1. Profughi e immigrati: riflessioni e dati di fatto
2. Quelle due Cene...
(Riflessione spirituale ai Ministri Straordinari della Comunione ai Malati)
3. Inflazione di apparizioni?
***
3. Profughi e immigrati: riflessioni e dati di fatto
(Premessa: chi trovasse fuori luogo un argomento come questo sul Sito d'un Santuario dedicato alla Madonna, apra il Vangelo di Luca al capitolo 1 e legga con attenzione il Cantico di Maria dal verso 46 al 55, in particolare le espressioni dei versetti 51.52.53: dicono chiaramente a chi vanno le attenzioni di Dio e le premure della Madonna sua Madre... Condividerle operosamente è la condizione per una vera devozione, che altrimenti sarebbe più pagana che cristiana).
Con queste riflessioni si intende offrire l'opportunità di portare uno sguardo umano e cristiano su ciò che la Bibbia dice riguardo al fenomeno ben noto e ormai inarrestabile qual è quello delle immigrazioni. Accoglienza o Rifiuto è la grande alternativa, carica di conseguenze per il futuro di tutti. Quando si dice Bibbia o Vangelo, tuttavia, c’è il rischio che alcuni ci vedano un bel bagaglio di teorie e di ideali… (o un libro da sventolare in occasione di comizi elettorali, senza averlo mai aperto e tantomeno letto probabilmente), ma che i dati di fatto, la cosiddetta realtà, sia tutt’altro. E allora mi si permetta di iniziare – anziché dalla Bibbia – da alcuni dati di fatto che però non sono molto noti, perché i mass media abitualmente non ne parlano…
Dati di fatto
Alla fine della Seconda guerra mondiale i muri che separavano una nazione da quella accanto erano appena sette. Dal 1989 ai nostri giorni i muri ufficiali che impediscono l’ingresso nell’una nazione o nell’altra nazione pare siano almeno 77. Se non sono muri di pietra o di cemento (come quello che divide la Terra Santa da Nord a Sud) sono comunque barriere: fatte di filo spinato o di reti di recinzione (come quella di 175 Km che separa l’Ungheria dalla Serbia). I muri sono ostacoli reali ma anche simboli: dicono chiaramente che tipo di mondo si intende costruire per il domani. Papa Francesco, nell’intervista concessa ai giornalisti durante il viaggio di rientro dal Marocco, si è espresso così: “Chi alza muri… alla fine ne resta prigioniero”.
Altro dato di fatto: viste le difficoltà di entrare nei Paesi Europei per via mare, l’anno scorso (2018) 25 mila fuggitivi dalla Siria, dall’Iraq, dall’Afghanistan e dal Pakistan (giovani uomini, donne e famiglie con bambini, che fuggono da guerre, persecuzioni politiche e fame) hanno scelto la via dei Balcani, attraversando la Bosnia e poi l’Ungheria. Chiusi i passaggi per l’Ungheria, è rimasto solo un lembo di Bosnia che si incunea nell’Unione europea passando per la Croazia. A quel confine con la Croazia stazionano da mesi in condizioni miserabili miglia di questi fuggitivi. Spesso fanno il «Game» (il gioco, è la parola con cui i profughi ironicamente chiamano il tentativo di entrare nell’Unione europea). Partono in genere di notte, in piccoli gruppi, cercando di attraversare la Croazia (paese Europeo, cattolico). Spesso la polizia croata li intercetta con droni, cani e rilevatori di calore, e li respinge in Bosnia. Vengono picchiati, umiliati e derubati dei pochi soldi che hanno, mentre i loro telefonini, indispensabili per orientarsi col Gps nella fitta foresta, sono distrutti a manganellate. Quasi sempre sono ricacciati in Bosnia in condizioni pietose. La popolazione Bosniaca, in maggioranza musulmana, li aiuta come può.
L’accoglienza per la Bibbia non è un optional
La Bibbia non si perde a trattare di cose secondarie; tratta sempre di esperienze essenziali per la vita: l’accoglienza è tra queste. C’è tutta una serie di parole diverse che la illuminano e aiutano a capirla in tutta la sua ampiezza: prima fra tutte la parola “ospitalità”, con tutta la sua carica tipicamente orientale che possiede.
L’esperienza dell’essere accolto e quindi il dovere di accogliere è essenziale ad ogni individuo umano, ma per il popolo della Bibbia lo è in modo del tutto particolare: nessuna cultura, nessun popolo può esimersi dal praticare l’accoglienza, tento meno quel popolo. I motivi sono presto detti: il primo fra tutti è di ordine storico-culturale. Cioè, alle sue origini, quel popolo (gli Ebrei) ha delle radici nomadi, o semi-nomadi: era un popolo di pastori. Questo implicava la necessità di vivere in clan, in tribù, con forti legami di solidarietà; tra i nomadi, nel deserto soprattutto, da soli si muore, non si può sopravvivere. Ed è talmente forte questa consapevolezza che ogni clan, ogni tribù, si fa in quattro per non lasciare nessuno da solo: accogliere è sottrarre al pericolo certo di morire; è dare la possibilità di sopravvivere. Da qui l’antichissimo e sacro dovere dell’ospitalità nei confronti di chiunque. L’accoglienza, in una cultura così, non è un hobby, un optional: è una reale necessità. Ora, se ci si riflette, non può che essere molto significativo per noi il fatto che Dio abbia scelto come strumento di salvezza per tutta l’umanità un popolo per il quale l’apertura all’altro e la solidarietà non sono valori di contorno, ma la spina dorsale del suo stesso esistere…un popolo per il quale accogliere o non accogliere è questione di vita o di morte.
Questo, quindi, il motivo storico-culturale per cui nella Bibbia l’accoglienza è un argomento molto ricorrente.
L’altro motivo lo possiamo definire “storico-religioso”. E’ legato alla storia di quel popolo; storia fatta sovente di oppressione, di schiavitù, di esilio, di dispersione. L’esperienza di fede che quel popolo fa, avviene soprattutto in situazioni come queste: Dio si manifesta come colui che interviene a liberare, a ricuperare un’identità perduta, a riportare uomini e donne alla loro dignità originaria. Significativo e fondamentale per tutta l’esperienza riferita dalla Bibbia è l’intervento di Dio per liberare gli Ebrei dall’oppressione dell’Egitto: “Ho udito il grido del mio popolo, ho visto le sue sofferenze, sono sceso per liberarlo”: è così che Dio si presenta a Mosè. E non è solo libertà dall’oppressione quella che attua; una volta tolta l’oppressione avviene un’accoglienza reciproca tra Dio e quella gente: “Io sarò il vostro Dio – dice - e voi sarete il mio popolo”. Questa vicenda, questa avventura di liberazione dalla schiavitù e di accoglienza nell’amicizia di Dio, dovrà avere conseguenze reali anche sui comportamenti: quel popolo dovrà praticare verso tutti quella sollecitudine, quella stessa accoglienza che Dio ha usato nei suoi confronti. Le leggi sui rapporti sociali saranno animate proprio da questa motivazione: erano schiavi, alla mercè di chiunque; Dio li ha liberati e li ha fatti suo popolo. Quindi dovranno avere un’attenzione, una cura privilegiata per chiunque abbia bisogno di libertà, di dignità, di calore umano: in particolare il forestiero, l’orfano, l’oppresso di qualsiasi razza o cultura.
Tutti i codici legislativi contenuti nella Bibbia, dal più antico (contenuto nel libro dell’Esodo) al più recente di 700 anni dopo (Levitico) sono contrassegnati dal perenne riferimento a questa esperienza originaria che diventa una sensibilità permanente. Eccone qualche esempio: "Non molesterai lo straniero né lo opprimerai, perché anche voi siete stati stranieri nel paese d'Egitto” (Es. 22,20). “Lo straniero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l'amerai come te stesso perché anche voi siete stati stranieri nel paese d'Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio” (Lv 19,33). “Amate dunque lo straniero, poiché anche voi foste stranieri nel paese d'Egitto” (Dt 10,19).
Insomma, l’esperienza della salvezza vissuta in un frangente molto concreto, finisce col contrassegnare tutti i rapporti interpersonali, specie verso coloro che di quella salvezza hanno bisogno in termini altrettanto concreti. E’ Dio stesso che si fa garante di un tale comportamento: come lui s’è comportato con te, allorché eri in situazioni disperate, allo stesso modo dovrai comportarti tu verso chiunque si trovi in situazioni analoghe alle tue. Il dovere dell’accoglienza ha qui la sua motivazione storico-religiosa: è un dovere che scaturisce da una storia in cui Dio è stato sentito e sperimentato come operosamente accogliente; la salvezza, per il popolo della Bibbia, non è che un altro nome per dire accoglienza: un’accoglienza in cui Dio stesso è all’opera.
E noi cosa c’entriamo?
Qualcuno potrebbe obiettare a questo punto: “Beh, noi non siamo ebrei… I nostri antenati non sono stati schiavi in Egitto… non hanno sperimentato alcuna liberazione…Quindi non siamo tenuti all’accoglienza degli stranieri… Perché mai dovremmo accoglierli?”. Qui la risposta è presto data: E’ vero: noi non siamo Ebrei… non siamo mai stati schiavi in Egitto, né liberati e guidati a una Terra promessa… Ma è vero che siamo italiani… e non è passato neancora un secolo da quando - da tutto il Trentino (ma possiamo dire dall’Italia) -singoli individui e intere famiglie erano costrette dalle situazioni economiche miserevoli ad emigrare in altri Paesi del mondo… e non erano pochi a fare tale esperienza. A volte erano accolti, potevano vivere in maniera dignitosa, alcuni fecero fortuna nel pieno senso della parola; altri trovavano difficoltà, ostacoli…erano guardati con sospetto.
