Ultime Omelie dell'Anno A 2020
Domenica 22 Novembre - Solennità di Cristo Re
Le Letture Bibliche: Ezechiele 34,11-12.15-17; 1Corinzi 15,20-26.28; Matteo 25,31-46
Il Regno di Dio è diverso da tutti quelli di questo mondo (e delle fiabe) perché nel Regno di Dio non ci sono nobili e plebei, padroni e sudditi. Noi preti potremmo rivolgerci a voi e dire: “signore e signori”. Non lo facciamo, perché è un modo di parlare che sta bene in teatro o alla TV… non in chiesa. Però oggi , festa di Cristo, Re e Signore dell’universo, va detto: quello di Cristo è un regno di signori. Dio vuole costruirsi un regno di signori, proprio dentro questa nostra umanità. E il primo della fila è Gesù Cristo stesso.
Sì, però adesso andiamo un po’ oltre la facciata e vediamo cosa significano le parole. Cosa vuol dire per Dio essere Re e Signore? C’è ancora al mondo qualche re o regina (ormai tanto raggrinziti che sembrano figure di cera, roba da museo). Sarà anche Dio un re così? Anche Gesù Cristo?
“Come un pastore passa in rassegna il suo gregge, quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore… - erano le parole di Dio della prima lettura - Io le condurrò al pascolo e le farò riposare. Io andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita…”.
Noi, in Occidente, abbiamo instaurato la democrazia quasi in tutte le nazioni; andiamo dicendo che chi governa deve promuovere il bene comune… Gli antichi popoli del Medio Oriente non sapevano cos’era la democrazia, non parlavano di bene comune, ma avevano chiara questa idea: la migliore convivenza sociale che ci sia è quella in cui chi comanda si comporta da pastore del suo popolo: parlavano del re-pastore, che si prende cura di tutti e, tra tutti, in modo particolare dei più deboli. “Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita…”. Gesù Cristo è re, sì, ma un re-pastore.
E’ una sovranità, la sua, che ha come unico interesse la promozione e la salvezza d’ogni persona; il suo modo di esercitare il potere è tanto diverso dalle logiche di questo mondo da prendere il volto e lo spessore del suo esatto contrario: il servizio. Ecco cosa vuol dire per lui essere Re e Signore: comportarsi da servo – donare la vita.
E per noi, fratelli, cosa vorrà dire essere suoi discepoli? In cosa consiste la nostra signorilità, la nostra nobiltà? Lasciamocelo dire da Gesù, che proprio oggi ci spiega come funzionano le cose nel suo Regno. E’ la sua ultima lezione quella che abbiamo sentito dal Vangelo: finita questa, la scuola chiude e Lui, il Maestro, si avvia alla passione, alla morte sulla croce: quando una persona sta per andarse (e lo sa), le sue ultime parola non sono chiacchiere al vento: sono le più importanti di tutte, hanno il sapore di un testamento.
Ecco allora che Gesù apre uno squarcio sul futuro e promette che un giorno tornerà e siederà sul suo trono della sua gloria per giudicare l’umanità di tutti i tempi… In base a cosa giudicherà? A quale legge?
“Avevo fame… mi avete dato da mangiare? Avevo sete… mi avete dato da bere? Ero straniero… mi avete accolto? Ero nudo… malato… ero in carcere… mi avete vestito, siete venuti a visitarmi, a trovarmi?”. Ecco su che cosa sarà giudicata l’umanità: tutta quanta, anche gli atei e i cosiddetti pagani, perché basta essere umani, semplicemente umani, per comportarsi con umanità verso chi si trova impoverito, malridotto, sofferente: anche chi non è cristiano lo sa fare. Tant’è vero che molti diranno quel giorno: “Ma quando mai, Signore, ti abbiamo visto in quelle condizioni?”.
