A N N O A 2 0 2 2 - 2 0 2 3
Domenica 5 Febbraio - V° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Isaia 58,7-10; 1Corinzi 2,1-5; Matteo 4,17; 5,1-2.13-16
"Il giusto risplende come luce" abbiamo ripetuto poco fa’. Ma chi è il giusto? E perché mai risplende come luce?
Al tempo di Gesù in Palestina le luci erano davvero poche; quando veniva notte si accendeva in casa una lampada ad olio ed era tutta lì la luce... Ma oggi no, oggi luci ce ne sono tante, in sovrabbondanza.
Ma il Signore parla di "Luce del mondo": non di una strada, di una città, ma del mondo. E il mondo per noi è semplicemente il nostro: quella di oggi. Cosa vorrà dire esser giusti e risplendere come luce nel mondo di oggi?
"Dividi il tuo pane con l'affamato - ci diceva poco fa’ Dio per mezzo del profeta Isaia - introduci in casa i miseri senza tetto, vesti chi è nudo, senza trascurare i tuoi familiari. Allora la tua luce sorgerà come l'aurora!": Ah, rieccola la luce. E' la solidarietà: se ti lascerai guidare dalla solidarietà tu risplenderai come luce. Non solo: il Signore si farà perfino più disponibile ad ascoltare le tue preghiere; non avrai nemmeno finito di invocarlo che egli dirà: "Eccomi! son qui". Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, se sazierai la fame di chi ha fame, allora brillerà fra le tenebre la tua luce...!". E dagliela con questa luce! La cosa sorprendente è che una realtà così nobile, così poetica, come la luce... si combini con una realtà così prosaica, così terra terra come il pane da dividere con chi ha fame... come l'alloggio che si apre a chi non ha niente sopra la testa. Ma la Bibbia ragiona così: quel Dio che ha fatto la luce è lo stesso che ha fatto lo stomaco e anche il necessario da metterci dentro; tutto è creatura sua, quindi nobile e degno. Ma è comunque sorprendente questo collegamento tra luce e giustizia, o tra luce e solidarietà, se volete; è come dire: se non ci si preoccupa davvero di far trionfare la solidarietà, questo mondo precipiterà davvero nella tenebra, nel caos.
Ed è una solidarietà a 360 gradi quella di cui il mondo d’oggi ha bisogno. Ogni anno, allorchè ritorna questa Giornata nazionale per la Vita – diventa sempre più evidente che essere giusti e risplendere come luce significa avere davanti agli occhi un orizzonte grande, che permetta di valutare e apprezzare la vita non a cassetti, non a scomparti separati, ma in tutta la sua ampiezza e in tutte le sue espressioni. I nostri Vescovi in questa occasione hanno rivolto alle Comunità un messaggio che suona chiaro nel mettere il dito sulle piaghe reali. Lasciate che citi qualche loro espressione: “Quando l’esistenza si fa complessa e impegnativa, quando sembra che la sfida sia insuperabile e il peso insopportabile, sempre più spesso si approda a una “soluzione” drammatica: dare la morte”. E a riprova elencano una serie di situazioni molto tangibili e vere: Quando un figlio non lo posso mantenere, o non l’ho voluto… Quando una malattia non la posso sopportare… Quando la relazione con il partner diventa difficile… Quando il male di vivere si fa insostenibile… Quando l’accoglienza e l’integrazione di chi fugge dalla guerra o dalla miseria comportano problemi…Quando si aggravano le ragioni di conflitto tra i popoli… È allora che, poco a poco, la “cultura di morte” si diffonde e ci contagia più o meno tutti…”.
E qui esprimono un giudizio molto lucido a cui è bene fare attenzione: “dietro tale “soluzione” (dare la morte) è possibile riconoscere importanti interessi economici e ideologie che si spacciano per ragionevoli e misericordiose, mentre non lo sono affatto”.
Insomma, le minacce insidiano e feriscono la vita in tutte le sue espressioni. Non ce n’è alcuna che sia al sicuro.
Mi ha sorpreso una notizia apparsa sui giornali in questi giorni: una grande tartaruga marina, malata di polmonite, è stata amorevolmente curata in un centro medico per animali… Guarita, una schiera di persone, guardie costiere, animalisti, l’hanno riportata in mare… Peccato che la stessa sollecitudine non la si riservì a quei poveri Cristi che il mare lo attraversano per scappare da guerre o da fame… e che spesso nel mare trovano la morte: miserabili di tutte le età, compresi non pochi bambini…
Al che si deve trarre una conclusione (che è comprovata dalla storia): una civiltà che preferisce gli animali alle persone, è una civiltà che ha scelto la strada del declino, del suo tramonto…
Sì, sarà fosco il quadro, ma noi cristiani non possiamo permetterci di ignorare la realtà e voltarci dall’altra parte. E’ in questa realtà che “i giusti possono risplendere come luce”. In che modo? Sono ancora i nostri Pastori a rispondere: Il Signore crocifisso e risorto – ma anche la retta ragione – ci indicano una strada diversa: smascherare la “cultura di morte”, dare non la morte ma la vita, generare e servire sempre la vita. Il Vangelo ci mostra come sia possibile coglierne il senso e il valore anche quando la sperimentiamo fragile, minacciata e faticosa.