Oggi chi rifiuta accoglienza agli stranieri che premono alle frontiere, porta come motivo il fatto che tra loro ci sarebbero delinquenti e la loro delinquenza metterebbe a rischio la nostra sicurezza… E allora va anche detto che spesso la delinquenza è conseguenza del rifiuto e delle chiusure che incontrano: troppo sovente è la mancata accoglienza che trasforma gli immigrati (soprattutto se giovani) in manovalanza o preda di organizzazioni criminali. Il che – guarda caso – è accaduto anche tra gli italiani che emigrarono in altri paesi: negli Stati Uniti si parla inglese, ma c’è una parola italiana che tutti conoscono: “mafia”. Non l’hanno inventata i pellerossa o gli esquimesi: la mafia negli Stati Uniti l’hanno importata immigrati italiani.
A questo punto, se è vero che le Parole di Dio restano vive per sempre e non passano mai, come credenti (oltre che come semplici cittadini italiani) dovremo adattare a noi quelle frasi della Bibbia che citavo poco fa’: “Non molesterai lo straniero né lo opprimerai, perché anche voi siete stati stranieri in vari Paesi del mondo. “Lo straniero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l'amerai come te stesso perché anche voi siete stati stranieri… lontano dal vostro Paese d’origine”. “Amate dunque lo straniero, poiché anche voi avete sperimentato cosa vuol dire essere stranieri ”.
Offendere la persona è disonorare Dio
Nella vita accade che prima si fanno certe esperienze e poi, una volta fatte, ci si pensa su, si riflette. Anche il popolo della Bibbia, con l’andar del tempo, ripensò la sua storia di schiavitù e di liberazione e si domandò: “Noi abbiamo toccato con mano la sollecitudine di Dio, siamo stati accolti da lui in un rapporto di alleanza (che vuol dire: amicizia molto solida e seria); per noi è normale praticare l’accoglienza. Ma quelli che non hanno vissuto la nostra storia, che motivi hanno per essere accoglienti verso gli stranieri?". Che è come dire: cosa c’è nella persona umana bisognosa che possa far scattare la disponibilità ad accoglierla?
Qui la Bibbia dà quella motivazione che è la più fondamentale di tutte e la cui validità rimane intramontabile: la persona umana è fatta a immagine di Dio. Nel creare la stirpe umana Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza. E Dio – si legge in Genesi 1,26-27 – creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò”. Questo è il motivo più decisivo che fonda la dignità della persona e fa scattare l’atteggiamento di accoglienza nei suoi confronti.
Comunque la si intenda questa affermazione biblica, essa comporta un significato che è senz’altro chiaro: nella persona c’è qualcosa di Dio; trattare con qualsiasi persona significa aver a che fare in qualche modo con Dio stesso. Il che risulta ancora più vero da un altro dato di fatto: gli ebrei non potevano rappresentare Dio in immagini (statue, affreschi…): no, era vietato nel modo più assoluto. Appare allora ancor più chiara l’importanza rivoluzionaria di questa affermazione: dire che “l’uomo è immagine di Dio” equivale a dire: se vuoi onorare Dio, onora la persona umana; ciò che fai a lei (onore o offesa che sia) è fatto a Dio stesso. La persona umana vale più di tutte le statue e di tutti i dipinti delle nostre chiese: il vero culto, la giusta venerazione si deve tributare in termini d’intervento operoso alla persona bisognosa, ben più che alle statue di legno o ai quadri dei santi…
A questo punto è chiaro che le vere relazioni interpersonali – le prime in assoluto – non siano quelle che costruiscono gli uomini tra loro, ma quelle che Dio ha instaurato con il suo popolo, con noi in ultima analisi. E se parliamo di accoglienza, non siamo noi gli inventori dell’accoglienza: è Dio che ha cominciato; noi siamo suoi imitatori, persone e famiglie che camminano su una strada che Lui per primo ha già aperto.
Tutto questo lo deduco da quella parte molto consistente della Bibbia che si chiama Antico Testamento. Ma allora se ne conclude: se già nell’Antico Testamento si ragionava così (ed era più di 2000 anni fa’…), i credenti che oggi rifiutano accoglienza agli stranieri sono davvero più progrediti, più civili, più umani rispetto al popolo dell’Antico Testamento, o non sono invece più rozzi, più selvaggi e più disumani?
Chi è saggio, si prepari all’ultimo esame
Il Nuovo Testamento (cioè il Vangelo) ha ancora molto altro da aggiungere a ciò che dice l’Antico. Come la pensa Gesù Cristo, e di conseguenza il suo Vangelo, riguardo all’accoglienza?
Completa e arricchisce in modo del tutto eccezionale quanto era già stato preannunciato. Allorchè Dio inaugura il suo Regno tra gli uomini, accoglie tutti, ma – tra tutti – accoglie di preferenza i poveri, gli ultimi, gli “scarti” della società. Quando costoro si accostano a Gesù, in Gesù è Dio stesso che si fa accoglienza, e allora la vita e la persona di chi viene accolto è trasformata. Nelle persone bisognose ci sono delle prerogative, delle potenzialità nascoste che solo l’accoglienza può mettere in luce e in azione.
La presentazione più sorprendente del significato e del valore di tutto ciò ce la consegna l’evangelista Matteo al capitolo 25 del suo Vangelo. Dire “capitolo 25” è già dire qualcosa di molto particolare: subito dopo, al 26, comincia il racconto della Passione di Gesù. Quindi con il capitolo 25 Gesù finisce di insegnare (a parole), dopo non potrà più dire nulla (insegnerà con l’esempio). Ebbene, l’ultima lezione del capitolo 25 è una parabola, nella quale dice ciò che gli sta più a cuore: è come un testamento. In un testamento non si raccontano storielle, si dicono solo cose essenziali, vitali. Ecco infatti:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”.
E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna»(25,31-46).
Ecco l’ultima lezione di quel Maestro che è Gesù Cristo. Dire lezione forse è dire troppo poco: qui ci viene preannunciato in anticipo ciò su cui saremo interrogati il giorno del nostro ultimo esame, quando ci presenteremo davanti a Gesù Cristo (beh, per chi deve affrontare un esame è una fortuna conoscere in anticipo l’argomento su cui sarà interrogato: non vi pare?). E non è un esame da poco: ne va della nostra promozione o della nostra bocciatura: eterna, notate bene (non ci saranno esami di riparazione dopo quell’ultimo esame).
Quindi noi sappiamo che in ogni persona bisognosa di aiuto (affamato, assetato, nudo, malato, straniero, prigioniero…) è presente nientemeno che Gesù Cristo, e che ciò che facciamo o rifiutiamo a quella persona, è fatto o rifiutato nientemeno che a lui. “Ma (obietterà qualcuno) … io non riesco a vederci Gesù Cristo nel marocchino, o nel nigeriano, o nei volti dei disperati che attraversano il Mediterraneo sui gommoni (che non di rado affondano con le tragiche conseguenze che sappiamo)… Non riesco a vederci Gesù Cristo in loro…”. Ma chi pretende che tu lo veda? Avete sentito la parabola: nemmeno i giusti – cioè quelli che hanno fatto ciò che era necessario e urgente fare –ci vedevano Gesù Cristo… “Quando mai, Signore?”… chiedono. E lui: “Ero io… anche se non mi vedevate, l’avete fatto a me”.
Eh, ai nostri giorni, questa pagina di vangelo dovrebbe essere letta e proclamata più spesso nella nostre chiese, perché ci sono cristiani praticanti che non l’hanno imparata ancora bene. E allora a questi cristiani andrebbe rivolta questa domanda: “Voi siete praticanti… tutte le Domeniche a Messa… Ma siete anche credenti?”. (Di solito si distingue tra credenti praticanti e credenti non praticanti; eh no, ormai occorre distinguere anche tra praticanti credenti e praticanti affatto o poco credenti, perché chi ignora o rifiuta questa pagina di vangelo - che sarà materia dell’ultimo esame - non può dirsi credente in Gesù Cristo. Il nostro Vescovo l’ha ribadito a chiare lettere nei giorni scorsi (e proprio in base a questa pagina di vangelo): “Chi dimentica il malato e il povero, chi dimentica il migrante, dimentica Dio”.
Coraggiosi nella denuncia
oltre che generosi nell’accoglienza
La Bibbia però non si limita a raccomandare l’accoglienza, Gesù Cristo non si accontenta di dire che nei bisognosi è presente lui stesso. Sia i profeti dell’Antico Testamento, sia lo stesso Gesù Cristo, mettono a nudo la menzogna, la malvagità, lo sporco interesse di quei pochi o tanti che con le loro imprese producono folle e moltitudini di bisognosi…
“Guai a voi che opprimete i poveri, che li depredate di quel poco che hanno… Le vostre mani grondano sangue!” grida Isaia ai responsabili del suo tempo 7 secoli prima di Cristo.
