostra debolezza, che non vuol tirare troppo la corda della Fede; non si accontenta di dirci: “eh… abbiate pazienza, aspettate, vedrete che…”, no. Ci dà un anticipo di quello che aspettiamo, di quello che vedremo: la sua Trasfigurazione su quel monte è appunto questo anticipo. A dire il vero, sempre il Signore ci dà qualche anticipo, qualche piccolo assaggio di quella pienezza di vita che ha preparato per noi. Ognuno, se guarda la sua esperienza, il cammino della sua vita, sa che è così…
Ma sono momenti rapidi, sprazzi di luce che durano quel che durano: Pietro e gli altri avrebbero voluto rimanere là su quel monte, ma Gesù – che li aveva condotti lassù – li invita a scendere con lui: “Torniamo alla vita adesso…occorre andare a Gerusalemme… c’è la croce da affrontare: non confondete l’anticipo con il traguardo definitivo. La Pasqua di risurrezione verrà, certamente, ma prima c’è il deserto, la croce, il Calvario…E’ lungo il tragitto”. E cos’è che ci permetterà di percorrerlo, di attraversare il deserto, di restare in piedi e camminare fino al traguardo?
La parola, ma quella di Dio!
E’ risuonato un preciso invito su quel monte: “Questi è mio Figlio che amo molto: ascoltatelo!”. Ascoltatelo! E’ la sua Parola che ci tiene in piedi, fratelli! Le prove che il cammino ci riserva (perché ogni deserto ha le sue prove: lo vedevamo già domenica scorsa…) è la sua Parola che ci consente di superarle! E’ questa la luce sicura che non viene mai meno, anche quando tutto si spegne e ci troviamo immersi nell’oscurità. Eh, sì… ci sono per tutti i tempi dell’oscurità. L’ha provata anche Abramo, il primo dei credenti.
Mentre saliva su quel monte a sacrificare suo figlio a Dio, altro che se era oscurità quella! L’uomo d’oggi si chiede: ma che Dio è questo che ordina a un padre di sacrificargli suo figlio? Poi magari questo stesso uomo d’oggi non ci pensa due volte a eliminare suo figlio, e la moglie e alla fine anche se stesso… Tragedie che accadono, lo sappiamo.
Abramo l’aveva desiderato così tanto e atteso così a lungo quel figlio… come avrebbe potuto pensare di sacrificarlo? Si è trovato di fronte a un’alternativa tremenda: chi viene prima, Dio oppure io e mio figlio? Dio viene prima: è lui che mi ha donato questo figlio; non l’ho costruito io in laboratorio: è lui che me l’ha regalato. Quindi è lui il Signore e unico padrone della vita: la mia, di mio figlio, di ogni essere vivente.
Poi, allorché Dio gli bloccò il braccio che stava per colpire quel ragazzo, Abramo capi’: era una prova della sua Fede quella; non solo: era chiaro anche il messaggio che Dio voleva affidargli: se Lui è davvero il Signore e padrone della vita, allora ogni vita è al sicuro… Ma se invece è l’uomo - o la donna - a voler essere padrone e signore della vita, allora nessuna vita può ritenersi al sicuro. Ogni vita allora è a rischio.
È stata comunque un’esperienza di oscurità per Abramo. E cos’è che l’ha sostenuto se non la Parola di quel Dio al quale si era affidato senza condizioni?
Cos’è che sosterrà Gesù nell’ora delle tenebre quando vedrà davanti a se solo il calvario, la croce, e il fallimento di tutta la sua missione? La fiducia nel Padre: non l’avrebbe affatto abbandonato il Padre, anche se tutto portava a pensarlo…
Ecco allora la conclusione, fratelli: la Parola di Dio è luce, è sostegno, è forza; sì, ma attenzione: occorre amare Colui che ce la dice; occorre dargli una fiducia così incondizionata da affidargli tutta la nostra vita! Altrimenti è una Parola che risuona estranea, lontana… una Parola che presenta solo esigenze, obblighi, pretese…
Occorre amare la Parola di Dio, ma occorre soprattutto amare quel Dio che ce la dice per amore: amarlo con tutto il cuore, l’anima e le forze. Come ha fatto Gesù, come ha fatto prima di lui Abramo, il nostro padre nella fede.
Allora sì, è possibile andare avanti con serenità e fiducia, anche quando c’è da arrancare e da faticare in quel cammino che è la nostra vita.
DOMENICA 18 Febbraio - I° di Quaresima
Le letture bibliche: Genesi 9,8-15; 1Pietro 3,18-22; Marco 1,12-15
Cominciare e ricominciare: la vita è un continuo cominciare e ricominciare. E’ entusiasmante fin che si è giovani; da adulti, e soprattutto da anziani, un po’ meno.
Cominciarono di nuovo anche quei sopravissuti – uomini e animali - che uscirono dall’arca dopo il diluvio (ce ne parlava la prima lettura): perché non è mica vero che c’è solo distruzione e morte a questo mondo: la vita può sempre cominciare di nuovo. E ogni volta che, dopo un temporale, appare nel cielo l’arcobaleno, per la Bibbia è il bel segno che tutto può sempre cominciare di nuovo…
Anche per Gesù c’è del nuovo: comincia la sua missione. Una missione mica da poco, tra il resto… Solo che la comincia in un luogo un po’ strano: nel deserto. Quaranta giorni – da solo – nel deserto. Che se c’è un posto dove tutto è sempre quello e pare che non cambi mai niente è proprio il deserto… Che poi il deserto di cui parla la Bibbia non è quello dove vanno i turisti con i fuori strada (…andavano, meglio, perché oggi è pericoloso avventurarsi in Libia o in Egitto o nel Sahara…).
Il deserto, quello vero è mancanza di tutto… è vuoto e solitudine, ma così pesanti da far paura a chi è abituato ai rumori, alle voci, e ad avere di tutto e di più. E – come se non bastasse - per Gesù il deserto è anche tentazione. “Gesù era tentato da Satana”. A questo ambiguo personaggio (di cui ci parlava il Vangelo già domenica scorsa) la Bibbia dà nomi diversi. Oggi lo chiama Satana, parola che vuol dire “accusatore”, colui che (pensate a un processo in tribunale) fa la parte dell’accusa, denuncia il misfatto. Eh, ma cosa ci farà nel deserto con Gesù? Chi avrà da accusare? Dio. Nientemeno che Dio accusa, il Padre nostro. Lo accusa di aver mandato Gesù a morire di fame e di sete nel deserto, anzi, di averlo mandato in questo mondo a morire solo e abbandonato su una croce… Satana tenta di convincere Gesù che Dio non è un buon padre che gli vuol bene, ma un cattivo tiranno che lo vuole rovinare… “Guarda che Padre hai! Prima ti fa venire nel deserto, e poi ti lascia morire di fame e di sete! Come puoi fidarti di un padre così? Ma come potrai andare in giro a dire alla gente che Dio è buono, che si prende cura anche dei fiori del campo e degli uccelli dell’aria? Guardati, Gesù, sta’ attento: il tuo Dio – quel Dio che tu chiami Padre – non è come pensi tu…”.
Io non sono il confidente di Satana – per fortuna – ma penso che l’accusa, la tentazione, suonava più o meno così.
Ma c’è un altro particolare nel breve vangelo di oggi, ed è un particolare strano: non è stato Gesù a decidere di andare nel deserto e di starci quaranta giorni. No: tutt’altro: “lo Spirito sospinse Gesù nel deserto”. Lo Spirito è lo Spirito santo (Gesù l’aveva ricevuto mentre veniva battezzato nel fiume Giordano). In quel deserto, che è vuoto, solitudine, mancanza di tutto e soprattutto tentazione, Gesù è guidato e sostenuto dallo Spirito santo… Questo vuol dire che doveva proprio andare lì, che per lui era come una scuola o una palestra quel deserto. Lì avrebbe imparato a lottare e a vincere il Maligno.
Ma … e cosa c’entra con noi tutto questo?
Anche per noi – come per Gesù - c’è stato un battesimo, nel quale pure noi abbiamo ricevuto lo Spirito santo. Non è che questo Spirito conduce anche noi, ci spinge ad esercitarci in quella palestra che è il deserto, proprio come Gesù? e quindi a lottare contro la tentazione e tutto ciò che ci rovina la vita? Oh, non occorre andare chissà dove: è nella nostra vita di tutti i giorni che possiamo trovare il deserto. Penso che in questo mondo di oggi, l’esperienza del deserto – in un modo o nell’altro – prima o poi la facciamo tutti.
Ma c’è dell’altro: proprio questo deserto va a braccetto con la tentazione: eh, sì, fratelli…Certe tentazioni prosperano bene proprio nel deserto. La tentazione, ad esempio, di pensare che essere buoni, onesti, veri, sia atteggiamento da perdenti, da stupidi, o da ingenui…e che gli atteggiamenti davvero intelligenti e vincenti siano quelli dei furbi, dei disonesti, degli egoisti e degli arroganti… Nel deserto – quale che sia il deserto – capita di provare questa tentazione. Come capita di pensare che forse ci si era illusi a fidarsi di Dio, a credere che ci vuol bene, che provvede senz’altro a noi… Ci sono situazioni in cui sembra che Dio sia sordo alle nostre richieste, che la Provvidenza ci abbia abbandonati…e la fede allora si riduce a un lumicino che rischia l’estinzione. E ci si chiede allora: Ma c’è davvero Dio? Ma dov’è il mio Dio? Non è per caso un’illusione, un’autosuggestione, sforzarsi di credere in lui?
Fratelli, non ditemi che queste tentazioni non hanno mai sfiorato il vostro cuore, perché non vi crederei! Ma non vedete che questo vangelo parla proprio di noi, della nostra esperienza? Che le accuse di Satana a Dio sono in fondo i nostri dubbi, le nostre perplessità di credenti?
Noi stiamo cominciando la Quaresima, che è la continuazione di quei 40 giorni di Gesù nel deserto. Ebbene: guardate che quando la Bibbia parla di 40 giorni, non li intende come tempo perso o inutile. E’ sempre un tempo provvidenziale che prepara una novità sorprendente. La prova è Gesù stesso, che dopo il deserto comincia la sua missione, e quando annuncia che “il Regno di Dio è vicino” la gente gli crede. Infatti, solo chi affronta e supera la prova – la tentazione - diventa autorevole e credibile.
Entriamo in questa Quaresima con fiducia, fratelli, sapendo per certo che è una stagione favorevole per maturare qualcosa di buono. Più che in tutto il resto dell’anno preoccupiamoci di restare fedeli a Dio, ad ogni costo, come lo è stato Gesù. Ma soprattutto ricordiamoci che abbiamo un compagno eccezionale che ci sostiene e ci anima: lo Spirito Santo, quello stesso che ha guidato e sostenuto Gesù. E’ questa la bella notizia del vangelo di oggi.
Portiamocela nel cuore e camminiamo con fiducia verso la Pasqua.
Le letture bibliche: Genesi 9,8-15; 1Pietro 3,18-22; Marco 1,12-15
Cominciare e ricominciare: la vita è un continuo cominciare e ricominciare. E’ entusiasmante fin che si è giovani; da adulti, e soprattutto da anziani, un po’ meno.
Cominciarono di nuovo anche quei sopravissuti – uomini e animali - che uscirono dall’arca dopo il diluvio (ce ne parlava la prima lettura): perché non è mica vero che c’è solo distruzione e morte a questo mondo: la vita può sempre cominciare di nuovo. E ogni volta che, dopo un temporale, appare nel cielo l’arcobaleno, per la Bibbia è il bel segno che tutto può sempre cominciare di nuovo…
Anche per Gesù c’è del nuovo: comincia la sua missione. Una missione mica da poco, tra il resto… Solo che la comincia in un luogo un po’ strano: nel deserto. Quaranta giorni – da solo – nel deserto. Che se c’è un posto dove tutto è sempre quello e pare che non cambi mai niente è proprio il deserto… Che poi il deserto di cui parla la Bibbia non è quello dove vanno i turisti con i fuori strada (…andavano, meglio, perché oggi è pericoloso avventurarsi in Libia o in Egitto o nel Sahara…).
Il deserto, quello vero è mancanza di tutto… è vuoto e solitudine, ma così pesanti da far paura a chi è abituato ai rumori, alle voci, e ad avere di tutto e di più. E – come se non bastasse - per Gesù il deserto è anche tentazione. “Gesù era tentato da Satana”. A questo ambiguo personaggio (di cui ci parlava il Vangelo già domenica scorsa) la Bibbia dà nomi diversi. Oggi lo chiama Satana, parola che vuol dire “accusatore”, colui che (pensate a un processo in tribunale) fa la parte dell’accusa, denuncia il misfatto. Eh, ma cosa ci farà nel deserto con Gesù? Chi avrà da accusare? Dio. Nientemeno che Dio accusa, il Padre nostro. Lo accusa di aver mandato Gesù a morire di fame e di sete nel deserto, anzi, di averlo mandato in questo mondo a morire solo e abbandonato su una croce… Satana tenta di convincere Gesù che Dio non è un buon padre che gli vuol bene, ma un cattivo tiranno che lo vuole rovinare… “Guarda che Padre hai! Prima ti fa venire nel deserto, e poi ti lascia morire di fame e di sete! Come puoi fidarti di un padre così? Ma come potrai andare in giro a dire alla gente che Dio è buono, che si prende cura anche dei fiori del campo e degli uccelli dell’aria? Guardati, Gesù, sta’ attento: il tuo Dio – quel Dio che tu chiami Padre – non è come pensi tu…”.
Io non sono il confidente di Satana – per fortuna – ma penso che l’accusa, la tentazione, suonava più o meno così.
Ma c’è un altro particolare nel breve vangelo di oggi, ed è un particolare strano: non è stato Gesù a decidere di andare nel deserto e di starci quaranta giorni. No: tutt’altro: “lo Spirito sospinse Gesù nel deserto”. Lo Spirito è lo Spirito santo (Gesù l’aveva ricevuto mentre veniva battezzato nel fiume Giordano). In quel deserto, che è vuoto, solitudine, mancanza di tutto e soprattutto tentazione, Gesù è guidato e sostenuto dallo Spirito santo… Questo vuol dire che doveva proprio andare lì, che per lui era come una scuola o una palestra quel deserto. Lì avrebbe imparato a lottare e a vincere il Maligno.
Ma … e cosa c’entra con noi tutto questo?
Anche per noi – come per Gesù - c’è stato un battesimo, nel quale pure noi abbiamo ricevuto lo Spirito santo. Non è che questo Spirito conduce anche noi, ci spinge ad esercitarci in quella palestra che è il deserto, proprio come Gesù? e quindi a lottare contro la tentazione e tutto ciò che ci rovina la vita? Oh, non occorre andare chissà dove: è nella nostra vita di tutti i giorni che possiamo trovare il deserto. Penso che in questo mondo di oggi, l’esperienza del deserto – in un modo o nell’altro – prima o poi la facciamo tutti.
Ma c’è dell’altro: proprio questo deserto va a braccetto con la tentazione: eh, sì, fratelli…Certe tentazioni prosperano bene proprio nel deserto. La tentazione, ad esempio, di pensare che essere buoni, onesti, veri, sia atteggiamento da perdenti, da stupidi, o da ingenui…e che gli atteggiamenti davvero intelligenti e vincenti siano quelli dei furbi, dei disonesti, degli egoisti e degli arroganti… Nel deserto – quale che sia il deserto – capita di provare questa tentazione. Come capita di pensare che forse ci si era illusi a fidarsi di Dio, a credere che ci vuol bene, che provvede senz’altro a noi… Ci sono situazioni in cui sembra che Dio sia sordo alle nostre richieste, che la Provvidenza ci abbia abbandonati…e la fede allora si riduce a un lumicino che rischia l’estinzione. E ci si chiede allora: Ma c’è davvero Dio? Ma dov’è il mio Dio? Non è per caso un’illusione, un’autosuggestione, sforzarsi di credere in lui?
Fratelli, non ditemi che queste tentazioni non hanno mai sfiorato il vostro cuore, perché non vi crederei! Ma non vedete che questo vangelo parla proprio di noi, della nostra esperienza? Che le accuse di Satana a Dio sono in fondo i nostri dubbi, le nostre perplessità di credenti?
Noi stiamo cominciando la Quaresima, che è la continuazione di quei 40 giorni di Gesù nel deserto. Ebbene: guardate che quando la Bibbia parla di 40 giorni, non li intende come tempo perso o inutile. E’ sempre un tempo provvidenziale che prepara una novità sorprendente. La prova è Gesù stesso, che dopo il deserto comincia la sua missione, e quando annuncia che “il Regno di Dio è vicino” la gente gli crede. Infatti, solo chi affronta e supera la prova – la tentazione - diventa autorevole e credibile.
Entriamo in questa Quaresima con fiducia, fratelli, sapendo per certo che è una stagione favorevole per maturare qualcosa di buono. Più che in tutto il resto dell’anno preoccupiamoci di restare fedeli a Dio, ad ogni costo, come lo è stato Gesù. Ma soprattutto ricordiamoci che abbiamo un compagno eccezionale che ci sostiene e ci anima: lo Spirito Santo, quello stesso che ha guidato e sostenuto Gesù. E’ questa la bella notizia del vangelo di oggi.
Portiamocela nel cuore e camminiamo con fiducia verso la Pasqua.
Mercoledì 14 Febbraio - Le Ceneri
Le letture bibliche: Gioele 2,12-18; 2Corinzi 5,20-6,2; Matteo 6,1-6.16-18
Fino ad al alcuni anni fa’ (quando il sistema sanitario funzionava ancora abbastanza bene) poteva accadere di andare in ospedale qualche giorno per fare un check-up… un esame completo di tutto l’organismo, dalla cima del capo alle unghie dei piedi. Oggi, visto come funziona la sanità, sarebbe un po’ pi difficile poterlo fare… Ebbene, la Quaresima per noi cristiani è una specie di check-up… ci porta a scoprire quello che nella nostra esperienza di cristiani va bene e quello che invece bene non va affatto. È un specie di sentiero molto antico, collaudato… i risultati - per chi lo percorre di buon passo - sono assicurati. E cosa vuol dire percorrerlo di buon passo? È il Vangelo che risponde a questa domanda. “Quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto…” Il digiuno. Una volta era di 40 giorni… noi l’abbiamo ridotto a due: il primo e l’ultimo giorno di Quaresima… (tanti non digiunano neanche in quei giorni). Ah le diete dimagranti si , e come no? Se servono per la salute o per avere un bell’aspetto, altroché se funzionano! E magari guardiamo con sussiego i musulmani che nel loro mese di Ramadan digiunano tutti i giorni dall’alba al tramonto… Come siamo diventati ridicoli noi cristiani! Che c’è di strano se contiamo così poco sulla scena di questo mondo? Abbiamo perso valore… tutto qui. Il digiuno è quella pratica antica che riporta armonia nel corpo e gli fa sentire il desiderio di ciò che conta più di qualsiasi cibo: lui, Dio, la sua presenza, la sua Parola. C’è una fame dentro di noi che troppe volte cerchiamo di far tacere ingozzandoci di cibi succulenti e ricercati… ma non si spegne perché non parte dallo stomaco: è fame di senso della vita, di luce, di saggezza, di fraternità. Il digiuno ce la fa scoprire questa fame… e la Quaresima ci offre l’opportunità di saziarla. E cos’altro vorrà’ dire percorrere di buon passo questo cammino verso la Pasqua? Ecco che cosa ci dice il Signore: “quando fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. Quella che noi chiamiamo elemosina, nella Bibbia si chiama giustizia. È interessante questo. Fare elemosina è fare giustizia… Sapendo quali enormi ingiustizie continuano ad esistere anche nel mondo di oggi, sarà bene ricordarlo: fare elemosina non è gesto dall’alto in basso, è fare giustizia tra persone che stanno sullo stesso piano di dignità… E non sarà male ricordare che questa giustizia non riguarda soltanto il contenuto del portafoglio: beni che possediamo sono anche il tempo libero che poco o tanto tutti abbiamo, e le nostre abilità o competenze che possiamo mettere a disposizione di chi ha bisogno… Questo ci renderà più umani, più attenti alle persone, più capaci di compassione… (di quanta compassione ha bisogno oggi il mondo!). Ma c’è un altro elemento che non può mancare se vogliamo far di buon passo e con frutto questo cammino che è la Quaresima. È ancora il Signore che c’è lo raccomanda: “Quando preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà". Sappiamo ancora pregare noi fratelli? O ci limitiamo a ad accendere qualche candela alla Madonna o a Sant’Antonio quando l’acqua ci arriva alla gola? La preghiera cristiana non è dir su formule per ricevere qualcosa (basterebbe metter su un disco in tal caso). La preghiera è Cristiana se nasce dal desiderio di Dio, ma un desiderio vivo e forte come la sete per chi viaggia in un deserto… Desiderio di incontrarlo, di ascoltarlo, è tempo “perso” per lui… Ma c’è questo desiderio vivo e forte di Dio in noi? Si, che c’è… l’affermazione di S.Agostino (più di 15oo anni fa’) non è stata ancora smentita: “Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto fin che non si riposa in te!”. Possiamo illuderci di soddisfare questa inquietudine in tanti modi ( passatempi… divertimenti… shopping… e chi più ne ha più ne metta), ma mezz’ora dopo saremo lì più insoddisfatti di prima. Noi abbiamo sete di Dio. Non si può smorzare questa sete se non con la preghiera viva che viene dal cuore. Ecco cosa portare con noi in questo viaggio su questa strada antica che è la Quaresima. Rimedi buoni per guarire il nostro cuore di cristiani che è un po’ malato, riconosciamolo. Quello che è certo è che si tratta di una stagione favorevole, feconda, perché anche Dio cammina con noi. Lui fa senz’altro la sua parte, noi vediamo di fare la nostra. E di farla bene.
Le letture bibliche: Gioele 2,12-18; 2Corinzi 5,20-6,2; Matteo 6,1-6.16-18
Fino ad al alcuni anni fa’ (quando il sistema sanitario funzionava ancora abbastanza bene) poteva accadere di andare in ospedale qualche giorno per fare un check-up… un esame completo di tutto l’organismo, dalla cima del capo alle unghie dei piedi. Oggi, visto come funziona la sanità, sarebbe un po’ pi difficile poterlo fare… Ebbene, la Quaresima per noi cristiani è una specie di check-up… ci porta a scoprire quello che nella nostra esperienza di cristiani va bene e quello che invece bene non va affatto. È un specie di sentiero molto antico, collaudato… i risultati - per chi lo percorre di buon passo - sono assicurati. E cosa vuol dire percorrerlo di buon passo? È il Vangelo che risponde a questa domanda. “Quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto…” Il digiuno. Una volta era di 40 giorni… noi l’abbiamo ridotto a due: il primo e l’ultimo giorno di Quaresima… (tanti non digiunano neanche in quei giorni). Ah le diete dimagranti si , e come no? Se servono per la salute o per avere un bell’aspetto, altroché se funzionano! E magari guardiamo con sussiego i musulmani che nel loro mese di Ramadan digiunano tutti i giorni dall’alba al tramonto… Come siamo diventati ridicoli noi cristiani! Che c’è di strano se contiamo così poco sulla scena di questo mondo? Abbiamo perso valore… tutto qui. Il digiuno è quella pratica antica che riporta armonia nel corpo e gli fa sentire il desiderio di ciò che conta più di qualsiasi cibo: lui, Dio, la sua presenza, la sua Parola. C’è una fame dentro di noi che troppe volte cerchiamo di far tacere ingozzandoci di cibi succulenti e ricercati… ma non si spegne perché non parte dallo stomaco: è fame di senso della vita, di luce, di saggezza, di fraternità. Il digiuno ce la fa scoprire questa fame… e la Quaresima ci offre l’opportunità di saziarla. E cos’altro vorrà’ dire percorrere di buon passo questo cammino verso la Pasqua? Ecco che cosa ci dice il Signore: “quando fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. Quella che noi chiamiamo elemosina, nella Bibbia si chiama giustizia. È interessante questo. Fare elemosina è fare giustizia… Sapendo quali enormi ingiustizie continuano ad esistere anche nel mondo di oggi, sarà bene ricordarlo: fare elemosina non è gesto dall’alto in basso, è fare giustizia tra persone che stanno sullo stesso piano di dignità… E non sarà male ricordare che questa giustizia non riguarda soltanto il contenuto del portafoglio: beni che possediamo sono anche il tempo libero che poco o tanto tutti abbiamo, e le nostre abilità o competenze che possiamo mettere a disposizione di chi ha bisogno… Questo ci renderà più umani, più attenti alle persone, più capaci di compassione… (di quanta compassione ha bisogno oggi il mondo!). Ma c’è un altro elemento che non può mancare se vogliamo far di buon passo e con frutto questo cammino che è la Quaresima. È ancora il Signore che c’è lo raccomanda: “Quando preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà". Sappiamo ancora pregare noi fratelli? O ci limitiamo a ad accendere qualche candela alla Madonna o a Sant’Antonio quando l’acqua ci arriva alla gola? La preghiera cristiana non è dir su formule per ricevere qualcosa (basterebbe metter su un disco in tal caso). La preghiera è Cristiana se nasce dal desiderio di Dio, ma un desiderio vivo e forte come la sete per chi viaggia in un deserto… Desiderio di incontrarlo, di ascoltarlo, è tempo “perso” per lui… Ma c’è questo desiderio vivo e forte di Dio in noi? Si, che c’è… l’affermazione di S.Agostino (più di 15oo anni fa’) non è stata ancora smentita: “Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto fin che non si riposa in te!”. Possiamo illuderci di soddisfare questa inquietudine in tanti modi ( passatempi… divertimenti… shopping… e chi più ne ha più ne metta), ma mezz’ora dopo saremo lì più insoddisfatti di prima. Noi abbiamo sete di Dio. Non si può smorzare questa sete se non con la preghiera viva che viene dal cuore. Ecco cosa portare con noi in questo viaggio su questa strada antica che è la Quaresima. Rimedi buoni per guarire il nostro cuore di cristiani che è un po’ malato, riconosciamolo. Quello che è certo è che si tratta di una stagione favorevole, feconda, perché anche Dio cammina con noi. Lui fa senz’altro la sua parte, noi vediamo di fare la nostra. E di farla bene.
* * *
T E M PO O R D I N A R I O
Domenica 11 Febbraio - 6a del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Levitico 13,1-2.45-46; 1Corinzi 10,31-11,1; Marco1,40-45
Ricordiamo ancora i lunghi mesi della pandemia, quel lockdown che ci obbligava a mantenere le distanze, onde evitare di contagiare o di restare contagiati… Beh, questo era niente in confronto alle restrizioni alle quali erano costretti i lebbrosi nel corso della storia. Anche in Palestina, al tempo dì Gesù, chi era colpito da quel male viveva da emarginato, doveva starsene alla larga da tutti, e quando andava in giro doveva gridare “Impuro! Sono impuro!” in modo che nessuno entrasse in contatto con lui… Insomma, il suo lockdown durava tutta la vita.