E Lui: “Tutto ciò che avete fatto a qualcuno in quelle condizioni, è a me che l’avete fatto! Ero io in quella persona!”. Sì, certo, queste parole così solenni le sentiremo pronunciare da lui nell’ultimo giorno, ma il giudizio no, il giudizio – fratelli - si fa adesso, subito; anzi, siamo noi stessi che ci giudichiamo, in base a quelle opere di accoglienza, di misericordia, di giustizia, che facciamo – o che rifiutiamo di fare – nella vita di ogni giorno. No, non ci saranno sorprese alla fine: tutto si decide adesso. Non è affatto monopolio di noi cristiani – dicevo – fare ciò che va fatto a chi si trova in tristi situazioni: basta essere semplicemente umani. Ma allora noi cristiani siamo più responsabili degli altri, perché noi ora sappiamo che in tutti i poveri Cristi è presente l’unico Gesù Cristo. Gli altri non lo sanno, noi invece lo sappiamo.
Sì, in questo siamo più fortunati di tutti, perché assomigliamo a quegli studenti che primqa ancora di affrontare l’esame sanno già su che cosa saranno interrogati. Fortunati siamo! Ma se, nonostante questo, arriveremo impreparati a quell’esame, allora vuol dire che siamo stati più irresponsabili degli altri!
Eh sì, fratelli, questo è il Vangelo. E nessuno è tanto nobile, signore nel vero senso della parola, quanto colui che impara questa lezione e cerca di metterla in pratica. Quanta strada abbiamo fatto in questa direzione, a questa scuola? Quando esaminiamo la nostra coscienza (per esempio nel prepararci alla Confessione) è proprio sulle opere di misericordia che cominciamo la nostra verifica? Rifiutarsi di far misericordia è davvero il peccato capitale, il più grave di tutti; gli altri peccati fanno da corollario a questo, ma è su questo che si deciderà la nostra sorte per l’eternità. Allora forse vi spiegate perché mai Papa Francesco torna spesso a battere e ribattere questo chiodo: misericordia verso tutti i poveri cristi, perché in ognuno di essi è presente l’unico Cristo. Probabilmente è per questo che a certuni non risulta simpatico questo Papa: probabilmente pensano di piacere di più a Dio con le loro devozioni personali che con le opere di misericordia verso il loro prossimo.
Non possiamo poi dimenticare che oggi nella nostra Diocesi, come ogni anno in questa occasione, il pensiero va anche al Seminario, povero di vocazioni come ben sapete. La disponibilità a donarsi in modo anche radicale a Dio e al prossimo – scarseggia… un po’ tanto al giorno d’oggi. Oh, Dio saprà provvedere alla sua Chiesa ben aldilà delle nostre previsioni, questo è certo. Ma la scarsità delle vocazioni non è un problema soltanto della Chiesa: è un sintomo, un segnale di impoverimento che riguarda la società tutta intera. Quanto potrà essere “umano”, vivibile, un futuro nel quale si perde il gusto di donarsi, di spendersi per gli altri nel nome di Dio? Che è come dire: Quanto ci crediamo, fratelli, che Cristo è davvero il nostro unico Signore? Quanto ci preme far parte di un Regno come il suo?
La sensibilità che porta a dar da a mangiare a chi ha fame, a condividere con chi manca del necessario, a interessarsi di chi è abbandonato, è la stessa sensibilità che porta ad accogliere una vocazione, a consacrarsi a Dio e ai fratelli… Io dico “sensibilità”, ma forse potrei anche dire: “generosità”.
Sì, quanto a generosità, è proprio una stagione da vacche magre quella che stiamo vivendo anche nel nostro Trentino. E allora si potrà anche essere progrediti, colti e benestanti, ma se non c’è quella sensibilità – quella generosità – è come trovarsi nel deserto.
Fratelli, chiediamo pure a Dio che ci metta ripiego, ma ricordiamoci che lui lo farà se trova disponibilità e collaborazione non solo nei ragazzi o nei giovani, ma da parte di tutti: esperti di misericordia alla fin fine ci vuole il Signore, perché questo è ciò che conta veramente.