Il messaggio biblico-cristiano denuncia a chiare lettere il male che è la vera causa di certi fenomeni problematici. Oggi la Chiesa rischia di insistere quasi esclusivamente sul dovere dell’accoglienza, dimenticando l’altro suo dovere, che è la denuncia delle cause che provocano le migrazioni: in tal modo si rischia di allargare sempre più il baratro tra chi accoglie e chi rifiuta, e molta gente continua a guardare col prosciutto sugli occhi a questo fenomeno. No, come cristiani (oltre che in quanto “umani”) abbiamo anche il dovere di far aprire gli occhi a chi continua a non vedere, o a non voler vedere. Cosa intendo dire parlando di denuncia delle cause? La maggioranza di quelli che noi chiamiamo migranti, fuggono da violenze, da guerre, da dittature sanguinarie. Una minoranza invece è alla ricerca di un tenore di vita più dignitoso: “migranti economici” vengono definiti.
Si dice e si ripete con apparente buon senso: “Ma non possiamo accogliere tutti!”. Il che è vero, ma è solo una mezza verità; perché? Perché all’affermazione “non possiamo accogliere tutti” si dovrebbe sempre ribattere con questa domanda: “Ma allora… perché li facciamo arrivare?”. Eh, sì…siamo noi (noi italiani, noi europei, noi Occidente) che li facciamo arrivare. I migranti economici, ad esempio, quelli che fuggono dalla povertà… Grazie ai canali televisivi satellitari, captabili ormai anche nei Paesi più poveri del Terzo mondo, gli spot pubblicitari che presentano l’Occidente (e l’Italia in ispecie) come il “paese dei balocchi”, funzionano come “specchietti per le allodole”: non si devono esporre specchietti per le allodole e poi lamentarsi perché le allodole abboccano. Ecco perché siamo noi che li facciamo arrivare.
La maggioranza però sono profughi o rifugiati che scappano da guerre e violenze e dittature sanguinarie. Ma le guerre non si combattono … con gli stuzzicadenti, ma con le armi; le violenze non sono a sassate, sono a suon di bombe che esplodono… E da dove arrivano le armi, gli ordigni modernissimi e micidiali? Dai nostri Paesi Occidentali, Italia compresa. Il commercio delle armi è l’unico che non conosce crisi. Il fatturato della vendita di armi da parte dell’Italia nell’anno 1914-1915 era di quasi tre miliardi di Euro; l’anno dopo era triplicato: più di 8 miliardi. Nel 1917 (già sotto il precedente governo) era di oltre 10 miliardi. Qualche mese fa’ ad Abu Dhabi (capitale degli Emirati Arabi in Medio Oriente) è stata fatta l’esposizione internazionale delle armi da guerra: l’italia era rappresentata da 30 aziende diverse. Il sottosegretario al Ministero della Difesa vi si recò e nell’intervista ai giornalisti disse che “Il mercato delle armi è un business da sfruttare al massimo. Anche questo vuol dire fare politica, quella buona, e gli interessi dell’Italia». Ciò vuol dire che il fatturato in armi (già alto con il precedente governo), con l’attuale è destinato a crescere ulteriormente. E con il fatturato cresceranno i profughi, i rifugiati, perché la gente del Medio Oriente non sta lì ad aspettare le bombe che cadono dal cielo: scappa, se può… Infatti i principali partner commerciali dell’Italia sono l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e i Paesi del Centr’Africa: paesi che ufficialmente non sono in guerra (la costituzione italiana non consentirebbe di vendere armi a paesi in guerra). L’Arabia Saudita e gli Emirati arabi distribuiscono poi le armi acquistate ai rivoltosi dello Yemen, ad AlQaida, al Daèsh o Isis che si dica. A questo punto, come meravigliarsi se le bombe nello Yemen (notizie di tempo fa’) cadono su bambini di un parco giochi facendo strage, o su una casa di sei persone dove c’è una donna incinta e 4 bambini… (tutti uccisi) e, guarda caso, sul luogo si rinvengono poi resti di bombe e un anello di sospensione con il marchio di fabbrica “Italia”? Il parlamento europeo ha emanato già tre risoluzioni per esortare gli stati membri a non vendere armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi, perché è provato che provocano crimini di guerra a danno di persone inermi. L’Italia ha completamente disatteso queste risoluzioni.
Papa Francesco non perde occasione di denunciare il drammatico legame che intercorre tra il mercato delle armi di cui si avvantaggia l'Occidente e il fenomeno dei profughi e rifugiati in cerca di sicurezza e troppo sovente rifiutati e respinti; nel suo Messaggio per la prossima Giornata del Migrante e del Rifugiato (29 settembre 2019) scrive così: «Le guerre interessano solo alcune regioni del mondo, ma le armi per farle vengono prodotte e vendute in altre regioni, le quali poi non vogliono farsi carico dei rifugiati prodotti da tali conflitti».
A questo punto, penso non ci sia bisogno di spiegare quella domanda: “Perché facciamo arrivare migranti, rifugiati e profughi?”. All’affermazione “Non possiamo accogliere tutti” sarà opportuno e doveroso ribattere: “Perché allora li facciamo arrivare?”.
Ho elencato alcuni motivi, ho riportato alcuni dati (presi non dalla grande stampa , bensì da fonti meno note ma più attendibili, perchè non di rado coloro che li hanno comunicati hanno pagato un alto prezzo per questo).
Sarà opportuno, se non umanamente doveroso, ricordare almeno alcuni di questi dati, perché noi cristiani non possiamo limitarci a predicare l’accoglienza; noi dobbiamo anche denunciare le menzogne e i commerci criminali che hanno grandi responsabilità nel creare folle di disperati che chiedono accoglienza e troppe volte incontrano solo rifiuto.
Ricordiamoci che questa comunque sarà la materia d’esame sulla quale tutti saremo giudicati da Gesù Cristo, quando avremo varcato l’ultima frontiera.
(Premessa: chi trovasse fuori luogo un argomento come questo sul Sito d'un Santuario dedicato alla Madonna, apra il Vangelo di Luca al capitolo 1 e legga con attenzione il Cantico di Maria dal verso 46 al 55, in particolare le espressioni dei versetti 51.52.53: dicono chiaramente a chi vanno le attenzioni di Dio e le premure della Madonna sua Madre... Condividerle operosamente è la condizione per una vera devozione, che altrimenti sarebbe più pagana che cristiana).
Con queste riflessioni si intende offrire l'opportunità di portare uno sguardo umano e cristiano su ciò che la Bibbia dice riguardo al fenomeno ben noto e ormai inarrestabile qual è quello delle immigrazioni. Accoglienza o Rifiuto è la grande alternativa, carica di conseguenze per il futuro di tutti. Quando si dice Bibbia o Vangelo, tuttavia, c’è il rischio che alcuni ci vedano un bel bagaglio di teorie e di ideali… (o un libro da sventolare in occasione di comizi elettorali, senza averlo mai aperto e tantomeno letto probabilmente), ma che i dati di fatto, la cosiddetta realtà, sia tutt’altro. E allora mi si permetta di iniziare – anziché dalla Bibbia – da alcuni dati di fatto che però non sono molto noti, perché i mass media abitualmente non ne parlano…
Dati di fatto
Alla fine della Seconda guerra mondiale i muri che separavano una nazione da quella accanto erano appena sette. Dal 1989 ai nostri giorni i muri ufficiali che impediscono l’ingresso nell’una nazione o nell’altra nazione pare siano almeno 77. Se non sono muri di pietra o di cemento (come quello che divide la Terra Santa da Nord a Sud) sono comunque barriere: fatte di filo spinato o di reti di recinzione (come quella di 175 Km che separa l’Ungheria dalla Serbia). I muri sono ostacoli reali ma anche simboli: dicono chiaramente che tipo di mondo si intende costruire per il domani. Papa Francesco, nell’intervista concessa ai giornalisti durante il viaggio di rientro dal Marocco, si è espresso così: “Chi alza muri… alla fine ne resta prigioniero”.
Altro dato di fatto: viste le difficoltà di entrare nei Paesi Europei per via mare, l’anno scorso (2018) 25 mila fuggitivi dalla Siria, dall’Iraq, dall’Afghanistan e dal Pakistan (giovani uomini, donne e famiglie con bambini, che fuggono da guerre, persecuzioni politiche e fame) hanno scelto la via dei Balcani, attraversando la Bosnia e poi l’Ungheria. Chiusi i passaggi per l’Ungheria, è rimasto solo un lembo di Bosnia che si incunea nell’Unione europea passando per la Croazia. A quel confine con la Croazia stazionano da mesi in condizioni miserabili miglia di questi fuggitivi. Spesso fanno il «Game» (il gioco, è la parola con cui i profughi ironicamente chiamano il tentativo di entrare nell’Unione europea). Partono in genere di notte, in piccoli gruppi, cercando di attraversare la Croazia (paese Europeo, cattolico). Spesso la polizia croata li intercetta con droni, cani e rilevatori di calore, e li respinge in Bosnia. Vengono picchiati, umiliati e derubati dei pochi soldi che hanno, mentre i loro telefonini, indispensabili per orientarsi col Gps nella fitta foresta, sono distrutti a manganellate. Quasi sempre sono ricacciati in Bosnia in condizioni pietose. La popolazione Bosniaca, in maggioranza musulmana, li aiuta come può.
L’accoglienza per la Bibbia non è un optional
La Bibbia non si perde a trattare di cose secondarie; tratta sempre di esperienze essenziali per la vita: l’accoglienza è tra queste. C’è tutta una serie di parole diverse che la illuminano e aiutano a capirla in tutta la sua ampiezza: prima fra tutte la parola “ospitalità”, con tutta la sua carica tipicamente orientale che possiede.
