Tempo di NATALE
12 Gennaio - Battesimo del Signore
Le Letture bibliche: Isaia 40,1-5.9-11; Tito 2,11-14; 3, 4-7; Luca 3,15-16.21-22
E' proprio vero che le persone straordinarie a questo mondo sono poche e che la maggior parte degli individui sono del tutto ordinari, se non addirittura insignificanti? sarà proprio vero che i galantuomini, i generosi, i bravi, sono un piccolo numero, mentre tutti gli altri o non sono bravi, o non sono né carne né pesce come si dice? lo penso che non dipenda anzitutto dalle doti personali (uno ce le ha e un altro invece no); credo che dipenda prima di tutto dal fatto che alcuni sanno di avere delle doti (lo sanno sempre, ogni giorno), altri invece o non sanno di averle, o se ne dimenticano.
Capita anche a noi, cristiani: a volte dimentichiamo chi siamo, perdiamo la memoria in un certo senso. Siamo figli di Dio, ci dicono: ma allora, probabilmente, abbiamo anche le doti necessarie per comportarci da figli di Dio. Sì, ma ecco che ce ne dimentichiamo, e allora non siamo più all'altezza di quella missione che il Signore ci ha affidato.
In questa domenica dopo l'Epifania celebriamo il Battesimo di Gesù; un fatto che tutti i vangeli raccontano perché è sorprendente: il Figlio di Dio, l'unico innocente in questo mondo di colpevoli, entra anche lui nell'acqua del battesimo come se fosse un peccatore... Non lo era, ma l'ha fatto per solidarietà con noi. Ed è per questo che noi, che invece siamo davvero peccatori, nel Battesimo siamo ridiventati innocenti davanti a Dio.
Ogni vangelo racconta questo fatto. Luca però aggiunge qualche particolare tutto suo: per esempio, che Gesù, una volta ricevuto il Battesimo, stava in preghiera; ed è mentre prega che si apre il cielo su di lui e sente la voce del Padre: "Tu sei il figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento". Da quel giorno Gesù ha la coscienza di essere il Figlio di Dio e di avere una missione da portare avanti. San Luca nel suo vangelo ci dice spesso che Gesù pregava... Per Gesù, Figlio di Dio, era normale dialogare con suo Padre: è questo la preghiera. Era il modo per conservare la lucida coscienza di chi era, e della missione che doveva svolgere.
E' interessante questo, anche per noi ed è una provocazione a riflettere sulla decisiva importanza della preghiera nella nostra vita di cristiani. Sì, è nella preghiera che noi prendiamo sempre coscienza di chi siamo, della nostra dignità, e di quella missione che è la vita di ogni giorno... Senza preghiera io credo che diventiamo come quei tali di cui dicevo poco fa': hanno delle doti, ma non sanno di averle... Potrebbero essere migliori di quello che sono, ma non ne hanno voglia, perché hanno perso la coscienza di chi sono veramente...
La preghiera è il momento in cui la vita di un cristiano respira, perché se non respira, avvizzisce e muore, come tutto ciò che vive. E come si fa a pregare? Cosa vuol dire? Scusate se faccio domande così banali ma forse ce n'è bisogno...
Pregare, per un cristiano, vuoi dire parlare con il Signore anzitutto in certi momenti della sua vita quotidiana: ci hanno insegnato che questi momenti importanti sono soprattutto al mattino e alla sera... Sappiamo anche delle espressioni di preghiera a questo proposito, per esempio il Padre Nostro e l'Ave Maria... Non scartiamole colla scusa che sono delle formule imparate e che è meglio parlare a Dio con spontaneità: ci sono dei giorni in cui la spontaneità proprio non ci viene, oppure abbiamo altro per la testa, e allora...addio preghiera. No, l'abitudinarietà (il far le cose solo per la soddisfazione di averle fatte in qualche modo) non è una bella cosa, ma le buone abitudini invece sono da coltivare: sono queste che rendono seria e affidabile una persona, anche nei rapporti con Dio. Pregare al mattino e alla sera è prova di vita cristiana seria. Ed è anche il modo per ricuperare ogni giorno quella coscienza di chi siamo, che è quella che ci aiuta ad affrontare la vita quotidiana nel modo giusto...
Ma poi è nella vita — dentro la vita - che un cristiano ha bisogno di far respirare la sua fede. E qui, fratelli, è ancora una volta questione di buone abitudini. Pensate un po': ci sono anche cose belle — grazie a Dio — nella vita di ogni giorno... l'incontro con una persona... una bella notizia... una soddisfazione che provi... Ma cosa costa dire — nel segreto del cuore - : "Grazie, Signore Iddio! Ti ringrazio di cuore!". Come è vero che ci sono cose meno belle, anzi decisamente brutte e angoscianti: una brutta notizia... un problema di cui vieni a conoscenza... un fatto preoccupante che ti succede... Cosa ci vuole ad innalzare un'accorata invocazione al Signore sempre nel segreto del cuore: "Signore, abbi pietà di me!". Signore, aiuta quella persona!". Questi sono quegli squarci nel cielo che fanno respirare la vita... (Non dice oggi il vangelo che mentre Gesù pregava, il cielo si aprì?). Condividere con il Signore una gioia, una soddisfazione, è come farla ancora più grande, più intensa! Come il condividere con lui una preoccupazione, un peso: è come spartirlo, alleggerirlo, portarlo in due!
" Mentre Gesù pregava — ci dice Luca — lo Spirito santo scese su di lui in apparenza corporea...": vuol dire che lo si poteva...toccare! E noi che magari pensiamo che lo Spirito santo sia una teoria, un'astrazione... Fratelli, cominciamo a pregare più spesso, e dentro le situazioni della vita, e allora potremo toccare con mano anche noi lo Spirito santo!
Ma il vero motivo per pregare ogni giorno non ve l'ho ancora fatto notare. Ed eccolo allora: di quel Dio che preghiamo, noi siamo figli. Notate bene: figli, non clienti. I clienti si fanno vedere solo quando hanno bisogno. I figli no, si comportano diversamente con il loro padre; non si limitano adialogare con lui una volta ogni tanto; certo, anche nel bisogno ricorrono a lui, ma se lo facessero soltanto per questo, mostrerebbero che non è l'affetto per il padre che li muove, ma il loro interesse. No, è l'amore, l'affetto che porta ad incontrare le persone care e a dialogare con loro; e lo si fa ogni volta che si può; e se non si ha il tempo, lo si trova... e come che lo si trova!
Fratelli, il Signore Dio ci sta a cuore almeno quanto una persona cara? Siamo discepoli di Gesù, il primo figlio di Dio, l'amato... e la vita per noi è una missione che ci viene affidata: sì, ma solo con la preghiera di ogni giorno possiamo essere all'altezza della nostra dignità e adempiere la missione. Impariamo da Gesù allora: dal giorno del Battesimo in poi è così che vale la pena comportarsi.
Le Letture bibliche: Isaia 40,1-5.9-11; Tito 2,11-14; 3, 4-7; Luca 3,15-16.21-22
E' proprio vero che le persone straordinarie a questo mondo sono poche e che la maggior parte degli individui sono del tutto ordinari, se non addirittura insignificanti? sarà proprio vero che i galantuomini, i generosi, i bravi, sono un piccolo numero, mentre tutti gli altri o non sono bravi, o non sono né carne né pesce come si dice? lo penso che non dipenda anzitutto dalle doti personali (uno ce le ha e un altro invece no); credo che dipenda prima di tutto dal fatto che alcuni sanno di avere delle doti (lo sanno sempre, ogni giorno), altri invece o non sanno di averle, o se ne dimenticano.
Capita anche a noi, cristiani: a volte dimentichiamo chi siamo, perdiamo la memoria in un certo senso. Siamo figli di Dio, ci dicono: ma allora, probabilmente, abbiamo anche le doti necessarie per comportarci da figli di Dio. Sì, ma ecco che ce ne dimentichiamo, e allora non siamo più all'altezza di quella missione che il Signore ci ha affidato.
In questa domenica dopo l'Epifania celebriamo il Battesimo di Gesù; un fatto che tutti i vangeli raccontano perché è sorprendente: il Figlio di Dio, l'unico innocente in questo mondo di colpevoli, entra anche lui nell'acqua del battesimo come se fosse un peccatore... Non lo era, ma l'ha fatto per solidarietà con noi. Ed è per questo che noi, che invece siamo davvero peccatori, nel Battesimo siamo ridiventati innocenti davanti a Dio.
Ogni vangelo racconta questo fatto. Luca però aggiunge qualche particolare tutto suo: per esempio, che Gesù, una volta ricevuto il Battesimo, stava in preghiera; ed è mentre prega che si apre il cielo su di lui e sente la voce del Padre: "Tu sei il figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento". Da quel giorno Gesù ha la coscienza di essere il Figlio di Dio e di avere una missione da portare avanti. San Luca nel suo vangelo ci dice spesso che Gesù pregava... Per Gesù, Figlio di Dio, era normale dialogare con suo Padre: è questo la preghiera. Era il modo per conservare la lucida coscienza di chi era, e della missione che doveva svolgere.
E' interessante questo, anche per noi ed è una provocazione a riflettere sulla decisiva importanza della preghiera nella nostra vita di cristiani. Sì, è nella preghiera che noi prendiamo sempre coscienza di chi siamo, della nostra dignità, e di quella missione che è la vita di ogni giorno... Senza preghiera io credo che diventiamo come quei tali di cui dicevo poco fa': hanno delle doti, ma non sanno di averle... Potrebbero essere migliori di quello che sono, ma non ne hanno voglia, perché hanno perso la coscienza di chi sono veramente...
La preghiera è il momento in cui la vita di un cristiano respira, perché se non respira, avvizzisce e muore, come tutto ciò che vive. E come si fa a pregare? Cosa vuol dire? Scusate se faccio domande così banali ma forse ce n'è bisogno...
Pregare, per un cristiano, vuoi dire parlare con il Signore anzitutto in certi momenti della sua vita quotidiana: ci hanno insegnato che questi momenti importanti sono soprattutto al mattino e alla sera... Sappiamo anche delle espressioni di preghiera a questo proposito, per esempio il Padre Nostro e l'Ave Maria... Non scartiamole colla scusa che sono delle formule imparate e che è meglio parlare a Dio con spontaneità: ci sono dei giorni in cui la spontaneità proprio non ci viene, oppure abbiamo altro per la testa, e allora...addio preghiera. No, l'abitudinarietà (il far le cose solo per la soddisfazione di averle fatte in qualche modo) non è una bella cosa, ma le buone abitudini invece sono da coltivare: sono queste che rendono seria e affidabile una persona, anche nei rapporti con Dio. Pregare al mattino e alla sera è prova di vita cristiana seria. Ed è anche il modo per ricuperare ogni giorno quella coscienza di chi siamo, che è quella che ci aiuta ad affrontare la vita quotidiana nel modo giusto...
Ma poi è nella vita — dentro la vita - che un cristiano ha bisogno di far respirare la sua fede. E qui, fratelli, è ancora una volta questione di buone abitudini. Pensate un po': ci sono anche cose belle — grazie a Dio — nella vita di ogni giorno... l'incontro con una persona... una bella notizia... una soddisfazione che provi... Ma cosa costa dire — nel segreto del cuore - : "Grazie, Signore Iddio! Ti ringrazio di cuore!". Come è vero che ci sono cose meno belle, anzi decisamente brutte e angoscianti: una brutta notizia... un problema di cui vieni a conoscenza... un fatto preoccupante che ti succede... Cosa ci vuole ad innalzare un'accorata invocazione al Signore sempre nel segreto del cuore: "Signore, abbi pietà di me!". Signore, aiuta quella persona!". Questi sono quegli squarci nel cielo che fanno respirare la vita... (Non dice oggi il vangelo che mentre Gesù pregava, il cielo si aprì?). Condividere con il Signore una gioia, una soddisfazione, è come farla ancora più grande, più intensa! Come il condividere con lui una preoccupazione, un peso: è come spartirlo, alleggerirlo, portarlo in due!
" Mentre Gesù pregava — ci dice Luca — lo Spirito santo scese su di lui in apparenza corporea...": vuol dire che lo si poteva...toccare! E noi che magari pensiamo che lo Spirito santo sia una teoria, un'astrazione... Fratelli, cominciamo a pregare più spesso, e dentro le situazioni della vita, e allora potremo toccare con mano anche noi lo Spirito santo!
Ma il vero motivo per pregare ogni giorno non ve l'ho ancora fatto notare. Ed eccolo allora: di quel Dio che preghiamo, noi siamo figli. Notate bene: figli, non clienti. I clienti si fanno vedere solo quando hanno bisogno. I figli no, si comportano diversamente con il loro padre; non si limitano adialogare con lui una volta ogni tanto; certo, anche nel bisogno ricorrono a lui, ma se lo facessero soltanto per questo, mostrerebbero che non è l'affetto per il padre che li muove, ma il loro interesse. No, è l'amore, l'affetto che porta ad incontrare le persone care e a dialogare con loro; e lo si fa ogni volta che si può; e se non si ha il tempo, lo si trova... e come che lo si trova!
Fratelli, il Signore Dio ci sta a cuore almeno quanto una persona cara? Siamo discepoli di Gesù, il primo figlio di Dio, l'amato... e la vita per noi è una missione che ci viene affidata: sì, ma solo con la preghiera di ogni giorno possiamo essere all'altezza della nostra dignità e adempiere la missione. Impariamo da Gesù allora: dal giorno del Battesimo in poi è così che vale la pena comportarsi.
6 Gennaio - EPIFANIA
Le letture bibliche: Isaia 60,1-6; Efesini 3,2-3a.5-6; Matteo 2,1-12
E’ uno di quei racconti che hanno sempre affascinato questo dei Magi. Gli evangelisti Matteo e Luca, quando ci parlano del Natale, non lo fanno da giornalisti…che oggi vedono un fatto e domani lo scrivono sul giornale. Ci consegnano invece una storia che è stata scritta molti anni dopo che i fatti erano accaduti: certi particolari un po’ fantasiosi sono stati aggiunti da chi la raccontava… (e si sa com’è: a forza di raccontare, si finisce sempre coll’aggiungere ogni volta qualcosa…). Ma hanno talmente affascinato questi racconti del vangelo, che la tradizione popolare non ha mai smesso di aggiungerci qualcosa…
I Maghi – che dovevano essere astrologi persiani della religione di Zoroastro – sono diventati i “magi”, anzi i “Re magi”. E tre per la precisione; addirittura gli è stato dato un nome: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Uno di loro sarebbe stato di pelle scura. La stella che seguivano sarebbe stata una cometa. Tutte cose che non troviamo scritte nel vangelo: né che fossero tre, né che fossero dei re, né che si chiamassero così, e neanche che la stella avesse la coda…E’ la fantasia popolare che ha ricamato in lungo e in largo su quello che il vangelo racconta…
Quello che è certo è che Gesù, Figlio di Dio, è venuto come Salvatore di tutti, e quindi è ovvio che tutti guardino a lui, non solo i pastori vicini a quel grotta, ma anche quelli che sono molto lontani e che magari fanno un mestiere diverso da quello dei pastori…
Ma comunque, a guardar bene, succede una cosa un po’ strana all’Epifania: ci sono di quelli che abitano vicino (la gente di Gerusalemme – Gerusalemme dista pochi chilometri da Betlemme - : i sacerdoti del tempio, il re Erode…) che non fanno neanche un passo per andare a trovare Gesù: e così perdono l’opportunità di incontrare il Salvatore… (“Venne tra la sua gente – ci diceva l’evangelista Giovanni – ma i suoi non l’hanno accolto”). Ed ecco che invece ci sono di quelli che abitano molto lontano, vedono un segno (la stella) e affrontano un lungo viaggio per cercarlo; e lo trovano: trovano il Salvatore. Mi pare che il bel messaggio dell’Epifania – il vangelo per noi – sta proprio in questa contraddizione: i lontani si muovono e trovano, i vicini non trovano niente perché non fanno nemmeno un passo per cercare.