Ora, vi immaginate come saremmo noi se ognuno vivesse totalmente isolato, senza avere rapporti con nessuno, senza poter dire nemmeno “buon giorno” a qualcuno? Noi siamo fatti di rapporti con gli altri, di relazioni. Anzi, direi che valiamo in base alle relazioni che coltiviamo: relazioni normali con i nostri simili (non con... cani e gatti!), cioè "umane", forti, ben aldilà della facciata... son queste che ci danno valore, ci fanno maturare come persone, a prescindere dal portafoglio e dal conto in banca. Insomma, resta vero: noi valiamo in base alle relazioni che coltiviamo.
Questo c’entra con la Giornata Mondiale del Malato che, come ogni 11 Febbraio, oggi anche noi celebriamo. Malati, disabili, soffrono e patiscono sì per le patologie da cui sono colpiti, ma soffrono ancor più se vengono meno le relazioni alle quali erano abituati. E non certo per colpa loro, ma perché altri tagliano i ponti con loro. Oh, non dico che siano emarginati come i lebbrosi di 2000 anni fa’ (dei quali ci parla il vangelo), tuttavia un certo “tabù” nei confronti di chi è colpito da malattie, o anziano degente in casa di Riposo, continua a sopravvivere anche nella nostra società: molti sani si illudono di aver fatto l’abbonamento una volta per sempre alla buona salute, e per non mettere in crisi questa illusione evitano di entrare in contatto con quelli la cui buona salute è andata in crisi o l’hanno perduta. Ben venga il volontariato delle Associazioni: è una reazione provvidenziale all’indifferenza. Ma non illudiamoci: non basta il volontariato.
Il vangelo di questa Domenica risuona per tutti coloro che hanno orecchi e cuore capaci di sentire, e ci propone un messaggio che è piuttosto provocatorio: “il Signore ebbe compassione di quel lebbroso che lo supplicava, tese la mano e lo toccò…”. Lo guarisce, d’accordo, ma perché lo tocca? Quel disgraziato, dal quale tutti stavano alla larga, Gesù lo tocca! Se l’avessero visto i farisei l’avrebbero subito lapidato! D’altra parte è di relazione che ha bisogno anzitutto quel lebbroso: è la relazione che lo ricupera alla dignità, alla vita. Pur di entrare in relazione con lui, Gesù infrange anche la legge che imponeva di stare alla larga dai lebbrosi.
Toccare nel vangelo è un gesto che significa tenerezza, attenzione calorosa, relazione del tutto personale. La guarigione che ne segue è specialità di Dio, certo, noi non ne siamo capaci, ma quel gesto di “provare compassione e toccare” è esemplare per tutti i discepoli del Signore: si, fratelli, anche per noi. Se Gesù, Figlio di Dio, non ha esitato a “toccare” le nostre piaghe, neanche noi suoi discepoli possiamo far a meno di entrare in relazione con le persone sofferenti, in atteggiamento di delicato rispetto e di cordiale tenerezza.
Se nella nostra cultura regnasse meno individualismo e, al suo posto, subentrassero relazioni più vere, più forti e calorose tra le persone ... probabilmente non ci sarebbe bisogno di far leggi sull’eutanasia o di andare in Svizzera per morire a pagamento. Non si ricorrerebbe a certe soluzioni!
Ma c’è un altro passo da fare, se vogliamo comprendere bene questo vangelo di oggi: ognuno di noi immagini se stesso al posto di quel lebbroso; e che succede allora? Gesù si avvicina a me, a te, a ognuno di noi personalmente, e ci tocca: perché? Per entrare in relazione con ciascuno. Pensate che sia cosa da poco entrare in relazione con Gesù Cristo? Noi valiamo in base alle relazioni che abbiamo, dicevo poco fa’. Ebbene, se Gesù è con noi e noi siamo con Gesù, ogni nostra relazione può maturare in qualità, diventare più vera, più affidabile, preziosa.
Se Gesù è con noi e noi siamo con Gesù, non c’è da aver paura ad aprirsi a realtà e a culture diverse dalla nostra: con Gesù si impara a combinare insieme apertura e prudenza, accoglienza e ponderatezza, in un unico atteggiamento equilibrato.
Se Gesù è con noi e noi siamo con lui, non c’è motivo d’avere paura di fronte alla complessità del mondo d’oggi, non c’è ragione di erigere steccati o muri, perché gli steccati e i muri dimostrano solo la debolezza e la paura di quelli che li costruiscono.
Se Gesù è con noi e noi siamo con lui, anche con sofferenti e disabili possiamo avere relazioni cordiali: “toccarli” come faceva lui, cioè avere verso di loro atteggiamenti di attenzione, di calorosa umanità, di tenerezza.
Papa Francesco, nel suo messaggio per questa Giornata del malato, ci ricorda che “ siamo creati per stare insieme, non da soli. E la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni: con Dio, con gli altri - familiari, amici, operatori sanitari - col creato, con se stesso. È possibile? Si, è possibile e noi tutti siamo chiamati a impegnarci perché ciò accada. Con l’amore vicendevole, che Cristo ci dona nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’ individualismo e dell’indifferenza e a far crescere la cultura della compassione e della tenerezza…”.
Io posso aggiungere questo: noi... miracoli di guarigione non ne sappiamo fare. Ma questo accostamento umano e cordiale a chi soffre, sarà il vero miracolo che anche noi possiamo compiere. Sì, perché in questo modo contribuiremo a rendere un po’ più umana questa società e questa cultura del nostro tempo.
Ecco il miracolo che Dio ci rende capaci di compiere.
Le letture bibliche: Levitico 13,1-2.45-46; 1Corinzi 10,31-11,1; Marco1,40-45
Ricordiamo ancora i lunghi mesi della pandemia, quel lockdown che ci obbligava a mantenere le distanze, onde evitare di contagiare o di restare contagiati… Beh, questo era niente in confronto alle restrizioni alle quali erano costretti i lebbrosi nel corso della storia. Anche in Palestina, al tempo dì Gesù, chi era colpito da quel male viveva da emarginato, doveva starsene alla larga da tutti, e quando andava in giro doveva gridare “Impuro! Sono impuro!” in modo che nessuno entrasse in contatto con lui… Insomma, il suo lockdown durava tutta la vita.
Ora, vi immaginate come saremmo noi se ognuno vivesse totalmente isolato, senza avere rapporti con nessuno, senza poter dire nemmeno “buon giorno” a qualcuno? Noi siamo fatti di rapporti con gli altri, di relazioni. Anzi, direi che valiamo in base alle relazioni che coltiviamo: relazioni normali con i nostri simili (non con... cani e gatti!), cioè "umane", forti, ben aldilà della facciata... son queste che ci danno valore, ci fanno maturare come persone, a prescindere dal portafoglio e dal conto in banca. Insomma, resta vero: noi valiamo in base alle relazioni che coltiviamo.
Questo c’entra con la Giornata Mondiale del Malato che, come ogni 11 Febbraio, oggi anche noi celebriamo. Malati, disabili, soffrono e patiscono sì per le patologie da cui sono colpiti, ma soffrono ancor più se vengono meno le relazioni alle quali erano abituati. E non certo per colpa loro, ma perché altri tagliano i ponti con loro. Oh, non dico che siano emarginati come i lebbrosi di 2000 anni fa’ (dei quali ci parla il vangelo), tuttavia un certo “tabù” nei confronti di chi è colpito da malattie, o anziano degente in casa di Riposo, continua a sopravvivere anche nella nostra società: molti sani si illudono di aver fatto l’abbonamento una volta per sempre alla buona salute, e per non mettere in crisi questa illusione evitano di entrare in contatto con quelli la cui buona salute è andata in crisi o l’hanno perduta. Ben venga il volontariato delle Associazioni: è una reazione provvidenziale all’indifferenza. Ma non illudiamoci: non basta il volontariato.
Il vangelo di questa Domenica risuona per tutti coloro che hanno orecchi e cuore capaci di sentire, e ci propone un messaggio che è piuttosto provocatorio: “il Signore ebbe compassione di quel lebbroso che lo supplicava, tese la mano e lo toccò…”. Lo guarisce, d’accordo, ma perché lo tocca? Quel disgraziato, dal quale tutti stavano alla larga, Gesù lo tocca! Se l’avessero visto i farisei l’avrebbero subito lapidato! D’altra parte è di relazione che ha bisogno anzitutto quel lebbroso: è la relazione che lo ricupera alla dignità, alla vita. Pur di entrare in relazione con lui, Gesù infrange anche la legge che imponeva di stare alla larga dai lebbrosi.
Toccare nel vangelo è un gesto che significa tenerezza, attenzione calorosa, relazione del tutto personale. La guarigione che ne segue è specialità di Dio, certo, noi non ne siamo capaci, ma quel gesto di “provare compassione e toccare” è esemplare per tutti i discepoli del Signore: si, fratelli, anche per noi. Se Gesù, Figlio di Dio, non ha esitato a “toccare” le nostre piaghe, neanche noi suoi discepoli possiamo far a meno di entrare in relazione con le persone sofferenti, in atteggiamento di delicato rispetto e di cordiale tenerezza.
Se nella nostra cultura regnasse meno individualismo e, al suo posto, subentrassero relazioni più vere, più forti e calorose tra le persone ... probabilmente non ci sarebbe bisogno di far leggi sull’eutanasia o di andare in Svizzera per morire a pagamento. Non si ricorrerebbe a certe soluzioni!
Ma c’è un altro passo da fare, se vogliamo comprendere bene questo vangelo di oggi: ognuno di noi immagini se stesso al posto di quel lebbroso; e che succede allora? Gesù si avvicina a me, a te, a ognuno di noi personalmente, e ci tocca: perché? Per entrare in relazione con ciascuno. Pensate che sia cosa da poco entrare in relazione con Gesù Cristo? Noi valiamo in base alle relazioni che abbiamo, dicevo poco fa’. Ebbene, se Gesù è con noi e noi siamo con Gesù, ogni nostra relazione può maturare in qualità, diventare più vera, più affidabile, preziosa.
Se Gesù è con noi e noi siamo con Gesù, non c’è da aver paura ad aprirsi a realtà e a culture diverse dalla nostra: con Gesù si impara a combinare insieme apertura e prudenza, accoglienza e ponderatezza, in un unico atteggiamento equilibrato.
Se Gesù è con noi e noi siamo con lui, non c’è motivo d’avere paura di fronte alla complessità del mondo d’oggi, non c’è ragione di erigere steccati o muri, perché gli steccati e i muri dimostrano solo la debolezza e la paura di quelli che li costruiscono.
Se Gesù è con noi e noi siamo con lui, anche con sofferenti e disabili possiamo avere relazioni cordiali: “toccarli” come faceva lui, cioè avere verso di loro atteggiamenti di attenzione, di calorosa umanità, di tenerezza.
Papa Francesco, nel suo messaggio per questa Giornata del malato, ci ricorda che “ siamo creati per stare insieme, non da soli. E la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni: con Dio, con gli altri - familiari, amici, operatori sanitari - col creato, con se stesso. È possibile? Si, è possibile e noi tutti siamo chiamati a impegnarci perché ciò accada. Con l’amore vicendevole, che Cristo ci dona nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’ individualismo e dell’indifferenza e a far crescere la cultura della compassione e della tenerezza…”.
Io posso aggiungere questo: noi... miracoli di guarigione non ne sappiamo fare. Ma questo accostamento umano e cordiale a chi soffre, sarà il vero miracolo che anche noi possiamo compiere. Sì, perché in questo modo contribuiremo a rendere un po’ più umana questa società e questa cultura del nostro tempo.
Ecco il miracolo che Dio ci rende capaci di compiere.
Domenica 4 Febbraio - 5a del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Giobbe 7,1-4.6-7; 1Corinzi 9,16-19.22-23; Marco 1,29-39
Quattro volte si parla di demòni nel breve brano del vangelo che abbiamo ascoltato. Alla fine si diceva che “Gesù andava predicando il vangelo e scacciando demòni!”. Ma è proprio così infestato di demòni il mondo? Quando una zona è infestata da topi, ratti, zecche o cose del genere… la si disinfesta. Nel vangelo invece che di topi o zecche si tratta di demoni. E come si presentano? In passato li dipingevano neri, con le corna, gli occhi rosso fuoco, la coda… e l’immancabile forca per infilzare tutti quelli che capitavano loro a tiro…
Penso che queste immagini stiano bene nei musei e che occorra pensarne altre, più moderne, più esatte rispetto ai tempi… Sì, per un motivo molto semplice: il Maligno, o il demonio (possiamo dargli diversi nomi), è famoso per l’astuzia, la furbizia, la creatività… Un’immagine che gli conviene al giorno d’oggi è senz’altro quella della persona normale, dell’uomo o della donna di apparente buon senso, che di fronte a certe situazioni della vita ragiona e dice: «Così fan tutti… Ma sì… perché no?».
“La vita del mio nemico – sia soldato o civile, donna o bambino o anziano - è un ostacolo ai miei obiettivi … perché non stroncarla con la forza? La vita del migrante vale poco, per cui che c’è di male se la lasciamo perdere nei mari o nei deserti? La vita dei lavoratori è semplicemente merce da “comprare”… E se certuni pensano che la vita delle donne sia proprietà dei maschi… e sia loro diritto umiliarle o addirittura eliminarle… beh, son fatti loro… E la vita dei malati e disabili gravi è poi degna di essere vissuta? Non sarebbe più umano porvi termine a coloro che lo desiderano, certo nella maniera più dolce? Quanto ai bambini .. a cosa servono se non per dare soddisfazione agli adulti? E quindi che male c’è a farli venire al mondo in qualsiasi modo… oppure a eliminarli prima che nascano?”.
Ecco, fratelli, non vi dicevo che occorre aggiornare l’immagine del diavolo? Penso che la sua vera immagine al giorno d’oggi risulti da queste alcune pennellate che ho elencato… (Le ho riprese dal messaggio dei Vescovi italiani per questa Giornata della Vita, non le ho inventate io, ma mi sembrano azzeccate per darci un’idea sul come si presenta e ragiona e agisce il Maligno nel mondo d’oggi). Più d’una di queste - dal diritto all’aborto… all’eutanasia o suicidio assistito - è presentata spesso con queste parole: “conquista di civiltà”. Solo che il diavolo insegna a far le pentole ma non i coperchi, come sappiamo. Ed ecco che accanto a certe presunte conquiste di civiltà si devono registrare allo stesso tempo delle preoccupanti crisi demografiche (sempre meno nascite), a partire dalla nostra Italia. Ma allora non sarebbe meglio adoperare parole giuste invece che sbagliate, e dire “sconfitte di civiltà” anziché “conquiste”? “Il grado di progresso di una civiltà si misura dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili»: parole di Papa Francesco queste.
Che differenza tra quest’immagine moderna del Maligno e quella di Gesù che ci ha offerto il Vangelo di oggi! È a Cafarnao Gesù e perde tutto il suo tempo con poveri disabili e derelitti, che dalla mattina alla sera non fanno altro che corrergli dietro, cercarlo, buttarglisi addosso per toccarlo; e lui ad ascoltarli, uno ad uno, a consolarli, a guarirli… Ha cominciato in sinagoga al mattino: ha liberato quell’indemoniato che sbraitava (ricordate? Ci è stato raccontato domenica scorsa il fatto), poi – uscito dalla sinagoga – entra in casa di Pietro (forse per mangiare qualcosa…): gli dicono che la suocera di Pietro è a letto con la febbre, e lui che può guarire in nome di Dio, avete notato come si comporta? Avrebbe potuto gridarle dalla cucina: “Ehi, tu… alzati e vieni a prepararci da mangiare!”. – No, entra là dove giace malata, le porge la mano e la solleva: con tenerezza… Allora è guarita e si alza. Allora si dispone a servirli: di sua iniziativa, spontaneamente. E poi, nel pomeriggio, sentendo che a Cafarnao c’è Gesù, da tutti i villaggi intorno portano malati e indemoniati: che passerella di miserie umane! E cosa fa Gesù? “Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni…”.
Molti ne guarì… perché non tutti? Perché non interviene anche oggi a guarire? È pur vero che non tutte le magagne e le sofferenze trovano quella soluzione che la gente si attenderebbe, ma in tal caso, cosa si deve pensare di Dio? Che è lontano? Che non gli sta a cuore, che non gli interessa? No, nessuno al mondo è mai stato così profondamente umano come Gesù Cristo! Dio è lì, proprio in quella sofferenza è presente e solidale: soffre anche lui con quelli che soffrono. E se c’è anche lui, allora probabilmente niente è mai definitivamente perduto, anche se tante persone di apparente buon senso lo pensano. Noi siamo qui anche oggi a celebrare questo Dio che in Gesù ci porge la mano, come ha fatto quel giorno in casa di Pietro. Perché Dio è con noi, non lontano da noi. Ecco la bella notizia, il “vangelo”.
Fratelli, un altro nome del Maligno è “diavolo”, parola che viene dal greco (diàbolos) e vuol dire divisore, separatore. Attenzione, pertanto! Nei nostri ragionamenti, se ci riteniamo cristiani, non lasciamoci separare da Dio, dal Vangelo, dalla Chiesa di Gesù… Non permettiamo al diàbolos - moderno, astuto, perfino compassionevole in apparenza - di avere potere sulle nostre coscienze…
Aggiungerei un’ultima raccomandazione al riguardo: nella cultura di oggi si va dicendo che la difesa della vita debole, povera, fragile…è roba da cattolici. Ebbene no, è atteggiamento proprio di persone umane che vogliono restare umane, e se noi siamo cristiani e cattolici – che credono in un Dio che si è fatto umano - ciò significa che è nostro compito testimoniare, difendere, promuovere umanità: vera, profonda umanità. Lasciatemi esprimere questa stessa raccomandazione con le parole dei Vescovi, nostri Pastori: “Siamo chiamati a testimoniare al mondo che tante vite fragili ci sono consegnate come dono: sì, ognuna di esse è un dono, degno di essere accolto - e capace di offrire a propria volta grandi ricchezze di umanità e spiritualità, a un mondo che ne ha sempre maggior bisogno”.
Ci conceda allora il Signore di essere testimoni così: efficaci, capaci e all’altezza dei tempi.
Le letture bibliche: Giobbe 7,1-4.6-7; 1Corinzi 9,16-19.22-23; Marco 1,29-39
Quattro volte si parla di demòni nel breve brano del vangelo che abbiamo ascoltato. Alla fine si diceva che “Gesù andava predicando il vangelo e scacciando demòni!”. Ma è proprio così infestato di demòni il mondo? Quando una zona è infestata da topi, ratti, zecche o cose del genere… la si disinfesta. Nel vangelo invece che di topi o zecche si tratta di demoni. E come si presentano? In passato li dipingevano neri, con le corna, gli occhi rosso fuoco, la coda… e l’immancabile forca per infilzare tutti quelli che capitavano loro a tiro…
Penso che queste immagini stiano bene nei musei e che occorra pensarne altre, più moderne, più esatte rispetto ai tempi… Sì, per un motivo molto semplice: il Maligno, o il demonio (possiamo dargli diversi nomi), è famoso per l’astuzia, la furbizia, la creatività… Un’immagine che gli conviene al giorno d’oggi è senz’altro quella della persona normale, dell’uomo o della donna di apparente buon senso, che di fronte a certe situazioni della vita ragiona e dice: «Così fan tutti… Ma sì… perché no?».
“La vita del mio nemico – sia soldato o civile, donna o bambino o anziano - è un ostacolo ai miei obiettivi … perché non stroncarla con la forza? La vita del migrante vale poco, per cui che c’è di male se la lasciamo perdere nei mari o nei deserti? La vita dei lavoratori è semplicemente merce da “comprare”… E se certuni pensano che la vita delle donne sia proprietà dei maschi… e sia loro diritto umiliarle o addirittura eliminarle… beh, son fatti loro… E la vita dei malati e disabili gravi è poi degna di essere vissuta? Non sarebbe più umano porvi termine a coloro che lo desiderano, certo nella maniera più dolce? Quanto ai bambini .. a cosa servono se non per dare soddisfazione agli adulti? E quindi che male c’è a farli venire al mondo in qualsiasi modo… oppure a eliminarli prima che nascano?”.
Ecco, fratelli, non vi dicevo che occorre aggiornare l’immagine del diavolo? Penso che la sua vera immagine al giorno d’oggi risulti da queste alcune pennellate che ho elencato… (Le ho riprese dal messaggio dei Vescovi italiani per questa Giornata della Vita, non le ho inventate io, ma mi sembrano azzeccate per darci un’idea sul come si presenta e ragiona e agisce il Maligno nel mondo d’oggi). Più d’una di queste - dal diritto all’aborto… all’eutanasia o suicidio assistito - è presentata spesso con queste parole: “conquista di civiltà”. Solo che il diavolo insegna a far le pentole ma non i coperchi, come sappiamo. Ed ecco che accanto a certe presunte conquiste di civiltà si devono registrare allo stesso tempo delle preoccupanti crisi demografiche (sempre meno nascite), a partire dalla nostra Italia. Ma allora non sarebbe meglio adoperare parole giuste invece che sbagliate, e dire “sconfitte di civiltà” anziché “conquiste”? “Il grado di progresso di una civiltà si misura dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili»: parole di Papa Francesco queste.
Che differenza tra quest’immagine moderna del Maligno e quella di Gesù che ci ha offerto il Vangelo di oggi! È a Cafarnao Gesù e perde tutto il suo tempo con poveri disabili e derelitti, che dalla mattina alla sera non fanno altro che corrergli dietro, cercarlo, buttarglisi addosso per toccarlo; e lui ad ascoltarli, uno ad uno, a consolarli, a guarirli… Ha cominciato in sinagoga al mattino: ha liberato quell’indemoniato che sbraitava (ricordate? Ci è stato raccontato domenica scorsa il fatto), poi – uscito dalla sinagoga – entra in casa di Pietro (forse per mangiare qualcosa…): gli dicono che la suocera di Pietro è a letto con la febbre, e lui che può guarire in nome di Dio, avete notato come si comporta? Avrebbe potuto gridarle dalla cucina: “Ehi, tu… alzati e vieni a prepararci da mangiare!”. – No, entra là dove giace malata, le porge la mano e la solleva: con tenerezza… Allora è guarita e si alza. Allora si dispone a servirli: di sua iniziativa, spontaneamente. E poi, nel pomeriggio, sentendo che a Cafarnao c’è Gesù, da tutti i villaggi intorno portano malati e indemoniati: che passerella di miserie umane! E cosa fa Gesù? “Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni…”.
Molti ne guarì… perché non tutti? Perché non interviene anche oggi a guarire? È pur vero che non tutte le magagne e le sofferenze trovano quella soluzione che la gente si attenderebbe, ma in tal caso, cosa si deve pensare di Dio? Che è lontano? Che non gli sta a cuore, che non gli interessa? No, nessuno al mondo è mai stato così profondamente umano come Gesù Cristo! Dio è lì, proprio in quella sofferenza è presente e solidale: soffre anche lui con quelli che soffrono. E se c’è anche lui, allora probabilmente niente è mai definitivamente perduto, anche se tante persone di apparente buon senso lo pensano. Noi siamo qui anche oggi a celebrare questo Dio che in Gesù ci porge la mano, come ha fatto quel giorno in casa di Pietro. Perché Dio è con noi, non lontano da noi. Ecco la bella notizia, il “vangelo”.
Fratelli, un altro nome del Maligno è “diavolo”, parola che viene dal greco (diàbolos) e vuol dire divisore, separatore. Attenzione, pertanto! Nei nostri ragionamenti, se ci riteniamo cristiani, non lasciamoci separare da Dio, dal Vangelo, dalla Chiesa di Gesù… Non permettiamo al diàbolos - moderno, astuto, perfino compassionevole in apparenza - di avere potere sulle nostre coscienze…
Aggiungerei un’ultima raccomandazione al riguardo: nella cultura di oggi si va dicendo che la difesa della vita debole, povera, fragile…è roba da cattolici. Ebbene no, è atteggiamento proprio di persone umane che vogliono restare umane, e se noi siamo cristiani e cattolici – che credono in un Dio che si è fatto umano - ciò significa che è nostro compito testimoniare, difendere, promuovere umanità: vera, profonda umanità. Lasciatemi esprimere questa stessa raccomandazione con le parole dei Vescovi, nostri Pastori: “Siamo chiamati a testimoniare al mondo che tante vite fragili ci sono consegnate come dono: sì, ognuna di esse è un dono, degno di essere accolto - e capace di offrire a propria volta grandi ricchezze di umanità e spiritualità, a un mondo che ne ha sempre maggior bisogno”.
Ci conceda allora il Signore di essere testimoni così: efficaci, capaci e all’altezza dei tempi.
Domenica 28 Gennaio - 4a del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Deuteronomio 18,15-20; 1Corinzi 7,32-35; Marco 1,21-28
La parola è un ottimo strumento per comunicare tra noi. Come sarebbe difficile entrare in relazione gli uni con gli altri se non avessimo le parole! Perfino Dio, il Signore, si serve delle nostre parole per dirci quello che ha da dire… Solo che lui è piuttosto sobrio, non è un parolaio o un ciarlatano che dice parole a vanvera, come invece accade tra gli uomini… Quante parole al giorno d’oggi! Parole non solo dette, ma scritte, stampate sui giornali, sulle bacheche delle strade come manifesti… gridate, urlate nei dibattiti televisivi… (ne avrete visto qualcuno dove gli avversari – politici di solito – si accavallano con botta e risposta al punto tale che si sentono solo urla sconnesse e non si capisce una parola?). Insomma, di parole oggi come oggi ne sentiamo troppe; forse ne diciamo anche troppe, ma quelle che siamo costretti a sentire sono molte, molte di più… Anche quest’anno, come sapete, ci riserverà una propaganda elettorale che ci sfornerà un’infinità di parole. C’è solo da sperare che non tutte siano panzane, o bugie, e che dietro alle tante parole ci sia ogni tanto anche qualche persona onesta…
In ogni caso – ecco una prima conclusione: certi personaggi, per quanto siano bravi a parlare, a imbonire il pubblico, da noi cristiani non possono pretendere incondizionata fiducia.E il motivo determinante è questo: fin che si tratta di consigli per gli acquisti, è un conto, ma allorchè si tratta di parole che riguardano la direzione della nostra vita, il suo senso, il suo futuro: qui la fiducia incondizionata la merita soltanto Dio, non i vari personaggi di questo mondo. Su certi argomenti, su certe questioni, noi cristiani consideriamo autorevole solo Gesù Cristo. E dato che la direzione della nostra vita, il suo senso, il suo futuro, ci stanno molto a cuore, ecco che ogni sette giorni è Domenica e veniamo ad incontrarlo all’Eucaristia.
“Entrato di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare. Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità, non come i loro scribi…”. E’ il vangelo di oggi. Ed è quello che capita ormai ogni volta che ci raduniamo insieme nel giorno dl Signore: non è più il sabato ma è la Domenica ormai, non è più la sinagoga ma è la chiesa che ci accoglie, ma Gesù Cristo è qui – fedele per sempre – con la sua autorità di Maestro, di Salvatore, di Signore.
La cosa, però, non è automatica, fratelli. Voglio dire: quella di Gesù Cristo non è un’autorità che s’impone da sé, magari con la forza del plagio… No, Gesù non plagia le persone. Tocca a te, tocca a ciascuno di noi dargli fiducia, riconoscerlo, accoglierlo: allora, solo allora, Lui è Maestro, Salvatore, Signore.