Domenica 15 Novembre - 33° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Proverbi 31,10-13.19-20.30-31; 1Tessalonicesi 5,1-6; Matteo 25,14-20
A questo mondo ci sono persone molto intelligenti e altre meno; persone fortunate e altre sfortunate; individui che in certe cose riescono benissimo, e molti altri che in quelle stesse cose sono una frana. Ma non è mica colpa loro. Essere sfortunati, poco intelligenti, incolti…non è affatto una colpa. Così come l’essere intelligenti o fortunati non è affatto un merito, non è dovuto all’iniziativa personale degli interessati… C’è chi di talenti ne riceve cinque, chi due, chi uno. Una cosa, però, è sicura, e vale per tutti: pochi o tanti che siano i talenti, bisogna farli fruttare, adoperarli in modo che portino frutto. Tutti possiamo e dobbiamo essere responsabili di quello che abbiamo ricevuto.
Ma in che senso responsabili? di fronte a chi?
Certi individui hanno ricevuto molto: intelligenza, doti, possibilità economiche…e le hanno fatte fruttare bene: ogni anno la Banca Mondiale pubblica l’elenco delle 100 persone più ricche del mondo. Hanno fatto fruttare bene i loro talenti. Per chi? per loro stesse, per la loro famiglia… Ma è proprio questo che voleva raccomandarci il Signore? dobbiamo far fruttare i talenti che ci ha dato per emergere sugli altri e far loro invidia? Questo, gli uomini sapevano farlo anche prima che venisse Gesù Cristo; non occorreva che ce lo insegnasse Lui. Allora cosa intende Gesù con questa parabola di talenti da far fruttare?
Nel vangelo, questi sono gli ultimi discorsi del Signore: ci dice cose che gli stanno molto a cuore. Soprattutto ci dice: Mi raccomando: siate svegli, accorti, attenti, perché il Regno di Dio sta venendo…che non succeda che vi trovi addormentati!
E gli sta tanto a cuore che viviamo da responsabili – invece che da distratti o superficiali – che ce lo ripete in tutte le salse: tre parabole inventa per convincerci. “Il Regno dei cieli è simile a 10 vergini che attendevano l’arrivo dello sposo…” (l’avevamo ascoltata domenica scorsa). Oggi è la seconda: “Il Regno dei cieli è simile a un uomo che è partito per un viaggio e ha affidato i suoi beni ai servi…”. Ce ne sarà una anche per Domenica prossima.
Sta molto a cuore al Signore che siamo svegli, operosi, per aprire la strada al suo Regno che viene. Perché viene sapete! altroché se viene: lo sta costruendo tra noi, proprio anche in questo mondo di oggi flagellato in lungo e in largo dal Coronavirus! E cerca collaboratori responsabili per questo, gente che mette a frutto tutti i talenti che ha ricevuto da Lui.
Ma dov’è che viene questo Regno di cui parla Gesù? da cos’è che si vede che viene? e come si fa per dargli una mano a costruirlo? Lasciamo lì questa domanda per intanto; risponderemo dopo.
Oggi, in tutte le Comunità cristiane si celebra la Giornata Mondiale dei Poveri. Come dicevo Domenica scorsa non si tratta di fare collette e raccogliere soldi, ma di riflettere un po’ seriamente su un fenomeno che sta diventando sempre più preoccupante, anche in conseguenza di questa pandemia che ha colpito il mondo intero. E’ stato reso noto in questi giorni che nella nostra Italia – cito testualmente la notizia – “Da quest’anno una persona su due che si rivolge alla Caritas per avere aiuti, lo fa per la prima volta. La povertà colpisce soprattutto le famiglie con figli piccoli, le donne e i giovani… Se fino all’anno scorso erano soprattutto gli stranieri che bussavano alle porte della Caritas, quest’anno la maggioranza sono i nuclei familiari di italiani e le persone in età lavorativa…”.