Che significato ha per noi questa contraddizione? Cerchiamo di chiarirla.
I maghi hanno visto un segno (la stella): l’hanno vista mentre erano intenti al loro lavoro, lì al loro paese…Ma forse che c’era solo per loro la stella? Ci sono per tutti le stelle! E allora perché a Gerusalemme i sacerdoti e gli scribi non l’hanno vista? Semplice: occorre guardare in su per vedere le stelle, occorre scrutare il cielo per distinguere una stella da un’altra…Cosa voglio dire con questo? Nella vita che viviamo – nelle nostre famiglie, nelle nostre vicende personali, nel momento storico che stiamo vivendo – il Signore ci offre dei segni, solo che non sono segni clamorosi, spettacolari…sono segni semplici e discreti, occorre vivere facendo attenzione a quello che accade…è necessario soffermarsi e riflettere su quello che succede (come Maria: ricordate qual è l’atteggiamento di Maria nel presepio? Conservava nel suo cuore tutto ciò che accadeva e lo meditava…). Chi vive in maniera sbadata, distratta, chi è superficiale, non vede quei segni, non scorge la stella! Perché non è chissà dove: è dentro la nostra vita di ogni giorno quella stella!
E’ anche vero, però, che per vederla, per prestarle attenzione e seguirla, occorre avere in cuore un grande desiderio… Ma un desiderio che preme, che non dà pace, solo questo può spingere a cercare anche a fatica, anche con sacrificio… Oggi si viaggia per turismo, per il piacere di viaggiare, ma allora no, ci voleva un grosso motivo per affrontare un viaggio come quello: un forte desiderio, appunto. E qui, fratelli, siamo al cuore del messaggio: noi tutti nutriamo attese, speranze, desideri nella nostra vita… ma il desiderio di salvezza quanto è forte in noi? Anzi, c’è ancora il desiderio di salvezza in noi, o abbiamo ridotto la salvezza allo star bene di salute e una carta di credito nel portafoglio? Quanto è forte il nostro amore per Gesù, il desiderio di incontrarlo come nostro salvatore? E’ abbastanza forte da indurci a rischiare qualcosa, da renderci capaci di affrontare qualche sacrificio? Non accontentiamoci di sentire ogni tanto il bisogno o la voglia di incontrare Dio; questo desiderio forte, che ha messo in cammino i magi, è ben più che una voglia passeggera…
Sì, sappiamo tante cose su Dio, sulla religione…chi più chi meno ne sappiamo tante. Anche i sacerdoti e gli scribi di Gerusalemme le sapevano, ma a cosa gli è servito saperle e basta? I Magi non sapevano tutte quelle cose che sapevano quei sacerdoti e quegli scribi, ma quell’unica di cui son venuti a conoscenza (cioè, dove sarebbe nato il Messia, Gesù), l’hanno messa a frutto: sono partiti subito alla volta di Betlemme. E hanno trovato il Salvatore.
Scribi e sacerdoti, con tutta la loro scienza religiosa, non l’hanno trovato: avevano il cuore e la mente pieni di teorie, ma quel desiderio grande di un Salvatore, no, non ce l’avevano.
Fratelli, questo mi pare il vangelo per noi oggi. Guardiamoci dal sapere religioso che non serve a niente, che non passa nella vita, che non ci mette in movimento verso traguardi e ideali grandi e duraturi. Guardiamoci dal ritenerci credenti solo perché pensiamo che Dio forse, c’è, esiste da qualche parte… No, credere è ben altro da questo!
Facciamo un attimo di verifica oggi, festa dell’Epifania: tra le attese e i desideri che ci animano veramente tutti i giorni, quanto è forte il desiderio di incontrare Gesù Cristo salvatore? Perché, se non desideriamo anzitutto Lui – cioè la salvezza di tutta la nostra persona – a che ci serve spendere fiato e energie per desiderare tante altre cose?
I Magi! “Mago” in dialetto trentino lo si dice di uno …un po’ tonto, sprovveduto, poco accorto. Sarà.
Ma i Magi dell’Epifania sono tutt’altro che tonti o sprovveduti. Sono modelli di vera grandezza, di autentica saggezza, e di fede davvero ardente. E allora, non guardiamo a loro come a personaggi un po’ folkloristici: imitiamoli piuttosto. Questo è davvero importante.
Le letture bibliche: Isaia 60,1-6; Efesini 3,2-3a.5-6; Matteo 2,1-12
E’ uno di quei racconti che hanno sempre affascinato questo dei Magi. Gli evangelisti Matteo e Luca, quando ci parlano del Natale, non lo fanno da giornalisti…che oggi vedono un fatto e domani lo scrivono sul giornale. Ci consegnano invece una storia che è stata scritta molti anni dopo che i fatti erano accaduti: certi particolari un po’ fantasiosi sono stati aggiunti da chi la raccontava… (e si sa com’è: a forza di raccontare, si finisce sempre coll’aggiungere ogni volta qualcosa…). Ma hanno talmente affascinato questi racconti del vangelo, che la tradizione popolare non ha mai smesso di aggiungerci qualcosa…
I Maghi – che dovevano essere astrologi persiani della religione di Zoroastro – sono diventati i “magi”, anzi i “Re magi”. E tre per la precisione; addirittura gli è stato dato un nome: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Uno di loro sarebbe stato di pelle scura. La stella che seguivano sarebbe stata una cometa. Tutte cose che non troviamo scritte nel vangelo: né che fossero tre, né che fossero dei re, né che si chiamassero così, e neanche che la stella avesse la coda…E’ la fantasia popolare che ha ricamato in lungo e in largo su quello che il vangelo racconta…
Quello che è certo è che Gesù, Figlio di Dio, è venuto come Salvatore di tutti, e quindi è ovvio che tutti guardino a lui, non solo i pastori vicini a quel grotta, ma anche quelli che sono molto lontani e che magari fanno un mestiere diverso da quello dei pastori…
Ma comunque, a guardar bene, succede una cosa un po’ strana all’Epifania: ci sono di quelli che abitano vicino (la gente di Gerusalemme – Gerusalemme dista pochi chilometri da Betlemme - : i sacerdoti del tempio, il re Erode…) che non fanno neanche un passo per andare a trovare Gesù: e così perdono l’opportunità di incontrare il Salvatore… (“Venne tra la sua gente – ci diceva l’evangelista Giovanni – ma i suoi non l’hanno accolto”). Ed ecco che invece ci sono di quelli che abitano molto lontano, vedono un segno (la stella) e affrontano un lungo viaggio per cercarlo; e lo trovano: trovano il Salvatore. Mi pare che il bel messaggio dell’Epifania – il vangelo per noi – sta proprio in questa contraddizione: i lontani si muovono e trovano, i vicini non trovano niente perché non fanno nemmeno un passo per cercare.
Che significato ha per noi questa contraddizione? Cerchiamo di chiarirla.
I maghi hanno visto un segno (la stella): l’hanno vista mentre erano intenti al loro lavoro, lì al loro paese…Ma forse che c’era solo per loro la stella? Ci sono per tutti le stelle! E allora perché a Gerusalemme i sacerdoti e gli scribi non l’hanno vista? Semplice: occorre guardare in su per vedere le stelle, occorre scrutare il cielo per distinguere una stella da un’altra…Cosa voglio dire con questo? Nella vita che viviamo – nelle nostre famiglie, nelle nostre vicende personali, nel momento storico che stiamo vivendo – il Signore ci offre dei segni, solo che non sono segni clamorosi, spettacolari…sono segni semplici e discreti, occorre vivere facendo attenzione a quello che accade…è necessario soffermarsi e riflettere su quello che succede (come Maria: ricordate qual è l’atteggiamento di Maria nel presepio? Conservava nel suo cuore tutto ciò che accadeva e lo meditava…). Chi vive in maniera sbadata, distratta, chi è superficiale, non vede quei segni, non scorge la stella! Perché non è chissà dove: è dentro la nostra vita di ogni giorno quella stella!
E’ anche vero, però, che per vederla, per prestarle attenzione e seguirla, occorre avere in cuore un grande desiderio… Ma un desiderio che preme, che non dà pace, solo questo può spingere a cercare anche a fatica, anche con sacrificio… Oggi si viaggia per turismo, per il piacere di viaggiare, ma allora no, ci voleva un grosso motivo per affrontare un viaggio come quello: un forte desiderio, appunto. E qui, fratelli, siamo al cuore del messaggio: noi tutti nutriamo attese, speranze, desideri nella nostra vita… ma il desiderio di salvezza quanto è forte in noi? Anzi, c’è ancora il desiderio di salvezza in noi, o abbiamo ridotto la salvezza allo star bene di salute e una carta di credito nel portafoglio? Quanto è forte il nostro amore per Gesù, il desiderio di incontrarlo come nostro salvatore? E’ abbastanza forte da indurci a rischiare qualcosa, da renderci capaci di affrontare qualche sacrificio? Non accontentiamoci di sentire ogni tanto il bisogno o la voglia di incontrare Dio; questo desiderio forte, che ha messo in cammino i magi, è ben più che una voglia passeggera…
Sì, sappiamo tante cose su Dio, sulla religione…chi più chi meno ne sappiamo tante. Anche i sacerdoti e gli scribi di Gerusalemme le sapevano, ma a cosa gli è servito saperle e basta? I Magi non sapevano tutte quelle cose che sapevano quei sacerdoti e quegli scribi, ma quell’unica di cui son venuti a conoscenza (cioè, dove sarebbe nato il Messia, Gesù), l’hanno messa a frutto: sono partiti subito alla volta di Betlemme. E hanno trovato il Salvatore.
Scribi e sacerdoti, con tutta la loro scienza religiosa, non l’hanno trovato: avevano il cuore e la mente pieni di teorie, ma quel desiderio grande di un Salvatore, no, non ce l’avevano.
Fratelli, questo mi pare il vangelo per noi oggi. Guardiamoci dal sapere religioso che non serve a niente, che non passa nella vita, che non ci mette in movimento verso traguardi e ideali grandi e duraturi. Guardiamoci dal ritenerci credenti solo perché pensiamo che Dio forse, c’è, esiste da qualche parte… No, credere è ben altro da questo!
Facciamo un attimo di verifica oggi, festa dell’Epifania: tra le attese e i desideri che ci animano veramente tutti i giorni, quanto è forte il desiderio di incontrare Gesù Cristo salvatore? Perché, se non desideriamo anzitutto Lui – cioè la salvezza di tutta la nostra persona – a che ci serve spendere fiato e energie per desiderare tante altre cose?
I Magi! “Mago” in dialetto trentino lo si dice di uno …un po’ tonto, sprovveduto, poco accorto. Sarà.
Ma i Magi dell’Epifania sono tutt’altro che tonti o sprovveduti. Sono modelli di vera grandezza, di autentica saggezza, e di fede davvero ardente. E allora, non guardiamo a loro come a personaggi un po’ folkloristici: imitiamoli piuttosto. Questo è davvero importante.
5 Gennaio - 2* Domenica dopo NATALE
Le Letture bibliche: Siracide 24,1-4.12-16; Efesini 1,3-6.15-18; Giovanni 1,1-18
Chi ha partecipato alla Messa il giorno di Natale, sentendo questo vangelo può aver pensato: “l’abbiamo già sentito". Perché mai oggi lo risentiamo di nuovo?”
Ed ecco la risposta: è un po’ quel motivo per cui, quando si tratta di un'importante opera d'arte, o di una famosa città, si torna sempre volentieri a visitarla.
Di questa pagina del Vangelo di Giovanni – il prologo cosiddetto – noi tutt’al più ricordiamo una frase, come quella che dice: Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Ma se un ateo ci chiedesse: chi è questo Verbo? siamo sicuri di saper rispondere? Allora – siccome la nostra Fede ha bisogno anche di parole umane e di solide basi culturali - soffermiamoci un po’… proprio su questa parola “Verbo” e cerchiamo di capire.
Sia chiaro, non ha niente a che vedere con la grammatica o la sintassi… (dove si parla di verbo essere o verbo avere…). No, Verbo qui traduce una parola greca molto conosciuta in antico e che suonava così: Logos. I greci l’adoperavano moltissimo, e voleva dire: “significato”, “senso”, proprio nel modo che l’intendiamo noi quando diciamo: “Che senso ha questa cosa, questo fatto? Che significato ha questa parola, questa espressione, quel gesto? Cosa vuol dire?”.
Ecco, appunto: il senso, il motivo, il perché: LOGOS lo chiamavano i greci duemila anni fa'. Ebbene, proprio in quella lingua – il greco – l’apostolo Giovanni scrive il vangelo e dice : “Il Logos era fin dal principio presso Dio, anzi: il Logos era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste”. Ecco, fratelli, da queste parole – tanto solenni da sembrare forse un po’ enigmatiche – si deduce che tutto ha un senso, e nulla di ciò che esiste o accade è senza senso. Posso tentare di spiegarmi meglio con qualche esempio?
Perchè a partire da fine dicembre i giorni comincino ad allungarsi e le notti ad accorciarsi, e ogni anno è così? Non mi si dica che dipende da fenomeni di rotazione o di rivoluzione della terra attorno al sole… non mi basta questa spiegazione così banale. Perché poi la terra si ridesta, germoglia e fiorisce a ogni primavera, in estate produce frutti, in autunno sovrabbondano e in inverno poi si riposa? Dove sta scritto che deve essere sempre così? E che l’acqua di tutti i torrenti e i fiumi vada verso il mare – e non viceversa – chi l’ha stabilito? Il Parlamento? O il Presidente degli Stati Uniti? E la bellezza! La bellezza delle nostre montagne innevate, sfiorate dal sole all’alba o al tramonto, da dove viene? Chi ne è l’autore?
“Tutto è stato fatto per mezzo del Logos e senza di lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste”. E il Logos si è fatto carne, è venuto in mezzo a noi: ha preso il volto di Gesù”. Ecco la ragione, il motivo, la spiegazione di tutto: Gesù. Gesù Cristo.
Fratelli, non permettiamo che crescono i calli sulle nostre coscienze, al punto da non saperci più stupire delle meraviglie che sovrabbondano nel cosmo attorno a noi… E se per caso abbiamo pensato fin’ora che tutto dipenda dal caso, finiamola con questa stupida baggianata e riconosciamo invece la presenza del Logos, Gesù: tutto è stato fatto per mezzo di lui.