A questo punto mi pare che il Vangelo di oggi non abbia bisogno di molte spiegazioni; se il Signore ci dice “Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo” credo sia chiaro a tutti cosa significhi essere sale e luce in questa società dei nostri giorni.
Tuttavia, sul significato del sale, per il Vangelo, vi chiedo ancora qualche istante di attenzione. Direte che non occorre spiegare il significato del sale, sappiamo tutti a cosa serva. Sì, ma in passato era ancora più importante di oggi. Non si adoperava solo per dar sapore ai cibi, serviva anche per impedire la corruzione degli alimenti (specie della carne) : "Voi siete il sale della terra". La terra è la nostra terra, fratelli, la nostra società, questo mondo di oggi segnato in lungo e in largo da tante minacce alla vita. Ed è certo che se non subentrano altri motivi, altri ideali da quelli che sembrano trionfare al giorno d'oggi, la corruzione è assicurata. "Voi siete il sale della terra” è come dire: dipende da voi che questa società non impazzisca e non si autodistrugga…
Dio ci guardi però dal trarre conclusioni sbagliate, del tipo: "Allora bisogna darsi da fare di più... essere più generosi... compiere atti di solidarietà più audaci...". No, non è questa la prima conclusione da trarre. Noi non siamo dei filantropi o dei semplici volonterosi che vogliono cambiare le cose a tutti i costi. Noi siamo discepoli di Gesù Cristo, che credono a quello che lui ha annunciato: il Regno di Dio! E' vicino. Dio si dà da fare, a prescindere da noi e prima di noi... per costruire un futuro umano diverso. E’ a questa bella notizia che noi crediamo. E' questa certezza la nostra forza, fratelli; ecco ciò che fa di noi la luce del mondo e il sale della terra: questa certezza; Dio presente e operoso proprio dentro questo nostro mondo. E quando dico “nostro mondo” intendo il mondo che passa per la nostra vita, che entra nelle nostre case, nelle nostre relazioni, che riempie i nostri luoghi abituali: di lavoro, o di svago che sia. Ciò che in tutti questi ambienti fa di noi la luce e il sale della terra non è il nostro sforzo personale per essere diversi dagli altri (finiremmo coll’essere eccentrici, cioè ridicoli alla fin fine): è solo la fiducia nel Regno che Dio sta realizzando proprio anche in questi ambienti. Con tutta la discrezione, il silenzio e la tenacia di cui lui è specialista, e - notate - con la nostra collaborazione, se gli diamo fiducia.
E' dono poter credere nel vangelo e far parte del suo Regno. E da questo dono deriva una responsabilità, una missione: siamo luce? Allora lasciamo che si veda questa luce. Siamo sale? Cerchiamo di portare un po’ di sapore là dove andiamo ogni giorno, o quantomeno di impedire che quell’ambiente diventi peggiore di quello che è. Ogni altra persona, spesso, avrebbe diritto di lasciar cadere le braccia e di stancarsi nel promuovere solidarietà...giustizia... Noi no: non perché siamo più bravi degli altri, ma perchè è Dio che fa di noi, suoi figli, la luce del mondo e il sale della terra.
Le Letture Bibliche: Isaia 58,7-10; 1Corinzi 2,1-5; Matteo 4,17; 5,1-2.13-16
"Il giusto risplende come luce" abbiamo ripetuto poco fa’. Ma chi è il giusto? E perché mai risplende come luce?
Al tempo di Gesù in Palestina le luci erano davvero poche; quando veniva notte si accendeva in casa una lampada ad olio ed era tutta lì la luce... Ma oggi no, oggi luci ce ne sono tante, in sovrabbondanza.
Ma il Signore parla di "Luce del mondo": non di una strada, di una città, ma del mondo. E il mondo per noi è semplicemente il nostro: quella di oggi. Cosa vorrà dire esser giusti e risplendere come luce nel mondo di oggi?
"Dividi il tuo pane con l'affamato - ci diceva poco fa’ Dio per mezzo del profeta Isaia - introduci in casa i miseri senza tetto, vesti chi è nudo, senza trascurare i tuoi familiari. Allora la tua luce sorgerà come l'aurora!": Ah, rieccola la luce. E' la solidarietà: se ti lascerai guidare dalla solidarietà tu risplenderai come luce. Non solo: il Signore si farà perfino più disponibile ad ascoltare le tue preghiere; non avrai nemmeno finito di invocarlo che egli dirà: "Eccomi! son qui". Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, se sazierai la fame di chi ha fame, allora brillerà fra le tenebre la tua luce...!". E dagliela con questa luce! La cosa sorprendente è che una realtà così nobile, così poetica, come la luce... si combini con una realtà così prosaica, così terra terra come il pane da dividere con chi ha fame... come l'alloggio che si apre a chi non ha niente sopra la testa. Ma la Bibbia ragiona così: quel Dio che ha fatto la luce è lo stesso che ha fatto lo stomaco e anche il necessario da metterci dentro; tutto è creatura sua, quindi nobile e degno. Ma è comunque sorprendente questo collegamento tra luce e giustizia, o tra luce e solidarietà, se volete; è come dire: se non ci si preoccupa davvero di far trionfare la solidarietà, questo mondo precipiterà davvero nella tenebra, nel caos.