Papa Francesco nel suo messaggio per questa Giornata Mondiale dice testualmente così: “Questa pandemia che imperversa ha messo in crisi tante certezze. Ci sentiamo più poveri e più deboli perché abbiamo sperimentato il senso del limite e la restrizione della libertà. La perdita del lavoro, degli affetti più cari, come la mancanza delle consuete relazioni interpersonali hanno di colpo spalancato orizzonti che non eravamo più abituati a osservare. Le nostre ricchezze spirituali e materiali sono state messe in discussione e abbiamo scoperto di avere paura.”
“Tendi la tua mano al povero” esorta Dio nella Bibbia (Sir 7,32). E’ questo il titolo che il Papa ha dato al suo messaggio. “Sì – afferma - in questi mesi, quante mani tese abbiamo potuto vedere! La mano tesa del medico, dell’infermiera, del sacerdote, del volontario che soccorre… La mano tesa di tanti uomini e donne che hanno sfidato il contagio e la paura pur di dare sostegno e consolazione… Ma non possiamo ignorare l’atteggiamento di quanti tengono le mani in tasca e non si lasciano commuovere dalla povertà, di cui spesso sono anch’essi complici. L’indifferenza e il cinismo sono il loro cibo quotidiano. Che differenza rispetto alle mani generose che abbiamo visto e descritto!. Eppure, non lo possiamo ignorare noi cristiani: la preghiera a Dio e la solidarietà con i poveri sono inseparabili. La benedizione del Signore scende su di noi e la preghiera raggiunge il suo scopo quando sono accompagnate dal servizio ai poveri.”
Io aggiungo – a nome vostro – una domanda: “Ma… proprio tutti possiamo tendere la mano al povero? Anche chi è anziano, chi è disabile, chi ha già abbastanza problemi per conto suo?”. Sì, fratelli: tutti possiamo, anche chi ha ricevuto un talento solo, per dirla col vangelo di oggi. Tutti possiamo quantomeno allargare l’orizzonte dei nostri interessi, diventare più attenti, più sensibili al dramma della povertà di tanti, vicini o lontani che siano da noi…Non riserviamo la nostra attenzione solo ai programmi televisivi di passatempo: è urgente uscire da questo clima di superficialità (che a volte è decisamente “clima di stupidità”). Perché è solo quando la sensibilità cresce e diventa contagiosa che possono cambiare le situazioni.
Ma un’ultima cosa occorre aggiungere per completare la nostra riflessione. Il dilagare della povertà è un fenomeno di portata mondiale. Sì, ma noi cristiani usiamo un altro linguaggio per dirlo: i fenomeni di portata mondiale il Vangelo li chiama così: “segni dei tempi”. Cosa vuol dire? Che c’entra anche Dio, il Signore, con queste situazioni. Ha qualcosa da chiederci e ha anche qualcosa da offrirci, da darci. Se sapremo reagire nel modo giusto, potrà darci quello che vuole darci: e per noi e per tanti come noi sarà tutto di guadagnato. Ecco la bella notizia del Vangelo.
Lasciatemi concludere citando ancora il Messaggio di Papa Francesco: “Chiusi nel silenzio delle nostre case, abbiamo riscoperto quanto sia importante la semplicità e il tenere gli occhi fissi sull’essenziale. Abbiamo maturato l’esigenza di una nuova fraternità, capace di aiuto reciproco e di stima vicendevole. Questo è un tempo favorevole per accorgerci che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo”.
Insomma, possiamo ben dirlo: Dio è in azione anche oggi per costruire il suo Regno in mezzo a noi: vuol fare di questo villaggio globale che è il mondo una convivenza più fraterna, più vicina al progetto buono per cui l’ha creato.