E consideriamo anche le tante esperienze umane che accomunano donne e uomini di ogni razza e cultura… L’amore che unisce strettamente ogni papà e ogni mamma alle loro creature… l’amore che che germoglia nell’animo degli adolescenti, dei giovani… l’esigenza di scegliere quella professione, quel mestiere anziché un altro (poi non sempre realizzabile magari) ma da dove viene? E quell’istinto forte ad arrestare il passo, a fare qualcosa, se incontri un tuo simile che sta male… chi te l’ha messa nel cuore? E il bisogno di incontrarci, di fraternizzare, di dotarci di amicizie… perchè? Chi ce l’ha dato? Si potrebbe continuare a lungo… ma la risposta diventa un ritornello: “Tutto è stato fatto per mezzo del Logos e senza di lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste”. E il Logos si è fatto carne, è venuto in mezzo a noi: ha preso il volto di Gesù”. Ecco la ragione, il motivo, la spiegazione di tutto: Gesù. Gesù Cristo.
E’ importante riconoscerlo, fratelli? Sì, al punto che - soprattutto al giorno d’oggi – ne va della nostra Fede… E’ tempo e ora grande di pensare a Gesù Cristo non solo quando ci troviamo in chiesa, ma anche fuori dalle chiese… nel mondo e nel concreto della nostra esistenza quotidiana. Ed è bello pensare che Lui è la ragione, il motivo di tutto ciò che vi è di bello, di positivo nel cosmo che ci avvolge e nelle nostre esperienze umane più preziose e più sane…
E’ importante perché allora anche ciò che è negativo assume un altro peso. Se l’ordine del cosmo, la fecondità della terra, l’alternarsi abituale delle stagioni, viene manomesso dall’ingordigia degli uomini, con le drammatiche conseguenze degli sconvolgimenti climatici, tutti questo è oltraggio al Logos, Gesù Cristo. E se questo sconvolgimento avviene tra gli uomini, popoli o singole famiglie, calpestando diritti e dignità (come sta accadendo spesso di questi tempi), è oltraggio ancora più grave al Logos, Gesù Cristo, venuto ad abitare in mezzo a noi per insegnarci ad essere umani.
Insomma, in questi giorni del Natale, Dio ci ha aperto il suo cuore: “Ha tanto amato il mondo da donarci il suo Figlio”. “Il LOGOS si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. E noi l’abbiamo contemplato…” continua l'evangelista Giovanni e continueremo a contemplarlo: in noi e attorno a noi.
Abbiamo un’eccezionale opportunità ormai noi come cristiani: guardare Gesù – bambino nel presepio, ragazzo a Nazaret, uomo adulto che insegna e guarisce e perdona – oppure ancora Crocifisso, o risorto – e pensare: ecco il LOGOS che si è fatto carne. Ecco il senso di tutto, proprio di tutto, anche di ciò che sperimento e vivo: Gesù Cristo.
Guardare lui, contemplare lui, soprattutto in certe ore e in certi momenti, è trovare… non dico una risposta a tutti i nostri “perché”, ma la conferma, la certezza che una risposta sì: c’è, ed è buona. Questo ci aiuta a vivere, ad andare avanti anche quando c’è buio e oscurità attorno a noi. Infatti, anche questo ci ha detto oggi il vangelo: “la luce splende ormai nelle tenebre e le tenebre, sì' l'hanno combattuta, ma non sono riuscite a sopraffarla".
Il Logos, il Verbo di Dio, non è venuto a toglierci le tenebre. E’ venuto come luce che splende nelle tenebre. E questo ci basta.
Le Letture bibliche: Siracide 24,1-4.12-16; Efesini 1,3-6.15-18; Giovanni 1,1-18
Chi ha partecipato alla Messa il giorno di Natale, sentendo questo vangelo può aver pensato: “l’abbiamo già sentito". Perché mai oggi lo risentiamo di nuovo?”
Ed ecco la risposta: è un po’ quel motivo per cui, quando si tratta di un'importante opera d'arte, o di una famosa città, si torna sempre volentieri a visitarla.
Di questa pagina del Vangelo di Giovanni – il prologo cosiddetto – noi tutt’al più ricordiamo una frase, come quella che dice: Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Ma se un ateo ci chiedesse: chi è questo Verbo? siamo sicuri di saper rispondere? Allora – siccome la nostra Fede ha bisogno anche di parole umane e di solide basi culturali - soffermiamoci un po’… proprio su questa parola “Verbo” e cerchiamo di capire.
Sia chiaro, non ha niente a che vedere con la grammatica o la sintassi… (dove si parla di verbo essere o verbo avere…). No, Verbo qui traduce una parola greca molto conosciuta in antico e che suonava così: Logos. I greci l’adoperavano moltissimo, e voleva dire: “significato”, “senso”, proprio nel modo che l’intendiamo noi quando diciamo: “Che senso ha questa cosa, questo fatto? Che significato ha questa parola, questa espressione, quel gesto? Cosa vuol dire?”.
Ecco, appunto: il senso, il motivo, il perché: LOGOS lo chiamavano i greci duemila anni fa'. Ebbene, proprio in quella lingua – il greco – l’apostolo Giovanni scrive il vangelo e dice : “Il Logos era fin dal principio presso Dio, anzi: il Logos era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste”. Ecco, fratelli, da queste parole – tanto solenni da sembrare forse un po’ enigmatiche – si deduce che tutto ha un senso, e nulla di ciò che esiste o accade è senza senso. Posso tentare di spiegarmi meglio con qualche esempio?
Perchè a partire da fine dicembre i giorni comincino ad allungarsi e le notti ad accorciarsi, e ogni anno è così? Non mi si dica che dipende da fenomeni di rotazione o di rivoluzione della terra attorno al sole… non mi basta questa spiegazione così banale. Perché poi la terra si ridesta, germoglia e fiorisce a ogni primavera, in estate produce frutti, in autunno sovrabbondano e in inverno poi si riposa? Dove sta scritto che deve essere sempre così? E che l’acqua di tutti i torrenti e i fiumi vada verso il mare – e non viceversa – chi l’ha stabilito? Il Parlamento? O il Presidente degli Stati Uniti? E la bellezza! La bellezza delle nostre montagne innevate, sfiorate dal sole all’alba o al tramonto, da dove viene? Chi ne è l’autore?
“Tutto è stato fatto per mezzo del Logos e senza di lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste”. E il Logos si è fatto carne, è venuto in mezzo a noi: ha preso il volto di Gesù”. Ecco la ragione, il motivo, la spiegazione di tutto: Gesù. Gesù Cristo.
Fratelli, non permettiamo che crescono i calli sulle nostre coscienze, al punto da non saperci più stupire delle meraviglie che sovrabbondano nel cosmo attorno a noi… E se per caso abbiamo pensato fin’ora che tutto dipenda dal caso, finiamola con questa stupida baggianata e riconosciamo invece la presenza del Logos, Gesù: tutto è stato fatto per mezzo di lui.
E consideriamo anche le tante esperienze umane che accomunano donne e uomini di ogni razza e cultura… L’amore che unisce strettamente ogni papà e ogni mamma alle loro creature… l’amore che che germoglia nell’animo degli adolescenti, dei giovani… l’esigenza di scegliere quella professione, quel mestiere anziché un altro (poi non sempre realizzabile magari) ma da dove viene? E quell’istinto forte ad arrestare il passo, a fare qualcosa, se incontri un tuo simile che sta male… chi te l’ha messa nel cuore? E il bisogno di incontrarci, di fraternizzare, di dotarci di amicizie… perchè? Chi ce l’ha dato? Si potrebbe continuare a lungo… ma la risposta diventa un ritornello: “Tutto è stato fatto per mezzo del Logos e senza di lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste”. E il Logos si è fatto carne, è venuto in mezzo a noi: ha preso il volto di Gesù”. Ecco la ragione, il motivo, la spiegazione di tutto: Gesù. Gesù Cristo.
E’ importante riconoscerlo, fratelli? Sì, al punto che - soprattutto al giorno d’oggi – ne va della nostra Fede… E’ tempo e ora grande di pensare a Gesù Cristo non solo quando ci troviamo in chiesa, ma anche fuori dalle chiese… nel mondo e nel concreto della nostra esistenza quotidiana. Ed è bello pensare che Lui è la ragione, il motivo di tutto ciò che vi è di bello, di positivo nel cosmo che ci avvolge e nelle nostre esperienze umane più preziose e più sane…
E’ importante perché allora anche ciò che è negativo assume un altro peso. Se l’ordine del cosmo, la fecondità della terra, l’alternarsi abituale delle stagioni, viene manomesso dall’ingordigia degli uomini, con le drammatiche conseguenze degli sconvolgimenti climatici, tutti questo è oltraggio al Logos, Gesù Cristo. E se questo sconvolgimento avviene tra gli uomini, popoli o singole famiglie, calpestando diritti e dignità (come sta accadendo spesso di questi tempi), è oltraggio ancora più grave al Logos, Gesù Cristo, venuto ad abitare in mezzo a noi per insegnarci ad essere umani.
Insomma, in questi giorni del Natale, Dio ci ha aperto il suo cuore: “Ha tanto amato il mondo da donarci il suo Figlio”. “Il LOGOS si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. E noi l’abbiamo contemplato…” continua l'evangelista Giovanni e continueremo a contemplarlo: in noi e attorno a noi.
Abbiamo un’eccezionale opportunità ormai noi come cristiani: guardare Gesù – bambino nel presepio, ragazzo a Nazaret, uomo adulto che insegna e guarisce e perdona – oppure ancora Crocifisso, o risorto – e pensare: ecco il LOGOS che si è fatto carne. Ecco il senso di tutto, proprio di tutto, anche di ciò che sperimento e vivo: Gesù Cristo.
Guardare lui, contemplare lui, soprattutto in certe ore e in certi momenti, è trovare… non dico una risposta a tutti i nostri “perché”, ma la conferma, la certezza che una risposta sì: c’è, ed è buona. Questo ci aiuta a vivere, ad andare avanti anche quando c’è buio e oscurità attorno a noi. Infatti, anche questo ci ha detto oggi il vangelo: “la luce splende ormai nelle tenebre e le tenebre, sì' l'hanno combattuta, ma non sono riuscite a sopraffarla".
Il Logos, il Verbo di Dio, non è venuto a toglierci le tenebre. E’ venuto come luce che splende nelle tenebre. E questo ci basta.
1 Gennaio 2025 - Maria SS.ma Madre di Dio
Le Letture bibliche: Numeri 6,22-27; Galati 4,4-7; Luca 2,16-21
L'Omelia che segue è stata tenuta durante Celebrazione di Apertura dell'Anno Santo presso il Santuario,
quale "chiesa giubilare" della Diocesi
I tempi, gli anni, non sono eguali per tutti: non solo perché a certuni portano fortuna e buona salute, mentre ad altri riservano preoccupazioni e problemi… ma anche perché le donne e gli uomini che vivono nel tempo non sono tutti eguali. Se per gli scettici o gli atei un anno vale l’altro, per i credenti – per noi cristiani in particolare – da quando Dio, l’Eterno, è entrato nella nostra storia umana, tempi, anni, stagioni e giorni possono essere diversi. Tutti hanno senso e valore, ma alcuni possono essere più favorevoli di altri.
L’anno santo, la cui origine risale a secoli or sono, non se l’è inventato un papa perché se l’era sognato di notte: è venuta dal popolo l’intuizione d’un tempo di particolare grazia e misericordia; l’autorità della Chiesa l’ha accolta e riconosciuta legittima. Non con la presunzione di indurre Dio ad essere più ben disposto del solito – lui è sempre fonte inesauribile di grazia e misericordia – ma con l’intento di recare un po’ di sollievo a questo mondo, che troppo sovente sembra contagiato da virus di rovina, di perdizione.
E l’antidoto provvidenziale per il mondo, in questo Anno Santo appena iniziato, ha un nome ben preciso e familiare: Speranza. Questo sarà l’Anno in cui avremo l’’opportunità e la responsabilità di riscoprire, ravvivare e testimoniare la Speranza. Perché proprio la Speranza?
La risposta è tanto semplice da sembrare perfino banale: perché ce n’è estremo bisogno. A tutti i livelli.
Sono anni che nelle città – specie d’inverno – s’inventano misure per contenere in tutti i modi lo smog che inquina l’aria che si respira. Ma lo smog più micidiale che avvelena tutti, e non solo nelle città, è il pessimismo, il venir meno della fiducia, e quindi il disimpegno, l’indifferenza, e l’avanzare degli egoismi, individuali o collettivi che siano.
Le guerre che imperversano in più di trenta Paesi del mondo e alle quali si rischia perfino d’abituarsi… lo confermano: c’è bisogno di ricuperare Speranza.
Le ripetute suppliche e preghiere per la pace rimaste in apparenza senza risposta – tanto da indurre non pochi a pensare che Dio non ci ascolti più – in realtà sollecitano noi credenti a ridestare e a potenziare ancor più la Speranza.
Non mancano, come ben sappiamo, gelide ventate di pessimismo e sfiducia anche nell’ambito sociale di cui siamo parte; non mancano in settori d’importanza vitale per tutti: come il mondo del lavoro, l’ambito sanitario, quello educativo… Certo che coinvolgono la responsabilità e la coscienza di quanti sono preposti al bene comune, ma chiunque siano costoro… potranno fare ben poco se prima non si ridà respiro alla Speranza.
Sì, anche nella Chiesa ce n’è bisogno. Questa Chiesa universale, amareggiata da scandali che sono venuti alla luce; la Chiesa delle nostre Comunità che faticano a far fronte alle crisi che le hanno investite in varie maniere in questi ultimi anni… e a volte corrono ai ripari sì, ma per vie ingannevoli: o con ritorni al passato che poco hanno a che vedere col vangelo, o con fughe in avanti verso un avvenire che non pare coincida con il futuro provvidenziale di Dio: tutto ciò odora più di mondano che di cristiano, e ben poco ha a che vedere con la Speranza.
E non posso certo ignorare famiglie e anche singoli individui che della Speranza hanno dimenticato non solo la forza ma perfino il nome. Penso a genitori già avanti negli anni, amareggiati per certe scelte dei loro figli, ormai adulti e accasati, del tutto contrarie a quegli ideali dei quali loro – genitori - avevano dato l’esempio… Ed è l’amarezza. Può subentrare Speranza nell'amarezza di quei genitori? Può guarire il pessimismo di quegli individui, uomini o donne, che certe dure esperienze della vita hanno portato a chiudersi in loro stessi, in un egocentrismo che fa male a loro prima ancora che al loro prossimo?
Fratelli, chi oserà dire che non c’è bisogno di Speranza? Ho voluto soffermarmi e passare in rassegna questi vari ambiti, anche a rischio di essere accusato io stesso di pessimismo; ma il pericolo di essere teorici nel parlare di Speranza sarebbe molto più grave.
E pur tuttavia c’è una domanda alla quale già oggi occorre rispondere, ed è questa: di quale Speranza parliamo? Cosa intendiamo con questa parola? “Pellegrini di Speranza” dice il logo che accompagna quest’anno santo… E’ forse quella cui si dice nelle nostre conversazioni che “è l’ultima a morire” oppure “fin che c’è vita c’è speranza”? No, decisamente: questa la condividono anche i pagani, anche gli atei. Questa speranza, umana e soltanto umana, ad un certo punto finisce, muore: magari per ultima, ma muore. Per questa non occorre indire alcun Anno Santo.