Ed è una solidarietà a 360 gradi quella di cui il mondo d’oggi ha bisogno. Ogni anno, allorchè ritorna questa Giornata nazionale per la Vita – diventa sempre più evidente che essere giusti e risplendere come luce significa avere davanti agli occhi un orizzonte grande, che permetta di valutare e apprezzare la vita non a cassetti, non a scomparti separati, ma in tutta la sua ampiezza e in tutte le sue espressioni. I nostri Vescovi in questa occasione hanno rivolto alle Comunità un messaggio che suona chiaro nel mettere il dito sulle piaghe reali. Lasciate che citi qualche loro espressione: “Quando l’esistenza si fa complessa e impegnativa, quando sembra che la sfida sia insuperabile e il peso insopportabile, sempre più spesso si approda a una “soluzione” drammatica: dare la morte”. E a riprova elencano una serie di situazioni molto tangibili e vere: Quando un figlio non lo posso mantenere, o non l’ho voluto… Quando una malattia non la posso sopportare… Quando la relazione con il partner diventa difficile… Quando il male di vivere si fa insostenibile… Quando l’accoglienza e l’integrazione di chi fugge dalla guerra o dalla miseria comportano problemi…Quando si aggravano le ragioni di conflitto tra i popoli… È allora che, poco a poco, la “cultura di morte” si diffonde e ci contagia più o meno tutti…”.
E qui esprimono un giudizio molto lucido a cui è bene fare attenzione: “dietro tale “soluzione” (dare la morte) è possibile riconoscere importanti interessi economici e ideologie che si spacciano per ragionevoli e misericordiose, mentre non lo sono affatto”.
Insomma, le minacce insidiano e feriscono la vita in tutte le sue espressioni. Non ce n’è alcuna che sia al sicuro.
Mi ha sorpreso una notizia apparsa sui giornali in questi giorni: una grande tartaruga marina, malata di polmonite, è stata amorevolmente curata in un centro medico per animali… Guarita, una schiera di persone, guardie costiere, animalisti, l’hanno riportata in mare… Peccato che la stessa sollecitudine non la si riservì a quei poveri Cristi che il mare lo attraversano per scappare da guerre o da fame… e che spesso nel mare trovano la morte: miserabili di tutte le età, compresi non pochi bambini…
Al che si deve trarre una conclusione (che è comprovata dalla storia): una civiltà che preferisce gli animali alle persone, è una civiltà che ha scelto la strada del declino, del suo tramonto…
Sì, sarà fosco il quadro, ma noi cristiani non possiamo permetterci di ignorare la realtà e voltarci dall’altra parte. E’ in questa realtà che “i giusti possono risplendere come luce”. In che modo? Sono ancora i nostri Pastori a rispondere: Il Signore crocifisso e risorto – ma anche la retta ragione – ci indicano una strada diversa: smascherare la “cultura di morte”, dare non la morte ma la vita, generare e servire sempre la vita. Il Vangelo ci mostra come sia possibile coglierne il senso e il valore anche quando la sperimentiamo fragile, minacciata e faticosa.
A questo punto mi pare che il Vangelo di oggi non abbia bisogno di molte spiegazioni; se il Signore ci dice “Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo” credo sia chiaro a tutti cosa significhi essere sale e luce in questa società dei nostri giorni.
Tuttavia, sul significato del sale, per il Vangelo, vi chiedo ancora qualche istante di attenzione. Direte che non occorre spiegare il significato del sale, sappiamo tutti a cosa serva. Sì, ma in passato era ancora più importante di oggi. Non si adoperava solo per dar sapore ai cibi, serviva anche per impedire la corruzione degli alimenti (specie della carne) : "Voi siete il sale della terra". La terra è la nostra terra, fratelli, la nostra società, questo mondo di oggi segnato in lungo e in largo da tante minacce alla vita. Ed è certo che se non subentrano altri motivi, altri ideali da quelli che sembrano trionfare al giorno d'oggi, la corruzione è assicurata. "Voi siete il sale della terra” è come dire: dipende da voi che questa società non impazzisca e non si autodistrugga…
Dio ci guardi però dal trarre conclusioni sbagliate, del tipo: "Allora bisogna darsi da fare di più... essere più generosi... compiere atti di solidarietà più audaci...". No, non è questa la prima conclusione da trarre. Noi non siamo dei filantropi o dei semplici volonterosi che vogliono cambiare le cose a tutti i costi. Noi siamo discepoli di Gesù Cristo, che credono a quello che lui ha annunciato: il Regno di Dio! E' vicino. Dio si dà da fare, a prescindere da noi e prima di noi... per costruire un futuro umano diverso. E’ a questa bella notizia che noi crediamo. E' questa certezza la nostra forza, fratelli; ecco ciò che fa di noi la luce del mondo e il sale della terra: questa certezza; Dio presente e operoso proprio dentro questo nostro mondo. E quando dico “nostro mondo” intendo il mondo che passa per la nostra vita, che entra nelle nostre case, nelle nostre relazioni, che riempie i nostri luoghi abituali: di lavoro, o di svago che sia. Ciò che in tutti questi ambienti fa di noi la luce e il sale della terra non è il nostro sforzo personale per essere diversi dagli altri (finiremmo coll’essere eccentrici, cioè ridicoli alla fin fine): è solo la fiducia nel Regno che Dio sta realizzando proprio anche in questi ambienti. Con tutta la discrezione, il silenzio e la tenacia di cui lui è specialista, e - notate - con la nostra collaborazione, se gli diamo fiducia.
