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SANTUARIO DELLA MADONNA DI PINE'
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"Farò la Pasqua da te"
dice il Signore

 Riflessione al Ritiro di preparazione alla Pasqua
tenuto al Santuario Domenica 26 marzo
           Scopo di questo incontro è prepararci alla Pasqua. Capirla anzitutto (per quanto è possibile) in modo che quando arriva siamo in grado di ricevere quello che è in grado di donarci.
          Capire. Cosa c’è da capire?
E’ necessaria qualche informazione anche “culturale” (a noi cristiani italiani si rimprovera che siamo scadenti in fatto di cultura religiosa: vediamo di metterci ripiego).
          Pasqua è una festa antica di almeno 4000 anni... (Che sia così antica e che la si celebri ancora, forse basta già a farci pensare che probabilmente ha in sé qualcosa di vitale, di irrinunciabile perché vitale: che cosa?)
La Parola “Pasqua” viene da un termine della lingua ebraica: PeSAH, che vuol dire:  passare, passaggio. E’ la Festa del passaggio. Quale?
In Medio Oriente ci sono solo due stagioni: l’inverno e l’estate. Passare dalla prima alla seconda (dall’inverno all’estate) è più bello, più entusiasmante che passare dall’estate all’inverno: questo passaggio è come un rinchiudersi, un ritrarsi, un morire in certo senso.  Passare dall’inverno all’estate invece implica un aprirsi, uscire, muoversi con libertà; la vita che rifiorisce nella natura coinvolge anche la gente che ritrova la gioia di muoversi liberamente.
In Palestina i pastori passavano dai pascoli invernali a quelli estivi: la transumanza, cosiddetta. Che era celebrata con un rito nel quale si macellava un agnello, si segnavano col sangue i paletti della tenda, si mangiava la carne arrostita al fuoco e poi si partiva...
I contadini dal canto loro anche facevano un passaggio: senza muoversi, passavano dai prodotti dell’annata precedente (la farina di frumento soprattutto) a quelli dell’anno in corso. E anche loro lo celebravano con un rito: il rito del pane azzimo (siccome il lievito per fare il pane di oggi era un po’ di pasta di ieri messa da parte e fermentata, eliminavano la poca farina vecchia che avevano e facevano il pane con quella del grano nuovo, ma non essendoci la pasta fermentata del giorno precedente a fare da lievito, il pane risultava senza lievito, cioè azzimo)... Agnello per i pastori e pane azzimo per i contadini segnavano il passaggio.
1300 anni prima di Cristo, in Egitto...alcuni gruppi di schiavi ebrei, animati da un certo Mosè decidono di fuggire verso la libertà...Hanno la chiara consapevolezza che  -siccome sono credenti - sia Dio, il loro Signore, che li vuole condurre. Celebrano questa certezza con una cena: la Cena del passaggio. Riprendono e combinano insieme l’antico rito dei loro antenati pastori (che celebravano la transumanza macellando un agnello) con quello dei contadini (che segnavano lo stacco dal passato con pane senza lievito)...
Quella cena che segna la fuga verso la libertà resterà quale  avvenimento fondante della loro storia, della loro specifica identità di popolo di Dioo liberato dalla schiavitù...La celebreranno ogni anno e ogni volta rivivranno ciò che era accaduto quella prima volta. Ogni anno a una data precisa: 14 di Nisan – che è come dire: la notte di luna piena dopo l’equinozio di primavera...
Qual’è l’idea, la motivazione centrale che anima questa antica festa? Il PASSAGGIO... con tutto ciò che può voler dire “passaggio”: da schiavitù a libertà, da una situazione chiusa e limitata a prospettive di speranza e di futuro migliore...  Tante cose significherà quel passaggio - si caricherà di molti ideali. Ma al centro, o alla base, c’è sempre questa convinzione: c’entra anche Dio, è coinvolto anche Dio; si può passare perchè non siamo soli: c’è Dio che passa con noi, è Lui la Guida che va davanti in quel  passaggio. Anche al tempo di Gesù: la Pasqua era un concentrato di molte tensioni, un ridestarsi di molte  speranze ...