Quella di cui ci facciamo pellegrini noi cristiani, e probabilmente anche altri con noi, non muore perché è un’energia, una “corrente ad alta tensione” per così dire, che viene direttamente da Dio. E’ Lui che ce la dona, assieme alla Fede e alla Carità, anzi, ce l’ha già donata: il giorno del nostro Battesimo. Ora, della Fede e della carità – poco o tanto, bene o meno bene – se ne parla e noi ce ne curiamo, cerchiamo di alimentarle, esercitarle. Della Speranza – pur essendo energia potente e divina – si parla poco, ce ne occupiamo di rado: tra le potenti virtù che Dio ci ha regalato, questa è ridotta a Cenerentola…. Ecco perché, tra le iniziative che terremo qui al Santuario in questi prossimi mesi, sono stati programmati anche alcuni Ritiri o occasioni particolari di spiritualità: appunto per riscoprire, per ravvivare la virtù divina della Speranza. E ad essa sarà opportuno attingere anche nelle celebrazioni e incontri di preghiera più abituali.
Di questa speranza che il Signore ci ha dato, san Paolo non scrive che è l’ultima a morire, ma che non delude mai: anche se tutte le nostre umane attese restassero prive di risposta, di questa possiamo ripetere sempre: “La Speranza che Dio ci ha dato non delude”. Non solo: è sempre ben disposto il Signore a rifornircene, ad alimentarla, perché – notate bene – non è solo a nostro uso e consumo che ce la dona, ma perché la possiamo condividere con chi ne ha una sete esasperata, ben più di noi.
Quest’anno è santo – fratelli - perchè lo Spirito di Dio, se ci trova disponibili, potrà animarci in modo particolarmente generoso. Lasciamoci animare allora, e non manchiamo di metterci la nostra personale buona volontà.
Così sia.
Le Letture bibliche: Numeri 6,22-27; Galati 4,4-7; Luca 2,16-21
L'Omelia che segue è stata tenuta durante Celebrazione di Apertura dell'Anno Santo presso il Santuario,
quale "chiesa giubilare" della Diocesi
I tempi, gli anni, non sono eguali per tutti: non solo perché a certuni portano fortuna e buona salute, mentre ad altri riservano preoccupazioni e problemi… ma anche perché le donne e gli uomini che vivono nel tempo non sono tutti eguali. Se per gli scettici o gli atei un anno vale l’altro, per i credenti – per noi cristiani in particolare – da quando Dio, l’Eterno, è entrato nella nostra storia umana, tempi, anni, stagioni e giorni possono essere diversi. Tutti hanno senso e valore, ma alcuni possono essere più favorevoli di altri.
L’anno santo, la cui origine risale a secoli or sono, non se l’è inventato un papa perché se l’era sognato di notte: è venuta dal popolo l’intuizione d’un tempo di particolare grazia e misericordia; l’autorità della Chiesa l’ha accolta e riconosciuta legittima. Non con la presunzione di indurre Dio ad essere più ben disposto del solito – lui è sempre fonte inesauribile di grazia e misericordia – ma con l’intento di recare un po’ di sollievo a questo mondo, che troppo sovente sembra contagiato da virus di rovina, di perdizione.
E l’antidoto provvidenziale per il mondo, in questo Anno Santo appena iniziato, ha un nome ben preciso e familiare: Speranza. Questo sarà l’Anno in cui avremo l’’opportunità e la responsabilità di riscoprire, ravvivare e testimoniare la Speranza. Perché proprio la Speranza?
La risposta è tanto semplice da sembrare perfino banale: perché ce n’è estremo bisogno. A tutti i livelli.
Sono anni che nelle città – specie d’inverno – s’inventano misure per contenere in tutti i modi lo smog che inquina l’aria che si respira. Ma lo smog più micidiale che avvelena tutti, e non solo nelle città, è il pessimismo, il venir meno della fiducia, e quindi il disimpegno, l’indifferenza, e l’avanzare degli egoismi, individuali o collettivi che siano.
Le guerre che imperversano in più di trenta Paesi del mondo e alle quali si rischia perfino d’abituarsi… lo confermano: c’è bisogno di ricuperare Speranza.
Le ripetute suppliche e preghiere per la pace rimaste in apparenza senza risposta – tanto da indurre non pochi a pensare che Dio non ci ascolti più – in realtà sollecitano noi credenti a ridestare e a potenziare ancor più la Speranza.
Non mancano, come ben sappiamo, gelide ventate di pessimismo e sfiducia anche nell’ambito sociale di cui siamo parte; non mancano in settori d’importanza vitale per tutti: come il mondo del lavoro, l’ambito sanitario, quello educativo… Certo che coinvolgono la responsabilità e la coscienza di quanti sono preposti al bene comune, ma chiunque siano costoro… potranno fare ben poco se prima non si ridà respiro alla Speranza.
Sì, anche nella Chiesa ce n’è bisogno. Questa Chiesa universale, amareggiata da scandali che sono venuti alla luce; la Chiesa delle nostre Comunità che faticano a far fronte alle crisi che le hanno investite in varie maniere in questi ultimi anni… e a volte corrono ai ripari sì, ma per vie ingannevoli: o con ritorni al passato che poco hanno a che vedere col vangelo, o con fughe in avanti verso un avvenire che non pare coincida con il futuro provvidenziale di Dio: tutto ciò odora più di mondano che di cristiano, e ben poco ha a che vedere con la Speranza.
E non posso certo ignorare famiglie e anche singoli individui che della Speranza hanno dimenticato non solo la forza ma perfino il nome. Penso a genitori già avanti negli anni, amareggiati per certe scelte dei loro figli, ormai adulti e accasati, del tutto contrarie a quegli ideali dei quali loro – genitori - avevano dato l’esempio… Ed è l’amarezza. Può subentrare Speranza nell'amarezza di quei genitori? Può guarire il pessimismo di quegli individui, uomini o donne, che certe dure esperienze della vita hanno portato a chiudersi in loro stessi, in un egocentrismo che fa male a loro prima ancora che al loro prossimo?
Fratelli, chi oserà dire che non c’è bisogno di Speranza? Ho voluto soffermarmi e passare in rassegna questi vari ambiti, anche a rischio di essere accusato io stesso di pessimismo; ma il pericolo di essere teorici nel parlare di Speranza sarebbe molto più grave.
E pur tuttavia c’è una domanda alla quale già oggi occorre rispondere, ed è questa: di quale Speranza parliamo? Cosa intendiamo con questa parola? “Pellegrini di Speranza” dice il logo che accompagna quest’anno santo… E’ forse quella cui si dice nelle nostre conversazioni che “è l’ultima a morire” oppure “fin che c’è vita c’è speranza”? No, decisamente: questa la condividono anche i pagani, anche gli atei. Questa speranza, umana e soltanto umana, ad un certo punto finisce, muore: magari per ultima, ma muore. Per questa non occorre indire alcun Anno Santo.
Quella di cui ci facciamo pellegrini noi cristiani, e probabilmente anche altri con noi, non muore perché è un’energia, una “corrente ad alta tensione” per così dire, che viene direttamente da Dio. E’ Lui che ce la dona, assieme alla Fede e alla Carità, anzi, ce l’ha già donata: il giorno del nostro Battesimo. Ora, della Fede e della carità – poco o tanto, bene o meno bene – se ne parla e noi ce ne curiamo, cerchiamo di alimentarle, esercitarle. Della Speranza – pur essendo energia potente e divina – si parla poco, ce ne occupiamo di rado: tra le potenti virtù che Dio ci ha regalato, questa è ridotta a Cenerentola…. Ecco perché, tra le iniziative che terremo qui al Santuario in questi prossimi mesi, sono stati programmati anche alcuni Ritiri o occasioni particolari di spiritualità: appunto per riscoprire, per ravvivare la virtù divina della Speranza. E ad essa sarà opportuno attingere anche nelle celebrazioni e incontri di preghiera più abituali.
Di questa speranza che il Signore ci ha dato, san Paolo non scrive che è l’ultima a morire, ma che non delude mai: anche se tutte le nostre umane attese restassero prive di risposta, di questa possiamo ripetere sempre: “La Speranza che Dio ci ha dato non delude”. Non solo: è sempre ben disposto il Signore a rifornircene, ad alimentarla, perché – notate bene – non è solo a nostro uso e consumo che ce la dona, ma perché la possiamo condividere con chi ne ha una sete esasperata, ben più di noi.
Quest’anno è santo – fratelli - perchè lo Spirito di Dio, se ci trova disponibili, potrà animarci in modo particolarmente generoso. Lasciamoci animare allora, e non manchiamo di metterci la nostra personale buona volontà.
Così sia.
29 Dicembre - Festa della Santa Famiglia
Le Letture bibliche: 1Samuele 1,20-22.24-28; 1Giovanni 3,1-2.21-24; Luca 2,41-52
A nessuno sfugge che i tempi nei quali viviamo ci riservano elementi positivi e anche situazioni negative, conquiste e pure fallimenti: contraddizioni insomma. Tempi di contraddizioni i nostri tempi.
Una contraddizione tra le più ricorrenti è questa: da un lato i fallimenti familiari: mai sono stati così frequenti (con un calo notevole di matrimoni, sia in chiesa che in Comune), e d’altro lato c’è una notevole percentuale di giovani che continua a mettere al primo posto proprio l’ideale della famiglia: ecco la contraddizione. Da una parte, una serie di dati negativi che indurrebbero al pessimismo e, dall’altra, questo ideale positivo della famiglia, condiviso anche dalle nuove generazioni…
Che pensare? Che dire? Senza mancare di rispetto a sociologi, psicologi… e tutta questa brava gente, noi qui oggi – in questa Eucaristia – preferiamo dare la parola al Signore e tirare qualche conclusione in base a quello che lui ci dice. E il Signore ama parlare con i fatti, con le storie di vita di quelli che si fidano di lui e si affidano a lui. Due ne abbiamo sentite. Le storie di due famiglie: in ciascuna di esse c’è un bambino che viene portato al tempio dai suoi genitori.
Nella prima il bambino si chiama Samuele: nome che vuol dire “Dio ha ascoltato”; un nome che riassume tutta una storia di vita. Sua madre, Anna, donna sterile, aveva supplicato ardentemente il Signore di farle dono di un figlio; gli aveva anche promesso che, se l’avesse avuto, l’avrebbe messo a sua disposizione: ecco perché, una volta avuto quel dono, mantiene la promessa e lo porta al tempio… Noi oggi, con la sensibilità che ci ritroviamo, forse saremmo piuttosto critici verso un tal modo di fare: “come può una madre decidere la vita che dovrà fare suo figlio?”. Non dimentichiamo, però, che 3000 anni fa’ non si andava tanto per il sottile… e poi resta da vedere se 3000 anni dopo (cioè ai nostri giorni) possiamo davvero ritenerci più progrediti in fatto di valori e di criteri di valutazione…
Quell’antica storia insegna una cosa che per noi credenti è sempre vera (anche se al giorno d’oggi molti faticano ad accettarla): un figlio non è un diritto per nessuno; è dono di Dio, sempre, e come tale va accolto con amore e responsabilità, senza forzare egoisticamente la natura (cioè la creazione di Dio) e la scienza medica. Questo modo di ragionare alla fin fine ha una conseguenza importante: garantisce dignità e rispetto a ogni persona, sia a chi deve nascere, sia a chi lo porta in grembo. Dignità e rispetto: se mancano, ogni vita non può che essere a rischio… Samuele è dono di Dio, e i suoi genitori lo riconoscono portandolo al tempio e offrendolo riconoscenti al Signore.
Nell’altra storia di vita – vita di famiglia! – troviamo Maria e Giuseppe i quali pure vanno al tempio con il loro bambino, Gesù. L’avevano già offerto a Dio pochi giorni dopo la nascita. Tra gli ebrei c’era infatti questa abitudine: offrire al Signore il figlio primogenito… Poi quel figlio cresceva comunque in famiglia (non è che i genitori lo lasciavano nel tempio), però ogni anno la famiglia vi si recava in pellegrinaggio, e quando il bambino era in grado di affrontare il viaggio, ci andava anche lui con i suoi genitori. Era un modo per dire: “noi – papà, mamma, figli – apparteniamo a Dio: ognuno di noi è dono suo; Lui è il Signore, lui ha il primo posto nella nostra famiglia”. Quella volta che Maria e Giuseppe portarono con loro Gesù dodicenne, accadde quello che il vangelo ci ha raccontato: al ritorno da quel pellegrinaggio a un certo punto si accorsero che il figlio non era con loro; Maria, che in carovana camminava con le donne, avrà pensato: “sarà dietro con Giuseppe, con gli uomini”… Giuseppe invece: “di sicuro è davanti, con sua madre”… fattostà che, quando s’accorsero che non c’era proprio, lo cercarono affannosamente per tre giorni… per sentirsi dire, al momento del ritrovamento: “Perché mi cercavate? Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero le sue parole, dice il vangelo.
Quando si afferma che un figlio è dono di Dio, anzi, che ogni persona della famiglia è dono di Dio, non è affatto una teoria, o una bella frase da cantare in certe occasioni. E’ realtà, è dato di fatto. L’apostolo san Giovanni ce l’ha detto oggi con altre parole: “Carissimi, quale grande amore ci ha dato il Padre: noi ci diciamo figli di Dio – e lo siamo realmente, fin dora!”. Ciò vuol dire che prima che figlio di un uomo e di una donna ognuno di noi è figlio di Dio: prima viene lui (che vive per sempre), dopo vengono i nostri genitori (che invece non vivono per sempre). Detta così potrà sembrare un po’ strana la cosa, ma a un certo punto della vita si intuisce che questa è la realtà provvidenziale alla quale è giusto educare anche i figli: Dio è nostro Padre, e lui viene prima di tutti, anche prima dei nostri genitori. Nostro Padre sempre, anche quando i genitori non ci sono più. Solo a questa condizione – nelle nostre famiglie - la vita di ognuno vede garantita la sua dignità ed è al sicuro.
Fatto sta che per tre giorni hanno cercato Gesù in quell’occasione, poi l’hanno ritrovato nel Tempio. Sì, anche noi possiamo “smarrire” Gesù, lasciarlo sparire dall’orizzonte della nostra vita… Di solito capita gradualmente, un po’ alla volta: si comincia col tralasciare prima la Messa della Domenica, poi la preghiera, la Confessione, poi il contatto con la propria Comunità…e quando si perde di vista Gesù è come trovarsi senza fondamento, senza perno: allora tutto può accadere. Attenzione, fratelli: attenzione a non perdere di vista Gesù! Certo, anche nelle migliori famiglie a volte si fa fatica a capire qual è il progetto di vita delle persone, di un figlio (soprattutto in certe stagioni della crescita); si fa fatica a volte anche a capirsi… ma questo non è indice di famiglia sbagliata o malata. Forse che era sbagliata la famiglia di Giuseppe e Maria? Eppure anche loro hanno faticato a capire quel Figlio… che era di Dio, prima che loro figlio.
Fratelli, quando il primo posto spetta davvero a lui, quando si cerca Gesù con passione, ci potranno essere anche momenti di tensione, preoccupazioni e apprensioni: sì, ma si tengono a bada, sotto controllo. Perché si sa per certo che lui – l’Emmanuele – è con noi. Allora le nostre famiglie – se pure con numerosi limiti e fragilità – agli occhi di Dio sono comunque e sempre “sante famiglie” .