L’esperienza dell’essere accolto e quindi il dovere di accogliere è essenziale ad ogni individuo umano, ma per il popolo della Bibbia lo è in modo del tutto particolare: nessuna cultura, nessun popolo può esimersi dal praticare l’accoglienza, tento meno quel popolo. I motivi sono presto detti: il primo fra tutti è di ordine storico-culturale. Cioè, alle sue origini, quel popolo (gli Ebrei) ha delle radici nomadi, o semi-nomadi: era un popolo di pastori. Questo implicava la necessità di vivere in clan, in tribù, con forti legami di solidarietà; tra i nomadi, nel deserto soprattutto, da soli si muore, non si può sopravvivere. Ed è talmente forte questa consapevolezza che ogni clan, ogni tribù, si fa in quattro per non lasciare nessuno da solo: accogliere è sottrarre al pericolo certo di morire; è dare la possibilità di sopravvivere. Da qui l’antichissimo e sacro dovere dell’ospitalità nei confronti di chiunque. L’accoglienza, in una cultura così, non è un hobby, un optional: è una reale necessità. Ora, se ci si riflette, non può che essere molto significativo per noi il fatto che Dio abbia scelto come strumento di salvezza per tutta l’umanità un popolo per il quale l’apertura all’altro e la solidarietà non sono valori di contorno, ma la spina dorsale del suo stesso esistere…un popolo per il quale accogliere o non accogliere è questione di vita o di morte.
Questo, quindi, il motivo storico-culturale per cui nella Bibbia l’accoglienza è un argomento molto ricorrente.
L’altro motivo lo possiamo definire “storico-religioso”. E’ legato alla storia di quel popolo; storia fatta sovente di oppressione, di schiavitù, di esilio, di dispersione. L’esperienza di fede che quel popolo fa, avviene soprattutto in situazioni come queste: Dio si manifesta come colui che interviene a liberare, a ricuperare un’identità perduta, a riportare uomini e donne alla loro dignità originaria. Significativo e fondamentale per tutta l’esperienza riferita dalla Bibbia è l’intervento di Dio per liberare gli Ebrei dall’oppressione dell’Egitto: “Ho udito il grido del mio popolo, ho visto le sue sofferenze, sono sceso per liberarlo”: è così che Dio si presenta a Mosè. E non è solo libertà dall’oppressione quella che attua; una volta tolta l’oppressione avviene un’accoglienza reciproca tra Dio e quella gente: “Io sarò il vostro Dio – dice - e voi sarete il mio popolo”. Questa vicenda, questa avventura di liberazione dalla schiavitù e di accoglienza nell’amicizia di Dio, dovrà avere conseguenze reali anche sui comportamenti: quel popolo dovrà praticare verso tutti quella sollecitudine, quella stessa accoglienza che Dio ha usato nei suoi confronti. Le leggi sui rapporti sociali saranno animate proprio da questa motivazione: erano schiavi, alla mercè di chiunque; Dio li ha liberati e li ha fatti suo popolo. Quindi dovranno avere un’attenzione, una cura privilegiata per chiunque abbia bisogno di libertà, di dignità, di calore umano: in particolare il forestiero, l’orfano, l’oppresso di qualsiasi razza o cultura.
Tutti i codici legislativi contenuti nella Bibbia, dal più antico (contenuto nel libro dell’Esodo) al più recente di 700 anni dopo (Levitico) sono contrassegnati dal perenne riferimento a questa esperienza originaria che diventa una sensibilità permanente. Eccone qualche esempio: "Non molesterai lo straniero né lo opprimerai, perché anche voi siete stati stranieri nel paese d'Egitto” (Es. 22,20). “Lo straniero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l'amerai come te stesso perché anche voi siete stati stranieri nel paese d'Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio” (Lv 19,33). “Amate dunque lo straniero, poiché anche voi foste stranieri nel paese d'Egitto” (Dt 10,19).
Insomma, l’esperienza della salvezza vissuta in un frangente molto concreto, finisce col contrassegnare tutti i rapporti interpersonali, specie verso coloro che di quella salvezza hanno bisogno in termini altrettanto concreti. E’ Dio stesso che si fa garante di un tale comportamento: come lui s’è comportato con te, allorché eri in situazioni disperate, allo stesso modo dovrai comportarti tu verso chiunque si trovi in situazioni analoghe alle tue. Il dovere dell’accoglienza ha qui la sua motivazione storico-religiosa: è un dovere che scaturisce da una storia in cui Dio è stato sentito e sperimentato come operosamente accogliente; la salvezza, per il popolo della Bibbia, non è che un altro nome per dire accoglienza: un’accoglienza in cui Dio stesso è all’opera.
E noi cosa c’entriamo?
Qualcuno potrebbe obiettare a questo punto: “Beh, noi non siamo ebrei… I nostri antenati non sono stati schiavi in Egitto… non hanno sperimentato alcuna liberazione…Quindi non siamo tenuti all’accoglienza degli stranieri… Perché mai dovremmo accoglierli?”. Qui la risposta è presto data: E’ vero: noi non siamo Ebrei… non siamo mai stati schiavi in Egitto, né liberati e guidati a una Terra promessa… Ma è vero che siamo italiani… e non è passato neancora un secolo da quando - da tutto il Trentino (ma possiamo dire dall’Italia) -singoli individui e intere famiglie erano costrette dalle situazioni economiche miserevoli ad emigrare in altri Paesi del mondo… e non erano pochi a fare tale esperienza. A volte erano accolti, potevano vivere in maniera dignitosa, alcuni fecero fortuna nel pieno senso della parola; altri trovavano difficoltà, ostacoli…erano guardati con sospetto.
Oggi chi rifiuta accoglienza agli stranieri che premono alle frontiere, porta come motivo il fatto che tra loro ci sarebbero delinquenti e la loro delinquenza metterebbe a rischio la nostra sicurezza… E allora va anche detto che spesso la delinquenza è conseguenza del rifiuto e delle chiusure che incontrano: troppo sovente è la mancata accoglienza che trasforma gli immigrati (soprattutto se giovani) in manovalanza o preda di organizzazioni criminali. Il che – guarda caso – è accaduto anche tra gli italiani che emigrarono in altri paesi: negli Stati Uniti si parla inglese, ma c’è una parola italiana che tutti conoscono: “mafia”. Non l’hanno inventata i pellerossa o gli esquimesi: la mafia negli Stati Uniti l’hanno importata immigrati italiani.
A questo punto, se è vero che le Parole di Dio restano vive per sempre e non passano mai, come credenti (oltre che come semplici cittadini italiani) dovremo adattare a noi quelle frasi della Bibbia che citavo poco fa’: “Non molesterai lo straniero né lo opprimerai, perché anche voi siete stati stranieri in vari Paesi del mondo. “Lo straniero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l'amerai come te stesso perché anche voi siete stati stranieri… lontano dal vostro Paese d’origine”. “Amate dunque lo straniero, poiché anche voi avete sperimentato cosa vuol dire essere stranieri ”.
Offendere la persona è disonorare Dio
Nella vita accade che prima si fanno certe esperienze e poi, una volta fatte, ci si pensa su, si riflette. Anche il popolo della Bibbia, con l’andar del tempo, ripensò la sua storia di schiavitù e di liberazione e si domandò: “Noi abbiamo toccato con mano la sollecitudine di Dio, siamo stati accolti da lui in un rapporto di alleanza (che vuol dire: amicizia molto solida e seria); per noi è normale praticare l’accoglienza. Ma quelli che non hanno vissuto la nostra storia, che motivi hanno per essere accoglienti verso gli stranieri?". Che è come dire: cosa c’è nella persona umana bisognosa che possa far scattare la disponibilità ad accoglierla?
Qui la Bibbia dà quella motivazione che è la più fondamentale di tutte e la cui validità rimane intramontabile: la persona umana è fatta a immagine di Dio. Nel creare la stirpe umana Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza. E Dio – si legge in Genesi 1,26-27 – creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò”. Questo è il motivo più decisivo che fonda la dignità della persona e fa scattare l’atteggiamento di accoglienza nei suoi confronti.
Comunque la si intenda questa affermazione biblica, essa comporta un significato che è senz’altro chiaro: nella persona c’è qualcosa di Dio; trattare con qualsiasi persona significa aver a che fare in qualche modo con Dio stesso. Il che risulta ancora più vero da un altro dato di fatto: gli ebrei non potevano rappresentare Dio in immagini (statue, affreschi…): no, era vietato nel modo più assoluto. Appare allora ancor più chiara l’importanza rivoluzionaria di questa affermazione: dire che “l’uomo è immagine di Dio” equivale a dire: se vuoi onorare Dio, onora la persona umana; ciò che fai a lei (onore o offesa che sia) è fatto a Dio stesso. La persona umana vale più di tutte le statue e di tutti i dipinti delle nostre chiese: il vero culto, la giusta venerazione si deve tributare in termini d’intervento operoso alla persona bisognosa, ben più che alle statue di legno o ai quadri dei santi…
A questo punto è chiaro che le vere relazioni interpersonali – le prime in assoluto – non siano quelle che costruiscono gli uomini tra loro, ma quelle che Dio ha instaurato con il suo popolo, con noi in ultima analisi. E se parliamo di accoglienza, non siamo noi gli inventori dell’accoglienza: è Dio che ha cominciato; noi siamo suoi imitatori, persone e famiglie che camminano su una strada che Lui per primo ha già aperto.