Io ho l’impressione che quando si va a Messa la Domenica alcuni badano troppo al prete che celebra e troppo poco a Gesù Cristo. Sarà che il prete lo si vede e lo si sente e Gesù Cristo invece no, sarà che il prete a volte si fa ascoltare e a volte invece la sua è una solfa che non finisce più…ma guardate, fratelli, che se l’Eucaristia non è anzitutto Gesù Cristo vivo e presente qui oggi, e se non è a Lui che diamo incondizionata fiducia, prima o poi troveremo senz’altro dei motivi per non andare più a Messa la Domenica…
Io ho anche l’impressione che se la nostra vita stenta a cambiare in meglio nonostante che partecipiamo regolarmente ogni Domenica, è proprio perché la presenza di Gesù Cristo la diamo per scontata, tanto scontata che non ci badiamo più (sì, forse al momento della Comunione ci pensiamo un istante, ma poi la sensazione di essere in compagnia di Gesù Cristo ci passa subito… e pensiamo ad altro). Ah, certo, non intendo fare d’ogni erba un fascio e tanto meno dare giudizi, ma mi ha sempre fatto impressione questa storia dell’indemoniato che abbiamo ascoltato oggi dal Vangelo: era lì nella sinagoga di Cafarnao quel Sabato ad ascoltare Gesù e ad un certo punto ha dato in escandescenze…Ma perché ha dato in escandescenze? E perché lui sì e tutti gli altri no?
Perché gli altri non erano mica indemoniati – direte voi – non erano mica posseduti da spiriti maligni come lui… E da quale spirito erano posseduti allora? Dallo Spirito santo? Ma fatemi il piacere!
Io preferisco pensare che quel povero disgraziato quel giorno è stato l’unico a riconoscere in quel Gesù di Nazaret il suo Salvatore, il Maestro che veniva da Dio; l’unico a lasciare che le sue parole autorevoli gli entrassero nel cuore e lo mettessero in subbuglio… E così, quel poveretto è stato l’unico che Gesù ha potuto liberare dal Maligno quel giorno. Tutti gli altri sono rimasti tali e quali erano prima; le parole di Gesù gli son passate sopra le teste: “Ma che bravo! Ma come parla bene!” … sì ma non hanno lasciato che gli entrassero nel cuore quelle parole; non hanno creduto che quel giorno – lì – c’era Dio in mezzo a loro.
Io penso che un po’ di spirito maligno ce l’avevano tutti quanti, senza saperlo probabilmente (sì perché il Maligno è astuto per professione – dice la Bibbia - e sa mascherare bene la sua presenza nel cuore delle persone). Ce l’avevano nel cuore e se lo son tenuto, perché non hanno creduto che quel Gesù lì in mezzo a loro era il Salvatore che li avrebbe potuti liberare.
Un atto di fede insomma occorre fare, fratelli, ogni volta che si partecipa alla Messa della Domenica. Non accontentiamoci di sensazioni superficiali… La Messa non è bella perché c’è un coro che canta bene o un prete che si fa ascoltare volentieri: questo sarà uno show se volete ma non è la Cena del Signore. La messa è davvero bella, se tu ci incontri Gesù Cristo, e lo incontri se ravvivi la fede nel fatto che Lui e nessun altro è il centro vivo e incandescente di questa celebrazione; e le sue parole – anche se le hai sentite altre volte – per te sono sempre autorevoli. Allora sì: Lui può essere per te Salvatore e Maestro, ogni volta. Perché Lui è fedele a questo appuntamento settimanale con noi.
Infatti, lasciate che ve lo ricordi: Domenica è parola che viene da Dominus, Signore. E’ il giorno in cui viene il Signore, sempre. Non manca mai, neanche una volta.
Domenica 21 Gennaio - 3a del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: Giona 3,1-5.10; 1Corinzi 7,29-31; Marco 1,14-20
Meno male che in quest’epoca, che sforna di continuo novità, esistono ancora le buone abitudini. Provano che si è persone mature, affidabili, non individui che si regolano col metro della voglia: “Oggi ho voglia: ci vado… Domenica prossima magari non ne ho voglia e me ne resto a casa…”. Mi riferisco alla Messa della Domenica: il criterio della voglia (“ne ho voglia” o “non ne ho voglia”) sarebbe indice di poca serietà, segno che si è rimasti immaturi, poco affidabili.
Anche qui però può subentrare qualche difetto; non c’è persona matura che non abbia anche qualche limite o difetto… Le buone abitudini, a lungo andare, possono ammalarsi di monotonia, gli entusiasmi si possono raffreddare … e cedere il posto alla fiacca.
Anche per la messa della domenica può succedere. Uno viene qui, sente leggere dal vangelo che Gesù chiama per nome alcuni pescatori, e pensa: “questa qui l’ho già sentita… non è la prima volta che la leggono”, e con la scusa che l’ha già sentita non gli interessa più, e può permettersi di pensare ad altro…Certo, uno può anche chiedersi: “Che c’entro io con quei pescatori di 2000 anni fa’? Io ho la mia vita, la mia famiglia… ho le mie grane da affrontare e nessuno me le risolve, neanche Gesù Cristo… Nel vangelo c’è scritto che il Regno di Dio è vicino: ma dov’è questo regno di Dio? Son 2000 anni che si va dicendo che è vicino: io devo ancora vederlo!”. (In questo momento so di fare da avvocato del diavolo a parlare così!). È ovvio che chi ragiona in questo modo alla fine esce dalla chiesa così come era entrato, senza che sia cambiato niente nella sua vita.
Ci fu un uomo nei primi secoli del cristianesimo che un giorno entrò in chiesa e sentì leggere queste parole: “Se vuoi essere perfetto, va’ – vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi…” (è Gesù Cristo a parlare così, ovviamente). Quell’uomo sentì queste parole come rivolte proprio a lui; vendette i suoi beni, distribuì il ricavato ai poveri e si ritirò nel deserto. Da quella volta in poi, ogni parola del vangelo che ascoltava, lui la sentiva rivolta a se stesso. Visse molto a lungo, facendo da maestro e da guida a molti altri. Alla fine della sua lunga vita, non conosceva la monotonia o la fiacca. Era come uno che comincia per la prima volta. Antonio si chiamava, il calendario cristiano lo ricordava Mercoledì scorso, 17 Gennaio: Sant'Antonio abate.
Fratelli, capite la differenza, tra quel tale che ascolta il vangelo e conclude “questa l’ho già sentita”, e chi invece pensa “questa parola è per me”? Il primo lascia scorrer via quelle parole come acqua sull’asfalto ed esce dalla chiesa tale e quale erta entrato; l’altro permette a quelle Parole di entrargli nell’intimo e trasformargli la vita.
E’ da alcuni anni che Papa Francesco ha voluto che in questa penultima Domenica di Gennaio, in tutte le Comunità cristiane si riflettesse su quanto è preziosa la Parola di Dio. E la riflessione da fare in fondo è semplice; si tratta di risvegliare questa convinzione: “Qui il Signore ha qualcosa da dire a me: quindi… lo ascolto”. E non lasciamoci ingannare dal fatto che queste parole furono scritte migliaia di anni fa’… non regge la scusa. Tutti ricordiamo che il Signore ha anche detto: “Cielo e terra passeranno, ma le mie parole no, non passeranno”.
“Il Regno di Dio è vicino!” va gridando Gesù. Certo che è vicino, e sarà sempre soltanto vicino fin che io non mi lascio interpellare da lui e non decido di seguirlo personalmente: quando capiremo, fratelli, che Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, sono soltanto i primi di un lungo elenco, e in questo elenco ci sono anche i nostri nomi, uno per uno? E’ la voce di Gesù che pronuncia il mio e il tuo nome; è a me e a te che dice: “Seguimi!”.
Sì, è anche vero che ognuno di voi è qui con tutta la sua vita e – soprattutto se ha famiglia – la sua vita potrebbe essere già piena di pensieri e di apprensioni…Ma pensate voi che Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni vivessero in un paradiso terrestre? Figuriamoci: altro che se conoscevano apprensioni e ansie! Ed è proprio quella loro vita che la Parola di Gesù ha potuto trasformare, perché all’invito hanno risposto sì. Il Regno di Dio non era più solo vicino per loro: è nella loro vita che ha potuto entrare. E quando il Regno di Dio può entrare nella vita delle persone, accade che non cambiano i contenuti, le cose da fare, la professione… I problemi – se ci sono – restano: sì, ma tu riesci a tenerli a bada perché tutto diventa relativo: tutto.
Ce l’ha ripetuto oggi san Paolo: “D’ora in poi, fratelli, quelli che hanno moglie – o marito – vivano come se non l’avessero, quelli che piangono come se non piangessero, quelli che godono come se non godessero appieno… perché passa la figura di questo mondo!”. E’ un parlare per paradossi, ma dice semplicemente quello che è vero: solo il Regno di Dio resta sempre, tutto il resto passa, e se passa vuol dire che era provvisorio, di passaggio appunto. Questa coscienza può renderci più saggi, più equilibrati, più obiettivi di fronte a tutto quello che accade nelle nostre famiglie, o nella società, o nel mondo stesso. E’ grande il bisogno di persone sagge, equilibrate , obiettive, di questi tempi!
In questi giorni si celebra la settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani. E’ stata la preoccupazione più grande di Gesù Cristo la nostra unità: è giusto che, da discepoli e amici suoi, la condividiamo anche noi. Se fossimo uniti noi cristiani, anche il traguardo della pace sarebbe più vicino nel mondo. In questa Eucaristia chiediamo di poter essere uniti nell’ascolto vitale della Parola di Dio: che non sia mai qualcosa di già sentito, ma sempre una buona notizia, anche se a volte ci rimprovera: in ogni caso, quando l’accogliamo, è la nostra vita a cambiare. E in meglio.
Dipende da noi ormai, solo da noi: da quell’accoglienza e da quell’ascolto che sapremo davvero riservare al Signore che passa – perché passa sempre: certamente ogni Domenica, ad ogni Eucaristia, ma anche nei giorni della nostra vita.
“Timeo Dominum transeuntem” diceva S.Agostino nel suo latino, e possiamo ripeterlo con lui nel nostro italiano: “una cosa sola temo: che il Signore passi, passi via … senza che io me n’accorga”.
Auguriamoci che questo non accada. Mai.
P R E G H I E R A
Signore Gesù,
convertirsi è un’operazione decisiva perché nulla è più come prima.
Per noi si tratta di credere alla tua Parola,
mettere la nostra vita nelle tue mani,
accettare di seguirti e andare là dove tu desideri condurci.
Fino ad oggi ci siamo basati sulle nostre capacità e competenze,
proprio come Simone e Andrea, come Giacomo e Giovanni.
Sapevano tutto del lago, erano àbili nell’usare le reti che adoperavano.
Ma ora tutto questo non serviva: non si trattava di catturare pesci,
ma di salvare uomini e donne, sottraendoli al potere del male.
Anche a noi, Gesù, tu chiedi di partecipare alla stessa avventura
e di offrire a coloro che incontriamo la possibilità di vivere un’esistenza nuova,
rigenerata dal tuo amore.
Ma per questo, Signore, abbiamo bisogno che la tua Parola dimori in noi
e illumini la nostra strada di ogni giorno.
Solo così potremo offrire un po’ di luce a coloro che incontriamo.
Amen
Signore Gesù,
convertirsi è un’operazione decisiva perché nulla è più come prima.
Per noi si tratta di credere alla tua Parola,
mettere la nostra vita nelle tue mani,
accettare di seguirti e andare là dove tu desideri condurci.
Fino ad oggi ci siamo basati sulle nostre capacità e competenze,
proprio come Simone e Andrea, come Giacomo e Giovanni.
Sapevano tutto del lago, erano àbili nell’usare le reti che adoperavano.
Ma ora tutto questo non serviva: non si trattava di catturare pesci,
ma di salvare uomini e donne, sottraendoli al potere del male.
Anche a noi, Gesù, tu chiedi di partecipare alla stessa avventura
e di offrire a coloro che incontriamo la possibilità di vivere un’esistenza nuova,
rigenerata dal tuo amore.
Ma per questo, Signore, abbiamo bisogno che la tua Parola dimori in noi
e illumini la nostra strada di ogni giorno.
Solo così potremo offrire un po’ di luce a coloro che incontriamo.
Amen
Domenica 14 Gennaio - 2a del Tempo Ordinario
Le letture bibliche: 1Samuele 3,1-10.19-20; 1Corinzi 6,13c-15a.17-20; Giovanni 1,35-42
Noi ormai siamo entrati nell’epoca dei testimoni. Non parlo dei testimoni che accompagnano gli sposi il giorno del matrimonio. Neanche di quelli che si trovano coinvolti in un incidente, o in una brutta faccenda, e poi magari sono chiamati in tribunale a dire come sono andate le cose… No, mi riferisco alla vita di tutti i giorni, alle nostre situazioni normali: i testimoni sono le persone che hanno più credito, che ottengono più fiducia.
Se tu vuoi andare in vacanze in un posto nel quale non sei mai stato, e ti interessa sapere com’è … sì, ti rivolgi a un’agenzia per avere informazioni, ma se hai un amico che lì c’è già stato, è a lui che ti rivolgi: “com’è quel posto?”. “Bellissimo. Vacci. Te lo consiglio!”. E tu ci vai, non per la pubblicità dell’agenzia, ma per la testimonianza di quell’amico. E quello che vale per chi va in vacanza, vale per tante altre situazioni e cose. Sì, si fa pubblicità di tutto e di più… ma la pubblicità che funziona meglio è quella dei testimoni: “Io conosco quel posto: ci sono stato. Ne vale la pena”.
Lasciamo stare i luoghi di vacanze, i ristoranti e i negozi, e poniamoci una domanda un po’ sibillina: quelli che oggi sono bambini o ragazzi (vostri figli o vostri nipoti), fra alcuni anni saranno ancora cristiani? Beh, se non lo saranno, allora i motivi possono essere questi: o la loro fede è andata in crisi (ma la fede è come un fuoco che a volte si nasconde sotto la cenere…), oppure non l’hanno mai avuta la Fede… Non era mai entrata nel loro cuore, nella loro vita, nella loro mentalità. Era una specie di crisalide superficiale: crescendo, hanno spiccato il volo, e la crisalide l’han buttata via…
L’Eucaristia che celebriamo è sempre il momento della verità; nella vita possiamo anche coltivare illusioni e camminare col prosciutto sugli occhi, ma quando veniamo all’Eucaristia no: questo è il momento della verità, e anche se la questione è un po’ sibillina, ce la dobbiamo porre: i bambini e i ragazzi di oggi, fra alcuni anni saranno ancora cristiani? Gesù stesso una volta ha posto ai suoi apostoli una domanda come questa: “Quando io tornerò, troverò ancora la fede sulla terra?”. Nessuno ha risposto a quella domanda, nemmeno lui: l’ha lasciata lì, in sospeso. Perché mai? Ma perché la risposta – sì o no - dipende da noi, e da quelli che verranno dopo di noi…
Quelli che verranno fra 100 anni se la vedranno loro: si prenderanno le loro responsabilità. Noi siamo responsabili oggi, e dobbiamo vedercela adesso. E allora, fratelli, una cosa dev’essere chiara – tanto chiara da scolpircela bene nel cuore e nella mente: siccome questa in cui viviamo è l’epoca dei testimoni, la probabilità che i bambini e i ragazzi di oggi siano cristiani domani, è legata alla nostra abilità di testimoni. Se noi riusciamo a far buona pubblicità alla Fede con la nostra vita, c’è buona probabilità che anche quelli che vengono dopo la apprezzino e la condividano; ma è chiaro che non sarà la pubblicità dei libri ad affascinarli, e neanche i discorsi di papi, vescovi e preti… Questi sono come le agenzie di viaggio: sì, ci si informa, magari si prenota anche, ma l’imput per fare quel viaggio, quell’esperienza, te l’ha dato l’amico che c’è già stato, mica te lo dà l’agenzia… E non pensate che questa sia semplicemente la mia opinione personale, è proprio Dio oggi a parlare così in questa Liturgia.
Abbiamo risentito la storia del piccolo Samuele che nel tempio sente la voce di Dio, ma non la sa riconoscere… e pensa che sia quella del vecchio sacerdote che sta dormendo nella stanza accanto… Eli si chiamava quel vecchio sacerdote, che sapeva condurre quel bambino sulla strada giusta: “Guarda che è il Signore che ti chiama. Se il Signore ti chiamerà ancora… tu rispondigli così!”.
Anche ai bambini bisogna dare sempre spiegazioni convincenti; e le uniche davvero convincenti sono quelle delle quali siamo profondamente convinti noi stessi… (Loro poi se ne accorgono se una cosa la diciamo con convinzione personale, o la diciamo… solo per dire qualcosa!).
Anche il vangelo oggi suona questa stessa musica: avete osservato come sono convincenti qui i testimoni? Giovanni Battista, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse ai suoi discepoli: “Eccolo l’Agnello di Dio!”. E quei discepoli si mettono a seguire Gesù.
Solo chi conosce Gesù per esperienza personale può pensare di condurre qualcun altro a Gesù… Solo chi guarda a Gesù con sguardo da amico può indurre altri a puntare l’attenzione su Gesù.
E il comportamento di Andrea, non dice la stessa cosa? Ha la fortuna di incontrare Gesù e di passare del tempo con lui: e cosa fa quando se ne torna a casa? Non può far a meno di raccontarlo a suo fratello, Simon Pietro: “Abbiamo trovato il Messia: vieni!”. E lo condusse da Gesù. Non gli ha mica detto: “Ah, guarda che, se ti interessa, abita a Nazaret… nella tal via….”. No. Lo condusse da Gesù. Ecco cos’è la testimonianza. Ecco le uniche prediche che funzionano: quelle in cui si va davanti, in modo che chi è dietro possa seguirci.
Ma questa poi è la lezione stessa che ci dà il Signore oggi: sì, proprio lui, Gesù. Quando si accorse che quei due lo stavano seguendo, si voltò è chiese: “Che cosa cercate?”. Quelli domandarono un po’ imbarazzati: “Maestro, dove dimori?”. Avrebbe potuto rispondere: “Abito a Nazaret… a 15 chilometri da qui… Perché?”. No, fu un’altra la risposta: “Venite e vedrete!”. Questo, in fondo, significa “mettersi in gioco”, lasciarsi disturbare, perché quei discepoli possano non solo sapere, ma sperimentare, provare, vivere.
Fratelli, ce n’è abbastanza mi pare per tirare la conclusione. Io non so se i bambini e i ragazzi di oggi … domani saranno cristiani oppure no. Non so se quando tornerà Gesù ci sarà ancora la fede a questo mondo, ma se c’è una probabilità che ce ne sia ancora, non dipenderà dai tanti libri di teologia, dai catechismi … o dalle molte chiese sparpagliate sulla faccia della terra: no. Dipenderà dalla nostra testimonianza.
Le letture bibliche: 1Samuele 3,1-10.19-20; 1Corinzi 6,13c-15a.17-20; Giovanni 1,35-42
Noi ormai siamo entrati nell’epoca dei testimoni. Non parlo dei testimoni che accompagnano gli sposi il giorno del matrimonio. Neanche di quelli che si trovano coinvolti in un incidente, o in una brutta faccenda, e poi magari sono chiamati in tribunale a dire come sono andate le cose… No, mi riferisco alla vita di tutti i giorni, alle nostre situazioni normali: i testimoni sono le persone che hanno più credito, che ottengono più fiducia.
Se tu vuoi andare in vacanze in un posto nel quale non sei mai stato, e ti interessa sapere com’è … sì, ti rivolgi a un’agenzia per avere informazioni, ma se hai un amico che lì c’è già stato, è a lui che ti rivolgi: “com’è quel posto?”. “Bellissimo. Vacci. Te lo consiglio!”. E tu ci vai, non per la pubblicità dell’agenzia, ma per la testimonianza di quell’amico. E quello che vale per chi va in vacanza, vale per tante altre situazioni e cose. Sì, si fa pubblicità di tutto e di più… ma la pubblicità che funziona meglio è quella dei testimoni: “Io conosco quel posto: ci sono stato. Ne vale la pena”.
Lasciamo stare i luoghi di vacanze, i ristoranti e i negozi, e poniamoci una domanda un po’ sibillina: quelli che oggi sono bambini o ragazzi (vostri figli o vostri nipoti), fra alcuni anni saranno ancora cristiani? Beh, se non lo saranno, allora i motivi possono essere questi: o la loro fede è andata in crisi (ma la fede è come un fuoco che a volte si nasconde sotto la cenere…), oppure non l’hanno mai avuta la Fede… Non era mai entrata nel loro cuore, nella loro vita, nella loro mentalità. Era una specie di crisalide superficiale: crescendo, hanno spiccato il volo, e la crisalide l’han buttata via…
L’Eucaristia che celebriamo è sempre il momento della verità; nella vita possiamo anche coltivare illusioni e camminare col prosciutto sugli occhi, ma quando veniamo all’Eucaristia no: questo è il momento della verità, e anche se la questione è un po’ sibillina, ce la dobbiamo porre: i bambini e i ragazzi di oggi, fra alcuni anni saranno ancora cristiani? Gesù stesso una volta ha posto ai suoi apostoli una domanda come questa: “Quando io tornerò, troverò ancora la fede sulla terra?”. Nessuno ha risposto a quella domanda, nemmeno lui: l’ha lasciata lì, in sospeso. Perché mai? Ma perché la risposta – sì o no - dipende da noi, e da quelli che verranno dopo di noi…
Quelli che verranno fra 100 anni se la vedranno loro: si prenderanno le loro responsabilità. Noi siamo responsabili oggi, e dobbiamo vedercela adesso. E allora, fratelli, una cosa dev’essere chiara – tanto chiara da scolpircela bene nel cuore e nella mente: siccome questa in cui viviamo è l’epoca dei testimoni, la probabilità che i bambini e i ragazzi di oggi siano cristiani domani, è legata alla nostra abilità di testimoni. Se noi riusciamo a far buona pubblicità alla Fede con la nostra vita, c’è buona probabilità che anche quelli che vengono dopo la apprezzino e la condividano; ma è chiaro che non sarà la pubblicità dei libri ad affascinarli, e neanche i discorsi di papi, vescovi e preti… Questi sono come le agenzie di viaggio: sì, ci si informa, magari si prenota anche, ma l’imput per fare quel viaggio, quell’esperienza, te l’ha dato l’amico che c’è già stato, mica te lo dà l’agenzia… E non pensate che questa sia semplicemente la mia opinione personale, è proprio Dio oggi a parlare così in questa Liturgia.
Abbiamo risentito la storia del piccolo Samuele che nel tempio sente la voce di Dio, ma non la sa riconoscere… e pensa che sia quella del vecchio sacerdote che sta dormendo nella stanza accanto… Eli si chiamava quel vecchio sacerdote, che sapeva condurre quel bambino sulla strada giusta: “Guarda che è il Signore che ti chiama. Se il Signore ti chiamerà ancora… tu rispondigli così!”.
Anche ai bambini bisogna dare sempre spiegazioni convincenti; e le uniche davvero convincenti sono quelle delle quali siamo profondamente convinti noi stessi… (Loro poi se ne accorgono se una cosa la diciamo con convinzione personale, o la diciamo… solo per dire qualcosa!).
Anche il vangelo oggi suona questa stessa musica: avete osservato come sono convincenti qui i testimoni? Giovanni Battista, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse ai suoi discepoli: “Eccolo l’Agnello di Dio!”. E quei discepoli si mettono a seguire Gesù.
Solo chi conosce Gesù per esperienza personale può pensare di condurre qualcun altro a Gesù… Solo chi guarda a Gesù con sguardo da amico può indurre altri a puntare l’attenzione su Gesù.
E il comportamento di Andrea, non dice la stessa cosa? Ha la fortuna di incontrare Gesù e di passare del tempo con lui: e cosa fa quando se ne torna a casa? Non può far a meno di raccontarlo a suo fratello, Simon Pietro: “Abbiamo trovato il Messia: vieni!”. E lo condusse da Gesù. Non gli ha mica detto: “Ah, guarda che, se ti interessa, abita a Nazaret… nella tal via….”. No. Lo condusse da Gesù. Ecco cos’è la testimonianza. Ecco le uniche prediche che funzionano: quelle in cui si va davanti, in modo che chi è dietro possa seguirci.
Ma questa poi è la lezione stessa che ci dà il Signore oggi: sì, proprio lui, Gesù. Quando si accorse che quei due lo stavano seguendo, si voltò è chiese: “Che cosa cercate?”. Quelli domandarono un po’ imbarazzati: “Maestro, dove dimori?”. Avrebbe potuto rispondere: “Abito a Nazaret… a 15 chilometri da qui… Perché?”. No, fu un’altra la risposta: “Venite e vedrete!”. Questo, in fondo, significa “mettersi in gioco”, lasciarsi disturbare, perché quei discepoli possano non solo sapere, ma sperimentare, provare, vivere.
Fratelli, ce n’è abbastanza mi pare per tirare la conclusione. Io non so se i bambini e i ragazzi di oggi … domani saranno cristiani oppure no. Non so se quando tornerà Gesù ci sarà ancora la fede a questo mondo, ma se c’è una probabilità che ce ne sia ancora, non dipenderà dai tanti libri di teologia, dai catechismi … o dalle molte chiese sparpagliate sulla faccia della terra: no. Dipenderà dalla nostra testimonianza.
P R E G H I E R A
Signore Gesù,
nella storia della nostra fede
c'è sempre qualcuno che, con la sua testimonianza, ci ha indirizzati a te.
Ma nulla accade se poi, spinti dal desiderio di incontrarti,
noi non ci mettiamo per strada,
proprio come i due discepoli che decidono di seguirti.
La tua domanda – “Che cosa cercate?” –
ci provoca a precisare il motivo per cui siamo tuoi discepoli.
No, non ci accontentiamo di qualcosa,
noi vogliamo conoscere te
e per questo la tua risposta è semplice e concreta: "Venite e vedrete".
Sì, stare con te, rimanere assieme a te,
è l'unico modo per entrare in relazione con te.
In effetti la cosa più preziosa che possiamo offrirti è il nostro tempo,
un tempo destinato ad essere colmo della tua presenza,
del tuo sguardo, della tua parola.
Solo così possiamo essere introdotti
nel mistero della tua persona, trasfiguràti dal tuo amore.
Solo così può nascere e crescere
un rapporto unico e profondo con te,
che ci porta a seguirti senza titubanze.
Allora anche noi diventiamo testimoni e annunciatori
della vita nuova che ci doni.
Grazie, Signore, per averci invitati a dimorare con te.
Amen
***
F E S T E D I N A T A L E
F E S T E D I N A T A L E
Domenica 7 Gennaio - Battesimo dl Signore
Le letture bibliche: Isaia 55,1-11; 1Giovanni 5,1-9; Marco 1,7-11
“Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento!”.