In esse anche lui, l’Emmanuele – il Dio-con-noi – abita volentieri e ci si trova bene.
Le Letture bibliche: 1Samuele 1,20-22.24-28; 1Giovanni 3,1-2.21-24; Luca 2,41-52
A nessuno sfugge che i tempi nei quali viviamo ci riservano elementi positivi e anche situazioni negative, conquiste e pure fallimenti: contraddizioni insomma. Tempi di contraddizioni i nostri tempi.
Una contraddizione tra le più ricorrenti è questa: da un lato i fallimenti familiari: mai sono stati così frequenti (con un calo notevole di matrimoni, sia in chiesa che in Comune), e d’altro lato c’è una notevole percentuale di giovani che continua a mettere al primo posto proprio l’ideale della famiglia: ecco la contraddizione. Da una parte, una serie di dati negativi che indurrebbero al pessimismo e, dall’altra, questo ideale positivo della famiglia, condiviso anche dalle nuove generazioni…
Che pensare? Che dire? Senza mancare di rispetto a sociologi, psicologi… e tutta questa brava gente, noi qui oggi – in questa Eucaristia – preferiamo dare la parola al Signore e tirare qualche conclusione in base a quello che lui ci dice. E il Signore ama parlare con i fatti, con le storie di vita di quelli che si fidano di lui e si affidano a lui. Due ne abbiamo sentite. Le storie di due famiglie: in ciascuna di esse c’è un bambino che viene portato al tempio dai suoi genitori.
Nella prima il bambino si chiama Samuele: nome che vuol dire “Dio ha ascoltato”; un nome che riassume tutta una storia di vita. Sua madre, Anna, donna sterile, aveva supplicato ardentemente il Signore di farle dono di un figlio; gli aveva anche promesso che, se l’avesse avuto, l’avrebbe messo a sua disposizione: ecco perché, una volta avuto quel dono, mantiene la promessa e lo porta al tempio… Noi oggi, con la sensibilità che ci ritroviamo, forse saremmo piuttosto critici verso un tal modo di fare: “come può una madre decidere la vita che dovrà fare suo figlio?”. Non dimentichiamo, però, che 3000 anni fa’ non si andava tanto per il sottile… e poi resta da vedere se 3000 anni dopo (cioè ai nostri giorni) possiamo davvero ritenerci più progrediti in fatto di valori e di criteri di valutazione…
Quell’antica storia insegna una cosa che per noi credenti è sempre vera (anche se al giorno d’oggi molti faticano ad accettarla): un figlio non è un diritto per nessuno; è dono di Dio, sempre, e come tale va accolto con amore e responsabilità, senza forzare egoisticamente la natura (cioè la creazione di Dio) e la scienza medica. Questo modo di ragionare alla fin fine ha una conseguenza importante: garantisce dignità e rispetto a ogni persona, sia a chi deve nascere, sia a chi lo porta in grembo. Dignità e rispetto: se mancano, ogni vita non può che essere a rischio… Samuele è dono di Dio, e i suoi genitori lo riconoscono portandolo al tempio e offrendolo riconoscenti al Signore.
Nell’altra storia di vita – vita di famiglia! – troviamo Maria e Giuseppe i quali pure vanno al tempio con il loro bambino, Gesù. L’avevano già offerto a Dio pochi giorni dopo la nascita. Tra gli ebrei c’era infatti questa abitudine: offrire al Signore il figlio primogenito… Poi quel figlio cresceva comunque in famiglia (non è che i genitori lo lasciavano nel tempio), però ogni anno la famiglia vi si recava in pellegrinaggio, e quando il bambino era in grado di affrontare il viaggio, ci andava anche lui con i suoi genitori. Era un modo per dire: “noi – papà, mamma, figli – apparteniamo a Dio: ognuno di noi è dono suo; Lui è il Signore, lui ha il primo posto nella nostra famiglia”. Quella volta che Maria e Giuseppe portarono con loro Gesù dodicenne, accadde quello che il vangelo ci ha raccontato: al ritorno da quel pellegrinaggio a un certo punto si accorsero che il figlio non era con loro; Maria, che in carovana camminava con le donne, avrà pensato: “sarà dietro con Giuseppe, con gli uomini”… Giuseppe invece: “di sicuro è davanti, con sua madre”… fattostà che, quando s’accorsero che non c’era proprio, lo cercarono affannosamente per tre giorni… per sentirsi dire, al momento del ritrovamento: “Perché mi cercavate? Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero le sue parole, dice il vangelo.
Quando si afferma che un figlio è dono di Dio, anzi, che ogni persona della famiglia è dono di Dio, non è affatto una teoria, o una bella frase da cantare in certe occasioni. E’ realtà, è dato di fatto. L’apostolo san Giovanni ce l’ha detto oggi con altre parole: “Carissimi, quale grande amore ci ha dato il Padre: noi ci diciamo figli di Dio – e lo siamo realmente, fin dora!”. Ciò vuol dire che prima che figlio di un uomo e di una donna ognuno di noi è figlio di Dio: prima viene lui (che vive per sempre), dopo vengono i nostri genitori (che invece non vivono per sempre). Detta così potrà sembrare un po’ strana la cosa, ma a un certo punto della vita si intuisce che questa è la realtà provvidenziale alla quale è giusto educare anche i figli: Dio è nostro Padre, e lui viene prima di tutti, anche prima dei nostri genitori. Nostro Padre sempre, anche quando i genitori non ci sono più. Solo a questa condizione – nelle nostre famiglie - la vita di ognuno vede garantita la sua dignità ed è al sicuro.
Fatto sta che per tre giorni hanno cercato Gesù in quell’occasione, poi l’hanno ritrovato nel Tempio. Sì, anche noi possiamo “smarrire” Gesù, lasciarlo sparire dall’orizzonte della nostra vita… Di solito capita gradualmente, un po’ alla volta: si comincia col tralasciare prima la Messa della Domenica, poi la preghiera, la Confessione, poi il contatto con la propria Comunità…e quando si perde di vista Gesù è come trovarsi senza fondamento, senza perno: allora tutto può accadere. Attenzione, fratelli: attenzione a non perdere di vista Gesù! Certo, anche nelle migliori famiglie a volte si fa fatica a capire qual è il progetto di vita delle persone, di un figlio (soprattutto in certe stagioni della crescita); si fa fatica a volte anche a capirsi… ma questo non è indice di famiglia sbagliata o malata. Forse che era sbagliata la famiglia di Giuseppe e Maria? Eppure anche loro hanno faticato a capire quel Figlio… che era di Dio, prima che loro figlio.
Fratelli, quando il primo posto spetta davvero a lui, quando si cerca Gesù con passione, ci potranno essere anche momenti di tensione, preoccupazioni e apprensioni: sì, ma si tengono a bada, sotto controllo. Perché si sa per certo che lui – l’Emmanuele – è con noi. Allora le nostre famiglie – se pure con numerosi limiti e fragilità – agli occhi di Dio sono comunque e sempre “sante famiglie” .
In esse anche lui, l’Emmanuele – il Dio-con-noi – abita volentieri e ci si trova bene.
25 Dicembre - NATALE DEL SIGNORE
Le Letture bibliche: Isaia 9,1-6; Tito 2,11-14; Luca 2,1-14
Questa di Natale è una storia che conosciamo da un pezzo, eppure la risentiamo sempre volentieri; siamo un po’ come i bambini: certe storie le sanno per filo e per segno meglio dei genitori, eppure ogni tanto chiedono: “Dài, raccontamela un’altra volta!”. Ma siamo sicuri di averla capita bene noi, prima di raccontarla agli altri? “Maria diede alla luce suo figlio, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia perché per loro non c’era posto nell’alloggio”. “Non c’era posto per loro…”. Per una donna che stava per dare alla luce un bambino, come Maria, ci voleva un minimo d’intimità, e nelle povere abitazioni di Betlemme l’unico posto non poteva che essere quella grotta più interna alla casa, che serviva da stalla.
Sì, poi leggenda e fantasia hanno ricamato parecchio sul Natale… ma in sostanza, resta vero: il Figlio di Dio non ha avuto l’accoglienza che meritava. La gente di Betlemme non si è mossa per lui (gli unici a farlo furono i pastori, che era come dire… gli ultimi, i lontani, quelli che la gente perbene teneva alla larga); e poi non passarono molti giorni che Maria e Giuseppe dovettero fuggire anche da quella grotta, perché un potente ambizioso e schizofrenico, cercava di mettere le mani su quel bambino per toglierlo di mezzo. Se questa è accoglienza!…ebbene no, questo è rifiuto, è porte sbattute in faccia.
E non fu solo una vicenda isolata, accaduta all’inizio; domani, giorno di Natale, il Vangelo lo dirà senza mezzi termini, perfino con solennità: “Venne fra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”. Sì, dirà anche che altri l’hanno accolto, e a questi ha dato la possibilità di diventare figli di Dio (che non è poco!). Ma quel primo giudizio rimane, inappellabile: ““Venne fra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”. Questo giudizio, questa conclusione – fratelli – suona e risuonerà sempre come un avvertimento: per tutti. Quindi anche per noi.
Un avvertimento che diventa una domanda impertinente sia a me che a voi, fratelli: Ma… l’abbiamo accolto noi Gesù Cristo? Gli abbiamo davvero aperto la porta? Eh, la porta!
Viene a proposito questa immagine: poco fa’ a Roma, Papa Francesco ha aperto la Porta Santa della basilica di san Pietro ed è iniziato così l’anno del Giubileo. Ma è un simbolo quella porta: Dio ci ha aperto tutto il suo Mistero, ci ha spalancato la sua disponibilità… e noi possiamo entrare. Ma io, noi, abbiamo aperto a lui la porta della nostra vita? Quella di san Pietro a Roma si apre dal di fuori, ma quella della mia, della tua vita, è solo dall’interno che si apre… Tocca a te, a me, a ciascuno lasciar entrare il Signore o rifiutargli l’ingresso.
L’apriremo, fratelli? Avremo il coraggio di aprirla? Oh, l’apriamo spesso se è per quello; l’apriamo a qualche amico o amica ogni tanto (quando ci confidiamo con schiettezza), l’apriamo magari a chi ci seduce con opinioni o idee che ci fanno comodo e condividiamo senza batter ciglio; capita di aprirla subito se c’è un interesse o una gratificazione immediata… Avremo il coraggio di aprirla a Gesù Cristo? Ma aprirla nel senso che possa entrare e rimanere con noi, non come uno sconosciuto che facciamo sostare sulla soglia e prima se ne va meglio è. No: farlo entrare volentieri, e che possa rimanere.
Del resto, non viene per occupare spazio. Ci chiederà solo un po’ di attenzione, di ascolto. E quello che ci darà sarà infinitamente più di quello che ci chiede: lui è la Vita, che ha i connotati della pienezza, del per sempre. La nostra vita non ce li ha questi connotati.
Non solo, a volte vivere è come brancolare nel buio, o se non proprio nel buio, in quel clima da crepuscolo che ci impedisce di vedere tutto e bene, e ci fa pensare al futuro con apprensione perché il futuro per noi è …l’ignoto, soprattutto di questi tempi sovraccarichi di incognite, di apprensioni, di incertezze.
Ma, fratelli, Gesù viene come luce, e per chi brancola nel buio della notte, è lui il vero sole che sorge nuovo ogni mattina. E’ Gesù quel futuro, quella luce. Chi può dire di non averne bisogno? Non limitiamoci a guardarlo in qualche presepio: è sulla soglia della nostra vita che Egli aspetta. L’ha detto lui stesso (è scritto nell’Apocalisse): “Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno mi apre, entrerò e staremo insieme”, in un vincolo di amicizia che nulla potrà più spezzare.
Oh, non ci toglierà di mezzo tutti gli ostacoli – anche se è Figlio di Dio, l’onnipotente – non ci risolverà i problemi magari ancor prima che sorgano, ma li affronterà con noi, e questo ci permetterà di non lasciarci mai dominare dalla paura, e tantomeno di cadere nell’angoscia. Vi pare poco?
Apriamogli allora, anzi: invitiamolo ad entrare e a stare con noi.
Che altro può voler dire “buon Natale” se non proprio questo?
Amen
Le Letture bibliche: Isaia 9,1-6; Tito 2,11-14; Luca 2,1-14
Questa di Natale è una storia che conosciamo da un pezzo, eppure la risentiamo sempre volentieri; siamo un po’ come i bambini: certe storie le sanno per filo e per segno meglio dei genitori, eppure ogni tanto chiedono: “Dài, raccontamela un’altra volta!”. Ma siamo sicuri di averla capita bene noi, prima di raccontarla agli altri? “Maria diede alla luce suo figlio, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia perché per loro non c’era posto nell’alloggio”. “Non c’era posto per loro…”. Per una donna che stava per dare alla luce un bambino, come Maria, ci voleva un minimo d’intimità, e nelle povere abitazioni di Betlemme l’unico posto non poteva che essere quella grotta più interna alla casa, che serviva da stalla.
Sì, poi leggenda e fantasia hanno ricamato parecchio sul Natale… ma in sostanza, resta vero: il Figlio di Dio non ha avuto l’accoglienza che meritava. La gente di Betlemme non si è mossa per lui (gli unici a farlo furono i pastori, che era come dire… gli ultimi, i lontani, quelli che la gente perbene teneva alla larga); e poi non passarono molti giorni che Maria e Giuseppe dovettero fuggire anche da quella grotta, perché un potente ambizioso e schizofrenico, cercava di mettere le mani su quel bambino per toglierlo di mezzo. Se questa è accoglienza!…ebbene no, questo è rifiuto, è porte sbattute in faccia.
E non fu solo una vicenda isolata, accaduta all’inizio; domani, giorno di Natale, il Vangelo lo dirà senza mezzi termini, perfino con solennità: “Venne fra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”. Sì, dirà anche che altri l’hanno accolto, e a questi ha dato la possibilità di diventare figli di Dio (che non è poco!). Ma quel primo giudizio rimane, inappellabile: ““Venne fra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”. Questo giudizio, questa conclusione – fratelli – suona e risuonerà sempre come un avvertimento: per tutti. Quindi anche per noi.
Un avvertimento che diventa una domanda impertinente sia a me che a voi, fratelli: Ma… l’abbiamo accolto noi Gesù Cristo? Gli abbiamo davvero aperto la porta? Eh, la porta!
Viene a proposito questa immagine: poco fa’ a Roma, Papa Francesco ha aperto la Porta Santa della basilica di san Pietro ed è iniziato così l’anno del Giubileo. Ma è un simbolo quella porta: Dio ci ha aperto tutto il suo Mistero, ci ha spalancato la sua disponibilità… e noi possiamo entrare. Ma io, noi, abbiamo aperto a lui la porta della nostra vita? Quella di san Pietro a Roma si apre dal di fuori, ma quella della mia, della tua vita, è solo dall’interno che si apre… Tocca a te, a me, a ciascuno lasciar entrare il Signore o rifiutargli l’ingresso.