Tutto questo lo deduco da quella parte molto consistente della Bibbia che si chiama Antico Testamento. Ma allora se ne conclude: se già nell’Antico Testamento si ragionava così (ed era più di 2000 anni fa’…), i credenti che oggi rifiutano accoglienza agli stranieri sono davvero più progrediti, più civili, più umani rispetto al popolo dell’Antico Testamento, o non sono invece più rozzi, più selvaggi e più disumani?
Chi è saggio, si prepari all’ultimo esame
Il Nuovo Testamento (cioè il Vangelo) ha ancora molto altro da aggiungere a ciò che dice l’Antico. Come la pensa Gesù Cristo, e di conseguenza il suo Vangelo, riguardo all’accoglienza?
Completa e arricchisce in modo del tutto eccezionale quanto era già stato preannunciato. Allorchè Dio inaugura il suo Regno tra gli uomini, accoglie tutti, ma – tra tutti – accoglie di preferenza i poveri, gli ultimi, gli “scarti” della società. Quando costoro si accostano a Gesù, in Gesù è Dio stesso che si fa accoglienza, e allora la vita e la persona di chi viene accolto è trasformata. Nelle persone bisognose ci sono delle prerogative, delle potenzialità nascoste che solo l’accoglienza può mettere in luce e in azione.
La presentazione più sorprendente del significato e del valore di tutto ciò ce la consegna l’evangelista Matteo al capitolo 25 del suo Vangelo. Dire “capitolo 25” è già dire qualcosa di molto particolare: subito dopo, al 26, comincia il racconto della Passione di Gesù. Quindi con il capitolo 25 Gesù finisce di insegnare (a parole), dopo non potrà più dire nulla (insegnerà con l’esempio). Ebbene, l’ultima lezione del capitolo 25 è una parabola, nella quale dice ciò che gli sta più a cuore: è come un testamento. In un testamento non si raccontano storielle, si dicono solo cose essenziali, vitali. Ecco infatti:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”.
E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna»(25,31-46).
Ecco l’ultima lezione di quel Maestro che è Gesù Cristo. Dire lezione forse è dire troppo poco: qui ci viene preannunciato in anticipo ciò su cui saremo interrogati il giorno del nostro ultimo esame, quando ci presenteremo davanti a Gesù Cristo (beh, per chi deve affrontare un esame è una fortuna conoscere in anticipo l’argomento su cui sarà interrogato: non vi pare?). E non è un esame da poco: ne va della nostra promozione o della nostra bocciatura: eterna, notate bene (non ci saranno esami di riparazione dopo quell’ultimo esame).
Quindi noi sappiamo che in ogni persona bisognosa di aiuto (affamato, assetato, nudo, malato, straniero, prigioniero…) è presente nientemeno che Gesù Cristo, e che ciò che facciamo o rifiutiamo a quella persona, è fatto o rifiutato nientemeno che a lui. “Ma (obietterà qualcuno) … io non riesco a vederci Gesù Cristo nel marocchino, o nel nigeriano, o nei volti dei disperati che attraversano il Mediterraneo sui gommoni (che non di rado affondano con le tragiche conseguenze che sappiamo)… Non riesco a vederci Gesù Cristo in loro…”. Ma chi pretende che tu lo veda? Avete sentito la parabola: nemmeno i giusti – cioè quelli che hanno fatto ciò che era necessario e urgente fare –ci vedevano Gesù Cristo… “Quando mai, Signore?”… chiedono. E lui: “Ero io… anche se non mi vedevate, l’avete fatto a me”.
Eh, ai nostri giorni, questa pagina di vangelo dovrebbe essere letta e proclamata più spesso nella nostre chiese, perché ci sono cristiani praticanti che non l’hanno imparata ancora bene. E allora a questi cristiani andrebbe rivolta questa domanda: “Voi siete praticanti… tutte le Domeniche a Messa… Ma siete anche credenti?”. (Di solito si distingue tra credenti praticanti e credenti non praticanti; eh no, ormai occorre distinguere anche tra praticanti credenti e praticanti affatto o poco credenti, perché chi ignora o rifiuta questa pagina di vangelo - che sarà materia dell’ultimo esame - non può dirsi credente in Gesù Cristo. Il nostro Vescovo l’ha ribadito a chiare lettere nei giorni scorsi (e proprio in base a questa pagina di vangelo): “Chi dimentica il malato e il povero, chi dimentica il migrante, dimentica Dio”.
Coraggiosi nella denuncia
oltre che generosi nell’accoglienza
La Bibbia però non si limita a raccomandare l’accoglienza, Gesù Cristo non si accontenta di dire che nei bisognosi è presente lui stesso. Sia i profeti dell’Antico Testamento, sia lo stesso Gesù Cristo, mettono a nudo la menzogna, la malvagità, lo sporco interesse di quei pochi o tanti che con le loro imprese producono folle e moltitudini di bisognosi…
“Guai a voi che opprimete i poveri, che li depredate di quel poco che hanno… Le vostre mani grondano sangue!” grida Isaia ai responsabili del suo tempo 7 secoli prima di Cristo.
Il messaggio biblico-cristiano denuncia a chiare lettere il male che è la vera causa di certi fenomeni problematici. Oggi la Chiesa rischia di insistere quasi esclusivamente sul dovere dell’accoglienza, dimenticando l’altro suo dovere, che è la denuncia delle cause che provocano le migrazioni: in tal modo si rischia di allargare sempre più il baratro tra chi accoglie e chi rifiuta, e molta gente continua a guardare col prosciutto sugli occhi a questo fenomeno. No, come cristiani (oltre che in quanto “umani”) abbiamo anche il dovere di far aprire gli occhi a chi continua a non vedere, o a non voler vedere. Cosa intendo dire parlando di denuncia delle cause? La maggioranza di quelli che noi chiamiamo migranti, fuggono da violenze, da guerre, da dittature sanguinarie. Una minoranza invece è alla ricerca di un tenore di vita più dignitoso: “migranti economici” vengono definiti.
Si dice e si ripete con apparente buon senso: “Ma non possiamo accogliere tutti!”. Il che è vero, ma è solo una mezza verità; perché? Perché all’affermazione “non possiamo accogliere tutti” si dovrebbe sempre ribattere con questa domanda: “Ma allora… perché li facciamo arrivare?”. Eh, sì…siamo noi (noi italiani, noi europei, noi Occidente) che li facciamo arrivare. I migranti economici, ad esempio, quelli che fuggono dalla povertà… Grazie ai canali televisivi satellitari, captabili ormai anche nei Paesi più poveri del Terzo mondo, gli spot pubblicitari che presentano l’Occidente (e l’Italia in ispecie) come il “paese dei balocchi”, funzionano come “specchietti per le allodole”: non si devono esporre specchietti per le allodole e poi lamentarsi perché le allodole abboccano. Ecco perché siamo noi che li facciamo arrivare.
La maggioranza però sono profughi o rifugiati che scappano da guerre e violenze e dittature sanguinarie. Ma le guerre non si combattono … con gli stuzzicadenti, ma con le armi; le violenze non sono a sassate, sono a suon di bombe che esplodono… E da dove arrivano le armi, gli ordigni modernissimi e micidiali? Dai nostri Paesi Occidentali, Italia compresa. Il commercio delle armi è l’unico che non conosce crisi. Il fatturato della vendita di armi da parte dell’Italia nell’anno 1914-1915 era di quasi tre miliardi di Euro; l’anno dopo era triplicato: più di 8 miliardi. Nel 1917 (già sotto il precedente governo) era di oltre 10 miliardi. Qualche mese fa’ ad Abu Dhabi (capitale degli Emirati Arabi in Medio Oriente) è stata fatta l’esposizione internazionale delle armi da guerra: l’italia era rappresentata da 30 aziende diverse. Il sottosegretario al Ministero della Difesa vi si recò e nell’intervista ai giornalisti disse che “Il mercato delle armi è un business da sfruttare al massimo. Anche questo vuol dire fare politica, quella buona, e gli interessi dell’Italia». Ciò vuol dire che il fatturato in armi (già alto con il precedente governo), con l’attuale è destinato a crescere ulteriormente. E con il fatturato cresceranno i profughi, i rifugiati, perché la gente del Medio Oriente non sta lì ad aspettare le bombe che cadono dal cielo: scappa, se può… Infatti i principali partner commerciali dell’Italia sono l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e i Paesi del Centr’Africa: paesi che ufficialmente non sono in guerra (la costituzione italiana non consentirebbe di vendere armi a paesi in guerra). L’Arabia Saudita e gli Emirati arabi distribuiscono poi le armi acquistate ai rivoltosi dello Yemen, ad AlQaida, al Daèsh o Isis che si dica. A questo punto, come meravigliarsi se le bombe nello Yemen (notizie di tempo fa’) cadono su bambini di un parco giochi facendo strage, o su una casa di sei persone dove c’è una donna incinta e 4 bambini… (tutti uccisi) e, guarda caso, sul luogo si rinvengono poi resti di bombe e un anello di sospensione con il marchio di fabbrica “Italia”? Il parlamento europeo ha emanato già tre risoluzioni per esortare gli stati membri a non vendere armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi, perché è provato che provocano crimini di guerra a danno di persone inermi. L’Italia ha completamente disatteso queste risoluzioni.