E' dono poter credere nel vangelo e far parte del suo Regno. E da questo dono deriva una responsabilità, una missione: siamo luce? Allora lasciamo che si veda questa luce. Siamo sale? Cerchiamo di portare un po’ di sapore là dove andiamo ogni giorno, o quantomeno di impedire che quell’ambiente diventi peggiore di quello che è. Ogni altra persona, spesso, avrebbe diritto di lasciar cadere le braccia e di stancarsi nel promuovere solidarietà...giustizia... Noi no: non perché siamo più bravi degli altri, ma perchè è Dio che fa di noi, suoi figli, la luce del mondo e il sale della terra.
Domenica 29 Gennaio - IV° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Sofonìa 2,3; 3,12-13; 1 Corinzi 1,26-31; Matteo 4,17; 5,1-12a
Forse è capitato anche a voi, come a me, di non trovar più una certa cosa (che so io… le chiavi di casa, o della macchina, oppure il cellulare… e – perché no? – magari anche il portafoglio), e dire e ripetere: “… son sicuro che l’avevo messo qui”… e cercare, cercare (magari con un piccolo voto a S.Antonio, patrono per le cose perse)… per scoprire poi alla fine che quella cosa era lì sotto gli occhi, magari nascosta da un’altra, o da molte altre, buttate lì soprapensiero… Cosa c’entri questo con il vangelo di oggi, ve lo dirò dopo. Intanto osserviamo che Gesù - che non è un politico e nemmeno il presidente di qualche importante società finanziaria – apre però anche lui la sua attività con una specie di manifesto programmatico: “Nella mia missione mi dedicherò a questo… tutta la mia attenzione, e la mia attività, andranno in questa direzione”.
Forse non ha riscosso grandi applausi, o alti indici di gradimento, perché i poveri in spirito, quelli che piangono, i miti, i misericordiosi e i perseguitati… non sono mai state categorie particolarmente invidiate a questo mondo. Anzi: disprezzate piuttosto, tenute alla larga. Infatti chi non è né povero, né afflitto, né mite, ed è invece preoccupato solo di se stesso, sta volentieri alla larga da costoro… anzi, li teme… come una specie di contagio.
Gesù Cristo no, non ne ha avuto paura: costoro, proprio costoro è andato a cercare. E’ a questa gente che ha detto: “Beati voi, perché il Regno di Dio è per voi!”. E questa gente gli ha creduto. Ha capito che non era un fanfarone qualsiasi, un arruffapopoli… no: gli ha creduto. Perché i poveri li sollevava veramente dalla miseria, quelli che piangono li sapeva davvero consolare, ai perseguitati infondeva sul serio nuovo nuovo coraggio, e molti di quelli che si guardavano in cagnesco scoprivano per la prima volta la misericordia… Questo è il Regno di Dio, diceva. Perché Dio è in mezzo a voi e si dà da fare per voi, anzi, con voi – se gli date anche solo un po’ di fiducia.
Beati vuol dire felici, fortunati!
Certo che ci vuole un bel coraggio a parlare così in certe situazioni!
Come si fa a dire “beati”, “fortunati voi”, a uomini e donne che conoscono solo e sempre la precarietà, che non sanno come sarà il domani perché non hanno nemmeno il necessario per oggi… Come si può dire “beati” a individui che piangono o soffrono magari da una vita?
Eppure Gesù lo ha detto. E in suo nome – come avete sentito – la Chiesa continua a dirlo. E io spero che non venga mai il giorno in cui non lo si dice più, perché allora sarebbe segno che abbiam perso di vista il Vangelo. Perché questo è il Vangelo, fratelli.
Ma poi, alla fin fine, cosa dava Gesù a quei poveri tanto da renderli beati? Forse che apriva per loro un conto in banca e gli diceva: “Guardate che d’ora in poi potrete vivere da nababbi?!”. Ma figuriamoci, se lui stesso si definiva tanto povero in canna da non possedere neanche una pietra su cui posare il capo per dormire quand’era stanco! Ma allora la felicità non sta nell’avere, e la sventura non sta nel non avere.
Agli afflitti, ai malati, cosa dava? Guarigione? Sì, ne ha guariti di sicuro, ma di sicuro molti han continuato ad ammalarsi e a restare malati. Ma allora “beati” non lo si è perché si è spensierati invece che amareggiati, o sani invece che malati… sta in qualcos’altro la felicità: e in che cosa precisamente?
I poveri ai quali Gesù si rivolge non sono tali solo, o anzitutto, perché mancano di tante cose materiali (a cominciare dai soldi); sono poveri soprattutto perché chi li guarda da fuori li considera insignificanti, persone senza valore; ma il peggio è che anch’essi alla fine si convincono di non valer niente. Ecco la situazione miserevole da cui Gesù li tira fuori: “Dio è qui per voi anzitutto. Ma allora non è affatto vero che non valete niente. Voi avete una dignità che non ha paragoni né prezzo!”. E qui mi vengono alla mente certe foto, o certi video, che ci mandano i nostri missionari, dove si vedono bambini malvestiti e magari anche sporchi, ma dai volti così gioiosi e radiosi da fare invidia solo a vederli… Ma dove la prendono la gioia? dal fatto che qualcuno finalmente si prende cura di loro e fa loro sentire che sono degni di stare al mondo. E non è questo il Regno di Dio?