L’apriremo, fratelli? Avremo il coraggio di aprirla? Oh, l’apriamo spesso se è per quello; l’apriamo a qualche amico o amica ogni tanto (quando ci confidiamo con schiettezza), l’apriamo magari a chi ci seduce con opinioni o idee che ci fanno comodo e condividiamo senza batter ciglio; capita di aprirla subito se c’è un interesse o una gratificazione immediata… Avremo il coraggio di aprirla a Gesù Cristo? Ma aprirla nel senso che possa entrare e rimanere con noi, non come uno sconosciuto che facciamo sostare sulla soglia e prima se ne va meglio è. No: farlo entrare volentieri, e che possa rimanere.
Del resto, non viene per occupare spazio. Ci chiederà solo un po’ di attenzione, di ascolto. E quello che ci darà sarà infinitamente più di quello che ci chiede: lui è la Vita, che ha i connotati della pienezza, del per sempre. La nostra vita non ce li ha questi connotati.
Non solo, a volte vivere è come brancolare nel buio, o se non proprio nel buio, in quel clima da crepuscolo che ci impedisce di vedere tutto e bene, e ci fa pensare al futuro con apprensione perché il futuro per noi è …l’ignoto, soprattutto di questi tempi sovraccarichi di incognite, di apprensioni, di incertezze.
Ma, fratelli, Gesù viene come luce, e per chi brancola nel buio della notte, è lui il vero sole che sorge nuovo ogni mattina. E’ Gesù quel futuro, quella luce. Chi può dire di non averne bisogno? Non limitiamoci a guardarlo in qualche presepio: è sulla soglia della nostra vita che Egli aspetta. L’ha detto lui stesso (è scritto nell’Apocalisse): “Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno mi apre, entrerò e staremo insieme”, in un vincolo di amicizia che nulla potrà più spezzare.
Oh, non ci toglierà di mezzo tutti gli ostacoli – anche se è Figlio di Dio, l’onnipotente – non ci risolverà i problemi magari ancor prima che sorgano, ma li affronterà con noi, e questo ci permetterà di non lasciarci mai dominare dalla paura, e tantomeno di cadere nell’angoscia. Vi pare poco?
Apriamogli allora, anzi: invitiamolo ad entrare e a stare con noi.
Che altro può voler dire “buon Natale” se non proprio questo?
Amen
Tempo di AVVENTO
22 Dicembre - Quarta Domenica
Le Letture bibliche: Michea 5,1-4a; Ebrei 10,5-10; Luca 1,39-45
Siamo vicini ormai anche quest’anno al Natale, e direi che non c’è tempo da perdere se vogliamo che sia buono: un buon Natale, come si usa dire. Perché l’augurio ce lo faremo e ce lo scambieremo certamente, ma che poi sia davvero buono dipende da Dio anzitutto, e poi da noi: da ciascuno di noi. Non c’è più tempo nemmeno per perdersi in critiche sul natale consumistico che abbonda e sovrabbonda nonostante le crisi economiche: chi lo vuole così se lo faccia… peccato per lui che perde il meglio e si accontenta della tara, della schiuma…
Tra credenti, è meglio badare all’essenziale, a ciò che conta di più. E la prima cosa essenziale mi pare questa: occorre lasciarsi coinvolgere personalmente… sì, ma questa espressione è già da libro stampato, preferisco dire: occorre lasciarsi prendere, sì ma dal Natale di Gesù.
Lasciarsi prender è diverso dallo stare lì a vederlo arrivare e poi passare, magari sbocconcellando panettone o aprendo pacchetti-regalo… Lasciarsi prendere è fare come Maria: “in quei giorni si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta la casa di Zaccaria”; la moglie di Zaccaria, Elisabetta, aspettava un bambino (che sarebbe diventato Giovanni Battista); Maria, che aveva già detto sì a Dio e già portava in grembo Gesù, pensò che fosse suo dovere andare a dare una mano a Elisabetta…Non disse: “le mando una badante…” (anche perché non poteva); no, ci vado io… Maria si è lasciata prender dentro personalmente.
Quando arriva, Elisabetta si congratula con lei: “Beata te che hai creduto alla parola del Signore!”. Non beata perché sei piena di grazia, o perché stai diventando la madre del Messia…no: perché hai creduto alla Parola del Signore!
E qui Maria ci aiuta a capire cosa vuol dire essere credenti. Noi a volte stiamo lì a distinguere tra credenti e praticanti: è una distinzione che assomiglia tanto a una bugia pietosa. Esser credenti non significa credere che Dio esiste: ci son tante di quelle cose che esistono eppure a me non dicono un bel niente…
Esser credenti significa lasciarsi prender dentro da Dio in quello che vuole fare: dargli fiducia e stare al gioco. Credere è decidere di offrire a Dio la propria vita perché sia lo spazio in cui Lui può fare qualcosa di buono per tutti. E questo comporta necessariamente un certo disturbo (ma, del resto, ce l’ha anche il Natale consumistico un certo prezzo…).
Fratelli, il protagonista del Natale è Gesù Cristo: beh, lui è il primo che si è lasciato prender dentro dall’avvenimento; nella seconda lettura di poco fa’ ci veniva data la prova della sua disponibilità: “Ecco – dice a Dio, il Padre suo – io vengo per fare la tua volontà!”.
Ecco come accade questo evento che chiamiamo il Natale, fratelli. L’unico modo per fare degnamente Natale è quello di lasciarsi coinvolgere, anche con un certo disturbo…(che non è solo quello di uscire di casa per venire alla Messa, probabilmente, lasciarsi prender dentro dal Natale è qualcosa di più…).
I nostri incontri natalizi potranno assomigliare almeno un po’ all’incontro tra Maria e Elisabetta? O dovranno essere obbligatoriamente luoghi di consumo, secondo soliti clichès ormai consunti…tanto per restar fedeli alla trazione?
La nostra tavola sarà soltanto luogo di chiacchiere, di parole finte e vane, o potrà davvero essere occasione di cordialità, di accoglienza, di gioia autentica?
Andremo impavidi e affannati a cercare regali un po’ strani, inediti, per riempire le nostre case già stracolme di oggetti inutili, o sapremo prenderci il tempo per fermarci a incontrare Dio, ascoltarlo e fargli un po’ di più spazio nella nostra vita?
Cerchiamo di essere saggi e anche un po’ furbi: il Signore ci aveva detto – qualche settimana fa’ – “vegliate!”: ricordate? Riascoltiamo seriamente quell'invito: prima di augurare agli altri Buon Natale, vediamo di prepararcelo buono noi. La Parola di Dio oggi ci ha detto come fare: lasciarsi prender dentro personalmente, anche se costa un certo prezzo. Ciascuno di noi si chieda cosa può voler dire questo per lui, ma seriamente se lo chieda, e sappia che si ci tiene a fare un buon Natale, la risposta dovrà essere concreta, molto concreta.
Del resto, l'ha pagato anche il Figlio di Dio questo prezzo, e molto più caro di noi. E anche Maria, sua Madre.
Tutto quello che vale ha un prezzo. Che c’è di strano se troveremo il modo di pagarlo anche noi? Allora anche ogni nostro augurio avrà probabilmente un altro tono: meno formale, più spontaneo e sincero.
Le Letture bibliche: Michea 5,1-4a; Ebrei 10,5-10; Luca 1,39-45
Siamo vicini ormai anche quest’anno al Natale, e direi che non c’è tempo da perdere se vogliamo che sia buono: un buon Natale, come si usa dire. Perché l’augurio ce lo faremo e ce lo scambieremo certamente, ma che poi sia davvero buono dipende da Dio anzitutto, e poi da noi: da ciascuno di noi. Non c’è più tempo nemmeno per perdersi in critiche sul natale consumistico che abbonda e sovrabbonda nonostante le crisi economiche: chi lo vuole così se lo faccia… peccato per lui che perde il meglio e si accontenta della tara, della schiuma…
Tra credenti, è meglio badare all’essenziale, a ciò che conta di più. E la prima cosa essenziale mi pare questa: occorre lasciarsi coinvolgere personalmente… sì, ma questa espressione è già da libro stampato, preferisco dire: occorre lasciarsi prendere, sì ma dal Natale di Gesù.
Lasciarsi prender è diverso dallo stare lì a vederlo arrivare e poi passare, magari sbocconcellando panettone o aprendo pacchetti-regalo… Lasciarsi prendere è fare come Maria: “in quei giorni si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta la casa di Zaccaria”; la moglie di Zaccaria, Elisabetta, aspettava un bambino (che sarebbe diventato Giovanni Battista); Maria, che aveva già detto sì a Dio e già portava in grembo Gesù, pensò che fosse suo dovere andare a dare una mano a Elisabetta…Non disse: “le mando una badante…” (anche perché non poteva); no, ci vado io… Maria si è lasciata prender dentro personalmente.
Quando arriva, Elisabetta si congratula con lei: “Beata te che hai creduto alla parola del Signore!”. Non beata perché sei piena di grazia, o perché stai diventando la madre del Messia…no: perché hai creduto alla Parola del Signore!
E qui Maria ci aiuta a capire cosa vuol dire essere credenti. Noi a volte stiamo lì a distinguere tra credenti e praticanti: è una distinzione che assomiglia tanto a una bugia pietosa. Esser credenti non significa credere che Dio esiste: ci son tante di quelle cose che esistono eppure a me non dicono un bel niente…
Esser credenti significa lasciarsi prender dentro da Dio in quello che vuole fare: dargli fiducia e stare al gioco. Credere è decidere di offrire a Dio la propria vita perché sia lo spazio in cui Lui può fare qualcosa di buono per tutti. E questo comporta necessariamente un certo disturbo (ma, del resto, ce l’ha anche il Natale consumistico un certo prezzo…).
Fratelli, il protagonista del Natale è Gesù Cristo: beh, lui è il primo che si è lasciato prender dentro dall’avvenimento; nella seconda lettura di poco fa’ ci veniva data la prova della sua disponibilità: “Ecco – dice a Dio, il Padre suo – io vengo per fare la tua volontà!”.
Ecco come accade questo evento che chiamiamo il Natale, fratelli. L’unico modo per fare degnamente Natale è quello di lasciarsi coinvolgere, anche con un certo disturbo…(che non è solo quello di uscire di casa per venire alla Messa, probabilmente, lasciarsi prender dentro dal Natale è qualcosa di più…).
I nostri incontri natalizi potranno assomigliare almeno un po’ all’incontro tra Maria e Elisabetta? O dovranno essere obbligatoriamente luoghi di consumo, secondo soliti clichès ormai consunti…tanto per restar fedeli alla trazione?
La nostra tavola sarà soltanto luogo di chiacchiere, di parole finte e vane, o potrà davvero essere occasione di cordialità, di accoglienza, di gioia autentica?
Andremo impavidi e affannati a cercare regali un po’ strani, inediti, per riempire le nostre case già stracolme di oggetti inutili, o sapremo prenderci il tempo per fermarci a incontrare Dio, ascoltarlo e fargli un po’ di più spazio nella nostra vita?
Cerchiamo di essere saggi e anche un po’ furbi: il Signore ci aveva detto – qualche settimana fa’ – “vegliate!”: ricordate? Riascoltiamo seriamente quell'invito: prima di augurare agli altri Buon Natale, vediamo di prepararcelo buono noi. La Parola di Dio oggi ci ha detto come fare: lasciarsi prender dentro personalmente, anche se costa un certo prezzo. Ciascuno di noi si chieda cosa può voler dire questo per lui, ma seriamente se lo chieda, e sappia che si ci tiene a fare un buon Natale, la risposta dovrà essere concreta, molto concreta.
Del resto, l'ha pagato anche il Figlio di Dio questo prezzo, e molto più caro di noi. E anche Maria, sua Madre.
Tutto quello che vale ha un prezzo. Che c’è di strano se troveremo il modo di pagarlo anche noi? Allora anche ogni nostro augurio avrà probabilmente un altro tono: meno formale, più spontaneo e sincero.
15 Dicembre - Terza Domenica
Le Letture bibliche: Sofonìa 3,14-17; Filippesi 4,4-7; Luca 3,10-18
Qualche giorno fa’ era santa Lucia. Da molte parti per i bambini è una festa, quasi un anticipo del Natale. Perché Lucia ha a che vedere con luce. Anticipa l’arrivo della Luce vera che è Gesù, lo sappiamo.
Una luce che ci fa aprire gli occhi su noi stessi e anche sulla realtà che ci circonda; ci permette di avere uno sguardo più profondo, più obiettivo: per cui, se certe cose vanno male, tu cristiano non puoi permetterti di dire "Facciamo finta che vadano bene" o, peggio ancora "facciamo finta di non vedere…". No, noi dobbiamo vedere; noi possiamo guardare le cose senza paura. Perché è una luce calda quella di Gesù. Una luce che ci avvolge di tenerezza. L’anno santo della Misericordia che abbiamo iniziato è qui a ricordarci che la luce che ci viene dal vangelo non è abbagliante e fredda come quella delle luminarie natalizie che si vedono un po’ dappertutto in queste notti (luci fredde: se uno sta lì a guardarle sperando di scaldarsi, muore congelato!). Luce umile e calda è quella del Signore. E ci permette di capire che quello che appare, non è tutto; quello che i giornali dicono, o non dicono, non è tutto: c'è qualcosa che non si vede, che sfugge alle statistiche dei sociologi e ai rèportages dei giornalisti, qualcosa che può darci un bel po’ di coraggio invece che buttarci giù, una sensazione di gioia invece che di amarezza.
E che cos'è che può darci tutto questo? La Parola del Signore. Quante volte lo si ripete nella Bibbia: “E’ la tua Parola, Signore, che illumina la mia strada!”.
Ebbene, in questa Domenica, eccola la Parola che ci illumina la strada: "Rallègrati, Sion (Sion è tutto il popolo dei credenti), grida di gioia, esulta e acclama con tutto il cuore… Non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente!". Era un profeta a dire così, e lo diceva a un popolo che ne aveva subite di tutti i colori e che rischiava di perdere la fiducia e la speranza nel suo futuro. Ebbene sì, sarà pur vero che hai conosciuto tante prove e sventure – dice il profeta a quel popolo – ma il Signore non ti ha mai abbandonato, anzi, sappilo per certo: è in mezzo a te; e perciò gioisci ed esulta.
Queste parole oggi sono per noi: è il vangelo - cioè la lieta notizia - di questa 3° Domenica dell’Avvento: " Non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente!".
Grazie a questa bella notizia, fratelli, noi possiamo continuare ad impegnarci nel bene, nella solidarietà, perchè le cose di questo mondo cambino, a vantaggio soprattutto di coloro per i quali invece vanno sempre storte... Si parla sempre di ripresa economica, ma forse l’unica ripresa in atto è sempre a vantaggio di coloro che non ne hanno mai avuto bisogno perché la vera crisi non l’hanno mai conosciuta: quelli invece che la devono affrontare ogni giorno aumentano sempre più! Sì, è preoccupante.
E allora ci domandiamo: ma come possono opporsi le nostre piccole iniziative, i nostri piccoli gesti di solidarietà, a certi meccanismi enormi e diabolici che fanno l'alto e il basso sulla faccia della terra?
Dà perfino il voltastomaco la spudorata ipocrisia di quei responsabili delle nazioni che dicono – a parole – di voler metter fine a guerre, a ingiustizie … e poi si scopre che loro stessi sovvenzionano e alimentano traffici e commerci che continuano a creare profughi e fuggiaschi… Ecco, se c’è una cosa che noi cristiani non possiamo fare è chiudere gli occhi di fronte a queste tragedie, anche se il tenerli aperti ci disturba il sonno. D’altra parte, se le cose stanno così, la domanda è inevitabile: Chi siamo noi per opporci a tutto questo?