Papa Francesco non perde occasione di denunciare il drammatico legame che intercorre tra il mercato delle armi di cui si avvantaggia l'Occidente e il fenomeno dei profughi e rifugiati in cerca di sicurezza e troppo sovente rifiutati e respinti; nel suo Messaggio per la prossima Giornata del Migrante e del Rifugiato (29 settembre 2019) scrive così: «Le guerre interessano solo alcune regioni del mondo, ma le armi per farle vengono prodotte e vendute in altre regioni, le quali poi non vogliono farsi carico dei rifugiati prodotti da tali conflitti».
A questo punto, penso non ci sia bisogno di spiegare quella domanda: “Perché facciamo arrivare migranti, rifugiati e profughi?”. All’affermazione “Non possiamo accogliere tutti” sarà opportuno e doveroso ribattere: “Perché allora li facciamo arrivare?”.
Ho elencato alcuni motivi, ho riportato alcuni dati (presi non dalla grande stampa , bensì da fonti meno note ma più attendibili, perchè non di rado coloro che li hanno comunicati hanno pagato un alto prezzo per questo).
Sarà opportuno, se non umanamente doveroso, ricordare almeno alcuni di questi dati, perché noi cristiani non possiamo limitarci a predicare l’accoglienza; noi dobbiamo anche denunciare le menzogne e i commerci criminali che hanno grandi responsabilità nel creare folle di disperati che chiedono accoglienza e troppe volte incontrano solo rifiuto.
Ricordiamoci che questa comunque sarà la materia d’esame sulla quale tutti saremo giudicati da Gesù Cristo, quando avremo varcato l’ultima frontiera.
Percentuale di profughi e immigrati
accolti nei vari Paesi Europei
secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite
(dati Novembre 2021)
Come si noterà, l'Italia non è affatto al primo posto per accoglienza di profughi e immigrati, ma al settimo. Se è pur vero che una notevole percentuale di essi approda sulle coste italiane, è altrettanto vero che la maggioranza di questi prosegue poi al più presto verso altri Paesi Europeo.
Incidenza sulla popolazione locale
AUSTRIA 17,0 %
IRLANDA 13,0 %
GERMANIA 12,7 %
BELGIO 12,6 %
SPAGNA 11,3 %
DANIMARCA 9,2 %
ITALIA 8,7 %
GRECIA 8,6 %
SVEZIA 8,6 %
SLOVENIA 8,0 %
FRANCIA 7,7 %
OLANDA 6,7 %
PORTOGALLO 6,4 %
REP. CECA 5,8 %
FINLANDIA 5,0 %
accolti nei vari Paesi Europei
secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite
(dati Novembre 2021)
Come si noterà, l'Italia non è affatto al primo posto per accoglienza di profughi e immigrati, ma al settimo. Se è pur vero che una notevole percentuale di essi approda sulle coste italiane, è altrettanto vero che la maggioranza di questi prosegue poi al più presto verso altri Paesi Europeo.
Incidenza sulla popolazione locale
AUSTRIA 17,0 %
IRLANDA 13,0 %
GERMANIA 12,7 %
BELGIO 12,6 %
SPAGNA 11,3 %
DANIMARCA 9,2 %
ITALIA 8,7 %
GRECIA 8,6 %
SVEZIA 8,6 %
SLOVENIA 8,0 %
FRANCIA 7,7 %
OLANDA 6,7 %
PORTOGALLO 6,4 %
REP. CECA 5,8 %
FINLANDIA 5,0 %
***
2. Quelle due Cene...
Riflessione spirituale ai Ministri Straordinari della Comunione ai Malati, la vigilia del CORPUS DOMINI 2022
Voi avete il compito di distribuire l’Eucaristia ma soprattutto di portarla ai malati. È su questa seconda parte del vostro compito che vi invito a riflettere: il servizio che fate ai malati a nome della Chiesa.
E vorrei comunicarvi un messaggio che vi invito a scolpirvi bene nel cuore. E’ questo: portando la Comunione ai malati voi annunciate il Vangelo, voi predicate il Vangelo non a parole ma con questo vostro servizio. E mi spiego.
Sapete che è la Bibbia che ci racconta l’Eucaristia, specialmente i Vangeli e gli altri scritti degli Apostoli. Io ne ho scelti due, il racconto di due Cene di Gesù.
La sua ultima, quella del Cenacolo, dopo la quale segue la passione e la morte sulla croce.
E quella della sera di Pasqua quando Gesù è risorto, la cena a Emmaus, in quella locanda con due discepoli con i quali ha camminato per strada.
Tante cose si possono dire di queste due Cene, ma possiamo osservarle anche partendo da quella situazione che voi conoscete bene e che è la malattia, l’esperienza del dolore; cosa vediamo?
Nell’ultima Cena
vediamo semplicemente l’umanità di Gesù che per la prima volta affronta lo sgomento della sofferenza e della morte, e lo fa affidandosi totalmente alle mani di Dio. L’umanità ha sempre provato la sofferenza, il dolore, è l’esperienza di tutti i giorni: sì ma lì in quel Cenacolo è la prima volta che l’affronta affidandosi totalmente alle mani di Dio, e lo fa con Gesù . Non solo: pensate un po’, in quel momento ogni persona umana sarebbe portata a pensare a se stessa, solo a se stessa. Ebbene, proprio in un momento così Gesù, Uomo-Dio, si fa dono totale e senza condizioni a tutti gli uomini e le donne di questo mondo. E lo fa nel pane e nel vino. Anche questo è molto significativo. Perché?
Quando una persona si ammala, e si ammala sul serio, in modo cronico, progressivo e irreversibile, comincia a fare una cosa che prima da sana non faceva: comincia a distinguere le cose essenziali da quelle secondarie, o dalle stupidaggini. Ebbene, proprio questa persona è in grado di capire meglio perché l’Eucaristia si fa con il pane e il vino. Lo dico con le parole dei Vescovi italiani in un bel messaggio di alcuni anni fa’: Il pane e il vino sono simbolo di cose essenziali, quelle di cui tutti abbiamo fame: la vita, la salute, la libertà, l’amicizia, l’amore, Dio. Così l’Eucaristia diventa il pane essenziale per ogni nostro giorno di speranza e di dolore, per ogni nostra notte di angoscia e di paura, in attesa che spunti l’alba di quel giorno in cui non ci saranno più lacrime e morte. Guardando con gli occhi di chi soffre, si capisce meglio ciò che Gesù ha donato in quell’ultima sera che era di estrema sofferenza.
Quelli che si accostano alla Comunione in chiesa, possono farlo con molta Fede ma anche con molta superficialità…o per abitudine. Ma i malati ai quali voi portate la Comunione, no: loro hanno davvero fame di quel Pane benedetto… per loro non è un sovrappiù di cui potrebbero anche far senza. Voi portate loro quel Gesù che nell’ora estrema della sua vita non ha pensato a se stesso ma si è affidato totalmente a Dio: così facendo voi annunciate quel Vangelo che dice: nelle tue ore più faticose, non cedere all’angoscia, affidati anche tu alle mani di Dio. Fallo insieme a questo Gesù che io ti porto per la Comunione…
Allora vedete che l’Eucaristia offre un po’ di luce per illuminare, o almeno diradare il buio, di quel mistero che è il dolore, la malattia.
Oh, sia chiaro: per il dolore non c’è spiegazione, neanche da parte della Fede, e lo sappiamo. Però questo non significa che il dolore è senza senso o semplicemente assurdo. Gesù non ha spiegato né il suo soffrire, né quello di nessun altro, ma l’ha affrontato invece in un certo modo: Gesù l’ha affrontato e l’ha vissuto come dono di sé, della sua vita: al Padre, Dio, e agli uomini suoi fratelli. E con quale risultato? In questo modo Gesù ha permesso a Dio, suo Padre e Padre nostro, di trasfigurare il suo soffrire; in altre parole: Gesù non ha sofferto per niente, perché proprio per il suo soffrire noi possiamo trovare salvezza, cioè speranza e fiducia, che fanno guardare oltre la malattia, oltre la morte, invece che cedere all’angoscia e alla disperazione.
Voi sapete che nell’Eucaristia a un certo punto noi diciamo queste parole: “Tu ci hai redenti con la tua croce e la tua risurrezione” … Non con i tuoi molti miracoli ci hai redenti, non facendo del bene a tutti, e nemmeno predicando sulla montagna o nelle piazze della Galilea, ma soffrendo, morendo sulla croce, e risorgendo ci hai redenti!
Se non a tutti i malati, e se non sempre, ma a qualcuno che sapete più sensibile e capace di spiritualità, io penso che ogni tanto lo potete dire: “Non lasciarti abbattere pensando che stai soffrendo per niente… io ti porto quel Gesù che non ha sofferto per niente, ma per noi tutti: guarda che con Lui anche tu puoi guardare alla tua sofferenza non come a materiale di scarto, ma come a qualcosa che Dio, il Padre nostro, può trasfigurare e rendere prezioso … tu non sai a vantaggio di chi, ma lui lo sa. E questo basta.” Ogni tanto, a qualche malato, questo lo dovete dire, ma prima di dirlo dovete crederlo voi con profonda convinzione. Ecco come potete annunciare il Vangelo portando la Comunione ai malati.
L’altra Cena
da osservare dal punto di vista di chi sperimenta la malattia o la disabilità è quella di Gesù risorto con i due discepoli nella locanda di Emmaus. Avevano camminato assieme per arrivare lì, ma avevano un grande peso nel cuore, erano disorientati quei due discepoli: le loro speranze in Gesù come Messia erano state deluse. E’ questa la porta per entrare in quella storia. Nel mondo intero, ma specialmente nel grande Mondo dei malati, quante speranze tramontate, quanti sogni andati in fumo… E ‘ davvero una continua esperienza di “sera” invece che di “mattino” quella di molti sofferenti! Cosa pensare, cosa dire, se non “Resta con noi, Signore, perché si fa sera!”?.