            Nel vangelo di Giovanni leggiamo queste parole: “Prima della festa di Pasqua (=passaggio) Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino al segno supremo”.
Anche per Gesù quella Pasqua celebra un passaggio: l’ultimo, da questo mondo all’altro mondo. L’altro mondo per lui non è un enigma: è il Padre. Notate: la dinamica che sottende quel passaggio, l’anima che lo provoca, è l’amore: per Gesù quel passaggio è contrassegnato da un crescendo di amore: dopo aver amato i suoi per tutto quel tempo che erano stati insieme, li amò fino al segno supremo.
           E per noi, cosa sarà “fare Pasqua” ? E’ espressione del linguaggio tradizionale cristiano “far Pasqua”. Che significa (per chi lo dice) andare a confessarsi e fare la Comunione...
Il che non è affatto sbagliato, ma rischia di essere troppo poco. La sera in cui comincia la Festa di Pasqua, le prime parole che Gesù dice ai suoi apostoli sono queste: “Ho tanto desiderato fare Pasqua con voi”. Cioè, non è soltanto una faccenda sua personale: è un passaggio che fa con loro, insieme a loro. Li coinvolge. Non sono spettatori che guardano da fuori, sono attori, con lui. Ma… loro chi? I dodici apostoli, certo... Ma il vangelo è stato scritto per quelli che sarebbero venuti dopo, noi compresi: quindi in quel loro, Gesù vede anche noi. Sì, proprio noi che siamo qui adesso. Lui, che è vivo e nostro compagno di viaggio, ci vedeva quella sera e perciò ora, quando leggiamo il Vangelo, si rivolge a noi quando dice: “Ho tanto desiderato fare Pasqua con voi”.  I diretti interpellati siamo proprio noi, adesso.
           Che se questo voi suonasse generico (cioè noi tutti, ma nessuno in particolare alla fin fine), allora c’è un altro dato cui fare attenzione: la mattina di quel giorno in cui comincia la Pasqua (durava 8 giorni) Gesù manda due discepoli in città da un tale di cui non conosciamo il nome, con questo messaggio. Ditegli: ”Farò la Pasqua da te”. (E’ il titolo che ho dato a questo nostro incontro). Quel tale è uno sconosciuto a bella posta: ogni discepolo, in ogni tempo, comprende davvero il Vangelo se mette il suo volto e il suo nome in quello sconosciuto... Quindi è a me - a te - che Gesù quest’anno invia questo messaggio: Farò la Pasqua da te...- non quà o là o lavvia ...e vedi tu se vuoi venire, ma bensì da te, cioè nella tua vita. Desidero coinvolgerti con tutta la tua persona in questo passaggio che è Pasqua.
Oh, non illudiamoci, probabilmente passata la Pasqua non saremo molto diversi da prima, perchè certi passaggi, certe trasformazioni, Dio ha l’abitudine di realizzarle su tempi lunghi, tempi che durano una vita: ma le realizza, passo dopo passo, sempre silenziosamente, e comunque non senza il nostro assenso. Pasqua viene ogni anno per cadenzare, ritmare il passo delle nostre più vere trasformazioni personali: ogni anno un passo,  dal meno al più,  da un livello inferiore a uno superiore. Avvengono anche nella vita professionale i passaggi di livello, perchè non dovrebbero avvenire nella nostra identità più profonda che è quella di cristiani, lì dove si tratta di cambiare non le cose attorno a noi ma proprio noi stessi, nella nostra coerenza, nello spirito di servizio verso la Comunità di cui facciamo parte, insomma: nella nostra personalità cristiana che è sempre un cantiere aperto?
Per cui scolpitevelo bene in mente e nel cuore: “Fare Pasqua” è entrare nella Pasqua di Gesù, fare un  passaggio insieme a Lui. Confessione e Comunione celebrano proprio questo: è come incontrare Gesù Cristo e dirgli: “Eccomi, Signore, mi sento di poter fare un passaggio con te”.