Ma Dio, quando parla, dice parole così ricercate? Qual è il papà che si rivolge a suo figlio così? D’accordo che Dio è il Padre eterno… ma mettergli sulle labbra parole così fuori dall’ordinario lo fa proprio assomigliare a un personaggio d’altri tempi. No, Dio è un padre sempre giovane. Io penso che Dio parla a Gesù in tutt’altro modo, proprio come un papà parla a suo figlio: “Tu sei il Figlio mio: io ti amo moltissimo. Sono proprio contento di te: so che posso fidarmi!”.
E degli altri non può fidarsi? Non siamo anche noi figli di Dio? In maniera diversa rispetto a Gesù, certamente… Ci sono figli “naturali” e figli “adottivi” infatti: noi – per Dio – siamo figli adottivi. Sì, ma un vero papà non sta mica lì a far differenze, anzi… Perché tutti potessimo diventare suoi figli adottivi, Dio ha mandato a noi il suo figlio… naturale: ce l’ha proprio donato … Allora vuol dire che ci vuol bene davvero, almeno tanto quanto ne vuole a lui: Gesù. Cioè: moltissimo.
Le parole che ha detto a Gesù, mentre usciva dal fiume Giordano dove era stato battezzato, le ha dette anche a ciascuno di noi il giorno del nostro Battesimo, solo che allora eravamo troppo piccoli per capire… Poi ce le ha ripetute e anche spesso, ma forse non le abbiamo ascoltate… perché quando Dio parla, parla al cuore, mica parla agli orecchi: sentire con il cuore, capire con il cuore, è molto più che sentire e capire con gli orecchi. “Ti amo moltissimo”… ce lo dice il Padre nostro: cercate di sintonizzarvi con lui “sull’onda del cuore”, vedrete se non è proprio questo che ci dice, e spesso anche!
“Sono proprio contento di te: so che posso fidarmi!” – così si è sentito dire Gesù. Lo dirà anche a noi questo? Che ci ama moltissimo è fuori dubbio che ce lo dice: ma che è contento di noi e che sa che può fidarsi… eh, qui sorge qualche dubbio… NOI non siamo soltanto… noi qui in questo momento. Noi siamo tutti gli uomini e le donne che poggiamo i piedi su questo pianeta malconcio che è la terra: sì, proprio malconcio… e penso in particolare a quei popoli che anche in questi giorni del Natale hanno pagato un altissimo prezzo di vite umane ai signori delle guerre… Come si può pensare che Dio dica sia agli uni che agli altri “Sono proprio contento di voi: so che posso fidarmi!”? Dio probabilmente è costretto a dire ben altre parole: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie… Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie e i miei pensieri sono in contraddizione con i vostri pensieri!”.
Dio non si schiera mai con gli uni contro gli altri (come fanno troppi a questo mondo), perché Dio sa fin dai tempi di Caino che schierarsi con qualcuno contro qualcun altro è il modo per far peggiorare le cose, così da non arrivare mai a nessuna soluzione… Dio soffre, piuttosto. Trovate strano, fratelli, che Dio soffra? Quando pensate a lui, non immaginatelo seduto sopra le nuvole intento a guardare da lontano le nostre sciagure e le nostre miserie: non è Dio quello… Quello è un orrendo personaggio da fantascienza, ma non è Dio. Dio è padre: davanti alle sciagure e alle sofferenze dei suoi figli (soprattutto se sono provocate dall’odio reciproco o dalle loro scelte sbagliate), cosa fa un padre? Soffre. Questo è il vero volto di Dio che ci ha rivelato Gesù. Ed è una consolazione per lui sapere che a quel figlio – Gesù appunto – può dire non solo “ti amo moltissimo” ma anche “sono contento di te: so che posso fidarmi!”.
Cosa possiamo fare noi di fronte ai drammi di questo mondo? Ci sono qua e là inviti a manifestare, a gridare sulle piazze… Sì, può essere utile, ma non illudiamoci. La malvagità è corazzata di meccanismi così efficienti che certe reazioni le fanno semplicemente il solletico… E poi, si sa: a reagire ci si stufa a un certo punto, oggi ci si dimentica piuttosto presto del male che accade agli altri… La malvagità, invece, la stupidità, non si stufano mai, non vanno mai in pensione. Quando capiranno gli uomini che i veri cambiamenti a questo mondo – quelli buoni, quelli positivi – non verranno tagliando le teste degli avversari ma cambiando le proprie? La propria mentalità, o meglio ancora: il proprio cuore… Il giorno del giudizio (che sono sicuro che ci sarà) io non vorrei sentirmi dire: “Durante la tua vita è accaduta questa tragedia, questo dramma nel mondo… e tu dov’eri? Perché non hai fatto niente per impedirla, per risolverla?”. Non basterà che io dica: ero lontano… sapevo solo dalla televisione… No, non basterà, perché mi sentirei rispondere: “Tu potevi fare qualcosa. Potevi cambiare te stesso: in meglio… invece che restare tale e quale, e cambiare semplicemente canale. Perché non hai permesso a Dio di essere contento di te, di fidarsi di te? Avrebbe avuto un po’ di più spazio Dio in questo mondo, se tu l’avessi davvero accolto nella tua vita: condividendo i suoi ideali, i suoi progetti, il suo Vangelo…”. Ecco, non vorrei sentirmi rivolgere questo rimprovero. Proprio non vorrei.
“Uscendo dall’acqua, Gesù vide squarciarsi i cieli e lo Spirito Santo posarsi su di lui come colomba”. E su di noi, fratelli, può davvero posarsi lo Spirito Santo? Ha cercato di farlo: al nostro battesimo, alla Cresima, all’Eucaristia (avete notato che, dopo averlo invocato sul pane e sul vino perché li trasformi nel corpo e sangue di Gesù, il sacerdote lo invoca anche su di voi!) e chissà in quante altre occasioni lo Spirito vorrebbe posarsi sulla nostra vita e animarla… Ma può farlo o deve limitarsi a una toccata e fuga?
Dio cerca figli e figlie… a ognuno dei quali poter dire non solo “Ti amo moltissimo”, ma “sono contento di te: so che posso fidarmi!”. E oggi, in questa festa del Battesimo del suo amato Gesù, i figli che Dio guarda negli occhi siamo noi, battezzati proprio come Gesù… Vogliamo dare a Dio nostro Padre la soddisfazione di potersi fidare di noi, e al suo Spirito santo di posarsi e abitare davvero nella nostra vita per animarla dal di dentro?
Allora Dio avrà un po’ di più spazio in questo mondo e qualcosa di diverso e buono potrà accadere finalmente. Siamone certi.
Le letture bibliche: Isaia 55,1-11; 1Giovanni 5,1-9; Marco 1,7-11
“Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento!”.
Ma Dio, quando parla, dice parole così ricercate? Qual è il papà che si rivolge a suo figlio così? D’accordo che Dio è il Padre eterno… ma mettergli sulle labbra parole così fuori dall’ordinario lo fa proprio assomigliare a un personaggio d’altri tempi. No, Dio è un padre sempre giovane. Io penso che Dio parla a Gesù in tutt’altro modo, proprio come un papà parla a suo figlio: “Tu sei il Figlio mio: io ti amo moltissimo. Sono proprio contento di te: so che posso fidarmi!”.
E degli altri non può fidarsi? Non siamo anche noi figli di Dio? In maniera diversa rispetto a Gesù, certamente… Ci sono figli “naturali” e figli “adottivi” infatti: noi – per Dio – siamo figli adottivi. Sì, ma un vero papà non sta mica lì a far differenze, anzi… Perché tutti potessimo diventare suoi figli adottivi, Dio ha mandato a noi il suo figlio… naturale: ce l’ha proprio donato … Allora vuol dire che ci vuol bene davvero, almeno tanto quanto ne vuole a lui: Gesù. Cioè: moltissimo.
Le parole che ha detto a Gesù, mentre usciva dal fiume Giordano dove era stato battezzato, le ha dette anche a ciascuno di noi il giorno del nostro Battesimo, solo che allora eravamo troppo piccoli per capire… Poi ce le ha ripetute e anche spesso, ma forse non le abbiamo ascoltate… perché quando Dio parla, parla al cuore, mica parla agli orecchi: sentire con il cuore, capire con il cuore, è molto più che sentire e capire con gli orecchi. “Ti amo moltissimo”… ce lo dice il Padre nostro: cercate di sintonizzarvi con lui “sull’onda del cuore”, vedrete se non è proprio questo che ci dice, e spesso anche!
“Sono proprio contento di te: so che posso fidarmi!” – così si è sentito dire Gesù. Lo dirà anche a noi questo? Che ci ama moltissimo è fuori dubbio che ce lo dice: ma che è contento di noi e che sa che può fidarsi… eh, qui sorge qualche dubbio… NOI non siamo soltanto… noi qui in questo momento. Noi siamo tutti gli uomini e le donne che poggiamo i piedi su questo pianeta malconcio che è la terra: sì, proprio malconcio… e penso in particolare a quei popoli che anche in questi giorni del Natale hanno pagato un altissimo prezzo di vite umane ai signori delle guerre… Come si può pensare che Dio dica sia agli uni che agli altri “Sono proprio contento di voi: so che posso fidarmi!”? Dio probabilmente è costretto a dire ben altre parole: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie… Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie e i miei pensieri sono in contraddizione con i vostri pensieri!”.
Dio non si schiera mai con gli uni contro gli altri (come fanno troppi a questo mondo), perché Dio sa fin dai tempi di Caino che schierarsi con qualcuno contro qualcun altro è il modo per far peggiorare le cose, così da non arrivare mai a nessuna soluzione… Dio soffre, piuttosto. Trovate strano, fratelli, che Dio soffra? Quando pensate a lui, non immaginatelo seduto sopra le nuvole intento a guardare da lontano le nostre sciagure e le nostre miserie: non è Dio quello… Quello è un orrendo personaggio da fantascienza, ma non è Dio. Dio è padre: davanti alle sciagure e alle sofferenze dei suoi figli (soprattutto se sono provocate dall’odio reciproco o dalle loro scelte sbagliate), cosa fa un padre? Soffre. Questo è il vero volto di Dio che ci ha rivelato Gesù. Ed è una consolazione per lui sapere che a quel figlio – Gesù appunto – può dire non solo “ti amo moltissimo” ma anche “sono contento di te: so che posso fidarmi!”.
Cosa possiamo fare noi di fronte ai drammi di questo mondo? Ci sono qua e là inviti a manifestare, a gridare sulle piazze… Sì, può essere utile, ma non illudiamoci. La malvagità è corazzata di meccanismi così efficienti che certe reazioni le fanno semplicemente il solletico… E poi, si sa: a reagire ci si stufa a un certo punto, oggi ci si dimentica piuttosto presto del male che accade agli altri… La malvagità, invece, la stupidità, non si stufano mai, non vanno mai in pensione. Quando capiranno gli uomini che i veri cambiamenti a questo mondo – quelli buoni, quelli positivi – non verranno tagliando le teste degli avversari ma cambiando le proprie? La propria mentalità, o meglio ancora: il proprio cuore… Il giorno del giudizio (che sono sicuro che ci sarà) io non vorrei sentirmi dire: “Durante la tua vita è accaduta questa tragedia, questo dramma nel mondo… e tu dov’eri? Perché non hai fatto niente per impedirla, per risolverla?”. Non basterà che io dica: ero lontano… sapevo solo dalla televisione… No, non basterà, perché mi sentirei rispondere: “Tu potevi fare qualcosa. Potevi cambiare te stesso: in meglio… invece che restare tale e quale, e cambiare semplicemente canale. Perché non hai permesso a Dio di essere contento di te, di fidarsi di te? Avrebbe avuto un po’ di più spazio Dio in questo mondo, se tu l’avessi davvero accolto nella tua vita: condividendo i suoi ideali, i suoi progetti, il suo Vangelo…”. Ecco, non vorrei sentirmi rivolgere questo rimprovero. Proprio non vorrei.
“Uscendo dall’acqua, Gesù vide squarciarsi i cieli e lo Spirito Santo posarsi su di lui come colomba”. E su di noi, fratelli, può davvero posarsi lo Spirito Santo? Ha cercato di farlo: al nostro battesimo, alla Cresima, all’Eucaristia (avete notato che, dopo averlo invocato sul pane e sul vino perché li trasformi nel corpo e sangue di Gesù, il sacerdote lo invoca anche su di voi!) e chissà in quante altre occasioni lo Spirito vorrebbe posarsi sulla nostra vita e animarla… Ma può farlo o deve limitarsi a una toccata e fuga?
Dio cerca figli e figlie… a ognuno dei quali poter dire non solo “Ti amo moltissimo”, ma “sono contento di te: so che posso fidarmi!”. E oggi, in questa festa del Battesimo del suo amato Gesù, i figli che Dio guarda negli occhi siamo noi, battezzati proprio come Gesù… Vogliamo dare a Dio nostro Padre la soddisfazione di potersi fidare di noi, e al suo Spirito santo di posarsi e abitare davvero nella nostra vita per animarla dal di dentro?
Allora Dio avrà un po’ di più spazio in questo mondo e qualcosa di diverso e buono potrà accadere finalmente. Siamone certi.
SABATO 6 Gennaio 2024 - EPIFANIA DEL SIGNORE
Le letture bibliche: Isaia 60,1-6; Efesini 3,2-3a.5-6; Matteo 2,1-12
I Magi.
Noi guardiamo a questi personaggi come a delle figure esotiche; i pittori e gli artigiani dei presepi li hanno rivestiti delle fogge più strane; la tradizione ha dato loro addirittura dei nomi, mentre in realtà il vangelo non dice nulla al riguardo… Non dice nemmeno quanti fossero…
Questa imprecisione, questo anonimato, ha un obiettivo, uno scopo: non hanno né numero né nomi perché questi personaggi rappresentano semplicemente i credenti, anzi, più esattamente quei tali per i quali l’essere credenti non è un fiore all’occhiello di cui si può anche far senza, ma un’esigenza viva e appassionata che non si smorza mai…
E in questo senso io penso che dovremmo liberare un po’ i Magi da tutti quegli abbigliamenti fin troppo esotici che hanno solo l’effetto di trasformarli in personaggi quasi da favola, lontani dalla nostra esperienza di vita. Ho detto che rappresentano i veri credenti, appassionati e sempre inquieti… forse è più esatto dire che rappresentano i veri cercatori di Dio, perché se per caso pensassimo che essere credenti significa aver trovato Dio e non cercarlo più, beh… non sarebbe più fede la nostra; sarebbe una religiosità senz’anima, fatta di sole abitudini, ma non Fede: la Fede è tutt’altra cosa.
Ve li immaginate questi tali che scrutano il cielo, notte dopo notte? Perché lo fanno? Da astronomi? Hanno l’hobby di osservare le costellazioni? No, prima di questo c’era qualcos’altro che li portava a scrutare il cielo: un’attesa ardente, perfino ansiosa, di qualcosa o di qualcuno che non vedevano l’ora d’incontrare.
E quella stella (che sui nostri presepi è una cometa dalla coda così lunga da attraversare tutto il cielo), in realtà doveva essere una stella come tante altre e nulla più (altrimenti avrebbe messo in agitazione popolazioni intere e sarebbe stato il caos…). No, una stella normale – nuova, sì – ma simile a tante altre: loro però l’hanno notata, tutti gli altri non l’hanno vista. Perché? Forse perché a loro non bastava la terra, sapevano sollevare lo sguardo verso il cielo, e cercare, e attendere… Quella stella, che per tutti era simile a tante altre, per loro era un segnale.
I cercatori di Dio sanno cogliere i segnali - anche quando sono semplici – proprio perché sanno cercare e attendere con ansia, con passione. I segnali però non sono mai così inequivocabili e chiari da non lasciare alcun dubbio. E se ingannassero? E se non fosse così importante quel segnale? Attesa, ricerca e dubbio, fanno parte di ogni cammino di fede, che perciò conosce anche la fatica, il venir meno della fiducia, della speranza… Nessun vero cammino di fede è mai un’escursione spensierata all’insegna dell’euforia.
Al loro arrivo a Gerusalemme, sembra che anche quel segnale sia scomparso: non lo vedono più. Questo può significare che sono arrivati alla mèta, ma dov’è esattamente Colui che cercano? L’unica è chiedere, informarsi, domandare… Sì, la vera ricerca di Dio è fatta anche di questo: di dialogo, di confronto, di andirivieni di domande e risposte. Nella ricerca di Dio non si può prescindere dalle persone, dagli altri, dal cosiddetto “prossimo”. Come non si può prescindere dalle Sacre Scritture: la Bibbia, i Vangeli soprattutto, sono un passaggio obbligato se si vuol arrivare a Gesù. Oggi come oggi, sia il prossimo sia la Parola delle Scritture non sono riferimenti sempre apprezzati nel cammino di ricerca di Dio; ci sono tanti maestri oggi, non tutti sono degni di fiducia: certi cristiani si affidano agli scritti e alla guida di maestri poco docili allo Spirito Santo e più preoccupati di diffondere le loro opinioni personali: allora capita che questi cristiani approdano non a una fede vera, solida, robusta, ma a una religione tipo “fai da te”… sul cui valore ed efficacia c’è molto da dubitare. No, per arrivare a Gesù, il Salvatore, non si può far a meno di passare per il prossimo, né si può ignorare la Parola della Bibbia, dei Vangeli.
I Magi l’hanno sperimentato. Solo dopo aver domandato alla gente e aver consultato la Parola di Dio tornano a vedere quella stella; è allora che si dirigono con sicurezza a Betlemme e trovano Gesù.
Ma è proprio lui che cercavano? E avrebbero fatto tutto quel viaggio, faticoso e costellato d’incertezza, solo per vedere un bambino adagiato dentro la mangiatoia d’una stalla? Dalla stella… a una stalla: non è che si sono sbagliati? Non è che han preso la più grossa cantonata della loro vita? No: provarono una gioia grandissima – dice il vangelo – si prostrarono e lo adorarono.
Altri al posto loro forse se ne sarebbero andati sbattendo la porta. Ma loro no: dopo aver seguito a lungo quella stella, pur simile a tante altre, dopo aver domandato e aver ascoltato la Parola delle Scritture, c’era la luce di Dio nei loro sguardi: erano in grado di riconoscere in quel bambino Colui che da tanto avevano atteso e cercato. Dio offre segnali semplici a chi lo cerca, tanto semplici e poveri che la ricerca va di pari passo col dubbio. Ma non imbroglia mai Dio. Egli è sempre di parola. Ora il proverbio “chi cerca trova” vale soprattutto per chi cerca Dio con ansia e con passione.
Per un’altra strada poi i Magi fecero ritorno al loro paese. Finiva così il vangelo. Forse non è da cercare sulle carte geografiche quest’altra strada. Quando la Bibbia parla di strada, di via, di sentiero… molto spesso si riferisce alla vita. I cercatori di Dio, i veri credenti, lo incontrano per poi tornare alla vita, la loro vita. E siccome Dio non lo si incontra mai per niente, è proprio la vita a cambiare, diventa un’altra strada: altro sapore, altri orizzonti, altri valori che attraggono e fanno camminare. Se la nostra ricerca è sincera, appassionata, Dio non lo incontriamo mai per niente.
L’ultimo dei nostri auguri, allora, al termine di questo tempo di Natale è che anche la nostra strada possa essere “altra”, diversa. Non aspettatevi però cambiamenti clamorosi o spettacolari, fratelli. La grazia di Dio agisce in modo silenzioso, impercettibile.
A noi compete di cercare sempre Dio, di incontrarlo ogni volta che ci è possibile: a cambiare la nostra vita allora ci pensa lui. Con i suoi ritmi, i suoi modi e i suoi tempi.
Le letture bibliche: Isaia 60,1-6; Efesini 3,2-3a.5-6; Matteo 2,1-12
I Magi.
Noi guardiamo a questi personaggi come a delle figure esotiche; i pittori e gli artigiani dei presepi li hanno rivestiti delle fogge più strane; la tradizione ha dato loro addirittura dei nomi, mentre in realtà il vangelo non dice nulla al riguardo… Non dice nemmeno quanti fossero…
Questa imprecisione, questo anonimato, ha un obiettivo, uno scopo: non hanno né numero né nomi perché questi personaggi rappresentano semplicemente i credenti, anzi, più esattamente quei tali per i quali l’essere credenti non è un fiore all’occhiello di cui si può anche far senza, ma un’esigenza viva e appassionata che non si smorza mai…
E in questo senso io penso che dovremmo liberare un po’ i Magi da tutti quegli abbigliamenti fin troppo esotici che hanno solo l’effetto di trasformarli in personaggi quasi da favola, lontani dalla nostra esperienza di vita. Ho detto che rappresentano i veri credenti, appassionati e sempre inquieti… forse è più esatto dire che rappresentano i veri cercatori di Dio, perché se per caso pensassimo che essere credenti significa aver trovato Dio e non cercarlo più, beh… non sarebbe più fede la nostra; sarebbe una religiosità senz’anima, fatta di sole abitudini, ma non Fede: la Fede è tutt’altra cosa.
Ve li immaginate questi tali che scrutano il cielo, notte dopo notte? Perché lo fanno? Da astronomi? Hanno l’hobby di osservare le costellazioni? No, prima di questo c’era qualcos’altro che li portava a scrutare il cielo: un’attesa ardente, perfino ansiosa, di qualcosa o di qualcuno che non vedevano l’ora d’incontrare.
E quella stella (che sui nostri presepi è una cometa dalla coda così lunga da attraversare tutto il cielo), in realtà doveva essere una stella come tante altre e nulla più (altrimenti avrebbe messo in agitazione popolazioni intere e sarebbe stato il caos…). No, una stella normale – nuova, sì – ma simile a tante altre: loro però l’hanno notata, tutti gli altri non l’hanno vista. Perché? Forse perché a loro non bastava la terra, sapevano sollevare lo sguardo verso il cielo, e cercare, e attendere… Quella stella, che per tutti era simile a tante altre, per loro era un segnale.
I cercatori di Dio sanno cogliere i segnali - anche quando sono semplici – proprio perché sanno cercare e attendere con ansia, con passione. I segnali però non sono mai così inequivocabili e chiari da non lasciare alcun dubbio. E se ingannassero? E se non fosse così importante quel segnale? Attesa, ricerca e dubbio, fanno parte di ogni cammino di fede, che perciò conosce anche la fatica, il venir meno della fiducia, della speranza… Nessun vero cammino di fede è mai un’escursione spensierata all’insegna dell’euforia.
Al loro arrivo a Gerusalemme, sembra che anche quel segnale sia scomparso: non lo vedono più. Questo può significare che sono arrivati alla mèta, ma dov’è esattamente Colui che cercano? L’unica è chiedere, informarsi, domandare… Sì, la vera ricerca di Dio è fatta anche di questo: di dialogo, di confronto, di andirivieni di domande e risposte. Nella ricerca di Dio non si può prescindere dalle persone, dagli altri, dal cosiddetto “prossimo”. Come non si può prescindere dalle Sacre Scritture: la Bibbia, i Vangeli soprattutto, sono un passaggio obbligato se si vuol arrivare a Gesù. Oggi come oggi, sia il prossimo sia la Parola delle Scritture non sono riferimenti sempre apprezzati nel cammino di ricerca di Dio; ci sono tanti maestri oggi, non tutti sono degni di fiducia: certi cristiani si affidano agli scritti e alla guida di maestri poco docili allo Spirito Santo e più preoccupati di diffondere le loro opinioni personali: allora capita che questi cristiani approdano non a una fede vera, solida, robusta, ma a una religione tipo “fai da te”… sul cui valore ed efficacia c’è molto da dubitare. No, per arrivare a Gesù, il Salvatore, non si può far a meno di passare per il prossimo, né si può ignorare la Parola della Bibbia, dei Vangeli.
I Magi l’hanno sperimentato. Solo dopo aver domandato alla gente e aver consultato la Parola di Dio tornano a vedere quella stella; è allora che si dirigono con sicurezza a Betlemme e trovano Gesù.
Ma è proprio lui che cercavano? E avrebbero fatto tutto quel viaggio, faticoso e costellato d’incertezza, solo per vedere un bambino adagiato dentro la mangiatoia d’una stalla? Dalla stella… a una stalla: non è che si sono sbagliati? Non è che han preso la più grossa cantonata della loro vita? No: provarono una gioia grandissima – dice il vangelo – si prostrarono e lo adorarono.
Altri al posto loro forse se ne sarebbero andati sbattendo la porta. Ma loro no: dopo aver seguito a lungo quella stella, pur simile a tante altre, dopo aver domandato e aver ascoltato la Parola delle Scritture, c’era la luce di Dio nei loro sguardi: erano in grado di riconoscere in quel bambino Colui che da tanto avevano atteso e cercato. Dio offre segnali semplici a chi lo cerca, tanto semplici e poveri che la ricerca va di pari passo col dubbio. Ma non imbroglia mai Dio. Egli è sempre di parola. Ora il proverbio “chi cerca trova” vale soprattutto per chi cerca Dio con ansia e con passione.
Per un’altra strada poi i Magi fecero ritorno al loro paese. Finiva così il vangelo. Forse non è da cercare sulle carte geografiche quest’altra strada. Quando la Bibbia parla di strada, di via, di sentiero… molto spesso si riferisce alla vita. I cercatori di Dio, i veri credenti, lo incontrano per poi tornare alla vita, la loro vita. E siccome Dio non lo si incontra mai per niente, è proprio la vita a cambiare, diventa un’altra strada: altro sapore, altri orizzonti, altri valori che attraggono e fanno camminare. Se la nostra ricerca è sincera, appassionata, Dio non lo incontriamo mai per niente.
L’ultimo dei nostri auguri, allora, al termine di questo tempo di Natale è che anche la nostra strada possa essere “altra”, diversa. Non aspettatevi però cambiamenti clamorosi o spettacolari, fratelli. La grazia di Dio agisce in modo silenzioso, impercettibile.
A noi compete di cercare sempre Dio, di incontrarlo ogni volta che ci è possibile: a cambiare la nostra vita allora ci pensa lui. Con i suoi ritmi, i suoi modi e i suoi tempi.
PREGHIERA
(ripresa da Servizio della Parola, Ed. Queriniana, e adattata all'Omelia che precede)
Signore Gesù,
se anche noi sappiamo sollevare lo sguardo dalle occupazioni quotidiane
e scrutare il cielo alla ricerca di un indizio, di un segno,
prima o poi ci imbatteremo in una stella più luminosa delle altre.
Se anche noi siamo pronti ad abbandonare il nostro guscio,
per affrontare la strada che porta a te,
il cammino impervio di tutti i cercatori di Dio,
tu non lascerai senza risposta l'attesa ardente del nostro cuore.
Se anche noi
ci portiamo dentro l'interrogativo più audace di tutta la vita,
e abbiamo il coraggio di dar voce al desiderio bruciante dell'anima,
non mancheremo di trovare una risposta che ci guida all'incontro con te.
Se anche noi
apriremo il sacro Libro con animo docile,
per intendere la tua Parola e seguire le tue tracce,
allora arriveremo finalmente al luogo dell'incontro,
là dove tu ti rivèli, non nello sfarzo di un re,
ma nella povertà e nella semplicità di un Dio fatto uomo per amore.