Che non è uno sfogo e basta sulle labbra di chi soffre, ma l’invocazione di una Presenza che è reale, concreta; infatti Gesù si accosta a quei due, con discrezione, e cammina con loro; non lo riconoscono, anche se stanno benissimo di salute (figuriamoci se lo potranno riconoscere coloro che soffrono!); ma non importa: Lui c’è, perché è fedele. “Dio è fedele ad ogni appuntamento con i nostri fallimenti - dicono i Vescovi in quel Messaggio… Dio è su ogni sentiero della vita, specie quelli più tortuosi. Spesso anche noi, nell’ora della prova, viviamo di nostalgia e di rimpianti (proprio come i due di Emmaus): Ti ricordi? Noi speravamo! Ma purtroppo, siamo delusi, perché non c’è niente da fare!”.
E invece no: ecco il Vangelo (la bella notizia) che voi annunciate: l’Eucaristia, la Comunione con il Signore, è la prova intramontabile che Lui, misterioso compagno, cammina con noi sempre. Ci scalda un po’ alla volta il cuore ….e ci spezza il pane, e ce lo offre: e per quei due non è più notte, non è più buio…non è più lo sgomento e l’angoscia a tener banco nel loro cuore.
Ecco, queste due Cene Eucaristiche, osservate - direi anzi “contemplate” da quell’angolatura che è l’esperienza della malattia, hanno …non solo molto da dire, ma qualcosa di davvero essenziale, come il Pane. “Io ci sono” dice il Signore a quei malati ai quali voi portate la Comunione, proprio nel senso che ha quest’espressione quando diciamo a un amico (che si trova in difficoltà): “Guarda che se hai bisogno, io ci sono: puoi contare su di me”.
Quanti cristiani in Ucraina si chiedono in questi mesi: “Dov’è Dio?”. Ma è la sensazione che risuona nel piccolo di ogni esperienza personale di malattia: “Signore, perché non intervieni?”. Ebbene – non diciamolo con arroganza, perché il segno che portiamo (il pane dell’Eucaristia) è povero e semplice – ma crediamolo con fermezza: l’Eucaristia è la prova che Dio c’è, è presente sempre, ma soprattutto quando facciamo l’esperienza del nostro limite, quando ci sentiamo schiacciati sotto il peso della nostra Croce!
Quando tu fai l’esperienza del limite, Dio non ti abbandona, anche se la sensazione che ne hai può essere questa. No, aldilà delle sensazioni, Dio c’è: l’Eucaristia è la prova della sua Presenza reale tra noi. “E’ un banchetto aperto a tutti – afferma quel messaggio dei vescovi – ma i privilegiati sono i poveri, i malati e quanti camminano con sofferenza per le strade polverose del mondo”.
Nelle lunghe notti insonni, nei silenzi delle corsie d'ospedale, nelle solitudini delle case, una preghiera nascosta, silenziosa ed incessante sale al cielo: 'Signore, non ce le faccio più!'.
Quando il dolore diventa insopportabile, quando si è disorientati e stanchi, quando la vita umana volge al termine e la paura dell’ignoto ci turba, c’è una persona, Gesù Cristo, che ci è vicino e ci comprende. Da cosa lo sappiamo che è davvero così? Dall’Eucaristia: è là che Dio è forza, e Cristo è il pane che ci da la capacità di andare avanti, ci mette dentro il seme della speranza, riaccende la luce anche nella notte più buia: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Per voi”.
Ecco il Vangelo che voi annunciate portando la Comunione ai malati, ecco la bella notizia: voi portate loro la certezza che non sono mai soli, neanche nelle ore più buie perché il Signore Gesù che voi portate loro nel Pane della Comunione è loro compagno e amico, e non saranno mai soli, neanche quando hanno la sensazione di esserlo…
Pascal, il grande pensatore cristiano, diceva che Cristo è in agonia fino alla fine dei tempi. Rifacendosi a queste parole i nostri Vescovi dicono in quel messaggio così: “Noi crediamo che Gesù resta in Croce, fino alla fine dei tempi, in ogni persona che soffre:
- perché nessuno si senta solo e abbandonato,
- perché chiunque muore sappia che anche Dio è passato in quella oscurità,
- perchè nessuna lacrima e nessuna invocazione vada perduta,
- perché ogni dolore possa essere trasformato in gioia”.
Si, di queste cose voi per primi dovete essere profondamente consapevoli. Allora (ma solo allora) ne potrete condividere qualcuna con i malati e sarà un vero annuncio del Vangelo.
***
3. Inflazione di apparizioni?
E' un lettore del settimanale diocesano a porre questa questione:
...mi chiedo spesso in questi giorni a cosa sia dovuto questo rinnovato interesse rispetto al tema della apparizioni della Madonna (penso anche al successo della rivista dei Paolini “Maria con te”), nonostante la prudenza con cui il Papa affronta questi fenomeni come si è visto nel caso di Mediugorje. Anche in Pinè quest’anno si ricordano le apparizioni di 290 anni fa, ma a me sembra che alla sensibilità moderna e anche a quella dei nostri figli parlare di apparizioni sia piuttosto controproducente, nel senso che c’è molto scetticismo verso la verità storica e anche verso un certo devozionismo.
Il Rettore risponde:
Quello cui si riferisce il lettore è sintomo di un fenomeno che travalica l’ambito religioso; non facile da valutare del resto, anche perché non solo la teologia, ma anche altre scienze umane avrebbero qualcosa da dire al riguardo. La frequenza di “apparizioni” nel Cristianesimo, tuttavia, non dovrebbe meravigliare troppo: è una “fede storica”, non solo nel senso che ha visto la luce nel corso della storia e in una cultura ben precisa, ma anche perché ritiene che il Trascendente stesso ha scelto di abitare la storia, animandola di ideali e valori che la rendano via via più umana, o quantomeno le evitino il rischio di retrocedere a “giungla”.
Non spetta alla Chiesa peraltro rendere autentiche le apparizioni; essa si limita a dichiarare credibili quelle che – per le modalità e per i messaggi che trasmettono – sono in perfetta sintonia con il Vangelo di sempre. Ma il Vangelo, lo si sa, non di rado rischia di venire dimenticato o, se non altro, di passare in second’ordine: è allora che le apparizioni ritenute credibili sollecitano i cristiani a darsi una mossa, a ritrovare coerenza, a convertirsi al vangelo in una parola. La patente di credibilità data dalla Chiesa, tuttavia, non ha alcun valore dogmatico: a quelle apparizioni si può credere, se ne possono trarre vantaggi preziosi, ma non vi è alcun obbligo di ritenerle autentiche.
Il fenomeno è comunque complesso, al punto da non sfuggire al rischio d’ambiguità: che “anche Satana possa mascherarsi da angelo di luce” è un dato di fatto quantomeno fin dai tempi di san Paolo (sono parole sue: 2Cor 12,14). Gli astuti, abili a trarre profitto anche da fenomeni solo in apparenza religiosi, non sono mai mancati né mai mancheranno. In genere, tuttavia, non è necessario troppo tempo per smascherarli.
Ma perché tali fenomeni – veri o presunti che siano – abbondano proprio in quest’epoca? Si direbbe che certa religiosità, cacciata rumorosamente dalla porta alcuni decenni or sono, stia rientrando stranamente dalla finestra. Cos’è mai accaduto? Cause e motivazioni hanno radici che risalgono quantomeno nell’epoca dei “lumi” (illuminismo). Non è questo il luogo di disquisizioni troppo approfondite, basti dire che se la cultura biblica riteneva che la persona avesse quale unico centro il “cuore” (inteso come sede simbolica sia di pensiero e di ragionamento, sia di sentimento e di volontà), in Occidente quel centro è stato spezzato in due: cervello (sede di raziocinio, pensiero, progettualità) e cuore (simbolo di affettività, sentimenti ed emozioni). L’illuminismo ha privilegiato a tal punto la capacità razionale dell’uomo (il cervello, con le sue tipiche competenze e abilità) da misconoscere e ridicolizzare come retrogrado tutto ciò che riguarda il sentimento, l’affettività, l’emotività, la volontà stessa (il cuore in una parola). Le apparizioni, con quel comune denominatore di messaggi che parlano di vicinanza divina compassionevole, di condiscendenza e tenerezza materna o amica, di conversione come scelta di volontà, fanno pensare a “interventi divini d’emergenza” in soccorso di una dignità umana ridotta a puro raziocinio, e pertanto impoverita e in progressivo degrado. E’ nota l’affermazione di Pascal a tale riguardo: “Il cuore conosce delle ragioni che la ragione non conosce”. Le immani atrocità che hanno insanguinato il secolo scorso non sono che l’estremo risultato di una razionalità assoluta e tirannica (dov’era finito il cuore?); da qui il conseguente crollo delle ideologie e la diffidenza nei confronti di ogni dogmatismo astratto (anche in ambito religioso).
Ma val la pena - per reazione - affidarsi in maniera acritica a ogni fenomeno anormale? La presunzione che privilegia o assolutizza la dimensione razionale, che rifiuta o sorride quantomeno di fronte al fenomeno “apparizioni”, non s’è ancora esaurita, ma tuttavia già si va ridimensionando (la vera scienza, dal canto suo, non teme di riconoscere i suoi limiti); nella cultura e nell’esperienza umana invece tale presunzione va …zoppicando: prova ne siano le espressioni di plagio (in ambito esoterico, oltre che religioso, e perfino politico) di cui cadono facilmente vittime individui che pure si gloriano di eccellere per razionalità e atteggiamento critico.