           Dove ci condurrà Gesù con questo passaggio? Verso dove ci porterà?
La Pasqua non è solo il giorno di Pasqua dicevo (sarebbe troppo comodo). Quello è il traguardo. Ma al traguardo non si arriva se si saltano le tappe precedenti. Pasqua è quantomeno: Giovedì Santo, Venerdì Santo (con il Sabato di attesa che lo segue) e poi finalmente il giorno della Risurrezione. Questo è l’itinerario. E’ di qui che occorre passare. E allora diamo un’occhiata a questo itinerario: vedremo subito dove ci porta Gesù, cioè qual è in definitiva che ciascuno di noi potrà fare.
 
           PASQUA E’ GIOVEDI’ SANTO
 
          Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino al segno supremo. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota di tradirlo, Gesù … si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. Dopo che ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, disse loro: “Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi.”
 
             Certa gente quando pensa a Dio, se lo immagina lontano, signore potente assiso in trono, e giù in basso gli uomini come tanti schiavetti... Ebbene, Dio non è così: noi cristiani lo possiamo dire con assoluta certezza. Per cui, se vuoi incontrare Dio, non cercarlo in alto, perchè è in basso che lo trovi: ai tuoi piedi.  Dio ti viene incontro come un servo. Gli ebrei benestanti, proprietari di servi, se quei servi erano  ebrei come loro non accettavano che lavassero loro i piedi (sporchi!): troppo umiliante. Pietro stesso quella sera manifestò a Gesù tutta la sua contrarietà. Ma Dio ha scelto di venire tra noi così: come un servo. ”Io non son venuto per essere servito – dice Gesù nel Vangelo – ma per servire…”. I primi cristiani erano rimasti shockati da questo modo di fare, tanto che inventarono un canto per diree questo:  “Cristo Gesù, figlio di Dio, ha eclissato la sua natura divina...ha assunto la condizione del servo...”. Perchè ? Il perchè lo sa Lui. Probabilmente era l’unico modo che gli permetteva di dare una svolta alla storia di questa nostra umanità, sempre lacerata da manie di grandezza, di superiorità, di sopraffazione... Dio ha inaugurato una storia nuova e l’ha fatto comportandosi non da signore/padrone, ma da servo...
             Lavare piedi è un gesto simbolico del suo abbassamento a servo, ma non è mica tutto lì il suo servizio. Va molto oltre, va all’estremo, cioè al dono della vita. Il Giovedì Santo è il giorno dell’Eucaristia: la disponibilità di Dio a farsi nostro servo arriva fino a offrirsi come alimento, cibo: “Prendete... mangiate… bevete… il mio corpo… il mio sangue…”. Nessuno può servire in modo più radicale di così. E quel dono sarà sanzionato dagli eventi del giorno dopo, quando la vita, morendo sulla croce, la darà veramente...
“Voi mi chiamate Maestro e Signore: giusto. Se dunque io, Maestro e Signore, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete fare altrettanto gli uni verso gli altri”.
            Qual’è il passaggio in cui ci coinvolge qui il Signore?
Da una situazione che ci vede - tutto sommato - ripiegati su noi stessi, ci provoca a salire a un livello in cui si comincia davvero a piegarsi sugli altri. Da una coscienza ritrosa a servire (“non son mica la tua serva”...) a una consapevolezza che non c’è altro modo per realizzare se stessi se non servire... Perchè “chi vuol salvare se stesso, in realtà si perde...chi invece accetta di perdersi facendosi servo, costui si salva, si realizza davvero”. E’ una logica strana, certamente, ma la Pasqua di risurrezione proclama a tutti che questa è la logica vincente.
          E’ questione di amore alla fin fine. Passaggio da un amore immaturo, che fa finta di amare l’altro, ma in realtà ama se stesso (nell’altro), a un amore gratuito...che ama l’altro . per il bene dell’altro, perchè l’altro viva. Lo ama non per asservirlo a sè, ma perchè possa essere stesso. Ama a prescindere dalla gratificazione che ne può avere... Dio, Gesù, ama così; e a chi si lascia coinvolgere in questo passaggio, offre la possibilità di amare così, di imparare ad amare così.  