Ma il vangelo oggi – ad essere esatti – non parla di poveri e basta; parla di “poveri in spirito”. E li proclama beati. Chi sono costoro? Una razza particolare di poveri? No. Sono quelli che pur avendo di che vivere, e magari anche decorosamente, hanno capito che la felicità non dipende dalle cose che hanno: le adoperano sì, ma non le cercano con fare spasmodico e arrogante come se la loro vita, anzi, la loro felicità, dipendesse da quelle.“Poveri in spirito” son coloro che han capito finalmente l’imbroglio: l’avere, l’avere sempre di più, non realizza le persone nella loro dignità, anzi, le fa regredire, le impoverisce nel senso più irrimediabile che ci sia. Perché le illude, fa loro dimenticare che valgono per quello che sono, per la vita che hanno ricevuto in dono, per ideali veri e nobili ai quali tendere, e non per quello che possiedono.
Questa coscienza, questa identità, è come sepolta sotto un mare di cose: più ne vuoi, più ne accumuli, e più la nascondi… E allora si cerca la felicità – perché chi è che non cerca la felicità? – ma proprio come si cerca qualcosa nell’esempio che facevo all’inizio: son sicuro che è qui, lì, lavvia… non può essere lontana, ma allora perché non la trovo? Perché l’ho sepolta sotto troppe cose.
I “poveri in spirito” hanno capito l’imbroglio. Hanno creduto alla buona notizia di Gesù: Dio li ama con tale fedeltà e tenerezza da rendere preziosa la loro esistenza, la loro persona, a qualsiasi età e in qualsiasi stagione della vita. Se Gesù dice proprio a loro “beati” è perché “beati” lo sono effettivamente.
Adoperano le cose per vivere dignitosamente, ma non le cercano con arroganza: sanno adoperarle con sobrietà, in spirito di solidarietà con quelli che ne hanno meno o ne sono privi.
Fratelli, sapete che quelli che abitano in pianura (la pianura Padana, specialmente) d’inverno sono abituati alla nebbia… Ma siamo sicuri che per noi in montagna sia diverso? Non vi pare che vivere in questa civiltà arrogante che punta tutto sull’avere, sia come vivere un po’ tutti nella nebbia?
Non vediamo l’ora che finisca quella guerra, vicina a noi, che ormai dura da quasi un anno. Che finisca per le popolazioni direttamente coinvolte anzitutto,… ma poi anche per noi che ne subiamo le conseguenze con una crisi economica preoccupante.
Ma quante guerre e crisi economiche dovranno esserci – perché ci accorgiamo che la felicità del vangelo ce l’abbiamo a portata di mano, magari nascosta sotto un mare di cose che ingombrano ma non rendono felici?
Spirito santo, vento buono di Dio, vieni a spazzar via le nostre nebbie…
Le Letture Bibliche: Sofonìa 2,3; 3,12-13; 1 Corinzi 1,26-31; Matteo 4,17; 5,1-12a
Forse è capitato anche a voi, come a me, di non trovar più una certa cosa (che so io… le chiavi di casa, o della macchina, oppure il cellulare… e – perché no? – magari anche il portafoglio), e dire e ripetere: “… son sicuro che l’avevo messo qui”… e cercare, cercare (magari con un piccolo voto a S.Antonio, patrono per le cose perse)… per scoprire poi alla fine che quella cosa era lì sotto gli occhi, magari nascosta da un’altra, o da molte altre, buttate lì soprapensiero… Cosa c’entri questo con il vangelo di oggi, ve lo dirò dopo. Intanto osserviamo che Gesù - che non è un politico e nemmeno il presidente di qualche importante società finanziaria – apre però anche lui la sua attività con una specie di manifesto programmatico: “Nella mia missione mi dedicherò a questo… tutta la mia attenzione, e la mia attività, andranno in questa direzione”.
Forse non ha riscosso grandi applausi, o alti indici di gradimento, perché i poveri in spirito, quelli che piangono, i miti, i misericordiosi e i perseguitati… non sono mai state categorie particolarmente invidiate a questo mondo. Anzi: disprezzate piuttosto, tenute alla larga. Infatti chi non è né povero, né afflitto, né mite, ed è invece preoccupato solo di se stesso, sta volentieri alla larga da costoro… anzi, li teme… come una specie di contagio.
Gesù Cristo no, non ne ha avuto paura: costoro, proprio costoro è andato a cercare. E’ a questa gente che ha detto: “Beati voi, perché il Regno di Dio è per voi!”. E questa gente gli ha creduto. Ha capito che non era un fanfarone qualsiasi, un arruffapopoli… no: gli ha creduto. Perché i poveri li sollevava veramente dalla miseria, quelli che piangono li sapeva davvero consolare, ai perseguitati infondeva sul serio nuovo nuovo coraggio, e molti di quelli che si guardavano in cagnesco scoprivano per la prima volta la misericordia… Questo è il Regno di Dio, diceva. Perché Dio è in mezzo a voi e si dà da fare per voi, anzi, con voi – se gli date anche solo un po’ di fiducia.
Beati vuol dire felici, fortunati!
Certo che ci vuole un bel coraggio a parlare così in certe situazioni!