Sembra una lotta delle formiche contro i dinosauri la nostra, ha detto qualcuno. Ed è vero. Solo che chi vde le cose in questo modo, fa una valutazione incompleta: manca una cifra importante nell'operazione: "Dio"; il Signore tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente! Questo, fratelli, è come mettere la cifra 1 davanti allo zero, o davanti a tanti zeri. I nostri piccoli gesti, i nostri comportamenti, vengono potenziati da quella presenza: "il tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente!". Ecco perchè ha senso fare il bene senza mai stancarsi, e continuare ad impegnarsi in una certa direzione senza lasciar cadere le braccia! E oltretutto, con gioia, ecco: con gioia.
San Paolo ai cristiani di Filippi rivolgeva lo stesso invito: “Siate sempre lieti nel Signore; e ve lo ripeto: siate lieti. Il Signore è vicino!”. Sapete da dove scriveva san Paolo queste cose? Da una prigione. Sì, san Paolo era in carcere e tuttavia invitava i suoi cristiani alla gioia! E non lo scriveva due settimane prima di Natale (allora non si festeggiava ancora il Natale); lo raccomandava come atteggiamento di tutti i giorni: “Siate sempre lieti nel Signore; il Signore infatti è vicino!”.
Quando c’è letizia e gioia, allora c’è anche solidarietà. Allora diventi capace di condividere quello che hai, invece che lamentarti per quello che non hai. Come diceva oggi Giovanni Battista: “Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha e chi ha da mangiare faccia altrettanto…”. Cose piccole, gesti tutt'altro che clamorosi: battaglia di formiche contro i dinosauri forse. Con la differenza, però, che i dinosauri sono già scomparsi da un pezzo, mentre le formiche ci sono ancora.
E c’è anche giustizia, quando c’è letizia e gioia: amore e passione per la giustizia. Che è impegno a fare bene il proprio mestiere, con onestà, nel rispetto delle regole e delle leggi… Troppo sovente oggi si mette passione solo nel rivendicare diritti… invece che nel fare al meglio possibile i propri doveri.
No, la giustizia non va d’accordo con questa visuale, e tantomeno la gioia: essa va a braccetto con una vita onesta e giusta, umile e paziente… Come diceva Giovanni Battista a quei soldati che l’interrogavano: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe”.
Chi pretende sempre, da arrogante, da prepotente, non conosce la gioia; magari cerca di costruirsela da solo, con i suoi metodi, ma non ne è capace, perché la gioia ha bisogno di un clima adatto per germogliare, e il clima adatto è solo la condivisione, la solidarietà. Da soli non si potrà mai essere felici. Ce l’ha insegnato Dio stesso: è venuto tra noi a condividere ciò che è nostro e a darci ciò che è suo. Gioia e letizia vengono da questa certezza.
Auguriamoci di essere davvero convinti che il Signore è vicino, così da provare non un po’ di euforia o spensieratezza ogni tanto (che vengono e passano in fretta), ma gioia e letizia: che durano sempre.
Le Letture bibliche: Sofonìa 3,14-17; Filippesi 4,4-7; Luca 3,10-18
Qualche giorno fa’ era santa Lucia. Da molte parti per i bambini è una festa, quasi un anticipo del Natale. Perché Lucia ha a che vedere con luce. Anticipa l’arrivo della Luce vera che è Gesù, lo sappiamo.
Una luce che ci fa aprire gli occhi su noi stessi e anche sulla realtà che ci circonda; ci permette di avere uno sguardo più profondo, più obiettivo: per cui, se certe cose vanno male, tu cristiano non puoi permetterti di dire "Facciamo finta che vadano bene" o, peggio ancora "facciamo finta di non vedere…". No, noi dobbiamo vedere; noi possiamo guardare le cose senza paura. Perché è una luce calda quella di Gesù. Una luce che ci avvolge di tenerezza. L’anno santo della Misericordia che abbiamo iniziato è qui a ricordarci che la luce che ci viene dal vangelo non è abbagliante e fredda come quella delle luminarie natalizie che si vedono un po’ dappertutto in queste notti (luci fredde: se uno sta lì a guardarle sperando di scaldarsi, muore congelato!). Luce umile e calda è quella del Signore. E ci permette di capire che quello che appare, non è tutto; quello che i giornali dicono, o non dicono, non è tutto: c'è qualcosa che non si vede, che sfugge alle statistiche dei sociologi e ai rèportages dei giornalisti, qualcosa che può darci un bel po’ di coraggio invece che buttarci giù, una sensazione di gioia invece che di amarezza.
E che cos'è che può darci tutto questo? La Parola del Signore. Quante volte lo si ripete nella Bibbia: “E’ la tua Parola, Signore, che illumina la mia strada!”.
Ebbene, in questa Domenica, eccola la Parola che ci illumina la strada: "Rallègrati, Sion (Sion è tutto il popolo dei credenti), grida di gioia, esulta e acclama con tutto il cuore… Non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente!". Era un profeta a dire così, e lo diceva a un popolo che ne aveva subite di tutti i colori e che rischiava di perdere la fiducia e la speranza nel suo futuro. Ebbene sì, sarà pur vero che hai conosciuto tante prove e sventure – dice il profeta a quel popolo – ma il Signore non ti ha mai abbandonato, anzi, sappilo per certo: è in mezzo a te; e perciò gioisci ed esulta.
Queste parole oggi sono per noi: è il vangelo - cioè la lieta notizia - di questa 3° Domenica dell’Avvento: " Non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente!".
Grazie a questa bella notizia, fratelli, noi possiamo continuare ad impegnarci nel bene, nella solidarietà, perchè le cose di questo mondo cambino, a vantaggio soprattutto di coloro per i quali invece vanno sempre storte... Si parla sempre di ripresa economica, ma forse l’unica ripresa in atto è sempre a vantaggio di coloro che non ne hanno mai avuto bisogno perché la vera crisi non l’hanno mai conosciuta: quelli invece che la devono affrontare ogni giorno aumentano sempre più! Sì, è preoccupante.
E allora ci domandiamo: ma come possono opporsi le nostre piccole iniziative, i nostri piccoli gesti di solidarietà, a certi meccanismi enormi e diabolici che fanno l'alto e il basso sulla faccia della terra?
Dà perfino il voltastomaco la spudorata ipocrisia di quei responsabili delle nazioni che dicono – a parole – di voler metter fine a guerre, a ingiustizie … e poi si scopre che loro stessi sovvenzionano e alimentano traffici e commerci che continuano a creare profughi e fuggiaschi… Ecco, se c’è una cosa che noi cristiani non possiamo fare è chiudere gli occhi di fronte a queste tragedie, anche se il tenerli aperti ci disturba il sonno. D’altra parte, se le cose stanno così, la domanda è inevitabile: Chi siamo noi per opporci a tutto questo?
Sembra una lotta delle formiche contro i dinosauri la nostra, ha detto qualcuno. Ed è vero. Solo che chi vde le cose in questo modo, fa una valutazione incompleta: manca una cifra importante nell'operazione: "Dio"; il Signore tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente! Questo, fratelli, è come mettere la cifra 1 davanti allo zero, o davanti a tanti zeri. I nostri piccoli gesti, i nostri comportamenti, vengono potenziati da quella presenza: "il tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente!". Ecco perchè ha senso fare il bene senza mai stancarsi, e continuare ad impegnarsi in una certa direzione senza lasciar cadere le braccia! E oltretutto, con gioia, ecco: con gioia.
San Paolo ai cristiani di Filippi rivolgeva lo stesso invito: “Siate sempre lieti nel Signore; e ve lo ripeto: siate lieti. Il Signore è vicino!”. Sapete da dove scriveva san Paolo queste cose? Da una prigione. Sì, san Paolo era in carcere e tuttavia invitava i suoi cristiani alla gioia! E non lo scriveva due settimane prima di Natale (allora non si festeggiava ancora il Natale); lo raccomandava come atteggiamento di tutti i giorni: “Siate sempre lieti nel Signore; il Signore infatti è vicino!”.
Quando c’è letizia e gioia, allora c’è anche solidarietà. Allora diventi capace di condividere quello che hai, invece che lamentarti per quello che non hai. Come diceva oggi Giovanni Battista: “Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha e chi ha da mangiare faccia altrettanto…”. Cose piccole, gesti tutt'altro che clamorosi: battaglia di formiche contro i dinosauri forse. Con la differenza, però, che i dinosauri sono già scomparsi da un pezzo, mentre le formiche ci sono ancora.
E c’è anche giustizia, quando c’è letizia e gioia: amore e passione per la giustizia. Che è impegno a fare bene il proprio mestiere, con onestà, nel rispetto delle regole e delle leggi… Troppo sovente oggi si mette passione solo nel rivendicare diritti… invece che nel fare al meglio possibile i propri doveri.
No, la giustizia non va d’accordo con questa visuale, e tantomeno la gioia: essa va a braccetto con una vita onesta e giusta, umile e paziente… Come diceva Giovanni Battista a quei soldati che l’interrogavano: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe”.
Chi pretende sempre, da arrogante, da prepotente, non conosce la gioia; magari cerca di costruirsela da solo, con i suoi metodi, ma non ne è capace, perché la gioia ha bisogno di un clima adatto per germogliare, e il clima adatto è solo la condivisione, la solidarietà. Da soli non si potrà mai essere felici. Ce l’ha insegnato Dio stesso: è venuto tra noi a condividere ciò che è nostro e a darci ciò che è suo. Gioia e letizia vengono da questa certezza.
Auguriamoci di essere davvero convinti che il Signore è vicino, così da provare non un po’ di euforia o spensieratezza ogni tanto (che vengono e passano in fretta), ma gioia e letizia: che durano sempre.
8 Dicembre - Immacolata Concezione
Le Letture Bibliche: Gen 3,9-15.20; Efesini 1,3-6.11-12; Luca 1,26-38
Siamo davvero progrediti in certi campi, in certe sensibilità, non lo si può negare: la pulizia, ad esempio, sia nell’igiene personale, sia nelle nostre case come nelle piazze e per le vie, piace a tutti.
In passato, sporcizia e volgarità nei comportamenti e nelle parole, caratterizzavano spesso le persone ignoranti o povere da ogni punto di vista… Oggi, non più. Oggi capita di trovare persone pulitissime, eleganti, magari anche istruite, ma nello stesso tempo arroganti, sguaiate e volgari, con un parlare infarcito di bassezze e di banalità… La cosa fa ancora più impressione quando ci accorgiamo che, oltre alla volgarità, anche gli interessi di queste persone sono di basso profilo: egocentrici, piccini. E’ come se puzzassero in permanenza. Eppure sono pulitissime, magari anche di “bella presenza”, come si suol dire.
Ebbene, questo è il risultato di un progresso che è stato un po’ troppo parziale, superficiale: dentro nell’intimo, nella mentalità, nella coscienza – ma diciamo pure nell’anima – si è rimasti un po’ indietro, con una sensibilità piuttosto rattrappita e limitata.
Il fatto è, fratelli, che non c’è soltanto un’ecologia dell’ambiente (fatta di persone pulite, di case belle e decorose, di piazze senza immondizie), c’è – ci deve essere anche un’ecologia dello spirito. Papa Francesco lo diceva qualche anno fa’ in quella lettera enciclica che aveva per titolo le prime parole del Cantico di san Francesco: Laudato si’. Pulizia ed ecologia è ora grande di coltivarle a partire dall’intimo di noi stessi. L’unica bellezza che ci soddisfa veramente non può essere quella che ci riflette lo specchio (e che dura quel che dura, come sappiamo), o quella che ha in mente chi ci dice “Come stai bene vestito così!”… Solo chi è perennemente infantile può accontentarsi di queste valutazioni, ma non chi matura in età, equilibrio e saggezza… Del resto, quando diciamo di qualcuno: “Quella è una bella persona…”, non ci riferiamo affatto alle sue qualità estetiche, o al suo abbigliamento elegante: andiamo ben oltre questi parametri. L’unica bellezza che ci riguarda senza mai sparire è quella che parte dallo spirito, si riflette nello sguardo, trova espressione negli atteggiamenti e nel nostro modo di parlare.
Una bellezza che abita volti puliti, ma puliti perché accesi da uno sguardo limpido e buono… Una bellezza che traspare anche dal parlare, che non ha bisogno di mescolare volgarità, parolacce o bestemmie per far colpo. Una bellezza che rende belli anche gli atteggiamenti e i gesti, perché sono sinceri, non violenti o rozzi o arroganti.
Sto forse facendo una lezione di galateo o di buone maniere? No. Sto facendo la predica dell’Immacolata Concezione di Maria, madre di Dio. Sto cercando di ridestare in noi tutti la nostalgia per quella bellezza di cui ho parlato, e che Dio ha già cominciato a realizzare perché ne ha già posto il fondamento. Dio sapeva che noi da soli possiamo aspirare a certi ideali, ma realizzarli, costruirli… no, non è in nostro potere. E’ come se ci mancasse il fondamento su cui costruire. E allora Dio ci ha fornito lui il fondamento: Maria. E’ Maria, questo fondamento. “Piena di grazia”… vuol dire bella di quella bellezza che nessuno può costruire da solo: belli così si è solo per grazia di Dio.
“Tota pulchra es Maria” si canta in questa occasione: tutta bella sei, Maria… Tu sei il fondamento, l’inizio di quella bellezza che ora possiamo realizzare anche noi senza passare per ingenui. E tu – con la tua storia - ci dai le direttive per realizzarla, via via che procede il cantiere della nostra esistenza.
Direttive e criteri che alla fine si riducono a uno solo, ma molto, molto decisivo: uno stile di vita aperto, di ampio respiro… nel senso più semplice e immediato della parola. Vivere così vuol dire accorgersi, vedere, fare attenzione all’altro che ci cammina accanto o che ci viene incontro… E l’altro può essere una persona, ma può essere… Dio, Dio stesso. Non ce l’ha già detto la Liturgia di questo tempo di Avvento? L’ultimo giorno Dio verrà nella gloria, ma in attesa di quel giorno, ci viene incontro in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo Regno. Maria, che l’attendeva, l’ha saputo riconoscere e accogliere così, come abbiamo sentito dal vangelo.
Bella è Maria anche in quella sua umanissima semplicità che le fa dire: Com’è possibile che io diventi madre del Messia, del Figlio di Dio? Semplicità e umiltà la fanno davvero bella. Ma bella soprattutto lo è quando consegna a Dio la sua risposta, il suo sì: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. Anche in quella stalla dove darà alla luce Gesù, Maria rimarrà bella: perché la sua bellezza ha radici nell’intimo, non è condizionata dagli ultimi prodotti della cosmetica o della moda.
Si è fidata di Dio Maria: si è fidata nel senso più vero e più decisivo che ci sia, e ha accolto la sua parola con tanto amore da trasformarla in carne della sua carne e darle volto: Gesù, “il più bello tra tutti i figli degli uomini” come dice la Bibbia.