 
           Il VENERDI’ SANTO (senza il quale non c’è Pasqua) è un guazzabuglio di cose negative: fatica - sofferenza - tradimento - ironia - falsità - tortura - croce - morte... E tutto questo guazzabuglio negativo viene affrontato con una grinta particolare, che lo trasfigura. Lo testimonia il fatto che la croce (simbolo di tutto quel marasma di cose negative) è diventata addirittura il nostro contrassegno di cristiani, venerato e familiare (perfino decorativo...). Quale conclusione traiamo? Questa anzitutto: tutto ciò che è negativo può essere trasfigurato, dipende da come lo si affronta. Fare Pasqua con Gesù Cristo vuol dire cominciare a guardare con altro occhio quanto c’è di negativo nella nostra vita e soprattutto disporsi ad affrontarlo in un altro modo. Come ha fatto Lui.
            La croce comunque è il simbolo del Venerdì Santo - è su questo che vi invito a fermare ora la vostra attenzione.
Leggiamo nel vangelo di Giovanni che “Pilato consegnò loro Gesù (loro sono i capi del popolo) perchè fosse crocifisso. Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Golgota. Là lo crocifissero”.
La croce era un supplizio che i Romani trovarono in Oriente e lo adottarono come patibolo per quelli che condannavano a morte. La croce che il condannato portava era in realtà solo il palo trasversale, perché quello verticale era  già piantato nel luogo dell’esecuzione... Ma già nel parlare di Gesù la croce è più di questo; è simbolo di qualcos’altro, anzi, di molto altro.
Leggiamo nel vangelo di Luca che “Gesù diceva a tutti: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà...”.
Che cos’è questa croce da prender su ogni giorno per seguire Gesù? Notate che seguirlo significa nient’altro che vivere da cristiani.
La croce, secondo l’opinione di tanta gente, è simbolo di ciò che fa soffrire: malattie, grane da affrontare, calamità, disgrazie, incidenti che strappano a vita a persone care…
           E’ questa la croce di cui parla Gesù ? Ma lui non parla solo a quelli che hanno disgrazie e malattie da sopportare, parla a tutti. E’ a tutti che diceva: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Non solo: malattie e calamità non capitano tutti i giorni, per fortuna. Gesù invece dice: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce OGNI GIORNO e mi segua. Ma allora la croce non consiste solo nelle cose storte o negative della vita… Se così fosse, il cristiano al quale tutto va bene non avrebbe nessuna croce da portare, ma come potrebbe allora seguire Gesù Cristo?
La sua croce non è stata un incidente, una disgrazia, o una malattia. Anzi, lui avrebbe potuto svicolare, evitare di finire a morire sulla croce, e invece l’ha affrontata. Cos’era per Gesù la croce ? Il prezzo della sua coerenza: se avesse parlato diversamente, insegnato cose del tutto opposte a quelle che invece ha insegnato ... Se non si fosse preoccupato così tanto di essere fedele a Dio,  Padre suo,  e di dire ciò che doveva dire, non ci sarebbe stata la croce. E lui lo sapeva benissimo. Ma ha preferito la coerenza all’interesse, all’opportunismo. Era venuto per far conoscere agli uomini l’amore di Dio (amore forte e serio): era deciso ad andare fino in fondo, a qualsiasi prezzo.