E siccome cerca collaboratori, ci ha dato cervello di uomini e cuore di cristiani: ecco i talenti far fruttare.
Anche di fronte al fenomeno preoccupante della povertà che dilaga, cerchiamo perciò di ragionare non con il fegato, ma col cervello e con il cuore: cioè, da cristiani.
Domenica 8 Novembre - 32° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Sapienza 6,12-16; 1Tessalonicesi 4,13-18; Matteo 25,1-13
Saggezza o stoltezza, ecco l’argomento sul quale il nostro maestro Gesù oggi ci fa la sua lezione. Saggezza è saper fare i conti in anticipo quando c’è da prendere una decisione, cioè i preventivi, come si suol dire.
Saggezza è fare rifornimento di carburante prima di partire per un viaggio, perché non si sa se lungo il tragitto ci saranno distributori aperti… Stoltezza è doversi fermare a metà strada, o in prossimità dell’arrivo, perché si è finita la benzina.
Saggezza è partire per il supermercato prima che il frigorifero sia vuoto. Stoltezza è accorgersi che è vuoto all’ultima ora del sabato quando i supermercati sono già chiusi.
Saggezza è partire per una gita in montagna portandosi dietro quello che è necessario: per bere, per mangiare, per coprirsi se fa freddo. Stoltezza è andarci senza niente, con le mani in tasca…
Sono esperienze alla portata di tutti e penso che tutti noi, in queste faccende, sappiamo essere saggi. Ma aldilà di queste faccende, che riguardano lo stomaco, l’abbigliamento, o la macchina, siamo altrettanto saggi? Molte persone sono espertissime in tante cose del vivere: dalla medicina alla meccanica, dall’edilizia agli investimenti in borsa… espertissime! Ma di fronte a certe situazioni, a certi tornanti della vita, sono una frana, un fallimento …si perdono in una goccia d’acqua. Può essere una crisi in famiglia, un problema inatteso che sopraggiunge quando meno te l’aspetti, una difficoltà fuori dall’ordinario…e scoprono di non avere risorse per far fronte alla situazione: si sentono impotenti!
“Dateci un po’ del vostro olio perché le nostre lampade si spengono!” supplicano quelle cinque ragazze stolte della parabola. “Siamo senza risorse…per far fronte a questa situazione: datecene voi!”. No, non è possibile. La Fede, per esempio: non è come il contenuto di una bottiglia che puoi darne un po’ all’uno o all’altro; fa parte di te, come il tuo cervello, il tuo cuore, le tue gambe, tutto il tuo corpo… non puoi tagliar via un pezzo della tua persona per darla a un altro. E’ un tutt’uno con te la tua Fede.
“Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora!”. Essere stolti è una brutta cosa, per chiunque. Per noi cristiani è ancora più brutta: è peccato. Sì, perché a differenza degli altri, noi siamo stati messi in guardia: “Vegliate, perché non sapete né il giorno né l’ora!”. Ecco la messa in guardia. Quale sarà quel giorno, quell’ora?
Il pensiero corre spontaneamente al giorno e all’ora della morte…eh! arriverà, questo è poco ma sicuro. Ma è altrettanto sicuro che un cristiano può affrontare in modo giusto quel giorno e quell’ora, solo se avrà imparato ad affrontare nel modo giusto la vita.
Sì, la vita con le sue situazioni più normali (lavoro, relazione con gli altri, famiglia…); la vita, che per noi è stare in questo mondo di oggi: ma da cristiani; osservare, valutare, scegliere: ma da cristiani!
Poco fa dicevo che certuni di fronte a momenti duri, a difficoltà particolari che incontrano, sono una frana, un fallimento… Ah, ma mica soltanto in quelle occasioni! Certi cristiani franano, falliscono, nelle situazioni normali della vita di ogni giorno: cioè ragionano, valutano, decidono secondo criteri e modi che con la Fede in Gesù Cristo non hanno niente a che vedere; a volte perfino un ateo, o un pagano, saprebbe comportarsi meglio di loro! Perché succede questo? Perché mai sono così incoerenti? Probabilmente hanno finito l’olio, e non ne hanno di riserva per alimentare la lampada che si sta spegnendo.