Fratelli, fidarci di Dio e accogliere davvero e con amore la sua parola, sono anche per noi i criteri, le direttive per costruire quella storia di bellezza che Dio vuol realizzare con ciascuno di noi.
In questi giorni è stata riaperta la celebre Cattedrale di Notre Dame a Parigi, dopo il rogo che 5 anni fa’ l’aveva seriamente compromessa. E’ un simbolo per tutta la nostra Europa quella chiesa antica e stupenda. L’Arcivescovo di Parigi in questa occasione s’è espresso così: “Spero che l’incendio di Notre-Dame e soprattutto la sua ricostruzione possano cambiare qualcosa nel cuore dei nostri contemporanei. Un bel segno forte è la crescita dei catecumeni adulti che in Francia si preparano al Battesimo. Anche questo sta a dire che nel nostro mondo di oggi, ci sono uomini e donne ai quali non basta una vita di consumi, puramente materialista, fatta di soddisfazioni passeggere: non gli basta. Dicono «abbiamo bisogno di una profondità nella nostra esistenza, abbiamo bisogno di sperare nell’avvenire, abbiamo bisogno di pensare che il nostro mondo può non chiudersi sui propri conflitti, ma al contrario aprirsi verso Dio e verso gli altri, i nostri simili”. Queste le sue parole.
E mi pare che le immagini di quella cattedrale restaurata, giunte fini a noi, confermano che davvero è tornata luminosa e bella. Perché porta il nome di Notre Dame, nostra Signora, cioè Maria, l’immacolata luminosa e bella. Il Signore ce l’ha data a modello, a esempio, perché Egli vuol fare di noi tutti delle “belle persone”.
Per cui, sì fratelli: è ora di promuovere un’ecologia spirituale, a partire dall’intimo di noi stessi, perché quel Dio che ci ha creati è amante della bellezza, quella più vera che ci sia.
E’ con la bellezza infatti – come ha già detto e ripetuto qualcuno – <<è con la bellezza che Dio salverà il mondo>>.
Le Letture Bibliche: Gen 3,9-15.20; Efesini 1,3-6.11-12; Luca 1,26-38
Siamo davvero progrediti in certi campi, in certe sensibilità, non lo si può negare: la pulizia, ad esempio, sia nell’igiene personale, sia nelle nostre case come nelle piazze e per le vie, piace a tutti.
In passato, sporcizia e volgarità nei comportamenti e nelle parole, caratterizzavano spesso le persone ignoranti o povere da ogni punto di vista… Oggi, non più. Oggi capita di trovare persone pulitissime, eleganti, magari anche istruite, ma nello stesso tempo arroganti, sguaiate e volgari, con un parlare infarcito di bassezze e di banalità… La cosa fa ancora più impressione quando ci accorgiamo che, oltre alla volgarità, anche gli interessi di queste persone sono di basso profilo: egocentrici, piccini. E’ come se puzzassero in permanenza. Eppure sono pulitissime, magari anche di “bella presenza”, come si suol dire.
Ebbene, questo è il risultato di un progresso che è stato un po’ troppo parziale, superficiale: dentro nell’intimo, nella mentalità, nella coscienza – ma diciamo pure nell’anima – si è rimasti un po’ indietro, con una sensibilità piuttosto rattrappita e limitata.
Il fatto è, fratelli, che non c’è soltanto un’ecologia dell’ambiente (fatta di persone pulite, di case belle e decorose, di piazze senza immondizie), c’è – ci deve essere anche un’ecologia dello spirito. Papa Francesco lo diceva qualche anno fa’ in quella lettera enciclica che aveva per titolo le prime parole del Cantico di san Francesco: Laudato si’. Pulizia ed ecologia è ora grande di coltivarle a partire dall’intimo di noi stessi. L’unica bellezza che ci soddisfa veramente non può essere quella che ci riflette lo specchio (e che dura quel che dura, come sappiamo), o quella che ha in mente chi ci dice “Come stai bene vestito così!”… Solo chi è perennemente infantile può accontentarsi di queste valutazioni, ma non chi matura in età, equilibrio e saggezza… Del resto, quando diciamo di qualcuno: “Quella è una bella persona…”, non ci riferiamo affatto alle sue qualità estetiche, o al suo abbigliamento elegante: andiamo ben oltre questi parametri. L’unica bellezza che ci riguarda senza mai sparire è quella che parte dallo spirito, si riflette nello sguardo, trova espressione negli atteggiamenti e nel nostro modo di parlare.
Una bellezza che abita volti puliti, ma puliti perché accesi da uno sguardo limpido e buono… Una bellezza che traspare anche dal parlare, che non ha bisogno di mescolare volgarità, parolacce o bestemmie per far colpo. Una bellezza che rende belli anche gli atteggiamenti e i gesti, perché sono sinceri, non violenti o rozzi o arroganti.
Sto forse facendo una lezione di galateo o di buone maniere? No. Sto facendo la predica dell’Immacolata Concezione di Maria, madre di Dio. Sto cercando di ridestare in noi tutti la nostalgia per quella bellezza di cui ho parlato, e che Dio ha già cominciato a realizzare perché ne ha già posto il fondamento. Dio sapeva che noi da soli possiamo aspirare a certi ideali, ma realizzarli, costruirli… no, non è in nostro potere. E’ come se ci mancasse il fondamento su cui costruire. E allora Dio ci ha fornito lui il fondamento: Maria. E’ Maria, questo fondamento. “Piena di grazia”… vuol dire bella di quella bellezza che nessuno può costruire da solo: belli così si è solo per grazia di Dio.
“Tota pulchra es Maria” si canta in questa occasione: tutta bella sei, Maria… Tu sei il fondamento, l’inizio di quella bellezza che ora possiamo realizzare anche noi senza passare per ingenui. E tu – con la tua storia - ci dai le direttive per realizzarla, via via che procede il cantiere della nostra esistenza.
Direttive e criteri che alla fine si riducono a uno solo, ma molto, molto decisivo: uno stile di vita aperto, di ampio respiro… nel senso più semplice e immediato della parola. Vivere così vuol dire accorgersi, vedere, fare attenzione all’altro che ci cammina accanto o che ci viene incontro… E l’altro può essere una persona, ma può essere… Dio, Dio stesso. Non ce l’ha già detto la Liturgia di questo tempo di Avvento? L’ultimo giorno Dio verrà nella gloria, ma in attesa di quel giorno, ci viene incontro in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo Regno. Maria, che l’attendeva, l’ha saputo riconoscere e accogliere così, come abbiamo sentito dal vangelo.
Bella è Maria anche in quella sua umanissima semplicità che le fa dire: Com’è possibile che io diventi madre del Messia, del Figlio di Dio? Semplicità e umiltà la fanno davvero bella. Ma bella soprattutto lo è quando consegna a Dio la sua risposta, il suo sì: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. Anche in quella stalla dove darà alla luce Gesù, Maria rimarrà bella: perché la sua bellezza ha radici nell’intimo, non è condizionata dagli ultimi prodotti della cosmetica o della moda.
Si è fidata di Dio Maria: si è fidata nel senso più vero e più decisivo che ci sia, e ha accolto la sua parola con tanto amore da trasformarla in carne della sua carne e darle volto: Gesù, “il più bello tra tutti i figli degli uomini” come dice la Bibbia.
Fratelli, fidarci di Dio e accogliere davvero e con amore la sua parola, sono anche per noi i criteri, le direttive per costruire quella storia di bellezza che Dio vuol realizzare con ciascuno di noi.
In questi giorni è stata riaperta la celebre Cattedrale di Notre Dame a Parigi, dopo il rogo che 5 anni fa’ l’aveva seriamente compromessa. E’ un simbolo per tutta la nostra Europa quella chiesa antica e stupenda. L’Arcivescovo di Parigi in questa occasione s’è espresso così: “Spero che l’incendio di Notre-Dame e soprattutto la sua ricostruzione possano cambiare qualcosa nel cuore dei nostri contemporanei. Un bel segno forte è la crescita dei catecumeni adulti che in Francia si preparano al Battesimo. Anche questo sta a dire che nel nostro mondo di oggi, ci sono uomini e donne ai quali non basta una vita di consumi, puramente materialista, fatta di soddisfazioni passeggere: non gli basta. Dicono «abbiamo bisogno di una profondità nella nostra esistenza, abbiamo bisogno di sperare nell’avvenire, abbiamo bisogno di pensare che il nostro mondo può non chiudersi sui propri conflitti, ma al contrario aprirsi verso Dio e verso gli altri, i nostri simili”. Queste le sue parole.
E mi pare che le immagini di quella cattedrale restaurata, giunte fini a noi, confermano che davvero è tornata luminosa e bella. Perché porta il nome di Notre Dame, nostra Signora, cioè Maria, l’immacolata luminosa e bella. Il Signore ce l’ha data a modello, a esempio, perché Egli vuol fare di noi tutti delle “belle persone”.
Per cui, sì fratelli: è ora di promuovere un’ecologia spirituale, a partire dall’intimo di noi stessi, perché quel Dio che ci ha creati è amante della bellezza, quella più vera che ci sia.
E’ con la bellezza infatti – come ha già detto e ripetuto qualcuno – <<è con la bellezza che Dio salverà il mondo>>.
1 Dicembre - Prima Domenica
Le Letture Bibliche: Geremia 33,14-16; 1Tessalonicesi 3,12-4,2; Luca 21,25-28.34-36
Una piccola storia. Voglio cominciare con una piccola storia questo nuovo anno cristiano che stiamo iniziando. Pare che sia realmente accaduta.
Una vecchietta serena, sul letto d'ospedale, parlava con il parroco che era venuto a visitarla: «Il Signore mi ha donato una vita bellissima. Sono pronta a partire». «Lo so» mormorò il parroco. «C'è una cosa però che desidero. Quando mi seppelliranno voglio avere un cucchiaino in mano». «Un cucchiaino?». Il parroco rimase sorpreso. «Perché vuoi essere sepolta con un cucchiaino in mano?». «Mi è sempre piaciuto partecipare ai pranzi e alla cene delle feste… Quando arrivavo al mio posto guardavo subito se c'era il cucchiaino vicino al piatto. Sa che cosa voleva dire? Che alla fine sarebbero arrivati il dolce o il gelato». «E allora?». «Eh, voleva dire che il meglio arrivava alla fine! E’ proprio questo che voglio dire al mio funerale. Quando passeranno vicino alla mia bara le persone si chiederanno: "Ma perché ha quel cucchiaino in mano?". Voglio che lei risponda che io ho il cucchiaino perché per me sta arrivando il meglio».
Oggi il Signore ci ha preavvisati che a questo mondo succederanno cosa da far paura: segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia e panico di popoli per terremoti e maremoti: gli uomini moriranno per la paura di ciò che dovrà accadere…
Ma voi no, dice Gesù: voi non morirete affatto dalla paura. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo: la vostra liberazione è vicina!
E’ come dire: per voi sta arrivando il meglio, come diceva quella vecchietta che voleva partire da questo mondo con il cucchiaino in mano… “Per voi sta arrivando il meglio, ci assicura Gesù: sono io che vi vengo incontro, vengo a liberarvi. Voi non dovete avere paura!”.
Eh, ma come si fa a non avere paura?! Succedono tante di quelle brutte cose a questo mondo! Non si è più sicuri di niente! Ci sono uomini e donne che hanno lavorato fino a ieri e oggi si trovano sul lastrico perché la fabbrica chiude e loro non sanno più come fare per mandare avanti la baracca…
Ci sono papà e mamme che vedono i loro bambini crescere, e ne sono contenti, ma da una parte sono anche preoccupati perché si chiedono: cosa succederà quando saranno adolescenti, giovani? Che compagnie troveranno? E se per caso incappano nella droga? Come si fa a non avere paura?
E poi si sentono certe notizie… “hai sentito di quel tale, o di quella tale? (e magari è un conoscente, un amico, o un parente) …pare gli abbiano trovato una brutta malattia!”. Oh Dio mio! Ma come si fa a non avere paura?
Eppure oggi parla chiaro Gesù: sì, voi potete permettervi di non avere paura. Ah ma questo non vuol mica dire che dovrete fare come gli struzzi, che quando vedono il pericolo mettono la testa sotto la sabbia per non vederlo! Eh, no eh! Voi potete non avere paura solo se i vostri cuori non si appesantiscono. E come si fa’? Quand’è che i cuori delle persone si appesantiscono?
Sono passati diversi anni ormai da quando un grande pastore, il Card. Martini, dava a questa domanda una risposta che sembra fresca di ‘stamattina: “Viviamo in tempi di crisi e di smarrimento: non vediamo chiaro davanti a noi… Una certa abbondanza di beni materiali rischia di addormentare le nostre coscienze, chiudendoci in un guscio egoistico in cui godere da soli, o con i nostri amici, quello che abbiamo…dimenticando la gravità dell’ora e il bisogno di scelte coraggiose e austere”.
Ecco, fratelli, cosa significa avere un cuore pesante! Quando l’abbondanza di beni materiali rischia di addormentare le nostre coscienze, chiudendoci in un guscio egoistico…allora il cuore delle persone si appesantisce… allora è inevitabile avere paura quando ci si trova davanti a qualche problema, a qualche ostacolo, a qualche seria difficoltà… Se il cuore è appesantito da tante, troppe cose, è inevitabile la paura.
Ma il cuore deve essere leggero invece, e lo può essere: solo allora si può affrontare la vita, soprattutto quando ci riserva qualche grossa difficoltà… Come si fa a mantenere il cuore leggero?
“Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere e di comparire davanti a Gesù, il Figlio dell’uomo”. Parole di Gesù, oggi: a noi.
Quando Egli ci dice “vegliate” ha in mente i pastori che dormono all’aperto e fanno la guardia al gregge: dormono sì, ma il loro sonno è leggero; al minimo segnale di pericolo si svegliano subito…Forse Gesù aveva in mente anche i papà e le mamme che quando i loro figli sono fuori di notte a divertirsi, dormono sì, ma di un sonno leggero…perché non vedono l’ora che tornino a casa. Anche voi, intende dirci il Signore, anche voi siate così: non ingozzatevi di cose, di interessi, di hobby, che vi fanno dormire alla grossa, e vi rendono distratti e menefreghisti a tutto ciò che accade.
Vegliate: per saper distinguere ciò che è più importante da ciò che lo è meno, per saper scegliere con saggezza, con equilibrio, quando dovete scegliere e prendere decisioni.
Vegliate, per esser pronti a prestare attenzione e a prendervi cura di chi sta attorno a voi (“Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell’amore tra di voi e verso tutti” ci augura oggi san Paolo).
Vegliate - e pregate, aggiunge il Signore. Eh, quest’anno – Anno Santo, come sapete - con il vangelo di Luca ce lo ripeterà spesso Gesù quest’invito: “Pregate!”. Facciamolo ogni giorno, fratelli, magari con l’aiuto di quel semplice Calendario dell’Avvento che anche quest’anno ci offre quella Parola buona che il Signore ogni giorno ci rivolge e rispondiamogli, perché è questo pregare da cristiani.
Altrimenti …ci addormentiamo: sì, con il cuore appesantito. E allora, chi ci sveglia più? Sì, di soprassalto magari ci si sveglia: ma allora è la paura, il panico che ci prende.
No, noi cristiani possiamo permetterci di non non lasciarci prendere dal panico, di non sprofondare nella paura.