Signore,
dona anche a noi l’ansia di cercarti nel cammino della vita
e la gioia immensa di trovarti.
Amen
(ripresa da Servizio della Parola, Ed. Queriniana, e adattata all'Omelia che precede)
Signore Gesù,
se anche noi sappiamo sollevare lo sguardo dalle occupazioni quotidiane
e scrutare il cielo alla ricerca di un indizio, di un segno,
prima o poi ci imbatteremo in una stella più luminosa delle altre.
Se anche noi siamo pronti ad abbandonare il nostro guscio,
per affrontare la strada che porta a te,
il cammino impervio di tutti i cercatori di Dio,
tu non lascerai senza risposta l'attesa ardente del nostro cuore.
Se anche noi
ci portiamo dentro l'interrogativo più audace di tutta la vita,
e abbiamo il coraggio di dar voce al desiderio bruciante dell'anima,
non mancheremo di trovare una risposta che ci guida all'incontro con te.
Se anche noi
apriremo il sacro Libro con animo docile,
per intendere la tua Parola e seguire le tue tracce,
allora arriveremo finalmente al luogo dell'incontro,
là dove tu ti rivèli, non nello sfarzo di un re,
ma nella povertà e nella semplicità di un Dio fatto uomo per amore.
Signore,
dona anche a noi l’ansia di cercarti nel cammino della vita
e la gioia immensa di trovarti.
Amen
LUNEDI' 1 Gennaio 2024 - Santa Maria, Madre di Dio
Le letture bibliche: Numeri 6,22-27; Galati 4,4-7; Luca 2,16-21
"A otto giorni dalla nascita...gli fu messo nome Gesù…”.
E’ un nome che vuol dire “Dio è qui e ci salva”. Mi pare che sia di buon auspicio cominciare un nuovo anno sapendo che “Dio è qui e ci salva”, con la certezza cioè che in questo cammino che è la vita – qualsiasi cosa accada – Dio è qui e ci salva … Capodanno per noi coincide con l’Ottava del Natale: è l’ottavo giorno di questa solennità che dura appunto 8 giorni. Ecco perché ancora una volta abbiamo risentito il vangelo del presepio: proprio oggi, giorno di Capodanno. E’ come dire che all’inizio di questo nuovo tratto di strada che è un anno nuovo, anche Gesù inizia la sua missione: stare con noi come “Dio che ci salva”, “Gesù” appunto.
Non è necessario essere nè astrologi né maghi per prevedere che nel corso di quest’anno per alcuni le cose andranno abbastanza lisce, mentre per altri ci sarà qualche intoppo, qualche ostacolo, qualche prova. Ma, in fin dei conti, cos’è che è più importante alla partenza, fratelli: sapere per filo e per segno come sarà il cammino, o avere la garanzia che non siamo affatto soli perché Gesù – il Dio che ci salva - è con noi?
E’ questione di dignità, in fondo (non lo diciamo spesso?). Anche nel modo con cui si affronta un viaggio – qual è un anno nuovo - è questione di dignità: e in cosa consiste la nostra dignità? “Dio ha mandato il suo Figlio perché noi tutti diventassimo figli suoi; e la prova che lo siamo per davvero è lo Spirito che riempie i nostri cuori: il suo Spirito!”. Lo scriveva Paolo ai cristiani della Galazia, ma oggi le abbiamo sentire risuonare come parole di Dio per tutti i cristiani come noi, che hanno bisogno di rinfrescarsi la memoria su chi sono, sulla loro dignità, appunto: “figli di Dio” siamo, non marionette sospese ad un filo e manovrate da chissà quale enigmatico burattinaio… E tanto meno pedine condizionate dagli influssi di qualche strana costellazione: no, “figli di Dio”. E’ lui che ci fa vivere: per amore!
Partecipare all’Eucaristia a capodanno consente di ricevere gli auguri nientemeno che da Dio stesso, è come garantirsi il sole anche nei giorni di nuvolo… Non era proprio questo che ci annunciava la prima lettura poco fa’? “Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia… Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Ecco, fratelli, voi oggi siete venuti qui all’Eucaristia per permettere al Signore di far splendere il suo volto su di voi, e ve ne andrete di qui con il volto e il cuore illuminati dallo splendore di Dio: quale altro auspicio ci può essere più bello di questo?
“Il Signore ti conceda pace” ci è stato detto. Il primo effetto dello splendore del volto di Dio su di noi è la pace. Non per nulla il 1° Gennaio è da anni ormai la Giornata Mondiale della Pace…
A questo riguardo, già nel suo messaggio il giorno di Natale Papa Francesco ha adoperato parole forti; la Liturgia di quel giorno salutava Gesù bambino a Betlemme quale “Principe della Pace”. Ed ecco le parole del Papa: “Noi diciamo “sì” al Principe della pace e “no” alla guerra, e questo con coraggio: “no” alla guerra significa “no” a ogni guerra, alla logica stessa della guerra: viaggio senza meta, sconfitta senza vincitori, follia senza scuse, perché questo è la guerra. Ma per dire “no” alla guerra bisogna dire “no” alle armi. Perché, se l’uomo, il cui cuore è instabile e ferito, si trova strumenti di morte tra le mani, prima o poi li userà. E come si può parlare di pace se aumentano la produzione, la vendita e il commercio delle armi? Oggi, come al tempo di Erode, le trame del male, che si oppongono alla luce divina, si muovono nell’ombra dell’ipocrisia e del nascondimento: quante stragi armate avvengono in un silenzio assordante, all’insaputa di tanti! La gente, che non vuole armi ma pane, che fatica ad andare avanti e chiede pace, ignora quanti soldi pubblici sono destinati agli armamenti. Eppure dovrebbe saperlo! Se ne parli, se ne scriva, perché si sappiano gli interessi e i guadagni che muovono i fili delle guerre.”
“Se ne parli, se ne scriva…” sembra di sentirle gridate queste parole di Papa Francesco… nel silenzio assordante di tutti i mezzi di comunicazione (giornali e reti televisive) che invece – sostenuti e manovrati da potenti lobbyes finanziarie che poco o tanto hanno a che fare con il commercio delle armi - si guardano bene dal toccare questo argomento.
Per questa Giornata del I° Gennaio il messaggio rivolto dal Papa al mondo tratta un argomento particolare che a tanti di noi può sembrare strano o enigmatico: Intelligenza artificiale e pace. Di cosa si tratta? Per dirla in parole povere l’intelligenza artificiale è quel settore della scienza che studia, progetta, costruisce sistemi o strumenti capaci di fare tutto ciò che è tipico della persona umana: ragionare, inventare, agire, realizzare… Ne sono un piccolo esempio i droni di combattimento – quegli strani oggetti che solcano i cieli dell’Ucraina e lanciano ordigni micidiali su paesi e città… E’ ovvio che se l’intelligenza artificiale dovesse essere manovrata dai potenti a loro esclusivo vantaggio, il futuro dell’umanità sarebbe disastroso per moltitudini di persone. Papa Francesco mette in guardia da questo e ricorda a tutti il primato della persona umana su tutto il resto, anche sull’intelligenza artificiale.
E noi cosa possiamo fare? Non vi sembri banale la risposta, fratelli: noi possiamo imparare dall’esempio di Maria, non per niente la Giornata Mondiale della Pace coincide con la Festa della Madonna quale Madre di Dio. “Maria, da parte sua, serbava tutto nel suo cuore e ci rifletteva…”, così ci diceva poco fa’ il vangelo di Luca. Prendiamoci il disturbo di fare così anche noi, spesso, direi addirittura ogni giorno se possibile: guardiamoci dal fare come certi ciarlatani che nel teatrino della politica le sparano grosse oggi… per poi rimangiarsele domani…
Siamo cauti, anzi, critici direi: in che senso? Valutando tutto con attenzione prima di parlare; quanto più sono complesse le situazioni, i fenomeni, tanto più prendiamoci il disturbo di approfondire e conoscere prima di esprimere le nostre opinioni. Maria, la Madonna alla quale rivolgiamo volentieri le nostre preghiere e i nostri canti, ricordiamo che è anche nostra madre e in quando madre sa educare i suoi figli: a serbare tutto nel cuore, a valutare tutto alla luce del Vangelo, e dopo – soltanto dopo - prendere posizione e parlare, con audacia e coraggio se necessario.
Questo è comportarsi da operatori di pace.
Le letture bibliche: Numeri 6,22-27; Galati 4,4-7; Luca 2,16-21
"A otto giorni dalla nascita...gli fu messo nome Gesù…”.
E’ un nome che vuol dire “Dio è qui e ci salva”. Mi pare che sia di buon auspicio cominciare un nuovo anno sapendo che “Dio è qui e ci salva”, con la certezza cioè che in questo cammino che è la vita – qualsiasi cosa accada – Dio è qui e ci salva … Capodanno per noi coincide con l’Ottava del Natale: è l’ottavo giorno di questa solennità che dura appunto 8 giorni. Ecco perché ancora una volta abbiamo risentito il vangelo del presepio: proprio oggi, giorno di Capodanno. E’ come dire che all’inizio di questo nuovo tratto di strada che è un anno nuovo, anche Gesù inizia la sua missione: stare con noi come “Dio che ci salva”, “Gesù” appunto.
Non è necessario essere nè astrologi né maghi per prevedere che nel corso di quest’anno per alcuni le cose andranno abbastanza lisce, mentre per altri ci sarà qualche intoppo, qualche ostacolo, qualche prova. Ma, in fin dei conti, cos’è che è più importante alla partenza, fratelli: sapere per filo e per segno come sarà il cammino, o avere la garanzia che non siamo affatto soli perché Gesù – il Dio che ci salva - è con noi?
E’ questione di dignità, in fondo (non lo diciamo spesso?). Anche nel modo con cui si affronta un viaggio – qual è un anno nuovo - è questione di dignità: e in cosa consiste la nostra dignità? “Dio ha mandato il suo Figlio perché noi tutti diventassimo figli suoi; e la prova che lo siamo per davvero è lo Spirito che riempie i nostri cuori: il suo Spirito!”. Lo scriveva Paolo ai cristiani della Galazia, ma oggi le abbiamo sentire risuonare come parole di Dio per tutti i cristiani come noi, che hanno bisogno di rinfrescarsi la memoria su chi sono, sulla loro dignità, appunto: “figli di Dio” siamo, non marionette sospese ad un filo e manovrate da chissà quale enigmatico burattinaio… E tanto meno pedine condizionate dagli influssi di qualche strana costellazione: no, “figli di Dio”. E’ lui che ci fa vivere: per amore!
Partecipare all’Eucaristia a capodanno consente di ricevere gli auguri nientemeno che da Dio stesso, è come garantirsi il sole anche nei giorni di nuvolo… Non era proprio questo che ci annunciava la prima lettura poco fa’? “Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia… Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Ecco, fratelli, voi oggi siete venuti qui all’Eucaristia per permettere al Signore di far splendere il suo volto su di voi, e ve ne andrete di qui con il volto e il cuore illuminati dallo splendore di Dio: quale altro auspicio ci può essere più bello di questo?
“Il Signore ti conceda pace” ci è stato detto. Il primo effetto dello splendore del volto di Dio su di noi è la pace. Non per nulla il 1° Gennaio è da anni ormai la Giornata Mondiale della Pace…
A questo riguardo, già nel suo messaggio il giorno di Natale Papa Francesco ha adoperato parole forti; la Liturgia di quel giorno salutava Gesù bambino a Betlemme quale “Principe della Pace”. Ed ecco le parole del Papa: “Noi diciamo “sì” al Principe della pace e “no” alla guerra, e questo con coraggio: “no” alla guerra significa “no” a ogni guerra, alla logica stessa della guerra: viaggio senza meta, sconfitta senza vincitori, follia senza scuse, perché questo è la guerra. Ma per dire “no” alla guerra bisogna dire “no” alle armi. Perché, se l’uomo, il cui cuore è instabile e ferito, si trova strumenti di morte tra le mani, prima o poi li userà. E come si può parlare di pace se aumentano la produzione, la vendita e il commercio delle armi? Oggi, come al tempo di Erode, le trame del male, che si oppongono alla luce divina, si muovono nell’ombra dell’ipocrisia e del nascondimento: quante stragi armate avvengono in un silenzio assordante, all’insaputa di tanti! La gente, che non vuole armi ma pane, che fatica ad andare avanti e chiede pace, ignora quanti soldi pubblici sono destinati agli armamenti. Eppure dovrebbe saperlo! Se ne parli, se ne scriva, perché si sappiano gli interessi e i guadagni che muovono i fili delle guerre.”
“Se ne parli, se ne scriva…” sembra di sentirle gridate queste parole di Papa Francesco… nel silenzio assordante di tutti i mezzi di comunicazione (giornali e reti televisive) che invece – sostenuti e manovrati da potenti lobbyes finanziarie che poco o tanto hanno a che fare con il commercio delle armi - si guardano bene dal toccare questo argomento.
Per questa Giornata del I° Gennaio il messaggio rivolto dal Papa al mondo tratta un argomento particolare che a tanti di noi può sembrare strano o enigmatico: Intelligenza artificiale e pace. Di cosa si tratta? Per dirla in parole povere l’intelligenza artificiale è quel settore della scienza che studia, progetta, costruisce sistemi o strumenti capaci di fare tutto ciò che è tipico della persona umana: ragionare, inventare, agire, realizzare… Ne sono un piccolo esempio i droni di combattimento – quegli strani oggetti che solcano i cieli dell’Ucraina e lanciano ordigni micidiali su paesi e città… E’ ovvio che se l’intelligenza artificiale dovesse essere manovrata dai potenti a loro esclusivo vantaggio, il futuro dell’umanità sarebbe disastroso per moltitudini di persone. Papa Francesco mette in guardia da questo e ricorda a tutti il primato della persona umana su tutto il resto, anche sull’intelligenza artificiale.
E noi cosa possiamo fare? Non vi sembri banale la risposta, fratelli: noi possiamo imparare dall’esempio di Maria, non per niente la Giornata Mondiale della Pace coincide con la Festa della Madonna quale Madre di Dio. “Maria, da parte sua, serbava tutto nel suo cuore e ci rifletteva…”, così ci diceva poco fa’ il vangelo di Luca. Prendiamoci il disturbo di fare così anche noi, spesso, direi addirittura ogni giorno se possibile: guardiamoci dal fare come certi ciarlatani che nel teatrino della politica le sparano grosse oggi… per poi rimangiarsele domani…
Siamo cauti, anzi, critici direi: in che senso? Valutando tutto con attenzione prima di parlare; quanto più sono complesse le situazioni, i fenomeni, tanto più prendiamoci il disturbo di approfondire e conoscere prima di esprimere le nostre opinioni. Maria, la Madonna alla quale rivolgiamo volentieri le nostre preghiere e i nostri canti, ricordiamo che è anche nostra madre e in quando madre sa educare i suoi figli: a serbare tutto nel cuore, a valutare tutto alla luce del Vangelo, e dopo – soltanto dopo - prendere posizione e parlare, con audacia e coraggio se necessario.
Questo è comportarsi da operatori di pace.
Domenica 31 Dicembre - Santa Famiglia di Nazaret
Le letture bibliche: Genesi 15,1-6;21,1-3; Lettera agli Ebrei 11,8.11-12.17-19; Luca2,22-40
Omelia alla Messa del giorno
Le persone a questo mondo si distinguono per tante cose. Un motivo di distinzione ha a che vedere con la religione: ci sono persone religiose e ce ne sono altre – donne e uomini – che non hanno nessuna religione… Almeno così dicono.
Io penso tuttavia che – religione o no – è difficile trovare una persona che non abbia alcuna esperienza di “fede”, che non sappia cosa vuol dire “credere in qualcuno”. Oh, non è detto che questo qualcuno sia senz’altro Dio (allora sarebbero tutti credenti, e invece sappiamo che non è affatto così)… La prima esperienza di fede che tutti fanno riguarda le persone care che si hanno vicino: due innamorati – anche se fossero atei – non possono far a meno di credere uno nell’altro… altrimenti durerebbe molto poco il loro amore. Due sposi sanno per esperienza cosa vuol dire “fede”, non solo perché è il nome dell’anello che portano al dito, ma soprattutto perché la loro vita di coppia è cominciata con un atto di fede di uno verso l’altro: quell’atto di fede ha preso il nome di “matrimonio”. Forse che prima di donarsi l’uno all’altro per tutta la vita sanno per filo e per segno come sarà il loro futuro? Ma figuriamoci… Niente sanno: proprio per questo è un atto di fede la loro decisione di sposarsi. Per cui, quando sento dire da qualcuno: “Fortunati quelli che hanno la fede… io purtroppo non ce l’ho!” – ecco, non dò molto credito a questa affermazione; mi verrebbe da dirgli: No, non è vero… Se solo hai degli amici, delle persone care, una soprattutto alla quale hai legato la tua vita: anche tu sai cosa vuol dire “credere”.
Credere, in fondo, è come respirare. Per respirare noi abbiamo due polmoni e di solito li adoperiamo tutti e due. Credere nelle persone e credere in Dio, è un po’ come respirare con due polmoni. Chi rifiuta fiducia alle persone oppure a Dio, è come chi respira con un polmone solo. Non tocca a noi giudicare se è colpa sua se l’altro polmone non funziona, oppure se è dovuto a ragioni che non dipendono da lui… ma resta il fatto che poter credere in Dio, e anche nella persona alla quale si è legata la propria vita, è respirare in libertà e pienezza.
Come Abramo, il padre di tutti i credenti della terra: ci parlava di lui la prima lettura di oggi. Dio ha un progetto buono su questo mondo, ma non vuole realizzarlo da solo senza la collaborazione degli uomini e delle donne. Abramo è il primo che accetta di entrare in quel progetto. Si fida di Dio, anche se le garanzie sono scarse, anche se non ci vede chiaro... Ma cos’è credere, se non fidarsi lo stesso? Neanche Maria e Giuseppe vedevano chiaro nel futuro di quel Bambino che si chiama Gesù: al tempio, dove lo hanno portato per offrirlo al Signore, si sentono dire cose che li lasciano perplessi... E si fidano di Dio, nonostante tutto.
Ma c’è un’altra parola che si ripete oggi nelle letture che abbiamo ascoltato; è la parola “offrire”. Abramo offrì a Dio suo figlio Isacco... – abbiamo ascoltato - Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore...Offrire. Credere e offrire: nel senso di fiducia donata e ricambiata, cioè reciproca: non è questa reciprocità che fa nascere una famiglia e la fa camminare? E non è invece il venir meno di questa reciprocità a mandarla in crisi?
Ma questa, fratelli, è anche la nostra esperienza con Dio! Proprio come nella vita di coppia e di famiglia, con Dio succede di dover dire certi sì anche se non sempre si vede tutto chiaro. Gli atteggiamenti che abbiamo verso di Lui nella Fede non sono poi molto diversi da quelli che abbiamo l’uno verso l’altro all’interno delle nostre case, nella vita di ogni giorno... L’Ottava di Natale che continua da Lunedì scorso fino a domani (1° Gennaio), ci conferma che questo Dio è davvero con noi: se non lo vediamo né lo tocchiamo (come ogni altra persona di casa nostra) è solo perché lui è talmente discreto da aspettare che siamo noi ad accorgerci di lui. E la Festa di oggi - la santa Famiglia - ci dice che Dio non solo si è fatto uomo, ma si è fatto famiglia. Perché mai? Perché lui è qui come Salvatore, e probabilmente la salvezza dell’umanità comincia proprio dalla famiglia… Salvezza infatti è possibilità di realizzarsi pienamente come persone: è per renderci possibile questo che Dio si è fatto uomo.
Salvezza vuol dire anche futuro, possibilità di avere un futuro: quanta incertezza oggi sul futuro, nelle famiglie soprattutto! Chi è in grado di garantire che sarà buono il futuro? Garanzie assolute non ce ne sono, per nessuno, ma Dio è stato il futuro di Abramo, il futuro di Maria e di Giuseppe. Certo, in buona parte dipende da noi il futuro, dalle nostre scelte, dagli interessi e dagli ideali che abbiamo in mente: e Gesù è qui per offrirci criteri di scelta autentici, ideali affidabili, che a volte si discostano da quelli di questo mondo (attraenti se si vuole, seducenti, ma poco affidabili). Sì, fratelli: fidarsi di Dio, di Gesù Cristo, vuol dire anche prendere le distanze da certe logiche di questo mondo, vuol dire anche andare controcorrente certe volte, con coraggio e con un po’ di sacrificio: “Questo Bambino - dice oggi il vecchio Simeone mentre ha Gesù tra le braccia - è qui come segno di contraddizione...”. Anche le famiglie oggi hanno bisogno di ideali e di valori affidabili, che spesso sono in contraddizione con quelli della cultura consumista che si respira nella società. “Questo Bambino è qui come segno di contraddizione...”: sarà sempre così per chi crede in lui e vuole costruire la sua famiglia sul sicuro. Se la presenza di Dio tra noi è così umile da passare inosservata, è solo perché tutto ciò che vale veramente non si può mai imporre con la forza.
Ma è nel nostro interesse riconoscere quella sua presenza e dargli giusta considerazione: fiducia data e contraccambiata, anche con lui oltre che con i nostri cari.
Perché la prima condizione per vivere – ricordiamolo - è respirare, e respirare bene: con due polmoni, appunto.
Omelia alla Messa di ringraziamento per la fine d'anno
Capita piuttosto di rado che la Festa della Santa Famiglia coincida con l’ultimo giorno dell’anno. E allora è una provocazione in più per voltarsi indietro e cercare le orme, le tracce di Dio nella nostra vita, e imparare a riconoscerle anche nei giorni che verranno.
Detta così, però, l'affermazione è un po' astratta... e allora prestiamo attenzione alle parole di Dio, che di solito non sono mai parole astratte: trattano sempre della vita, e della vita di persone concrete.
Com’era concreta quella coppia che, in tutta discrezione, si presenta al Tempio per offrire a Dio il suo Bambino: mi riferisco a Maria e Giuseppe e al vangelo che abbiamo appena ascoltato. Sì, hanno cercato le orme di Dio nella loro vita Maria e Giuseppe. Oh, non fu facile individuarle, perchè Dio è sempre molto discreto: soltanto chi lo cerca con passione lo trova. E neanche fu facile seguirle quelle orme; Maria, proprio mentre è lì al tempio col suo bambino in braccio, si sente dire: "...anche a te una spada trafiggerà l'anima". Certo, Dio è il futuro di coloro che gli credono, ma non si realizza quel futuro stando fermi sulle proprie posizioni; occorre disponibilità a muoversi, a cambiare, e questo implica sempre qualche strappo, qualche lacerazione. Anche nelle nostre famiglie, certi bei traguardi non si raggiungono senza qualche sacrificio.
In quest’ultimo giorno dell’anno si susseguono i rèportages, i riassunti di quanto è accaduto in questi 365 giorni… ma in genere sono riassunti da cinepresa.
Io direi: andiamo un po' più in profondità, non accontentiamoci di uno sguardo da cinepresa che registra solo ciò che tutti vedono: ci sono anche nel nostro cammino di quest’anno cose o esperienze che non appaiono con immediatezza… e sono le orme di Dio, le tracce del Signore: sì, ci sono. Nella vita delle nostre famiglie, come nella vita di ciascuno di noi.
Orme che a volte abbiamo seguito, e a volte forse no... eppure Dio non ci ha mai abbandonati perchè Lui, se ha deciso di abitare in mezzo a noi, è fedele fino in fondo alla sua decisione.
Siamo ancora a Natale (dura otto giorni il Natale del Signore) e oggi è la Festa della S.Famiglia; c'è un legame tra queste due realtà... Il Figlio di Dio s'è fatto carne come noi: ma in una famiglia. E allora risentiamo con attenzione queste parole del Concilio Vaticano II: "Il Verbo – cioè il Figlio di Dio – si è fatto carne per essere partecipe della nostra umana convivenza. Santificò le relazioni umane, anzitutto quelle familiari...". Ecco il bel messaggio di questa Festa: c'è qualcosa di divino ormai dentro le nostre famiglie: che lo si sappia o meno, c'è.
Il Figlio di Dio - incarnandosi dentro una famiglia - ha santificato le nostre relazioni: ciò vuol dire che nelle nostre relazioni familiari noi abbiamo a che fare con Dio. Anzi, la prima via per andare a Dio, passa per quelle relazioni. Sapere questo è il presupposto per apprezzare la vita e l’esperienza di famiglia.
Problemi, limiti, debolezze, nessuno ce le toglie: neanche il Verbo che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Ma i problemi, i limiti e le debolezze che sapeva di trovare, non gli hanno impedito di venire in mezzo a noi…
Ecco perché ha senso cercare le orme di Dio nei giorni dell’anno che oggi finisce, ma ha senso anche disporsi a cercarle, e a trovarle, nei giorni dell’anno che verrà, perché ormai rimane vero per sempre: Il Verbo, il Figlio di Dio, si è fatto carne ed è venuto ad abitare stabilmente in mezzo a noi.
Le letture bibliche: Genesi 15,1-6;21,1-3; Lettera agli Ebrei 11,8.11-12.17-19; Luca2,22-40
Omelia alla Messa del giorno
Le persone a questo mondo si distinguono per tante cose. Un motivo di distinzione ha a che vedere con la religione: ci sono persone religiose e ce ne sono altre – donne e uomini – che non hanno nessuna religione… Almeno così dicono.
Io penso tuttavia che – religione o no – è difficile trovare una persona che non abbia alcuna esperienza di “fede”, che non sappia cosa vuol dire “credere in qualcuno”. Oh, non è detto che questo qualcuno sia senz’altro Dio (allora sarebbero tutti credenti, e invece sappiamo che non è affatto così)… La prima esperienza di fede che tutti fanno riguarda le persone care che si hanno vicino: due innamorati – anche se fossero atei – non possono far a meno di credere uno nell’altro… altrimenti durerebbe molto poco il loro amore. Due sposi sanno per esperienza cosa vuol dire “fede”, non solo perché è il nome dell’anello che portano al dito, ma soprattutto perché la loro vita di coppia è cominciata con un atto di fede di uno verso l’altro: quell’atto di fede ha preso il nome di “matrimonio”. Forse che prima di donarsi l’uno all’altro per tutta la vita sanno per filo e per segno come sarà il loro futuro? Ma figuriamoci… Niente sanno: proprio per questo è un atto di fede la loro decisione di sposarsi. Per cui, quando sento dire da qualcuno: “Fortunati quelli che hanno la fede… io purtroppo non ce l’ho!” – ecco, non dò molto credito a questa affermazione; mi verrebbe da dirgli: No, non è vero… Se solo hai degli amici, delle persone care, una soprattutto alla quale hai legato la tua vita: anche tu sai cosa vuol dire “credere”.
Credere, in fondo, è come respirare. Per respirare noi abbiamo due polmoni e di solito li adoperiamo tutti e due. Credere nelle persone e credere in Dio, è un po’ come respirare con due polmoni. Chi rifiuta fiducia alle persone oppure a Dio, è come chi respira con un polmone solo. Non tocca a noi giudicare se è colpa sua se l’altro polmone non funziona, oppure se è dovuto a ragioni che non dipendono da lui… ma resta il fatto che poter credere in Dio, e anche nella persona alla quale si è legata la propria vita, è respirare in libertà e pienezza.