Sto parlando della Fede, fratelli, ma non della Fede di facciata che fa andare in chiesa una volta ogni tanto e non cambia niente; parlo della Fede viva che qui si alimenta come a un distributore, e poi uno se la porta dentro come una buona scorta di energia, per rischiarare le situazione che incontra – tutte! – per vederle come le vede Dio, e poi agire di conseguenza. Forse è questo rifornimento, questa buona scorta di fede che viene a mancare – fratelli – al giorno d’oggi. Finisce presto. Anche perché le situazioni di vita oggi sono cambiate rispetto a una volta, cioè son diventate tutte più complesse.
Pensate solo a questa esperienza della pandemia, questo virus che sta flagellando tutte le nazioni: chi tra noi ha mai provato una cosa del genere? E lockdown, e mascherine, e coprifuoco… ( questo è ancora il meno peggio, ma pensate alla sofferenza di quelli che si ammalano, ai rischi che corrono quelli che li curano, al fatto che tante imprese devono chiudere e ai professionisti e lavoratori che prima o poi si trovano sul lastrico…
Come si fa a far fronte a queste situazioni? Come possiamo affrontarle noi cristiani senza una buona riserva di Fede, che è quella lampada accesa di cui parla la parabola? Ma occorre che resti accesa, perché se si spegne proprio in questi frangenti, poveri noi: dobbiamo davvero dichiarare fallimento… Io ho l’impressione che la Fede di certi cristiani, in questo tempo di prova, o è lì lì che sta per spegnersi o si è già spenta… Lo percepisco da come ragionano: non vedono l’ora che la pandemia finisca perché tutto torni come prima: liberi di andare in giro dove e quando vogliono… liberi di fare tutto quello che erano abituati a fare… tutto come prima. Ebbene, questo vorrebbe dire che chi ha sofferto ha sofferto per niente, chi è morto è morto per niente, le difficoltà e i limiti e le restrizioni che abbiam dovuto affrontare, non ci hanno insegnato niente… Ma come è possibile? Ma è vivere questo? Questo è vegetare da irresponsabili…fin che la va, la va. Ecco cosa succede quando non c’è più olio per alimentare la lampada e la fiamma della Fede si spegne. Fratelli, che non succeda anche a noi.
Non è Dio che ha mandato il Coronavirus all’umanità: se qualcuno lo dice, non badateci, non ragiona secondo il Vangelo quel tale. Dio invece ci è vicino per aiutarci ad affrontare quello che c’è da affrontare; ma Dio si aspetta anche che da certe prove impariamo qualcosa e ne usciamo migliori, più saggi, cristiani più veri insomma.
E qual è la condizione perché sia davvero così?
Ce l’ha detto il vangelo con quella parabola delle lampade e delle riserve o scorte di olio, che alcune ragazze (sagge) avevano e altre invece (sciocche e sprovvedute) no. E qui, fratelli, (senza offesa) va detto: certi cristiani, per quanto riguarda la scorta di Fede che si portano dietro, spesso si trovano a secco: o perché son rimasti al livello di fede di una volta (e da allora si è rinsecchita e fossilizzata), o perché (anche se vengono qualche volta in chiesa) non son neanche fuori dalla porta che la loro scorta di fede è già esaurita.
Fratelli, noi che siamo abili a fare i conti in anticipo di fronte a tante situazioni, quanto siamo saggi su questo punto? Abbiamo una scorta di Fede capace di sostenerci sempre, per aiutarci ad affrontare ogni situazione da cristiani? Quanto ci sta a cuore avere una buona scorta di fede, per non dover franare di fronte a certe prove della vita? In altre parole, ci sta a cuore essere saggi invece che stolti? “Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora!”. E’ buono il Signore con noi, ha pazienza. Anche oggi ci ripete la lezione. E ci dà apposta tempo da vivere, per capire, per imparare ad essere saggi.