Come si fa a dire “beati”, “fortunati voi”, a uomini e donne che conoscono solo e sempre la precarietà, che non sanno come sarà il domani perché non hanno nemmeno il necessario per oggi… Come si può dire “beati” a individui che piangono o soffrono magari da una vita?
Eppure Gesù lo ha detto. E in suo nome – come avete sentito – la Chiesa continua a dirlo. E io spero che non venga mai il giorno in cui non lo si dice più, perché allora sarebbe segno che abbiam perso di vista il Vangelo. Perché questo è il Vangelo, fratelli.
Ma poi, alla fin fine, cosa dava Gesù a quei poveri tanto da renderli beati? Forse che apriva per loro un conto in banca e gli diceva: “Guardate che d’ora in poi potrete vivere da nababbi?!”. Ma figuriamoci, se lui stesso si definiva tanto povero in canna da non possedere neanche una pietra su cui posare il capo per dormire quand’era stanco! Ma allora la felicità non sta nell’avere, e la sventura non sta nel non avere.
Agli afflitti, ai malati, cosa dava? Guarigione? Sì, ne ha guariti di sicuro, ma di sicuro molti han continuato ad ammalarsi e a restare malati. Ma allora “beati” non lo si è perché si è spensierati invece che amareggiati, o sani invece che malati… sta in qualcos’altro la felicità: e in che cosa precisamente?
I poveri ai quali Gesù si rivolge non sono tali solo, o anzitutto, perché mancano di tante cose materiali (a cominciare dai soldi); sono poveri soprattutto perché chi li guarda da fuori li considera insignificanti, persone senza valore; ma il peggio è che anch’essi alla fine si convincono di non valer niente. Ecco la situazione miserevole da cui Gesù li tira fuori: “Dio è qui per voi anzitutto. Ma allora non è affatto vero che non valete niente. Voi avete una dignità che non ha paragoni né prezzo!”. E qui mi vengono alla mente certe foto, o certi video, che ci mandano i nostri missionari, dove si vedono bambini malvestiti e magari anche sporchi, ma dai volti così gioiosi e radiosi da fare invidia solo a vederli… Ma dove la prendono la gioia? dal fatto che qualcuno finalmente si prende cura di loro e fa loro sentire che sono degni di stare al mondo. E non è questo il Regno di Dio?
Ma il vangelo oggi – ad essere esatti – non parla di poveri e basta; parla di “poveri in spirito”. E li proclama beati. Chi sono costoro? Una razza particolare di poveri? No. Sono quelli che pur avendo di che vivere, e magari anche decorosamente, hanno capito che la felicità non dipende dalle cose che hanno: le adoperano sì, ma non le cercano con fare spasmodico e arrogante come se la loro vita, anzi, la loro felicità, dipendesse da quelle.“Poveri in spirito” son coloro che han capito finalmente l’imbroglio: l’avere, l’avere sempre di più, non realizza le persone nella loro dignità, anzi, le fa regredire, le impoverisce nel senso più irrimediabile che ci sia. Perché le illude, fa loro dimenticare che valgono per quello che sono, per la vita che hanno ricevuto in dono, per ideali veri e nobili ai quali tendere, e non per quello che possiedono.
Questa coscienza, questa identità, è come sepolta sotto un mare di cose: più ne vuoi, più ne accumuli, e più la nascondi… E allora si cerca la felicità – perché chi è che non cerca la felicità? – ma proprio come si cerca qualcosa nell’esempio che facevo all’inizio: son sicuro che è qui, lì, lavvia… non può essere lontana, ma allora perché non la trovo? Perché l’ho sepolta sotto troppe cose.
I “poveri in spirito” hanno capito l’imbroglio. Hanno creduto alla buona notizia di Gesù: Dio li ama con tale fedeltà e tenerezza da rendere preziosa la loro esistenza, la loro persona, a qualsiasi età e in qualsiasi stagione della vita. Se Gesù dice proprio a loro “beati” è perché “beati” lo sono effettivamente.
Adoperano le cose per vivere dignitosamente, ma non le cercano con arroganza: sanno adoperarle con sobrietà, in spirito di solidarietà con quelli che ne hanno meno o ne sono privi.
Fratelli, sapete che quelli che abitano in pianura (la pianura Padana, specialmente) d’inverno sono abituati alla nebbia… Ma siamo sicuri che per noi in montagna sia diverso? Non vi pare che vivere in questa civiltà arrogante che punta tutto sull’avere, sia come vivere un po’ tutti nella nebbia?
Non vediamo l’ora che finisca quella guerra, vicina a noi, che ormai dura da quasi un anno. Che finisca per le popolazioni direttamente coinvolte anzitutto,… ma poi anche per noi che ne subiamo le conseguenze con una crisi economica preoccupante.
Ma quante guerre e crisi economiche dovranno esserci – perché ci accorgiamo che la felicità del vangelo ce l’abbiamo a portata di mano, magari nascosta sotto un mare di cose che ingombrano ma non rendono felici?
Spirito santo, vento buono di Dio, vieni a spazzar via le nostre nebbie…
Domenica 22 Gennaio - III° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Isaia 8,23b-9,3; 1Corinzi 1,10 -13.17; Matteo 4,12-23
Quante favole e storie da dopo cena che parlano di principi, re e regine! E quanti film del passato raccontavano di regni, di imperi, e di teste incoronate… Le favole piacevano ai bambini e i film agli adulti, anche se questi ultimi sapevano benissimo che si trattava di storie vecchie, condite da molta fantasia. Ma a volte, specialmente quando la realtà è dura da affrontare, ogni tanto è piacevole rifugiarsi nella fantasia…
“Il Regno dei cieli è vicino…”: che sia anche questo “frutto di fantasia”, roba da mondo dei sogni e delle favole?