Come Abramo, il padre di tutti i credenti della terra: ci parlava di lui la prima lettura di oggi. Dio ha un progetto buono su questo mondo, ma non vuole realizzarlo da solo senza la collaborazione degli uomini e delle donne. Abramo è il primo che accetta di entrare in quel progetto. Si fida di Dio, anche se le garanzie sono scarse, anche se non ci vede chiaro... Ma cos’è credere, se non fidarsi lo stesso? Neanche Maria e Giuseppe vedevano chiaro nel futuro di quel Bambino che si chiama Gesù: al tempio, dove lo hanno portato per offrirlo al Signore, si sentono dire cose che li lasciano perplessi... E si fidano di Dio, nonostante tutto.
Ma c’è un’altra parola che si ripete oggi nelle letture che abbiamo ascoltato; è la parola “offrire”. Abramo offrì a Dio suo figlio Isacco... – abbiamo ascoltato - Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore...Offrire. Credere e offrire: nel senso di fiducia donata e ricambiata, cioè reciproca: non è questa reciprocità che fa nascere una famiglia e la fa camminare? E non è invece il venir meno di questa reciprocità a mandarla in crisi?
Ma questa, fratelli, è anche la nostra esperienza con Dio! Proprio come nella vita di coppia e di famiglia, con Dio succede di dover dire certi sì anche se non sempre si vede tutto chiaro. Gli atteggiamenti che abbiamo verso di Lui nella Fede non sono poi molto diversi da quelli che abbiamo l’uno verso l’altro all’interno delle nostre case, nella vita di ogni giorno... L’Ottava di Natale che continua da Lunedì scorso fino a domani (1° Gennaio), ci conferma che questo Dio è davvero con noi: se non lo vediamo né lo tocchiamo (come ogni altra persona di casa nostra) è solo perché lui è talmente discreto da aspettare che siamo noi ad accorgerci di lui. E la Festa di oggi - la santa Famiglia - ci dice che Dio non solo si è fatto uomo, ma si è fatto famiglia. Perché mai? Perché lui è qui come Salvatore, e probabilmente la salvezza dell’umanità comincia proprio dalla famiglia… Salvezza infatti è possibilità di realizzarsi pienamente come persone: è per renderci possibile questo che Dio si è fatto uomo.
Salvezza vuol dire anche futuro, possibilità di avere un futuro: quanta incertezza oggi sul futuro, nelle famiglie soprattutto! Chi è in grado di garantire che sarà buono il futuro? Garanzie assolute non ce ne sono, per nessuno, ma Dio è stato il futuro di Abramo, il futuro di Maria e di Giuseppe. Certo, in buona parte dipende da noi il futuro, dalle nostre scelte, dagli interessi e dagli ideali che abbiamo in mente: e Gesù è qui per offrirci criteri di scelta autentici, ideali affidabili, che a volte si discostano da quelli di questo mondo (attraenti se si vuole, seducenti, ma poco affidabili). Sì, fratelli: fidarsi di Dio, di Gesù Cristo, vuol dire anche prendere le distanze da certe logiche di questo mondo, vuol dire anche andare controcorrente certe volte, con coraggio e con un po’ di sacrificio: “Questo Bambino - dice oggi il vecchio Simeone mentre ha Gesù tra le braccia - è qui come segno di contraddizione...”. Anche le famiglie oggi hanno bisogno di ideali e di valori affidabili, che spesso sono in contraddizione con quelli della cultura consumista che si respira nella società. “Questo Bambino è qui come segno di contraddizione...”: sarà sempre così per chi crede in lui e vuole costruire la sua famiglia sul sicuro. Se la presenza di Dio tra noi è così umile da passare inosservata, è solo perché tutto ciò che vale veramente non si può mai imporre con la forza.
Ma è nel nostro interesse riconoscere quella sua presenza e dargli giusta considerazione: fiducia data e contraccambiata, anche con lui oltre che con i nostri cari.
Perché la prima condizione per vivere – ricordiamolo - è respirare, e respirare bene: con due polmoni, appunto.
Omelia alla Messa di ringraziamento per la fine d'anno
Capita piuttosto di rado che la Festa della Santa Famiglia coincida con l’ultimo giorno dell’anno. E allora è una provocazione in più per voltarsi indietro e cercare le orme, le tracce di Dio nella nostra vita, e imparare a riconoscerle anche nei giorni che verranno.
Detta così, però, l'affermazione è un po' astratta... e allora prestiamo attenzione alle parole di Dio, che di solito non sono mai parole astratte: trattano sempre della vita, e della vita di persone concrete.
Com’era concreta quella coppia che, in tutta discrezione, si presenta al Tempio per offrire a Dio il suo Bambino: mi riferisco a Maria e Giuseppe e al vangelo che abbiamo appena ascoltato. Sì, hanno cercato le orme di Dio nella loro vita Maria e Giuseppe. Oh, non fu facile individuarle, perchè Dio è sempre molto discreto: soltanto chi lo cerca con passione lo trova. E neanche fu facile seguirle quelle orme; Maria, proprio mentre è lì al tempio col suo bambino in braccio, si sente dire: "...anche a te una spada trafiggerà l'anima". Certo, Dio è il futuro di coloro che gli credono, ma non si realizza quel futuro stando fermi sulle proprie posizioni; occorre disponibilità a muoversi, a cambiare, e questo implica sempre qualche strappo, qualche lacerazione. Anche nelle nostre famiglie, certi bei traguardi non si raggiungono senza qualche sacrificio.
In quest’ultimo giorno dell’anno si susseguono i rèportages, i riassunti di quanto è accaduto in questi 365 giorni… ma in genere sono riassunti da cinepresa.
Io direi: andiamo un po' più in profondità, non accontentiamoci di uno sguardo da cinepresa che registra solo ciò che tutti vedono: ci sono anche nel nostro cammino di quest’anno cose o esperienze che non appaiono con immediatezza… e sono le orme di Dio, le tracce del Signore: sì, ci sono. Nella vita delle nostre famiglie, come nella vita di ciascuno di noi.
Orme che a volte abbiamo seguito, e a volte forse no... eppure Dio non ci ha mai abbandonati perchè Lui, se ha deciso di abitare in mezzo a noi, è fedele fino in fondo alla sua decisione.
Siamo ancora a Natale (dura otto giorni il Natale del Signore) e oggi è la Festa della S.Famiglia; c'è un legame tra queste due realtà... Il Figlio di Dio s'è fatto carne come noi: ma in una famiglia. E allora risentiamo con attenzione queste parole del Concilio Vaticano II: "Il Verbo – cioè il Figlio di Dio – si è fatto carne per essere partecipe della nostra umana convivenza. Santificò le relazioni umane, anzitutto quelle familiari...". Ecco il bel messaggio di questa Festa: c'è qualcosa di divino ormai dentro le nostre famiglie: che lo si sappia o meno, c'è.
Il Figlio di Dio - incarnandosi dentro una famiglia - ha santificato le nostre relazioni: ciò vuol dire che nelle nostre relazioni familiari noi abbiamo a che fare con Dio. Anzi, la prima via per andare a Dio, passa per quelle relazioni. Sapere questo è il presupposto per apprezzare la vita e l’esperienza di famiglia.
Problemi, limiti, debolezze, nessuno ce le toglie: neanche il Verbo che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Ma i problemi, i limiti e le debolezze che sapeva di trovare, non gli hanno impedito di venire in mezzo a noi…
Ecco perché ha senso cercare le orme di Dio nei giorni dell’anno che oggi finisce, ma ha senso anche disporsi a cercarle, e a trovarle, nei giorni dell’anno che verrà, perché ormai rimane vero per sempre: Il Verbo, il Figlio di Dio, si è fatto carne ed è venuto ad abitare stabilmente in mezzo a noi.
25 Dicembre - NATALE DEL SIGNORE
S.Messa del Giorno
Le letture bibliche: Isaia 52,7-10; Ebrei 1,1-6; Giovanni 1,1-18
Per chi ama la luce invece che l’oscurità, è sempre bello veder sorgere il sole. E, quando sorge, nessuno dice: “è lo stesso di ieri, lo stesso di un anno fa…è sempre quello”. No, è il sole di oggi, è la luce di cui abbiamo bisogno oggi.
Sto già parlando del Natale, di questo Natale, perché anche Natale è così. Vivessimo anche 100 anni, non siamo mai stufi di celebrarlo quando viene. La sua atmosfera, le musiche, il clima di cordialità che prende tutti quanti…non ci permettono mai di dire: “è lo stesso dell’anno scorso, è quello di sempre”.
Ci tocca, insomma, ci tocca nel cuore il Natale del Signore. E sì che le parole che lo raccontano è da 2000 anni che si ripetono, sempre quelle: “il Verbo, cioè il Figlio di Dio, si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Le sentiamo volentieri queste parole, anche se le sappiamo a memoria…(ma anche “Buon giorno” lo sappiamo a memoria, eppure ci fa piacere sentirlo ogni mattina dalle persone che ci vogliono bene). Ci fa piacere sentirci dire che in questo momento della nostra vita (in cui ad alcuni tutto va bene e ad alcuni altri invece no… non va bene affatto) non siamo soli ad affrontare il futuro, ma c’è anche Lui: e sa cosa vuol dire faticare per andare avanti; lo sa perché si è fatto carne, proprio come siamo fatti di carne tutti noi…
Il nuovo millennio, cominciato ormai da più di vent’anni, pensavamo che potesse essere diverso da quello che è passato…(e invece ci accorgiamo che ci siamo portati dietro tante cose vecchie: invidie, presunzioni, violenze, e guerre…). E allora è consolante sapere che l’unica cosa nuova è l’amore di Dio, che non è affatto stufo degli uomini, tant’è vero che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi.
Mi fa piacere sapere che, comunque vadano le cose (a questo mondo, in famiglia, nella mia stessa vita)… comunque vadano le cose, c’è anche Lui che mi fa compagnia: perché da quel suo Natale in poi, Lui è qui non come ospite di passaggio, ma come compagno di viaggio a tutti gli effetti: “è venuto ad abitare in mezzo a noi”.
Ma perché è venuto? E’ solo uno in più che porta via spazio ad altri? Un’altra bocca da sfamare? “Egli è la luce vera, quella che illumina ogni uomo”: ecco chi è. Quante luci a Natale! ogni anno sempre di più…presto non sanno più dove metterle… Ma perché allora si continua a brancolare nel buio? perché tanta gente pensa di andare nella direzione giusta e invece imbocca quella sbagliata? di quante prese in giro siamo vittime, fratelli, in questa cultura di oggi! quanta confusione tra cose che valgono e cose che non valgono una scorza! Perché accade? Perché le luci abbondano per le vie dei paesi, in tutte le vetrine dei negozi, sui poggioli della case…ma dentro la vita delle persone la luce scarseggia! eppure “Egli è la luce vera, quella che illumina ogni uomo”. Quando lo capiremo, fratelli…non dico tutti gli uomini, ma almeno noi che pur ci qualifichiamo come cristiani? Quando sarà che faremo esperienza personale di questa luce dentro la nostra vita?
Ma in fondo è sempre stato così fin dagli inizi. Lo dice con un po’ di amarezza anche il vangelo di Natale che abbiamo sentito poco fa’: “Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”. Tutti dicono di voler fare Natale, tutti han visto quella Luce, ma vederla è un conto, accoglierla dentro la propria vita, lasciare che la illumini tutta, è un altro conto.
Natale, vedete, ha sempre un aspetto anche drammatico. Certuni pensano al Natale come al Festival delle “Ninne nanne”. No, Natale è un dono che ci fa il Signore Dio; così inaspettato e grande che più grande non poteva farcelo. Lui stesso è questo dono: Lui come compagno che può guidarci nella vita. Ma è qui che subentra l’aspetto drammatico: alcuni accolgono il dono, altri lo guardano, magari si commuovono anche per un istante, ma poi gli voltano le spalle. “Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”. Perché accoglierlo, fratelli, non vuol dire ingoiare ogni tanto un’ostia consacrata alla Comunione: questo l’ha fatto anche Giuda. Accoglierlo vuol dire condividere la mentalità di Gesù, la sua logica, i suoi valori e ideali, che non sono affatto quelli di questo mondo: fare del Vangelo il proprio codice di vita insomma, ecco cosa vuol dire accoglierlo. Eh, questo implica impegno… anche sacrificio. Ecco perché molti, aldilà del Natale, gli voltano le spalle.
Io, fratelli, vorrei che tutti noi fossimo tra quelli che non solo vedono quella Luce, ma l’accolgono per davvero e se ne lasciano illuminare. Vorrei che tutti noi fossimo abbastanza umili da riconoscere che proprio nella vita di ogni giorno non ci vediamo abbastanza: sia quando si tratta di prendere decisioni, di esprimere opinioni, sia quando si tratta di valutare le persone e le cose: non ci vediamo abbastanza. Abbiamo bisogno di quella Luce: bisogno di farle più spazio, di metterla sul serio davanti a noi perché ci illumini la strada, cioè la vita.
Ed è anche il mio augurio questo. Ci tengo così tanto che si realizzi, che vi invito a trasformarlo in preghiera in questa Eucaristia.
Lasciamo che la Luce – il Verbo di Dio, fatto carne in mezzo a noi – abiti davvero nella nostra vita.
Non ci accada, mai e poi mai, di rifiutargli accoglienza e metterlo alla porta.
S.Messa della Notte
Le letture bibliche: Isaia 9,1-6; Tito 2,11-14; Luca 2,1-14
Ogni anno che passa, a ogni Natale, pare che i giorni che lo precedono siano sempre più frenetici, più agitati…Ed ecco il momento in cui fermarci finalmente, per sostare e pensare, o meglio: per contemplare…Sì, perché il Natale (se è quello vero) è sempre un evento che suscita stupore, meraviglia, anche perplessità… Si, perché il centro di tutto, il segno che lo caratterizza, è piuttosto modesto, piccolo: «troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». Ecco il motivo dello stupore, della perplessità…
Cosa ci può essere di eccezionale in un bambino appena nato che giace in una mangiatoia? Ci sono bambini – in Iraq, in Siria, in Kurdistan – che nascono sotto una tenda, profughi e fuggiaschi già nel venire alla luce… Cosa ci può essere di straordinario in un bambino appena nato che giace in una mangiatoia? Poco, a dire il vero… è anche per questo che chi ha descritto il fatto non ha dimenticato di metterci una cornice di angeli che cantano e la presenza in cielo di una stella particolare…
Ma forse è ancora sempre per questo che la nostra civiltà ormai post-cristiana ha avvertito il bisogno di creare una sua coreografia, fatta di babbi-natale, di luci fantasmagoriche (che quella notte certo non c’erano), e soprattutto di regali e di tavole imbandite… Perché, se non c’è questo, dove sta l’eccezionale? Natale sarebbe un giorno come gli altri o poco più. E allora cosa c’è da contemplare? Dove sta il motivo dello stupore, della meraviglia?
Fratelli, eccezionale è il fatto che quel bambino è il Figlio di Dio e il suo nome è Emmanuele – Dio con noi.
Ma perché mai avrà scelto di venire tra noi in questo modo, in un luogo tanto povero e insignificante qual è una grotta, una stalla…senza nessun preavviso…e nel bel mezzo di una situazione di emergenza qual era un censimento, durante il quale tutti avevano altro a cui pensare? Dio, se è vero che è grande, non avrebbe dovuto scegliere altre vie, altri modi per fare il suo ingresso in questo mondo? Ecco l’eccezionale: è proprio qui l’aspetto straordinario del Natale.
Dio lascia ai potenti del mondo la soddisfazione di comportarsi da grandi. Lui sceglie la via della piccolezza, del limite, della povertà: ecco dove sta lo straordinario del Natale, e il suo messaggio, la sua lezione per tutti noi… e anche per quelli che verranno dopo di noi.
Facendosi umano, in carne ed ossa come noi, Dio ci insegna a guardare con altri occhi la nostra umanità, i nostri limiti, il realismo delle nostre situazioni di vita, anche i nostri problemi – personali o familiari che siano; ci insegna a guardare, a benedire la nostra finitezza, la nostra precarietà: perché benedirla? Perché è qui che abita Dio, è questa la sua dimora ormai, e se non ce ne siamo ancora accorti, forse è perché non abbiamo ancora preso sul serio il suo Natale, non ci abbiamo ancora creduto veramente. Ma ecco che torna ogni anno anche per questo: prima o poi accadrà che capiremo, non fosse altro per le cantonate che prendiamo… ce ne accorgeremo finalmente. Infatti, da dove vengono l’infelicità, i dissapori, le guerre alla fin fine… non nascono forse dall’incapacità di accogliere i nostri limiti, dalla pretesa assurda di rifiutarli e toccare il cielo con il dito?
Dio ci insegna a toglierci di dosso gli abiti dell’apparenza, della presunzione, e a rivestirci di umiltà. A vivere in umiltà.
E umiltà – scusate se ve lo ricordo - è quella benedetta parola che deriva da humus: terra. Una grotta, una stalla, una greppia… cosa c’è di più terra terra di questo? E’ a questo terra terra che siamo costretti a guardare quando contempliamo un presepio, è a questo livello che siamo provocati a tornare, perché è qui ormai che Dio ha la sua dimora. Fuggendo dal nostro terra terra non incontreremmo Dio e, oltretutto, cadremmo in molte illusioni.
“E’ nato per voi un Salvatore”. Qualcuno potrebbe chiedersi: che me ne faccio di un Salvatore? Ma forse potremmo chiederlo a lui stesso: Che cosa sei venuto a fare?
Penso ci risponderebbe: Sono venuto perché ne avevate bisogno. Sono qui perché a partire da questa notte nessuno possa dire che la sua vita, la storia di questo mondo, è un camminare al buio. Sono qui come Luce, ma non quella abbagliante che acceca invece che illuminare: no, una fiammella di luce che potete anche rifiutare o spegnere se volete. Ma alla mia luce, tutta la vostra vita può prendere colore, anche i suoi giorni più monotoni possono ravvivarsi, e i tratti meno panoramici possono essere vissuti con dignità.
Sì, fratelli: la Luce vera è venuta nel mondo, tutti coloro che lo desiderano, che lo vogliono, possono lasciarsi illuminare e godere del suo caldo chiarore. Certo, la luce permette di vedere chiaramente ciò che è pulito e ciò che è sporco: il vero sporco noi cristiani lo chiamiamo da sempre “peccato”. Oh, chi fugge da quella luce, per mascherarsi di apparenze e di presunzioni, non lo vedrà mai il suo peccato.
Ma se è vero che Dio è in mezzo a noi, e la vita - la nostra vita - è la sua dimora, allora sì: possiamo lasciarci illuminare da quella luce. E accettarci con tutti i nostri limiti prima ancora che con le nostre virtù.
Quale altro augurio farci allora – da cristiani – se non proprio questo? Che possiamo sperimentare la grazia di sentirci per quello che siamo, cioè si: peccatori. Una grazia, una sensa zione rasserenante, perché allora scopriremo che davvero Dio è in mezzo a noi, umile, non arrogante, venuto non per giudicarci, ma per volerci bene da vicino… e per sempre. Amen
S.Messa del Giorno
Le letture bibliche: Isaia 52,7-10; Ebrei 1,1-6; Giovanni 1,1-18
Per chi ama la luce invece che l’oscurità, è sempre bello veder sorgere il sole. E, quando sorge, nessuno dice: “è lo stesso di ieri, lo stesso di un anno fa…è sempre quello”. No, è il sole di oggi, è la luce di cui abbiamo bisogno oggi.
Sto già parlando del Natale, di questo Natale, perché anche Natale è così. Vivessimo anche 100 anni, non siamo mai stufi di celebrarlo quando viene. La sua atmosfera, le musiche, il clima di cordialità che prende tutti quanti…non ci permettono mai di dire: “è lo stesso dell’anno scorso, è quello di sempre”.
Ci tocca, insomma, ci tocca nel cuore il Natale del Signore. E sì che le parole che lo raccontano è da 2000 anni che si ripetono, sempre quelle: “il Verbo, cioè il Figlio di Dio, si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Le sentiamo volentieri queste parole, anche se le sappiamo a memoria…(ma anche “Buon giorno” lo sappiamo a memoria, eppure ci fa piacere sentirlo ogni mattina dalle persone che ci vogliono bene). Ci fa piacere sentirci dire che in questo momento della nostra vita (in cui ad alcuni tutto va bene e ad alcuni altri invece no… non va bene affatto) non siamo soli ad affrontare il futuro, ma c’è anche Lui: e sa cosa vuol dire faticare per andare avanti; lo sa perché si è fatto carne, proprio come siamo fatti di carne tutti noi…
Il nuovo millennio, cominciato ormai da più di vent’anni, pensavamo che potesse essere diverso da quello che è passato…(e invece ci accorgiamo che ci siamo portati dietro tante cose vecchie: invidie, presunzioni, violenze, e guerre…). E allora è consolante sapere che l’unica cosa nuova è l’amore di Dio, che non è affatto stufo degli uomini, tant’è vero che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi.
Mi fa piacere sapere che, comunque vadano le cose (a questo mondo, in famiglia, nella mia stessa vita)… comunque vadano le cose, c’è anche Lui che mi fa compagnia: perché da quel suo Natale in poi, Lui è qui non come ospite di passaggio, ma come compagno di viaggio a tutti gli effetti: “è venuto ad abitare in mezzo a noi”.
Ma perché è venuto? E’ solo uno in più che porta via spazio ad altri? Un’altra bocca da sfamare? “Egli è la luce vera, quella che illumina ogni uomo”: ecco chi è. Quante luci a Natale! ogni anno sempre di più…presto non sanno più dove metterle… Ma perché allora si continua a brancolare nel buio? perché tanta gente pensa di andare nella direzione giusta e invece imbocca quella sbagliata? di quante prese in giro siamo vittime, fratelli, in questa cultura di oggi! quanta confusione tra cose che valgono e cose che non valgono una scorza! Perché accade? Perché le luci abbondano per le vie dei paesi, in tutte le vetrine dei negozi, sui poggioli della case…ma dentro la vita delle persone la luce scarseggia! eppure “Egli è la luce vera, quella che illumina ogni uomo”. Quando lo capiremo, fratelli…non dico tutti gli uomini, ma almeno noi che pur ci qualifichiamo come cristiani? Quando sarà che faremo esperienza personale di questa luce dentro la nostra vita?
Ma in fondo è sempre stato così fin dagli inizi. Lo dice con un po’ di amarezza anche il vangelo di Natale che abbiamo sentito poco fa’: “Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”. Tutti dicono di voler fare Natale, tutti han visto quella Luce, ma vederla è un conto, accoglierla dentro la propria vita, lasciare che la illumini tutta, è un altro conto.
Natale, vedete, ha sempre un aspetto anche drammatico. Certuni pensano al Natale come al Festival delle “Ninne nanne”. No, Natale è un dono che ci fa il Signore Dio; così inaspettato e grande che più grande non poteva farcelo. Lui stesso è questo dono: Lui come compagno che può guidarci nella vita. Ma è qui che subentra l’aspetto drammatico: alcuni accolgono il dono, altri lo guardano, magari si commuovono anche per un istante, ma poi gli voltano le spalle. “Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”. Perché accoglierlo, fratelli, non vuol dire ingoiare ogni tanto un’ostia consacrata alla Comunione: questo l’ha fatto anche Giuda. Accoglierlo vuol dire condividere la mentalità di Gesù, la sua logica, i suoi valori e ideali, che non sono affatto quelli di questo mondo: fare del Vangelo il proprio codice di vita insomma, ecco cosa vuol dire accoglierlo. Eh, questo implica impegno… anche sacrificio. Ecco perché molti, aldilà del Natale, gli voltano le spalle.
Io, fratelli, vorrei che tutti noi fossimo tra quelli che non solo vedono quella Luce, ma l’accolgono per davvero e se ne lasciano illuminare. Vorrei che tutti noi fossimo abbastanza umili da riconoscere che proprio nella vita di ogni giorno non ci vediamo abbastanza: sia quando si tratta di prendere decisioni, di esprimere opinioni, sia quando si tratta di valutare le persone e le cose: non ci vediamo abbastanza. Abbiamo bisogno di quella Luce: bisogno di farle più spazio, di metterla sul serio davanti a noi perché ci illumini la strada, cioè la vita.
Ed è anche il mio augurio questo. Ci tengo così tanto che si realizzi, che vi invito a trasformarlo in preghiera in questa Eucaristia.
Lasciamo che la Luce – il Verbo di Dio, fatto carne in mezzo a noi – abiti davvero nella nostra vita.
Non ci accada, mai e poi mai, di rifiutargli accoglienza e metterlo alla porta.
S.Messa della Notte
Le letture bibliche: Isaia 9,1-6; Tito 2,11-14; Luca 2,1-14
Ogni anno che passa, a ogni Natale, pare che i giorni che lo precedono siano sempre più frenetici, più agitati…Ed ecco il momento in cui fermarci finalmente, per sostare e pensare, o meglio: per contemplare…Sì, perché il Natale (se è quello vero) è sempre un evento che suscita stupore, meraviglia, anche perplessità… Si, perché il centro di tutto, il segno che lo caratterizza, è piuttosto modesto, piccolo: «troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». Ecco il motivo dello stupore, della perplessità…
Cosa ci può essere di eccezionale in un bambino appena nato che giace in una mangiatoia? Ci sono bambini – in Iraq, in Siria, in Kurdistan – che nascono sotto una tenda, profughi e fuggiaschi già nel venire alla luce… Cosa ci può essere di straordinario in un bambino appena nato che giace in una mangiatoia? Poco, a dire il vero… è anche per questo che chi ha descritto il fatto non ha dimenticato di metterci una cornice di angeli che cantano e la presenza in cielo di una stella particolare…
Ma forse è ancora sempre per questo che la nostra civiltà ormai post-cristiana ha avvertito il bisogno di creare una sua coreografia, fatta di babbi-natale, di luci fantasmagoriche (che quella notte certo non c’erano), e soprattutto di regali e di tavole imbandite… Perché, se non c’è questo, dove sta l’eccezionale? Natale sarebbe un giorno come gli altri o poco più. E allora cosa c’è da contemplare? Dove sta il motivo dello stupore, della meraviglia?
Fratelli, eccezionale è il fatto che quel bambino è il Figlio di Dio e il suo nome è Emmanuele – Dio con noi.
Ma perché mai avrà scelto di venire tra noi in questo modo, in un luogo tanto povero e insignificante qual è una grotta, una stalla…senza nessun preavviso…e nel bel mezzo di una situazione di emergenza qual era un censimento, durante il quale tutti avevano altro a cui pensare? Dio, se è vero che è grande, non avrebbe dovuto scegliere altre vie, altri modi per fare il suo ingresso in questo mondo? Ecco l’eccezionale: è proprio qui l’aspetto straordinario del Natale.
Dio lascia ai potenti del mondo la soddisfazione di comportarsi da grandi. Lui sceglie la via della piccolezza, del limite, della povertà: ecco dove sta lo straordinario del Natale, e il suo messaggio, la sua lezione per tutti noi… e anche per quelli che verranno dopo di noi.