Papa Francesco, doverosamente prudente e personalmente critico, com’è noto, verso il fenomeno Medjugorie, non poteva esimersi dal prendere provvedimenti “pastorali” in un ambito che vede comunque autentiche manifestazioni di fede, né dal consentire un degno svolgimento di pellegrinaggi, a prescindere da qualsiasi riconoscimento sui veri o presunti fatti che sarebbero all’origine del fenomeno. Tutto ciò è interessante: conferma, se non altro, che – se spetta al Magistero ecclesiale il compito di discernere il vero dal falso nelle apparizioni – tutto il popolo di Dio dal canto suo possiede un “senso di fede” che può trasformare un luogo in "serbatoio" privilegiato di spiritualità cui dare un proprio apporto e da cui attingere a propria volta. E questo a prescindere dal credere o meno a ciò che può esservi accaduto alle origini. (Il che, se pure in misura minore, vale anche per Pinè: nonostante deposizioni credibili e verbalizzate in processi canonici, il fenomeno apparizioni non ha mai avuto un riconoscimento ufficiale da parte del Magistero della Chiesa; la sua credibilità è legata da un lato all’assidua partecipazione di Vescovi diocesani e della regione Triveneta a particolari eventi del santuario, e dall’altro all’ininterrotto affluire di pellegrini. Tutto ciò, in ogni caso, non consente di relegare a dato archeologico o a pura suggestione quanto accadutovi 290 anni fa’. Se l’autenticità di Pinè non ha avuto alcun riconoscimento “cartaceo”, l’ha certamente avuto di fatto!).
Al lettore, che si chiede se non sia controproducente parlare di apparizioni ai figli, posso rispondere così: se ho occasione di parlare di fede con un adolescente o un giovane, non comincerò dall’argomento “apparizioni”: vi è una gradualità d'importanza anche nell’annuncio, oltre che nell'esperienza cristiana. Ma soprattutto lo solleciterò ad armonizzare cervello e cuore, sia nell’esperienza di fede che nella vita, per non ritrovarsi domani una personalità ridotta in dignità e alquanto impoverita.
* * *
E' un lettore del settimanale diocesano a porre questa questione:
...mi chiedo spesso in questi giorni a cosa sia dovuto questo rinnovato interesse rispetto al tema della apparizioni della Madonna (penso anche al successo della rivista dei Paolini “Maria con te”), nonostante la prudenza con cui il Papa affronta questi fenomeni come si è visto nel caso di Mediugorje. Anche in Pinè quest’anno si ricordano le apparizioni di 290 anni fa, ma a me sembra che alla sensibilità moderna e anche a quella dei nostri figli parlare di apparizioni sia piuttosto controproducente, nel senso che c’è molto scetticismo verso la verità storica e anche verso un certo devozionismo.
Il Rettore risponde:
Quello cui si riferisce il lettore è sintomo di un fenomeno che travalica l’ambito religioso; non facile da valutare del resto, anche perché non solo la teologia, ma anche altre scienze umane avrebbero qualcosa da dire al riguardo. La frequenza di “apparizioni” nel Cristianesimo, tuttavia, non dovrebbe meravigliare troppo: è una “fede storica”, non solo nel senso che ha visto la luce nel corso della storia e in una cultura ben precisa, ma anche perché ritiene che il Trascendente stesso ha scelto di abitare la storia, animandola di ideali e valori che la rendano via via più umana, o quantomeno le evitino il rischio di retrocedere a “giungla”.
Non spetta alla Chiesa peraltro rendere autentiche le apparizioni; essa si limita a dichiarare credibili quelle che – per le modalità e per i messaggi che trasmettono – sono in perfetta sintonia con il Vangelo di sempre. Ma il Vangelo, lo si sa, non di rado rischia di venire dimenticato o, se non altro, di passare in second’ordine: è allora che le apparizioni ritenute credibili sollecitano i cristiani a darsi una mossa, a ritrovare coerenza, a convertirsi al vangelo in una parola. La patente di credibilità data dalla Chiesa, tuttavia, non ha alcun valore dogmatico: a quelle apparizioni si può credere, se ne possono trarre vantaggi preziosi, ma non vi è alcun obbligo di ritenerle autentiche.
Il fenomeno è comunque complesso, al punto da non sfuggire al rischio d’ambiguità: che “anche Satana possa mascherarsi da angelo di luce” è un dato di fatto quantomeno fin dai tempi di san Paolo (sono parole sue: 2Cor 12,14). Gli astuti, abili a trarre profitto anche da fenomeni solo in apparenza religiosi, non sono mai mancati né mai mancheranno. In genere, tuttavia, non è necessario troppo tempo per smascherarli.
Ma perché tali fenomeni – veri o presunti che siano – abbondano proprio in quest’epoca? Si direbbe che certa religiosità, cacciata rumorosamente dalla porta alcuni decenni or sono, stia rientrando stranamente dalla finestra. Cos’è mai accaduto? Cause e motivazioni hanno radici che risalgono quantomeno nell’epoca dei “lumi” (illuminismo). Non è questo il luogo di disquisizioni troppo approfondite, basti dire che se la cultura biblica riteneva che la persona avesse quale unico centro il “cuore” (inteso come sede simbolica sia di pensiero e di ragionamento, sia di sentimento e di volontà), in Occidente quel centro è stato spezzato in due: cervello (sede di raziocinio, pensiero, progettualità) e cuore (simbolo di affettività, sentimenti ed emozioni). L’illuminismo ha privilegiato a tal punto la capacità razionale dell’uomo (il cervello, con le sue tipiche competenze e abilità) da misconoscere e ridicolizzare come retrogrado tutto ciò che riguarda il sentimento, l’affettività, l’emotività, la volontà stessa (il cuore in una parola). Le apparizioni, con quel comune denominatore di messaggi che parlano di vicinanza divina compassionevole, di condiscendenza e tenerezza materna o amica, di conversione come scelta di volontà, fanno pensare a “interventi divini d’emergenza” in soccorso di una dignità umana ridotta a puro raziocinio, e pertanto impoverita e in progressivo degrado. E’ nota l’affermazione di Pascal a tale riguardo: “Il cuore conosce delle ragioni che la ragione non conosce”. Le immani atrocità che hanno insanguinato il secolo scorso non sono che l’estremo risultato di una razionalità assoluta e tirannica (dov’era finito il cuore?); da qui il conseguente crollo delle ideologie e la diffidenza nei confronti di ogni dogmatismo astratto (anche in ambito religioso).
Ma val la pena - per reazione - affidarsi in maniera acritica a ogni fenomeno anormale? La presunzione che privilegia o assolutizza la dimensione razionale, che rifiuta o sorride quantomeno di fronte al fenomeno “apparizioni”, non s’è ancora esaurita, ma tuttavia già si va ridimensionando (la vera scienza, dal canto suo, non teme di riconoscere i suoi limiti); nella cultura e nell’esperienza umana invece tale presunzione va …zoppicando: prova ne siano le espressioni di plagio (in ambito esoterico, oltre che religioso, e perfino politico) di cui cadono facilmente vittime individui che pure si gloriano di eccellere per razionalità e atteggiamento critico.
Papa Francesco, doverosamente prudente e personalmente critico, com’è noto, verso il fenomeno Medjugorie, non poteva esimersi dal prendere provvedimenti “pastorali” in un ambito che vede comunque autentiche manifestazioni di fede, né dal consentire un degno svolgimento di pellegrinaggi, a prescindere da qualsiasi riconoscimento sui veri o presunti fatti che sarebbero all’origine del fenomeno. Tutto ciò è interessante: conferma, se non altro, che – se spetta al Magistero ecclesiale il compito di discernere il vero dal falso nelle apparizioni – tutto il popolo di Dio dal canto suo possiede un “senso di fede” che può trasformare un luogo in "serbatoio" privilegiato di spiritualità cui dare un proprio apporto e da cui attingere a propria volta. E questo a prescindere dal credere o meno a ciò che può esservi accaduto alle origini. (Il che, se pure in misura minore, vale anche per Pinè: nonostante deposizioni credibili e verbalizzate in processi canonici, il fenomeno apparizioni non ha mai avuto un riconoscimento ufficiale da parte del Magistero della Chiesa; la sua credibilità è legata da un lato all’assidua partecipazione di Vescovi diocesani e della regione Triveneta a particolari eventi del santuario, e dall’altro all’ininterrotto affluire di pellegrini. Tutto ciò, in ogni caso, non consente di relegare a dato archeologico o a pura suggestione quanto accadutovi 290 anni fa’. Se l’autenticità di Pinè non ha avuto alcun riconoscimento “cartaceo”, l’ha certamente avuto di fatto!).
Al lettore, che si chiede se non sia controproducente parlare di apparizioni ai figli, posso rispondere così: se ho occasione di parlare di fede con un adolescente o un giovane, non comincerò dall’argomento “apparizioni”: vi è una gradualità d'importanza anche nell’annuncio, oltre che nell'esperienza cristiana. Ma soprattutto lo solleciterò ad armonizzare cervello e cuore, sia nell’esperienza di fede che nella vita, per non ritrovarsi domani una personalità ridotta in dignità e alquanto impoverita.
* * *