Ma è sempre tempo di grazia, anche se è segnato dalla pandemia; anzi, proprio per questo forse non possiamo permetterci di perderlo o sciuparlo nella stoltezza.
Domenica 1 Novembre - Solennità di tutti i Santi
Le Letture Bibliche: Apocalisse 7,2-4.9-14; 1Giovanni 3,1-3; Matteo 5,1-12a
Una delle invenzioni di quest’epoca moderna è quella delle immagini a colori: stampate su giornali, riviste, libri, carte d’identità, manifesti pubblicitari lungo le strade, canali televisivi… non parliamo poi delle foto e riprese a colori che ognuno è in grado di fare con quel semplice cellulare che porta in tasca… Una volta le immagini erano tutte in bianco e nero; erano belle comunque (specialmente se i fotografi erano anche artisti), ma riprendere a colori è tutt’altra cosa: l’immagine s’avvicina di più alla realtà. Perché la realtà è fatta di colori: i colori ci consentono di distinguere le cose, gli oggetti, le persone…se il mondo fosse tutto incolore, tutto grigio, non sarebbe granchè bello; sarebbe semplicemente monotono.
Forse è per questo che i santi sono tutti diversi uno dall’altro, ognuno con un colore tutto suo, tipico e originale. I santi son riusciti a sfuggire al grigiore, a dare colore alla loro vita, alla loro storia, a tutta la loro persona. E’ questo il senso di questa festa del primo Novembre: dire Festa di tutti i santi fa pensare a un giardino immenso (la prima lettura ci parlava di una moltitudine immensa), dove i fiori – a milioni se non a miliardi – son tutti differenti uno dall’altro: tutti! non ce n’è uno che sia copia di un altro. Penso che il Paradiso, da questo punto di vista, offra un panorama molto attraente, e anche molto originale. E in questo panorama c’è anche il messaggio, o meglio, la provocazione per noi tutti. Quale esattamente?
A questo mondo è normale, e anche comodo, rassegnarsi al grigiore, a essere senza colore. Si è inventata perfino una parola nuova per dire questo: “omologazione”, che significa “rassegnarsi a esser tutti eguali”, tutti con le stesse aspirazioni (a corto respiro), tutti con gli stessi ideali (piuttosto corti)… tutt’al più ci si copia l’un l’altro: “quello lì ha la tal cosa che mi piace, e la voglio anch’io…quell’altro si comporta in modo originale: lo voglio imitare”… Beh, che succeda tra bambini, tra ragazzi, è comprensibile; ma che accada a livello di adulti direi che è preoccupante. Se per diventare se stessi si deve copiare qualcuno in tutto e per tutto è davvero segno di grande grigiore. Omologazione, appunto. Quest’epoca, che pure ha inventato le immagini a colori, riduce le persone a un grigiore spaventoso: massa, massa incolore. E non solo le persone, ma anche ciò che le persone fanno, o inventano: scopiazzature e grigiore. Un esempio tra i tanti: fino a pochi decenni fa’, in Russia (era ancora l’epoca della dittatura comunista) uno dei più famosi quotidiani portava il nome di “Pravda”, che vuol dire “verità” (figuriamoci che verità poteva esserci sotto quel regime!). Ciò che mi fa storcere il naso è sapere che oggi, in Italia, c’è un quotidiano che porta quello stesso nome: “verità”, ma da una sponda totalmente opposta ovviamente. No! No! Ma questo è il contagio del grigiore, ben peggio di una pandemia!