Facendosi umano, in carne ed ossa come noi, Dio ci insegna a guardare con altri occhi la nostra umanità, i nostri limiti, il realismo delle nostre situazioni di vita, anche i nostri problemi – personali o familiari che siano; ci insegna a guardare, a benedire la nostra finitezza, la nostra precarietà: perché benedirla? Perché è qui che abita Dio, è questa la sua dimora ormai, e se non ce ne siamo ancora accorti, forse è perché non abbiamo ancora preso sul serio il suo Natale, non ci abbiamo ancora creduto veramente. Ma ecco che torna ogni anno anche per questo: prima o poi accadrà che capiremo, non fosse altro per le cantonate che prendiamo… ce ne accorgeremo finalmente. Infatti, da dove vengono l’infelicità, i dissapori, le guerre alla fin fine… non nascono forse dall’incapacità di accogliere i nostri limiti, dalla pretesa assurda di rifiutarli e toccare il cielo con il dito?
Dio ci insegna a toglierci di dosso gli abiti dell’apparenza, della presunzione, e a rivestirci di umiltà. A vivere in umiltà.
E umiltà – scusate se ve lo ricordo - è quella benedetta parola che deriva da humus: terra. Una grotta, una stalla, una greppia… cosa c’è di più terra terra di questo? E’ a questo terra terra che siamo costretti a guardare quando contempliamo un presepio, è a questo livello che siamo provocati a tornare, perché è qui ormai che Dio ha la sua dimora. Fuggendo dal nostro terra terra non incontreremmo Dio e, oltretutto, cadremmo in molte illusioni.
“E’ nato per voi un Salvatore”. Qualcuno potrebbe chiedersi: che me ne faccio di un Salvatore? Ma forse potremmo chiederlo a lui stesso: Che cosa sei venuto a fare?
Penso ci risponderebbe: Sono venuto perché ne avevate bisogno. Sono qui perché a partire da questa notte nessuno possa dire che la sua vita, la storia di questo mondo, è un camminare al buio. Sono qui come Luce, ma non quella abbagliante che acceca invece che illuminare: no, una fiammella di luce che potete anche rifiutare o spegnere se volete. Ma alla mia luce, tutta la vostra vita può prendere colore, anche i suoi giorni più monotoni possono ravvivarsi, e i tratti meno panoramici possono essere vissuti con dignità.
Sì, fratelli: la Luce vera è venuta nel mondo, tutti coloro che lo desiderano, che lo vogliono, possono lasciarsi illuminare e godere del suo caldo chiarore. Certo, la luce permette di vedere chiaramente ciò che è pulito e ciò che è sporco: il vero sporco noi cristiani lo chiamiamo da sempre “peccato”. Oh, chi fugge da quella luce, per mascherarsi di apparenze e di presunzioni, non lo vedrà mai il suo peccato.
Ma se è vero che Dio è in mezzo a noi, e la vita - la nostra vita - è la sua dimora, allora sì: possiamo lasciarci illuminare da quella luce. E accettarci con tutti i nostri limiti prima ancora che con le nostre virtù.
Quale altro augurio farci allora – da cristiani – se non proprio questo? Che possiamo sperimentare la grazia di sentirci per quello che siamo, cioè si: peccatori. Una grazia, una sensa zione rasserenante, perché allora scopriremo che davvero Dio è in mezzo a noi, umile, non arrogante, venuto non per giudicarci, ma per volerci bene da vicino… e per sempre. Amen
A V V E N T O
24 Dicembre 2023 - Quarta Domenica
Le Letture Bibliche: 2Samuele 7,1-5.8-12.14.16; Romani 16,25-27; Luca 1,26-38
Dopo giorni nei quali ha regnato una certa agitazione, frenesia, traffico intenso su strade e autostrade… eccoci arrivati alle porte del Natale. Anche quei tali che non hanno ancora confuso il Natale di Gesù con quello dei negozi condividono l’opinione che Natale, siccome viene una volta l’anno e non di più, bisogna pur prepararlo… Cosa facciamo? Cosa faccio quest’anno per Natale? Anche qualcosa di spirituale, di tipicamente religioso è stato fatto: si è pregato, si è fatta qualche particolare celebrazione… perché Natale è una solennità, un evento bello al quale vale la pena prepararsi.
C’è però il pericolo, fratelli, di fare confusione con le parole; com’è che si deve dire? “Prepararsi al Natale” o “preparare il Natale”? Voi direte: questo qui oggi vuol andare per il sottile… Eh no, guardate che non è solo questione di sottigliezze; dietro alle parole ci sono modi di pensare e di fare, che possono essere giusti oppure sbagliati.
“Prepararsi al Natale” vuol dire che il vero buon Natale non dipende da te: è un Dono che viene da fuori e tu puoi solo prepararti a riceverlo (come? beh, Giovanni Battista ce l’ha già detto e ripetuto: “raddrizzate le strade, colmate le valli e abbassate le alture”…). Prepararsi al Natale è predisporsi ad accogliere qualcuno che sarà LUI stesso il centro della Festa: quindi, tutto quello che farai tu non dovrà fare ombra a lui, oscurare la sua centralità, ma semmai renderla ancora più evidente, perchè se è festa – e festa grande – è grazie a Lui, solo grazie a Lui!
“Preparare il Natale” invece rischia di diventare un penoso agitarsi come se il bello della Festa dipendesse anzitutto da noi, da quello che facciamo e che prepariamo noi; come se, quando nasce un bambino, il bello, l’essenziale, fosse nella coreografia (la culla, il fiocco sulla porta di casa, i regali): eh, no! è il bambino che nasce il centro, il bello della festa.
Allora, fratelli, non diciamo più che dobbiamo preparare il Natale, perché il Natale è un dono che ci viene da Dio, è un evento che si può solo ricevere, accogliere… I pacchi-regalo, o i zelten, li potete confezionare con le vostre mani, ma il Dono del Natale no: scende dall’alto come grazia e noi possiamo solo aprire le mani (meglio sarebbe dire: il cuore!) per ricevere quella grazia.
Se c’è un protagonismo nelle feste cristiane (perché il discorso vale anche per la Pasqua, per la Pentecoste) il protagonismo è tutto di Dio: noi siamo i destinatari del dono che Lui ci fa. E se è davvero così, allora le Feste sono belle, si desiderano, vengono e lasciano qualcosa di prezioso nell’intimo delle persone; se invece non è così, allora è inevitabile arrabattarsi, con agitazione e frenesia, nell’illusione che il buon Natale dipenda da noi, perché noi ne siamo i protagonisti, i gestori… Dio sarebbe solo un elemento coreografico che può esserci ma anche non esserci… Nessuna meraviglia che Feste preparate così, comincino già con l’amaro in bocca, e poi all’amaro in bocca segua l’acidità di stomaco e tutto il resto… Non facciamo confusione quindi, fratelli: noi siamo i destinatari della Festa di Dio, non i protagonisti. Protagonista è Lui, e sarà solo a questa condizione che ogni festa è bella.
E’ la Parola stessa del Signore che oggi suona questa musica: io vi ho ripetuto con parole mie e vostre quello che già insieme abbiamo ascoltato dalle letture di questa Liturgia. David, antenato del Messia Gesù, un giorno s’era messo in mente di costruire una casa al Signore, un tempio. Perché pensava: “Io abito in una bella casa e invece il Signore ha soltanto una tenda da beduini: voglio fare una casa al Signore, un tempio più sfarzoso della mia reggia!”. Bel proposito, ma il Signore non d’accordo con questo progetto. Infatti, per mezzo di un profeta, manda a dire: “No, caro il mio David, non sarai tu che edificherai una casa a me, sarò io che costruirò una casa a te, e non un edificio di pietre o cemento, ma una casa di persone, un regno che durerà per sempre… La casa, infatti, è sempre fatta di persone: senza le persone…sono soltanto quattro mura con un soffitto… Sarebbe stato Gesù la vera casa di Davide; lui avrebbe instaurato quel Regno destinato a durare per sempre. Il Tempio di David invece è crollato da un pezzo. Insomma, il Signore è il protagonista nel realizzare la nostra salvezza, non Davide, non noi. Prepararsi al Natale è collaborare con lui, ma nel modo che gradisce lui, non quello che piace a noi.
Ce lo fa capire anche Maria, sua madre: “Tu concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”. Eh, che una donna possa mettere a disposizione tutta se stessa per far nascere una vita nuova non è poco (e non era affatto questione di “utero in affitto” in quel caso: nella cultura di allora non si era ancora caduti così in basso!). E’ chiaro comunque che quella vita non l’ha inventata Maria: lei può solo collaborare con tutta se stessa per accoglierla e, una volta accolta, farla crescere e poi darla alla luce…Quella è vita che viene dall’alto infatti: “Lo Spirito santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo…”. Insomma, anche qui è evidente che se c’è un protagonismo è tutto e solo di Dio. E perché? Forse che Dio ha il prurito, la mania del protagonismo? Sarebbe un Dio arrogante, presuntuoso… un povero Dio alla fin fine. No, è che se Dio ha modo di agire da protagonista, noi possiamo ricevere molto di più di quello che riusciamo a immaginare: infinitamente di più. Se invece a far da protagonisti siamo noi, cosa volete…ognuno dà quello che può, e se c’è anche la presunzione di dare molto, dare tutto, abbiamo comunque tanti limiti… e oltre non si va proprio. E allora subentra la delusione. No, meglio che sia Dio il protagonista, anche di questo Natale che ci apprestiamo a celebrare.
Ricordiamocelo allora, fratelli (se non vogliamo prender cantonate…): non prepariamoci il Natale che piace a noi. Prepariamo noi stessi al Natale che piace a Dio. È lui che ce lo donerà. Solo di quello si potrà dire che sarà un “buon Natale”.
Le Letture Bibliche: 2Samuele 7,1-5.8-12.14.16; Romani 16,25-27; Luca 1,26-38
Dopo giorni nei quali ha regnato una certa agitazione, frenesia, traffico intenso su strade e autostrade… eccoci arrivati alle porte del Natale. Anche quei tali che non hanno ancora confuso il Natale di Gesù con quello dei negozi condividono l’opinione che Natale, siccome viene una volta l’anno e non di più, bisogna pur prepararlo… Cosa facciamo? Cosa faccio quest’anno per Natale? Anche qualcosa di spirituale, di tipicamente religioso è stato fatto: si è pregato, si è fatta qualche particolare celebrazione… perché Natale è una solennità, un evento bello al quale vale la pena prepararsi.
C’è però il pericolo, fratelli, di fare confusione con le parole; com’è che si deve dire? “Prepararsi al Natale” o “preparare il Natale”? Voi direte: questo qui oggi vuol andare per il sottile… Eh no, guardate che non è solo questione di sottigliezze; dietro alle parole ci sono modi di pensare e di fare, che possono essere giusti oppure sbagliati.
“Prepararsi al Natale” vuol dire che il vero buon Natale non dipende da te: è un Dono che viene da fuori e tu puoi solo prepararti a riceverlo (come? beh, Giovanni Battista ce l’ha già detto e ripetuto: “raddrizzate le strade, colmate le valli e abbassate le alture”…). Prepararsi al Natale è predisporsi ad accogliere qualcuno che sarà LUI stesso il centro della Festa: quindi, tutto quello che farai tu non dovrà fare ombra a lui, oscurare la sua centralità, ma semmai renderla ancora più evidente, perchè se è festa – e festa grande – è grazie a Lui, solo grazie a Lui!
“Preparare il Natale” invece rischia di diventare un penoso agitarsi come se il bello della Festa dipendesse anzitutto da noi, da quello che facciamo e che prepariamo noi; come se, quando nasce un bambino, il bello, l’essenziale, fosse nella coreografia (la culla, il fiocco sulla porta di casa, i regali): eh, no! è il bambino che nasce il centro, il bello della festa.
Allora, fratelli, non diciamo più che dobbiamo preparare il Natale, perché il Natale è un dono che ci viene da Dio, è un evento che si può solo ricevere, accogliere… I pacchi-regalo, o i zelten, li potete confezionare con le vostre mani, ma il Dono del Natale no: scende dall’alto come grazia e noi possiamo solo aprire le mani (meglio sarebbe dire: il cuore!) per ricevere quella grazia.
Se c’è un protagonismo nelle feste cristiane (perché il discorso vale anche per la Pasqua, per la Pentecoste) il protagonismo è tutto di Dio: noi siamo i destinatari del dono che Lui ci fa. E se è davvero così, allora le Feste sono belle, si desiderano, vengono e lasciano qualcosa di prezioso nell’intimo delle persone; se invece non è così, allora è inevitabile arrabattarsi, con agitazione e frenesia, nell’illusione che il buon Natale dipenda da noi, perché noi ne siamo i protagonisti, i gestori… Dio sarebbe solo un elemento coreografico che può esserci ma anche non esserci… Nessuna meraviglia che Feste preparate così, comincino già con l’amaro in bocca, e poi all’amaro in bocca segua l’acidità di stomaco e tutto il resto… Non facciamo confusione quindi, fratelli: noi siamo i destinatari della Festa di Dio, non i protagonisti. Protagonista è Lui, e sarà solo a questa condizione che ogni festa è bella.
E’ la Parola stessa del Signore che oggi suona questa musica: io vi ho ripetuto con parole mie e vostre quello che già insieme abbiamo ascoltato dalle letture di questa Liturgia. David, antenato del Messia Gesù, un giorno s’era messo in mente di costruire una casa al Signore, un tempio. Perché pensava: “Io abito in una bella casa e invece il Signore ha soltanto una tenda da beduini: voglio fare una casa al Signore, un tempio più sfarzoso della mia reggia!”. Bel proposito, ma il Signore non d’accordo con questo progetto. Infatti, per mezzo di un profeta, manda a dire: “No, caro il mio David, non sarai tu che edificherai una casa a me, sarò io che costruirò una casa a te, e non un edificio di pietre o cemento, ma una casa di persone, un regno che durerà per sempre… La casa, infatti, è sempre fatta di persone: senza le persone…sono soltanto quattro mura con un soffitto… Sarebbe stato Gesù la vera casa di Davide; lui avrebbe instaurato quel Regno destinato a durare per sempre. Il Tempio di David invece è crollato da un pezzo. Insomma, il Signore è il protagonista nel realizzare la nostra salvezza, non Davide, non noi. Prepararsi al Natale è collaborare con lui, ma nel modo che gradisce lui, non quello che piace a noi.
Ce lo fa capire anche Maria, sua madre: “Tu concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”. Eh, che una donna possa mettere a disposizione tutta se stessa per far nascere una vita nuova non è poco (e non era affatto questione di “utero in affitto” in quel caso: nella cultura di allora non si era ancora caduti così in basso!). E’ chiaro comunque che quella vita non l’ha inventata Maria: lei può solo collaborare con tutta se stessa per accoglierla e, una volta accolta, farla crescere e poi darla alla luce…Quella è vita che viene dall’alto infatti: “Lo Spirito santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo…”. Insomma, anche qui è evidente che se c’è un protagonismo è tutto e solo di Dio. E perché? Forse che Dio ha il prurito, la mania del protagonismo? Sarebbe un Dio arrogante, presuntuoso… un povero Dio alla fin fine. No, è che se Dio ha modo di agire da protagonista, noi possiamo ricevere molto di più di quello che riusciamo a immaginare: infinitamente di più. Se invece a far da protagonisti siamo noi, cosa volete…ognuno dà quello che può, e se c’è anche la presunzione di dare molto, dare tutto, abbiamo comunque tanti limiti… e oltre non si va proprio. E allora subentra la delusione. No, meglio che sia Dio il protagonista, anche di questo Natale che ci apprestiamo a celebrare.
Ricordiamocelo allora, fratelli (se non vogliamo prender cantonate…): non prepariamoci il Natale che piace a noi. Prepariamo noi stessi al Natale che piace a Dio. È lui che ce lo donerà. Solo di quello si potrà dire che sarà un “buon Natale”.
17 Dicembre 2023 - Terza Domenica
Le Letture Bibliche: Isaia 61,1-2.10-11; 1 Tessalonicesi 5,16-24; Giovanni 1,6-8.19-28
Non tutti i giorni sono gli stessi e non tutti tempi sono eguali. L’inverno non è l’estate e la primavera non è l’autunno. Per certe cose, certe stagioni sono più adatte delle altre, certi tempi sono più favorevoli.
Per noi cristiani, l’Avvento e la Quaresima sono tempi particolarmente favorevoli. E sia in Avvento che in Quaresima, a un certo punto si parla di deserto: è lì che Giovanni Battista lancia le sue provocazioni e la gente va ad ascoltarlo. Anche per Gesù è così: la Quaresima comincia col ricordarci ogni anno che lo Spirito condusse Gesù nel deserto.
Sembra proprio che se non c’è deserto, cioè un clima di silenzio, di sobrietà attorno a noi, certe cose importanti non si possano fare: come ascoltare la Parola di Dio, ad esempio; è proprio nel deserto che risuona: con la voce di Giovanni Battista: “Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore…”. Oppure per distinguere ciò che è giusto e importante, da quello che è sbagliato o falso: è per il deserto che occorre passare, è là che Gesù ha fatto questa esperienza.
A una settimana dal Natale, il primo atteggiamento urgente da metetre in atto mi pare questo, fratelli: resistiamo all’assedio! Si’, l’assedio delle esteriorità intendo, cioè quella valanga di cose – tutte esteriori – che hanno l’unico effetto di distrarci da quell’attesa che il Signore ci ha raccomandato con tanta insistenza: “Vegliate – ci ha detto – state attenti: vegliate!”. Cose e distrazioni esteriori ce ne sono tante nei giorni che si avvicinano al Natale…troppe; e se sono troppe… dov’è il deserto? il deserto è assenza di cose superflue, di rumori inutili, ma è presenza dell’unica Parola che non passa mai. E solo se attorno a noi c’è deserto la possiamo sentire. Solo nella libertà dalle cose superflue e dai rumori inutili si può aprire quella strada per la quale davvero viene il Signore! Perciò, resistiamo all’assedio delle troppe esteriorità; salviamo attorno a noi – e in noi stessi soprattutto! - quel clima che ci consente di rimanere svegli e attenti al Signore che viene.
Qualcuno penserà: “Ma si’, quando si avvicina Natale voi preti dite sempre così: il Signore viene!… Ma se è già venuto più di 2000 anni fa… perché continuate a ripetere che viene?”. Ebbene più di 2000 anni fa’ è venuto per la prima volta, ma quello è stato solo l’inizio. Da allora viene sempre il Signore, è la sua specialità, tanto che lui stesso si è dato proprio questo nome: “Io sono colui che viene”. Lo dice a chiare lettere nelle ultime pagine della Bibbia, nel libro dell’Apocalisse: “Io sono colui che viene”.
Viene, nascosto dietro i grandi eventi che accadono a questo mondo (il Vangelo li chiama "segni dei tempi"), dietro le grandi aspirazioni dell’umanità: nell’attesa spasmodica di pace che c’è in non pochi Paesi della terra… nella fame di giustizia, di dignità di tante popolazioni impoverite ed esauste: si, lì c’è il Signore che viene. Ma anche nelle iniziative e nei gesti di solidarietà di tante persone che non si rassegnano all’ingiustizia… anche lì c’è il Signore che viene.
Viene, perché non è dietro di noi nel passato, ma davanti, nel futuro: Egli è Colui che ci viene incontro. Nel futuro di ogni persona, di ogni famiglia, di un bambino che cresce, di un ragazzo che diventa grande…c’è Dio che viene. Cosa viene a fare? Anche oggi ce l’ha detto (prima lettura): viene a portare gioia a chi non sa cos’è la gioia; viene a fasciare piaghe di cuori spezzati (e Lui solo sa quante sono le piaghe di questo mondo, quelle nascoste soprattutto!)…viene a liberare chi è schiavo e prigioniero (si può essere schiavi e prigionieri anche a piede libero! ed è la peggiore prigionia…)…viene carico di misericordia…E non si può che essere contenti di poter credere in un Dio così, un Dio che viene!
“Chi sei tu?” – chiedono a Giovanni Battista nel deserto. Se fosse stato uno che si montava la testa, avrebbe potuto rispondere: Sono il Messia, l’unto del Signore!
No, Giovanni Battista non era uno che si montava la testa. “Allora, chi sei? sei il profeta, quello che precede il Messia?”… Beh, avrebbe potuto dire: “sì, proprio quello” … o almeno: “sono Giovanni, quello che battezza”. E invece si limita a dire: “Io sono voce… tutta la mia vita è voce che grida: Preparate la via del Signore…Dopo di me viene Uno che è infinitamente più grande di me…”.
Ecco, fratelli, in queste parole di Giovanni c’è tutto un programma di vita, ed è un programma che vale per tutti: per me, prete (perché non sono mica io il Signore, sono solo un suo servo: è Lui che salva, non io…).
Vale, questo programma di Giovanni Battista, per ogni persona che ha una qualche responsabilità sugli altri: vale per chi è genitore, o nonno; vale per chiunque abita in una casa e ha dei vicini che gli vivono accanto; vale per chi lavora e ha le sue responsabilità… “Chi sei tu?”. “Io sono uno, o una, che cerca di aprire una strada, un sentiero almeno, al Signore… nella vita di mio figlio, del mio compagno di lavoro, nella vita di quelli che incontro e con i quali condivido la fatica della quotidianità… cerco di aprire una strada, facendo capire che il mondo è più grande di quello che pensano, che le cose importanti sono di altro genere da quelle della pubblicità commerciale … cerco di aprire una strada trasmettendo un po’ di speranza, di fiducia… Poi è il Signore che fa il resto, o meglio, la parte più importante: è Lui che viene su quella strada. “Dopo di me viene uno che è infinitamente più grande di me”.
Mi pare che è consolante ragionare così. Consolante perché sapere che il Signore Dio è il salvatore di tutti e di ciascuno, mi libera dalla pretesa di dover essere io il Padreterno. No, è Lui, non sono io. (Allora bisogna dire che chi si ritiene un Padreterno, non crede affatto al Signore che viene, non lo aspetta per niente, e tantomeno cercherà di aprirgli qualche strada…).
No, fratelli: noi possiamo permetterci di essere umili e discreti; possiamo e dobbiamo fare ciò che è bene ogni volta che se ne presenta l’occasione, ma senza lasciarci prendere dalla smania o dall’illusione che tutto dipenda da noi: no, nessuno di noi è il Messia. Siamo soltanto “precursori”, gente che cerca di aprire un po’ di strada, con tanta operosità e buona volontà, ma non di più.
Su quella strada, penserà il Signore a venire: quando e come vorrà.
Le Letture Bibliche: Isaia 61,1-2.10-11; 1 Tessalonicesi 5,16-24; Giovanni 1,6-8.19-28
Non tutti i giorni sono gli stessi e non tutti tempi sono eguali. L’inverno non è l’estate e la primavera non è l’autunno. Per certe cose, certe stagioni sono più adatte delle altre, certi tempi sono più favorevoli.
Per noi cristiani, l’Avvento e la Quaresima sono tempi particolarmente favorevoli. E sia in Avvento che in Quaresima, a un certo punto si parla di deserto: è lì che Giovanni Battista lancia le sue provocazioni e la gente va ad ascoltarlo. Anche per Gesù è così: la Quaresima comincia col ricordarci ogni anno che lo Spirito condusse Gesù nel deserto.
Sembra proprio che se non c’è deserto, cioè un clima di silenzio, di sobrietà attorno a noi, certe cose importanti non si possano fare: come ascoltare la Parola di Dio, ad esempio; è proprio nel deserto che risuona: con la voce di Giovanni Battista: “Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore…”. Oppure per distinguere ciò che è giusto e importante, da quello che è sbagliato o falso: è per il deserto che occorre passare, è là che Gesù ha fatto questa esperienza.
A una settimana dal Natale, il primo atteggiamento urgente da metetre in atto mi pare questo, fratelli: resistiamo all’assedio! Si’, l’assedio delle esteriorità intendo, cioè quella valanga di cose – tutte esteriori – che hanno l’unico effetto di distrarci da quell’attesa che il Signore ci ha raccomandato con tanta insistenza: “Vegliate – ci ha detto – state attenti: vegliate!”. Cose e distrazioni esteriori ce ne sono tante nei giorni che si avvicinano al Natale…troppe; e se sono troppe… dov’è il deserto? il deserto è assenza di cose superflue, di rumori inutili, ma è presenza dell’unica Parola che non passa mai. E solo se attorno a noi c’è deserto la possiamo sentire. Solo nella libertà dalle cose superflue e dai rumori inutili si può aprire quella strada per la quale davvero viene il Signore! Perciò, resistiamo all’assedio delle troppe esteriorità; salviamo attorno a noi – e in noi stessi soprattutto! - quel clima che ci consente di rimanere svegli e attenti al Signore che viene.
Qualcuno penserà: “Ma si’, quando si avvicina Natale voi preti dite sempre così: il Signore viene!… Ma se è già venuto più di 2000 anni fa… perché continuate a ripetere che viene?”. Ebbene più di 2000 anni fa’ è venuto per la prima volta, ma quello è stato solo l’inizio. Da allora viene sempre il Signore, è la sua specialità, tanto che lui stesso si è dato proprio questo nome: “Io sono colui che viene”. Lo dice a chiare lettere nelle ultime pagine della Bibbia, nel libro dell’Apocalisse: “Io sono colui che viene”.
Viene, nascosto dietro i grandi eventi che accadono a questo mondo (il Vangelo li chiama "segni dei tempi"), dietro le grandi aspirazioni dell’umanità: nell’attesa spasmodica di pace che c’è in non pochi Paesi della terra… nella fame di giustizia, di dignità di tante popolazioni impoverite ed esauste: si, lì c’è il Signore che viene. Ma anche nelle iniziative e nei gesti di solidarietà di tante persone che non si rassegnano all’ingiustizia… anche lì c’è il Signore che viene.
Viene, perché non è dietro di noi nel passato, ma davanti, nel futuro: Egli è Colui che ci viene incontro. Nel futuro di ogni persona, di ogni famiglia, di un bambino che cresce, di un ragazzo che diventa grande…c’è Dio che viene. Cosa viene a fare? Anche oggi ce l’ha detto (prima lettura): viene a portare gioia a chi non sa cos’è la gioia; viene a fasciare piaghe di cuori spezzati (e Lui solo sa quante sono le piaghe di questo mondo, quelle nascoste soprattutto!)…viene a liberare chi è schiavo e prigioniero (si può essere schiavi e prigionieri anche a piede libero! ed è la peggiore prigionia…)…viene carico di misericordia…E non si può che essere contenti di poter credere in un Dio così, un Dio che viene!
“Chi sei tu?” – chiedono a Giovanni Battista nel deserto. Se fosse stato uno che si montava la testa, avrebbe potuto rispondere: Sono il Messia, l’unto del Signore!
No, Giovanni Battista non era uno che si montava la testa. “Allora, chi sei? sei il profeta, quello che precede il Messia?”… Beh, avrebbe potuto dire: “sì, proprio quello” … o almeno: “sono Giovanni, quello che battezza”. E invece si limita a dire: “Io sono voce… tutta la mia vita è voce che grida: Preparate la via del Signore…Dopo di me viene Uno che è infinitamente più grande di me…”.