           Cosa intenderà allora quando dice: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”?  Di cosa sarà fatta questa croce? Dello stesso materiale della sua: la coerenza. Vuoi essere cristiano ? Allora metti in preventivo che ci saranno difficoltà da affrontare: ragionare con i criteri del vangelo ti porterà a prendere le distanze da certe logiche di questo mondo, e questo ti costerà poco o tanto: ecco la croce. Essere solidali con i più poveri anzichè fregarsene e pensare solo a se stessi, costa. Vivere la Fede in Comunità, anziché accontentarsi di una religiosità individualistica che non crea nessun disturbo, richiede impegno; e se poi svolgi anche un servizio nella Comunità (parrocchiale o civile che sia), le occasioni di portare la croce non mancheranno: infatti, perdonare un’offesa invece che legarsela al dito, cercare di risolvere le controversie dialogando anzichè tagliando i ponti, o semplicemente continuare a svolgere un servizio anche se non ricevi mai neanche un grazie, eh richiede fatica: ecco la croce. Insomma, cercare di essere coerenti con il vangelo in cui si dice di credere (anche se non sempre si riesce), ha comunque il suo prezzo: ecco la croce di ogni giorno.
             Beninteso che anche le grane possono essere considerate “croci”, anche la fatica di ogni giorno, anche le preoccupazioni che ci sono in ogni famiglia,  anche la malattia e la sofferenza di ogni genere, ma ad una condizione ben precisa: che si affrontino come ha fatto Gesù Cristo, cioè senza perdere la Fede in Dio, senza cessare di amarlo e di amare la gente attorno a noi: solo allora, solo se c’è questo spirito, diventano croce e abbiamo diritto di chiamarle “croce”. Se non c’è nè Fede nè amore non sono croce, sono soltanto grane, materiale di scarto e niente di più.
Fede e Amore trasfigurano questo materiale di scarto, questa tara, e fanno sì che abbia un senso, che diventi materiale di costruzione di qualcosa di prezioso e di grande che io forse non vedo, ma Dio sì.
             Fare Pasqua, fare il passaggio, allora è anche questo: guardare con altri occhi le difficoltà, la fatica nel comportarsi da cristiani, la sofferenza (quale che sia).
Fare il passaggio è cercare di affrontare tutto questo con fede e con amore, non come una fatalità o solo con rassegnazione. Fede e amore portano ad accettare, la rassegnazione invece porta a subire. Accettare è ben diverso dal subire.
 
              PASQUA DI RISURREZIONE
 
             Mi sto avviando alla conclusione, ma è una conclusione che se mancasse crollerebbe tutto quello che ho detto fin qui.
            “Il terzo giorno risusciterò” aveva promesso Gesù. Il primo giorno dopo il Sabato le donne si recarono al sepolcro e dicevano: Chi ci rotolerà via la pietra che lo chiude? Ma videro che la pietra era già rotolata via, ed entrate, non trovarono il corpo di Gesù. Due uomini, in vesti sfolgoranti, dissero loro: Perchè cercate tra i morti colui che è vivo ? Non è qui, è risuscitato.
Fare Pasqua con Gesù Crsto è cogliere l’opportunità di uscire dai nostri sepolcri. Lui è il primo ad aver fatto questa esperienza, “la primizia” lo definisce san Paolo. Ma le primizie si chiamano così perché segue il raccolto; sono soltanto l’inizio le primizie. La risurrezione riguarda direttamente coloro che seguono Gesù e ai quali aveva detto: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Aveva anche detto chiaramente: “Chi crede in me passa dalla morte alla vita...”; “Passa” (notate bene, è il verbo della Pasqua). Passare da morte a vita è risorgere. E’ trovarsi in una vita nuova, mai sperimentata prima. Di solito si pensa che sia un’esperienza da “fine del mondo”, cioè all’ultimo giorno della storia... “So che mio fratello Lazzaro risorgerà nell’ultimo giorno” dice Marta a Gesù nel Vangelo di oggi. Ma Gesù l’ha richiamato alla vita subito. Quindi non è un’ esperienza da “fine del mondo” e basta: ci riguarda adesso, fin d’ora. E in che senso, per essere precisi? Quel Dio in cui crediamo è il grande appassionato della vita, ha un debole per la vita, non vede l’ora di far rivivere, di ricuperare i suoi figli alla libertà, alla vita piena, alla fiducia, alla dignità. Nella prima lettura di oggi dice:  “Io apro i vostri sepolcri, popolo mio...Vi farò uscire dalle vostre tombe...”: Non parlava affatto a dei morti, ma ad un popolo esiliato dalla sua terra, disperso, fiaccato perchè ne aveva subite tante... e tutti dicevano: “Basta, per noi è finita”. Ecco il suo sepolcro: la rassegnazione era il suo sepolcro. “Io apro i vostri sepolcri...” dice il Signore.