Noi cristiani, cattolici, veneriamo i santi! Cosa vuol dire “venerare i santi”? Per molti vuol dire avere dei punti di riferimento quando non si sa più dove sbattere la testa; eccoli allora correre da sant’Antonio o da Padre Pio, come fossero dei distributori automatici di grazie. E non di rado: “fatta la grazia, gabbato lo santo”. Cos’è cambiato in quelle persone? Niente! Ma figuratevi se Dio vuole farci diventar santi per questo! Ci mancherebbe!
Io non dico che non si possa ricorrere ai santi per pregarli di far qualcosa per noi (i santi sono nostri fratelli, e tra fratelli ci si aiuta anche), ma non è per questo anzitutto che guardiamo a loro. E perché allora? Dio un giorno ha detto al suo popolo: “Siate santi perché io, il Signore Dio vostro, sono santo”. Sì, ma noi siamo pronti a obiettare: “Come facciamo, noi che siamo povere creature, a diventare simili a Dio? Troppo alto questo traguardo, non lo raggiungeremo mai! Gesù, benevolo, misericordioso, coraggioso, sì…ma lui era Figlio di Dio; noi siamo soltanto creature di questo mondo!”. Eppure, dei santi questo non lo possiamo più dire: erano – sono – in tutto e per tutto persone come noi; esperti di una realtà complessa e problematica almeno quanto la nostra se non di più (nella prima lettura di oggi l’apostolo Giovanni ci dice che i santi – moltitudine immensa - vengono dalla grande tribolazione). Per cui no, non ci sono scuse, fratelli: uscire dal grigiore è possibile; prendere colore – ciascuno il suo – è possibile: se ciò non accade è solo perché rifiutiamo di stringere quella mano che Dio ci porge. I santi l’han fatto, loro ci sono riusciti. “Si isti et istae – si chiedeva S.Agostino – cur non ego?”. E voleva dire: “Se ci son riusciti loro, perché non posso riuscirci anch’io?”.
Ah non occorre mica che ci mettano sugli altari, sia chiaro (io personalmente non correrò questo rischio: certi altari poi, così alti… mi farebbero venire le vertigini!): no, è davanti a Dio che si diventa santi; solo Lui sa chi è santo e chi non lo è affatto.
E notate: i santi non sono da imitare, per il semplice motivo che copie e imitazioni a questo mondo ce ne sono già troppe: Dio è un artista che non si ripete mai e ci vuole unici e irripetibili ai suoi occhi. I santi non ci chiedono di imitarli: ci provocano piuttosto; ci dicono in sostanza: “Guardate che noi ci siamo riusciti nelle nostre situazioni, ci potete riuscire anche voi nelle vostre!”.
E non crediate, fratelli, che santità significhi isolamento, tirarsi fuori dal mondo per chiudersi in qualche oasi particolare, no assolutamente: significa piuttosto camminare in mezzo a tutti con spirito e motivazioni e ideali diversi da quelli di tutti: quali esattamente? E come si fa? Tutto sta nell’accogliere come codice della propria vita le beatitudini che oggi il Signore ci ha ripetuto: fidarsi più di Dio che del proprio conto in banca: questo è esser poveri in spirito; saper soffrire per gli altri oltre che per se stessi: ecco gli afflitti; essere miti, anziché arroganti e violenti; misericordiosi, anziché egoisti; affamati e assetati d’una giustizia che supera quella delle leggi e dei tribunali; puri di cuore, cioè limpidi invece che doppi e falsi; promotori di pace invece che attaccabrighe… coerenti con la propria Fede anche quando costa: “Beati voi quando vi perseguiteranno per causa mia…” . Questo è il nostro codice della strada, se vogliamo realizzare la nostra vita secondo quel bel progetto che Dio ha pensato per noi. Questo è santità!
Quel santo Papa che fu Giovanni Paolo II era solito ripetere che la santità è semplicemente la misura alta della vita cristiana ordinaria: misura alta – notate bene – della vita cristiana ordinaria.
Ci dia il Signore la voglia e il coraggio di questa misura alta per la nostra vita d’ogni giorno.