Ecco, fratelli, in queste parole di Giovanni c’è tutto un programma di vita, ed è un programma che vale per tutti: per me, prete (perché non sono mica io il Signore, sono solo un suo servo: è Lui che salva, non io…).
Vale, questo programma di Giovanni Battista, per ogni persona che ha una qualche responsabilità sugli altri: vale per chi è genitore, o nonno; vale per chiunque abita in una casa e ha dei vicini che gli vivono accanto; vale per chi lavora e ha le sue responsabilità… “Chi sei tu?”. “Io sono uno, o una, che cerca di aprire una strada, un sentiero almeno, al Signore… nella vita di mio figlio, del mio compagno di lavoro, nella vita di quelli che incontro e con i quali condivido la fatica della quotidianità… cerco di aprire una strada, facendo capire che il mondo è più grande di quello che pensano, che le cose importanti sono di altro genere da quelle della pubblicità commerciale … cerco di aprire una strada trasmettendo un po’ di speranza, di fiducia… Poi è il Signore che fa il resto, o meglio, la parte più importante: è Lui che viene su quella strada. “Dopo di me viene uno che è infinitamente più grande di me”.
Mi pare che è consolante ragionare così. Consolante perché sapere che il Signore Dio è il salvatore di tutti e di ciascuno, mi libera dalla pretesa di dover essere io il Padreterno. No, è Lui, non sono io. (Allora bisogna dire che chi si ritiene un Padreterno, non crede affatto al Signore che viene, non lo aspetta per niente, e tantomeno cercherà di aprirgli qualche strada…).
No, fratelli: noi possiamo permetterci di essere umili e discreti; possiamo e dobbiamo fare ciò che è bene ogni volta che se ne presenta l’occasione, ma senza lasciarci prendere dalla smania o dall’illusione che tutto dipenda da noi: no, nessuno di noi è il Messia. Siamo soltanto “precursori”, gente che cerca di aprire un po’ di strada, con tanta operosità e buona volontà, ma non di più.
Su quella strada, penserà il Signore a venire: quando e come vorrà.
10 Dicembre 2023 - Seconda Domenica
Le Letture Bibliche: Isaia 40,1-5.9-11; 2Pietro 3,8-14; Marco 1,3.4-6
Anche chi non passa troppe ore davanti alla TV, avrà notato che è cambiato il genere dei films. Al posto del romantico, o storico, ora tira molto il genere catastrofico, ma il catastrofico da fantascienza, le esplosioni micidiali che polverizzano mezzo pianeta in un batter d’occhio… e sopravvissuti che s’aggirano qua e là come degli zombi. Catastrofi da fantascienza insomma.
Non so se i registi si ispirano alla Bibbia. Infatti, proprio oggi abbiamo sentito nelle letture bibliche che “i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore si dissolveranno e la terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta”. Sono parole della seconda lettera dell’apostolo Pietro; le abbiamo sentite come seconda lettura.
Ma davvero succederanno queste cose terrificanti? Ma le parole della Bibbia sono state scritte per spaventarci o per illuminarci, per darci coraggio? Quando si scrivevano queste cose, i cristiani – i primi cristiani – erano così stufi di ingiustizie, di persecuzioni, di tribolazioni… che non vedevano l’ora che finissero. Non solo: erano sicuri che anche il Signore era stufo di tutto questo e sarebbe intervenuto a cambiare le situazioni: l’aveva promesso, e quando il Signore promette, è di parola. Per dire che tutte le brutture e le cose storte spariranno, si esprimevano con immagini molto fantasiose: i cieli che si accartocciano… i pianeti che si spaccano… la terra che si polverizza… Ma il loro interesse non era per la fantascienza (che non c’era ancora); ciò che a loro stava più a cuore erano i cieli nuovi e la terra nuova nei quali abita finalmente la giustizia… E’ questo che farà il Signore. Questo è il traguardo, l’obiettivo, il progetto.
Quando sentite qualcuno parlare di fine del mondo nel senso di catastrofi e di cose del genere, non credetegli: la Parola del Signore non ci prospetta catastrofi e sciagure terrificanti, ma cieli nuovi e terra nuova dove si potrà finalmente vivere con dignità, tutti, e da fratelli. L’Avvento è un tempo bello e rasserenante, perché ci fa puntare lo sguardo su quel futuro buono che il Signore ha preparato per noi e per tutti.
Sì, ma quand’è che verrà? Non è che aspettiamo… per niente? Tutti i giorni preghiamo: Padre, venga il tuo regno! – ma viene davvero? O invece si prega… si prega… e alla fin fine non succede niente!?
Ma c’è ache un’altra domanda… e questa ci coinvolge personlmente: cos’è che possiamo fare noi perché vengano quei cieli nuovi e quella terra nuova in cui abita la giustizia? Aspettare e basta? Sarebbe troppo poco. Noi possiamo pregare, e quando la preghiera è vera, funziona come una calamita… o meglio: come un esplosivo che un po’ alla volta, magari senza rumore, fa saltare tutti gli ostacoli…
Qualche decennio fa’, quando è stato abbattuto il muro di Berlino che divideva l’Europa in due, saranno stati gli accordi diplomatici a farlo cadere o non piuttosto le folle di giovani e adulti che da giorni pregavano nelle chiese di Berlino recando in mano candele accese?
Anche davanti a Betlemme c’è un muro che divide in due la Terra Santa… anche lì, ogni venerdì si radunano cristiani arabi e pellegrini di passaggio, e pregano il Rosario camminando avanti e indietro lungo quel muro; loro dicono: “Siamo sicuri che la preghiera un giorno o l’altro lo farà cadere”…Beata ingenuità questa o autentico realismo? I posteri lo sapranno. Pregare sì: è importante per affrettare la venuta del Regno di Dio, cioè perché certe brutte situazioni di questo mondo – che gli uomini non possono cambiare – cambino davvero. Ma non è sufficiente pregare e basta. Proprio da quella lettura di cui dicevo poco fa abbiamo ascoltato anche queste parole: “con la vostra preghiera e con la vostra operosità, voi aspettate e affrettate la venuta dei cieli nuovi e della nuova terra…”. Sì, la preghiera e l’azione; tutte e due ci vogliono.
Allora, invece che lamentarti o fare dell’ironia su questo Regno di Dio che deve venire e non viene… chiediti piuttosto: ma io, cosa faccio perché venga davvero? Prego perchè cambino in meglio le situazioni di questo mondo, oppure prego soltanto per me,… o non prego affatto? E oltre a pregare, faccio quello che posso, per favorire, per accelerare la sua venuta? Quello che posso: e cos’è che posso fare? direte.
“Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”: ecco la risposta di Giovanni Battista, il ritornello, la bella notizia che sentiamo quando arriva l’Avvento: noi possiamo preparare la via del Signore, noi possiamo raddrizzare i suoi sentieri. E questo sempre, mica solo in Avvento. Questo lo possiamo e lo dobbiamo fare tutti i giorni. Poco fa dicevo che la preghiera è come un esplosivo che fa saltare i muri…
E preparare la via e i sentieri del Signore, cosa vorrà dire? Come si farà? Eh sono tanti i modi, le opportunità nella nostra vita di ogni giorno, solo che bisogna saperle cogliere.
Non crediate, ad esempio, di poter preparare la via del Signore solo aprendo il portafoglio… Ad aprire il portafoglio si fa presto, specialmente se è troppo pieno oppure se è vuoto, ma aprire il cuore è più difficile, più faticoso…
Aprire il cuore, cioè perdonare proprio quella persona lì… Aprire il cuore, cioè comprendere, passar sopra a un’offesa, a uno sgarbo, senza legarsela al dito… Aprire il cuore per provare a sentire la sofferenza degli altri… l’amaro della miseria dei poveri… invece che solo i propri affanni, le proprie preoccupazioni o i propri interessi: eh, sì… questo è più difficile. Ma è certo che le vie del Signore si preparano soprattutto così.
Insomma, noi cristiani crediamo che questo mondo è destinato a cambiare in meglio. Noi crediamo che il Regno di Dio verrà, sì: ma sappiamo anche che possiamo affrettare quella venuta, quel cambiamento: e con la nostra preghiera, e con la nostra operosità.
E allora, fratelli, se possiamo farlo, facciamolo: non perdiamo questa straordinaria opportunità.
PREGHIERA
(ripresa da Servizio della Parola, Ed. Queriniana, e adattata all'Omelia che precede)
Signore Gesù,
quello che Giovanni Battista propone, è un gesto semplice, ma impegnativo:
il punto di partenza di una vita diversa,
un cambiamento di rotta che cambia il senso dell’esistenza.
C’è una buona notizia, un vero e proprio “vangelo” che ci raggiunge:
Dio visita il suo popolo,
entra in questa storia tormentata per trasformarla col suo amore.
Dio si fa vicino, vicinissimo,
agisce attraverso il suo Figlio, Gesù, che si è fatto uomo.
Nulla, dunque, può essere come prima.
Ecco perché la risposta è una scelta decisa, senza ripensamenti.
Sì, vale veramente la pena abbandonare le strade usuali,
segnate dall’avidità, dall’egoismo, dai piccoli calcoli meschini,
per imboccare i sentieri della giustizia, della verità.
Come potremo incontrare Dio se siamo chiusi su noi stessi?
Come riusciremo a intendere la sua voce,
in mezzo ai richiami seducenti degli idoli del nostro tempo?
Signore, aiutaci a togliere gli ostacoli e a prepararti la strada.
Fa’ che ti possiamo davvero accogliere.
Amen
(ripresa da Servizio della Parola, Ed. Queriniana, e adattata all'Omelia che precede)
Signore Gesù,
quello che Giovanni Battista propone, è un gesto semplice, ma impegnativo:
il punto di partenza di una vita diversa,
un cambiamento di rotta che cambia il senso dell’esistenza.
C’è una buona notizia, un vero e proprio “vangelo” che ci raggiunge:
Dio visita il suo popolo,
entra in questa storia tormentata per trasformarla col suo amore.
Dio si fa vicino, vicinissimo,
agisce attraverso il suo Figlio, Gesù, che si è fatto uomo.
Nulla, dunque, può essere come prima.
Ecco perché la risposta è una scelta decisa, senza ripensamenti.
Sì, vale veramente la pena abbandonare le strade usuali,
segnate dall’avidità, dall’egoismo, dai piccoli calcoli meschini,
per imboccare i sentieri della giustizia, della verità.
Come potremo incontrare Dio se siamo chiusi su noi stessi?
Come riusciremo a intendere la sua voce,
in mezzo ai richiami seducenti degli idoli del nostro tempo?
Signore, aiutaci a togliere gli ostacoli e a prepararti la strada.
Fa’ che ti possiamo davvero accogliere.
Amen
8 Dicembre - Immacolata Concezione della B.V.Maria
Le Letture Bibliche: Genesi 3,9-15.20; Efesini 1,3-6.11-12; Luca 1,26-38
Tutti i grandi di questo mondo una volta erano piccoli… I grandi campioni dello sport, i grandi attori del cinema, i grandi cantanti, quelli che chiamano anche “star”, insomma, che in inglese vuol dire “stella”… Prima di diventare grandi sono stati piccoli, non solo nel senso che anche loro sono stati bambini, ma anche perché erano perfettamente sconosciuti… Prima di diventare “star” – stelle – non erano nessuno. Poi si sono accorti che riuscivano bene in certe cose, hanno cominciato a farsi strada, a diventare importanti, i giornali e la televisione hanno cominciato a parlare di loro…e si sono ritrovati… (non si sa come!), “grandi”, appunto.
Non è che poi restano grandi per sempre: fanno come il sole: arriva al massimo del suo splendore e poi comincia a tramontare… Anche i grandi fanno così: i giornali parlano spesso di loro per un po’ di anni, poi ne parlano poco, fin che non ne parlano più,; e quando si spengono i fari delle telecamere ecco che sono lì… vecchi, cadenti, pieni di così tante rughe che nessun restauro riesce a cancellarle…Poveri questi grandi – attori o attrici, campioni e campionesse, star che prima o poi si spengono in fretta… non so se fanno più pena o tenerezza!
Ebbene, oggi siamo qui a celebrare una star che non ha ancora smesso di brillare, anzi, siamo sicuri che non perderà mai il suo splendore…perché non se l’è conquistato da sola ma gliel’ha dato il Signore: “rallegrati, piena di grazia!”. E’ il Signore che l’ha fatta piena di grazia.
Maria – a differenza di tutti i grandi che son sorti e poi sono tramontati – era piccola ed è rimasta piccola. L’arcangelo Gabriele l’ha trovata come una ragazza sconosciuta, in un villaggio anch’esso sconosciuto, e le ha detto: Tu hai una grande missione, Maria! Tu darai vita, carne e sangue, al Figlio di Dio!
Quante favole raccontano che di fronte a una notizia così, la vita di una persona cambia come dalla notte al giorno: se prima era sconosciuta ecco che diventa famosa, se era una serva che viveva in una catapecchia ecco che diventa una principessa che va ad abitare in un bel castello… Sì, nelle favole succede sempre così.
Nel caso di Maria no, non succede niente di tutto questo. Lei continua a vivere in quel villaggio sconosciuto, in quella sua povera casa… Cambia solo “dentro”: cresce in un’obbedienza sempre più generosa al Signore, in una disponibilità sempre più grande alla volontà di Dio, cresce nell’amore per Gesù e per tutto ciò che starà a cuore a Gesù…
Cresce così tanto “dentro”, allarga così tanto il suo cuore, che tutti – anche noi - la consideriamo nostra madre. Ma fuori no, esteriormente non cambia non cambia niente: è rimasta piccola, umile e povera così come Dio l’ha trovata.
E noi, guardando lei, vediamo l’umanità, così come dovrebbe essere: un’umanità pienamente riuscita che per essere felice non ha bisogno di telecamere sempre puntate su di lei, neanche di titoli prestigiosi, tanto meno di abbondanza di beni, di cose e di denaro…
Quanti si ritrovano a pensare che per essere davvero grandi, importanti, “realizzati”… dovrebbero cambiare situazione, disporre di questo, di quello e di quest’altro…quanti si illudono che la felicità dipenda davvero da condizioni fuori di noi…
Maria ci dimostra che è tutto viceversa: o si cambia dentro – nel cuore, nella mentalità – o è solo illusione pensare che la vera realizzazione di noi stessi dipenda da condizioni esterne.
Cambiare dentro, ma come? in che senso?
Nel senso di prendere come modello Maria, invece che scopiazzare la vecchia storia di Adamo ed Eva che abbiamo risentito anche oggi in questa Liturgia. Adamo ed Eva dubitano della bontà di Dio, non si fidano di lui… Come degli adolescenti, si illudono che è solo facendo di testa propria che diventeranno grandi e potenti. E si ritrovano deboli e nudi.
Maria, quando riceve l’annuncio che Dio le affida una missione, è giovane, è adolescente appunto, ma capisce che può dire di sì con piena fiducia, senza paura di sbagliare strada.
La Bibbia ci racconta che Adamo ed Eva sono all’origine di un’umanità presuntuosa e arrogante, che alla fine si ritrova nuda e lacerata. Ma oggi – proprio quella stessa Bibbia – ci dice che Dio, il Signore, ha dato una svolta a questa vecchia storia: ci ha regalato un nuovo inizio: Maria. Una storia che – come lei - ha buone probabilità di essere pulita, luminosa, immacolata appunto.
In quale storia ci collochiamo noi, fratelli? In quella dei disobbedienti, di coloro che credono in se stessi più che in Dio? o in quella dei veri credenti, che aprono il cuore alla Parola di Dio e dicono: “Vieni, Signore, vieni a realizzare nella mia vita il bel progetto che hai fatto su di me” ?
Maria, nostra madre, ci ottenga di trovarci nella storia giusta: la storia della salvezza.
PREGHIERA
(ripresa da Servizio della Parola, Ed. Queriniana, e adattata all'Omelia che precede)
O Dio,
tu non ti sei lasciato disarmare dall'ingratitudine degli uomini.
Le loro infedeltà e i loro sospetti
non ti hanno indotto ad abbandonarli alla loro sorte, al loro destino.
No, nel momento stesso in cui emergono le conseguenze del loro peccato,
tu annunci un disegno di salvezza.
Non permetterai al male di pronunciare l'ultima parola,
non assisterai impotente al lento degrado della storia.
Tu assicuri il tuo intervento e, nel tempo stabilito,
onori la tua promessa di donare un Salvatore.
Tu hai colmato di grazia una giovane donna, Maria di Nazaret,
l'hai preservata da ogni macchia di peccato originale,
l'hai preparata per diventare la nuova arca dell'Alleanza,
la dimora del tuo Figlio.
E lei, al contrario di Eva, ha aderito prontamente al tuo progetto d'amore.
Donaci, o Padre, in questo tempo di Avvento,
di accogliere Gesù e di mettere le nostre energie, le nostre risorse
a servizio del tuo Regno.
Donaci di far posto nella nostra esistenza
a Colui che può veramente trasformarla.
Amen
(ripresa da Servizio della Parola, Ed. Queriniana, e adattata all'Omelia che precede)
O Dio,
tu non ti sei lasciato disarmare dall'ingratitudine degli uomini.
Le loro infedeltà e i loro sospetti
non ti hanno indotto ad abbandonarli alla loro sorte, al loro destino.
No, nel momento stesso in cui emergono le conseguenze del loro peccato,
tu annunci un disegno di salvezza.
Non permetterai al male di pronunciare l'ultima parola,
non assisterai impotente al lento degrado della storia.
Tu assicuri il tuo intervento e, nel tempo stabilito,
onori la tua promessa di donare un Salvatore.
Tu hai colmato di grazia una giovane donna, Maria di Nazaret,
l'hai preservata da ogni macchia di peccato originale,
l'hai preparata per diventare la nuova arca dell'Alleanza,
la dimora del tuo Figlio.
E lei, al contrario di Eva, ha aderito prontamente al tuo progetto d'amore.
Donaci, o Padre, in questo tempo di Avvento,
di accogliere Gesù e di mettere le nostre energie, le nostre risorse
a servizio del tuo Regno.
Donaci di far posto nella nostra esistenza
a Colui che può veramente trasformarla.
Amen
3 Dicembre 2023 - Prima Domenica
Le Letture Bibliche: Isaia 63,16b-17.19b; 64,2-7; 1Corinzi 1,3-9; Marco 13,33-37
Le scadenze sono quelle date fisse, nelle quali si deve fare qualcosa di importante: una prova a scuola, o un esame (può essere a scuola, ma anche all’ospedale)… Ci sono anche le scadenze delle bollette: gas, luce, telefono, bollo macchina, assicurazioni di vario genere; si sa che entro il tal giorno si deve pagare... se no ti tagliano la luce, o il gas e via dicendo. Allora ognuno impara a sue spese cosa vuol dire rispettare le scadenze. Ci educano ad essere amministratori responsabili e saggi, insomma.
Ebbene, sì: anche il Signore ci parla di una scadenza oggi, all’inizio di questo nuovo anno della Fede e di questa breve stagione che è l’ Avvento. La mia vita, la storia e la vita di tutti...l’avventura del mondo in una parola, ha una scadenza: “Vegliate, perchè non sapete quando il padrone di casa ritornerà...”. Non è che verrà a riscuotere i soldi delle bollette il Signore, però un resoconto ci sarà: “è come uno che è partito per un viaggio...dopo aver dato potere ai servi: a ciascuno il suo compito...”. Fare l’elenco completo di tutto quello che ci ha dato sarebbe un po’ troppo lungo, ma pensate solo alla vita, dono che lui ci ha affidato, il mondo - di cui tutti godiamo, la Fede, ...il fatto di conoscere Lui, di saperci amati da Lui… E tutti sappiamo la differenza che c’è tra il vivere senza dover rendere conto a nessuno e il vivere sapendo che un rendiconto ci sarà: è la differenza che c’è tra superficialità e responsabilità... Che a questo mondo ci sia tanta superficialità è fuori dubbio; ma noi cristiani sappiamo che c’è comunque una scadenza: noi non possiamo permetterci di vivere da irresponsabili. E proprio per non stare sulle nuvole, ma scendere al pratico, possiamo spiegarci con un esempio.
A tutti capita ogni tanto di andare città. Ci si può andare per almeno due motivi: o per passare il tempo (e allora si gira a zonzo senza guardare l’orologio, ci si ferma davanti alle vetrine, si entra in un bar), ma più spesso capita di andare in città perché si deve: o per la scuola, o per il lavoro, o per un appuntamento: non è che allora non ti fermi a guardare una vetrina..., ma se lo fai non resti lì mezza giornata: no, perchè c’è quell’appuntamento che ti aspetta.
Ebbene, vedete fratelli: sì, noi possiamo fermarci a guardare le vetrine del mondo... Dio l’ha fatto apposta perchè ne godano tutti: ma non possiamo passare la vita a guardare le vetrine... Vivere per noi non è girare a zonzo: noi sappiamo di avere un appuntamento che ci aspetta: “Voi aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” ci ha ricordato oggi San Paolo. Eccolo il nostro appuntamento: la sua venuta, o meglio, il suo ritorno.
Quando sarà? Io non lo so... Gesù, infatti, non l’ha detto: ha lasciato apposta la scadenza imprecisata, perchè quello che voleva risvegliare non era il panico, o l’apprensione, ma la vigilanza, potremmo chiamarla anche “senso di responsabilità”: vigilare è camminare verso un traguardo con responsabilità, con equilibrio, e in tutta serenità.
La fine del mondo - stando al Vangelo - non è fatta di avvenimenti catastrofici o di sciagure inimmaginabili: queste, semmai, accadono prima, nel corso della storia. La Parola di Dio ci fa puntare lo sguardo sul bello di quella scadenza: “cieli nuovi e terra nuova” farà sorgere il Signore, “eliminerà il male e la morte per sempre e asciugherà le lacrime dagli occhi dei suoi figli”: ecco ciò che troveremo a quel traguardo. Questo è lo sfondo bello, panoramico, su cui si staglia la nostra vita. Ed è importante che la nostra vita abbia uno sfondo, un orizzonte così. Ma pensate un po’: per tutto ciò che è prezioso (per esempio un quadro, un bel soprammobile o qualcosa del genere), a casa vostra cercate sempre uno sfondo adatto: "sta bene qui… no, sta meglio lì…" e quando avete trovato la collocazione giusta, lo guardate e siete in grado di apprezzarlo. Eh sì, è importante lo sfondo.
Ma perchè cercare lo sfondo adatto solo quando si tratta di collocarvi un quadro o un soprammobile, e non curarsi dell’orizzonte giusto quando si tratta di capire le esperienze, i fatti, le situazioni della vita? Quell’evento o quel fatto, quel grattacapo o quell’offesa, ma anche quel progetto che hai a cuore... ossèrvalo sullo sfondo giusto (quei cieli nuovi e terra nuova che ci darà il Signore): allora saprai valutarlo nelle sue reali dimensioni!
Se non ci educhiamo a questo, fratelli, davvero ci capiterà di perdere la tramontana...e anche spesso, non una volta sola. La prima lettura ci ha offerto una diagnosi spietata di questo pericolo che corriamo: “siamo divenuti tutti come cosa impura...siamo avvizziti come foglie (guardate quante ce ne sono in questi giorni di tardo autunno per le strade....), le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento...”: eh! è proprio quello che succede agli irresponsabili…(che non valutano tutto ciò che vivono e sperimentano alla luce di quell’orizzonte, di quel traguardo).
Allora capita che certe cose piccole sembrano grandi come montagne ...e quelle che sono davvero grandi, magari ci passano vicino senza che neanche ce n’accorgiamo. Eh sì, è davvero importante mettere tutto – ma proprio tutto - su quell’orizzonte che è il ritorno del Signore: il suo ultimo “avvento”! Anche le cose belle: sono ancora più belle su quell’orizzonte. Come le montagne innevate di questi giorni: quando ci sono nuvole basse e nebbia non siamo in grado di apprezzarle, ma col sole e col cielo azzurro, altrochè se appaiono splendide! E’ così anche per le cose belle della vita: sullo sfondo di quel traguardo che è Dio, sono ancora più belle.
In questi giorni dell’Avvento cerchiamo di tornare col pensiero a queste cose. L’Avvento è come una scuola, un tirocinio per esercitarci alla responsabilità, al vivere da cristiani attenti e critici, sapendo che la vita e la storia non sono un andare a zonzo... ma un camminare verso un traguardo, un appuntamento. Un camminare da svegli però, con equilibrio, con serenità, sapendo che a quell’appuntamento siamo attesi da qualcuno che ci conosce e ci ama da sempre.
Perciò: “Fate attenzione: Vegliate”, ci raccomanda oggi con insistenza il Signore. Che non entri in un orecchio per uscire dall’altro questa calorosa raccomandazione: accogliamola e custodiamola bene nella mente e nel cuore.
PREGHIERA
(ripresa da Servizio della Parola, Ed. Queriniana, e adattata all'Omelia che precede)
Signore Gesù,
tu ci chiedi di vegliare, di non farci trovare addormentati.
In effetti, vegliare significa tenere gli occhi bene aperti
su questa nostra storia, sugli eventi piccoli e grandi,
per cogliere quel filo sottile che è l’azione sorprendente del tuo Spirito.
Vegliare è avere un cuore desto, capace di reagire, con determinazione,
quando è in causa la dignità di esseri umani calpestati,
perennemente esposti allo sfruttamento e all’oppressione.
Vegliare vuol dire essere pronti a intervenire, a fare la propria parte,
per costruire un frammento di giustizia e di pace, di fraternità e di condivisione.
Tu continui a visitarci nei modi più inconsueti,
su strade affollate e lungo sentieri poco battuti.
Tu non ti stanchi di percorrere i nostri paesi e di lanciare sfide concrete
alla nostra fede e alla nostra speranza.
Signore, nessun’ altra raccomandazione ci rivolgi con tanta insistenza:
“Vegliate!”.
Aiutaci, affinchè la sappiamo accogliere e mettere in pratica.
Amen
(ripresa da Servizio della Parola, Ed. Queriniana, e adattata all'Omelia che precede)
Signore Gesù,
tu ci chiedi di vegliare, di non farci trovare addormentati.
In effetti, vegliare significa tenere gli occhi bene aperti
su questa nostra storia, sugli eventi piccoli e grandi,
per cogliere quel filo sottile che è l’azione sorprendente del tuo Spirito.
Vegliare è avere un cuore desto, capace di reagire, con determinazione,
quando è in causa la dignità di esseri umani calpestati,
perennemente esposti allo sfruttamento e all’oppressione.
Vegliare vuol dire essere pronti a intervenire, a fare la propria parte,
per costruire un frammento di giustizia e di pace, di fraternità e di condivisione.
Tu continui a visitarci nei modi più inconsueti,
su strade affollate e lungo sentieri poco battuti.
Tu non ti stanchi di percorrere i nostri paesi e di lanciare sfide concrete
alla nostra fede e alla nostra speranza.
Signore, nessun’ altra raccomandazione ci rivolgi con tanta insistenza:
“Vegliate!”.
Aiutaci, affinchè la sappiamo accogliere e mettere in pratica.
Amen