            Lasciate risuonare tutto questo nella vostra esperienza, nelle situazioni di oggi: quali sono i sepolcri della gente di oggi? Mentalità ristrette e limitate, rassegnazione a restare sempre quelli con tutto il proprio bagaglio di carattere e di difetti, il non voler fare neanche un passo per cambiare, l’illusione che le colpe siano sempre e soltanto degli altri, i pregiudizi, la chiusura insomma: cos’altro è un sepolcro se non proprio  “chiusura di mentalità e di orizzonti” in cui manca l’aria e la luce... E’ schiavitù: la più subdola di tutte le schiavitù perchè, tutto sommato, è anche comoda, come quella degli ebrei in Egitto: sì, lavorare duramente, ma ci si poteva riempire lo stomaco tutti i giorni: cosa volere di più dalla vita? “Accontèntati, fai come fan tutti... Abìtuati al sepolcro, fa’ finta che sia la tua casa.”
           Dio non accetta questa logica: la dignità dei suoi figli gli sta a cuore prima di tutto. Li vuole liberi, liberi “dentro”, non rassegnàti. Lui non si rassegna a vedere i suoi figli vegetare e basta. “Io apro i vostri sepolcri, popolo mio!”.
“Lazzaro, vieni fuori”: ecco la provocazione che Gesù Cristo lancia a coloro che lo seguono. San Gerolamo (5° sec. – quel tale che tradusse la Bibbia dall’ebraico al latino) quando arrivava a questa frase, sostituiva al nome Lazzaro il suo, e leggeva: “Gerolamo, vieni fuori!”. E’ da leggere così infatti: visto che il vangelo è Gesù Cristo vivo che si rivolge a noi, ognuno ci metta il suo nome al posto di quello di Lazzaro. Cristo chiama me, te, ciascuno di voi...e dice: “Vieni fuori!”. Da dove? Qual’è il mio sepolcro ? Io lo so qual’è il mio: basta che ci rifletta un po’...E anche ciascuno di voi sa qual’è il suo, se ha il coraggio di guardarsi un po’ dentro invece che giù per davanti e basta.
            Fare Pasqua con Cristo è passare dal chiuso del sepolcro all’aria aperta. E siccome Pasqua è vicina ormai - e nella Pasqua  è Dio stesso che passa tra noi - questa diventa una possibilità reale. Sì, si può uscire dai sepolcri. Se dipendesse solo da noi (dai nostri propositi, o dalla nostra buona volontà), sarebbe un’illusione. Ma Pasqua è proprio “passaggio di Dio tra noi” - non è affatto una commemorazione o il ricordo di un evento lontano - Pasqua è la realtà della Pasqua. Ogni anno.
Io non so quanti siano i cristiani che credono che risorgeranno nell’ultimo giorno: molti non ci credono. E’ comprensibile: a risorgere si impara un po’ alla volta, bisogna esercitarsi a risorgere: quel balzo dell’ultimo giorno (quando Dio farà sorgere i morti dalla terra) deve essere preparato da una lunga ginnastica durante la vita: ginnastica dello spirito in questo caso, cioè del proprio io misterioso e intimo... E’ adesso che occorre esercitarsi ad uscire dai sepolcri.
            Fare Pasqua è questo: come si può notare, è molto più che fare auguri, aprire uova, regalare o ricevere colombe...Molto, molto di più.
            Ciò non impedisce che un augurio posso farlo anch’io, ed è questo: che possiamo gustare almeno qualcosa di questo “molto, molto di più” che è anche la prossima Pasqua.
 


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​Montagnaga di Pinè
Principale Santuario mariano
dell'Arcidiocesi di Trento

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