Oggi ci viene detto che Gesù lascia Nazaret, il paese dove è vissuto per 30 anni, e comincia ad andare in giro per tutta la regione, la Galilea, dicendo alla gente: “Guardate che Il Regno dei cieli è vicino: credete a questa bella notizia!”. “Bella notizia”, nella lingua greca in cui queste cose furono scritte, si dice “euanghèlion”, evangelo.
Non sono pochi a pensare che sia una favola, o uno di quei sogni che si possono anche fare ma che non si realizzerà mai.
Quelli che invece credono a quella bella notizia e pregano ogni giorno dicendo “Venga il tuo Regno!”, non pensano che sia una favola, no… ma a volte sono tentati di crederlo. Vedono che a questo mondo tutto ciò che è importante è anche forte, potente, anzi, imponente… E quanto più è potente e imponente tanto più tiene banco sulle pagine dei giornali e alla TV, e tanto più è in grado di pesare nelle grandi decisioni mondiali…oltre che nel portafoglio delle persone. Ma il Regno di Dio…che peso può avere? Di quanta considerazione gode? Perché all’ONU, dove sono rappresentate tutte le nazioni del mondo, non c’è?
“Il mio Regno non è di questo mondo” dirà Gesù. Ma…allora è dell’altro mondo? Bisogna andare nell’altro mondo per entrare nel Regno di Dio? No, fratelli: è in questo mondo che Dio lo costruisce, ma non è fatto come i Regni o le grandi potenze di questo mondo. E’ totalmente, radicalmente diverso. Se non altro perché non tramonta e non finisce mai, come fan tutti i regni della terra prima o poi: quanti imperi e regni, quante grandi potenze si sono succedute nel corso della storia! E ogni volta c’era gente che esclamava affascinata: “Oh! Mai vista una cosa del genere! Che potenza! Che grandiosità!”. Ma non è rimasto più nulla: solo un ricordo sui libri di storia, e qualche reperto archeologico…a beneficio di turisti.
Ebbene, no: non si può paragonare il Regno di Dio alle potenze di questo mondo: se queste tramontano, Dio non tramonta mai. Quei pescatori che quella mattina lì sulle rive del lago di Tiberiade han sentito quella notizia da Gesù, gli hanno creduto, e non solo in teoria, ma nel concreto della vita.“Seguitemi!” ha detto loro. E l’hanno seguito. Avete mai sentito dire che un re, un potente, si rivolga a dei semplici pescatori, per farne i suoi primi collaboratori? No, i potenti di questo mondo o fanno tutto da soli, o si rivolgono a persone altolocate, ai pezzi grossi…non certo a pescatori, cioè: non a persone comuni, come noi.
Ecco la novità, fratelli: Dio, nel costruire il suo Regno in questo mondo, si rivolge a gente come noi. Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, si sono sentiti dire: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini!”. Parole un po’ strane li per lì, ma le hanno accolte; da quel giorno in poi hanno toccato con mano che non era una favola la bella notizia di Gesù: la loro vita è stata tutta trasformata. Non è che hanno smesso subito di fare i pescatori di pesci per diventare chissà chi…Han capito che loro non erano soltanto lavoratori, condannati a morire di fatica tutte le notti: erano figli di Dio, collaboratori suoi per costruire il suo Regno. Era diverso anche il lavoro, e il modo di comportarsi nella vita di tutti i giorni, e le loro relazioni con la gente: tutto era diverso…
Infatti, prendere sul serio la Parola di Gesù cambia davvero la vita; non si fanno più le cose di tutti i giorni solo perché bisogna farle, è troppo poco: per tutti è troppo poco. Ascoltare la Parola di Gesù, e lasciarsene animare, ha questo effetto: si fanno quelle stesse cose sapendo che anche così si può collaborare a costruire il Regno di Dio in questo mondo, anzi, ha come risultato che quelle cose si fanno perfino meglio, con più grinta, anche con più soddisfazione.
E il segreto è tutto lì: nell’ascoltare con la massima fiducia e attenzione la Parola di Dio. Non una volta tanto, di rado, ma con assiduità direi quotidiana: la stessa per cui non passa giorno che noi non mettiamo qualcosa nello stomaco. E siccome non siamo bestiame da foraggiare, o frigoriferi da riempire, ma bensì figli di Dio, ecco che non ci basta il pane e il companatico: abbiamo bisogno di parole che vengono da Dio.
La Parola di Dio! In questa Domenica siamo invitati con tutti i cristiani del mondo ad accorgerci di quanto è preziosa e irrinunciabile per noi la Parola di Dio. Ascoltarla la Domenica quando si viene a Messa è già molto, ma nel mondo d’oggi – così complesso e caotico – non ci basta, non ci basta per vivere da cristiani, perché poi - fuori di qui, durante la settimana - sentiamo tante altre parole che hanno la meglio su quella di Dio… e magari fossero affidabili, ma molto spesso sono parole al vento! Quanto è importante darle il primo posto tra tutte le parole che sentiamo. E perciò ascoltarla, o leggerla, più spesso… ben aldilà della Domenica.
E qui lasciate che scenda al pratico e vi dia qualche consiglio. Voi sentite questa Parola nelle letture della Bibbia, del Vangelo, quando venite alla messa: a volte ciò che si legge non è sempre chiaro, magari si stenta a capirlo… ma tra tutte le parole delle letture, delle prediche, ce ne sarà almeno una - anche una frase sola - che sentì che riguarda anche te, anzi, proprio te. Cerca di tenerla a mente, portala nel cuore quando esci dalla chiesa, richiamala qualche volta durante la settimana, magari nei momenti di difficoltà: ti aiuterà quella Parola, ti accorgerai come cambia in meglio la tua vita.
Altro consiglio pratico: dal momento che gran parte di noi possiede un cellulare sul quale sappiamo cercare e trovare tante cose, perché non cercarvi anche la Parola di Dio che la Chiesa offre ogni giorno a noi Cristiani? Insomma fratelli, o perché siamo forniti di strumenti adatti, o perché in casa abbiamo tutti almeno un Vangelo, fatto sta che non ci sono più scuse: se ci sta a cuore essere cristiani non solo di nome, la Provvidenza ci ha fornito anche gli strumenti per esserlo di fatto.
“Coloro che abitavano nelle tenebre hanno visto una grande luce” diceva oggi il Vangelo. Nella nostra vita probabilmente non ci sono tenebre, ma forse un certo grigiore sì. Ebbene, la Parola del Signore può sottrarre al grigiore tante nostre situazioni, può farci vedere e apprezzare tutto e tutti, a cominciare da noi stessi.
Perché ormai è vero e sarà sempre vero: il Regno di Dio è vicino, anzi, è in mezzo a noi.
Le Letture Bibliche: Isaia 8,23b-9,3; 1Corinzi 1,10 -13.17; Matteo 4,12-23
Quante favole e storie da dopo cena che parlano di principi, re e regine! E quanti film del passato raccontavano di regni, di imperi, e di teste incoronate… Le favole piacevano ai bambini e i film agli adulti, anche se questi ultimi sapevano benissimo che si trattava di storie vecchie, condite da molta fantasia. Ma a volte, specialmente quando la realtà è dura da affrontare, ogni tanto è piacevole rifugiarsi nella fantasia…
“Il Regno dei cieli è vicino…”: che sia anche questo “frutto di fantasia”, roba da mondo dei sogni e delle favole?
Oggi ci viene detto che Gesù lascia Nazaret, il paese dove è vissuto per 30 anni, e comincia ad andare in giro per tutta la regione, la Galilea, dicendo alla gente: “Guardate che Il Regno dei cieli è vicino: credete a questa bella notizia!”. “Bella notizia”, nella lingua greca in cui queste cose furono scritte, si dice “euanghèlion”, evangelo.
Non sono pochi a pensare che sia una favola, o uno di quei sogni che si possono anche fare ma che non si realizzerà mai.
Quelli che invece credono a quella bella notizia e pregano ogni giorno dicendo “Venga il tuo Regno!”, non pensano che sia una favola, no… ma a volte sono tentati di crederlo. Vedono che a questo mondo tutto ciò che è importante è anche forte, potente, anzi, imponente… E quanto più è potente e imponente tanto più tiene banco sulle pagine dei giornali e alla TV, e tanto più è in grado di pesare nelle grandi decisioni mondiali…oltre che nel portafoglio delle persone. Ma il Regno di Dio…che peso può avere? Di quanta considerazione gode? Perché all’ONU, dove sono rappresentate tutte le nazioni del mondo, non c’è?
“Il mio Regno non è di questo mondo” dirà Gesù. Ma…allora è dell’altro mondo? Bisogna andare nell’altro mondo per entrare nel Regno di Dio? No, fratelli: è in questo mondo che Dio lo costruisce, ma non è fatto come i Regni o le grandi potenze di questo mondo. E’ totalmente, radicalmente diverso. Se non altro perché non tramonta e non finisce mai, come fan tutti i regni della terra prima o poi: quanti imperi e regni, quante grandi potenze si sono succedute nel corso della storia! E ogni volta c’era gente che esclamava affascinata: “Oh! Mai vista una cosa del genere! Che potenza! Che grandiosità!”. Ma non è rimasto più nulla: solo un ricordo sui libri di storia, e qualche reperto archeologico…a beneficio di turisti.
Ebbene, no: non si può paragonare il Regno di Dio alle potenze di questo mondo: se queste tramontano, Dio non tramonta mai. Quei pescatori che quella mattina lì sulle rive del lago di Tiberiade han sentito quella notizia da Gesù, gli hanno creduto, e non solo in teoria, ma nel concreto della vita.“Seguitemi!” ha detto loro. E l’hanno seguito. Avete mai sentito dire che un re, un potente, si rivolga a dei semplici pescatori, per farne i suoi primi collaboratori? No, i potenti di questo mondo o fanno tutto da soli, o si rivolgono a persone altolocate, ai pezzi grossi…non certo a pescatori, cioè: non a persone comuni, come noi.
Ecco la novità, fratelli: Dio, nel costruire il suo Regno in questo mondo, si rivolge a gente come noi. Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, si sono sentiti dire: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini!”. Parole un po’ strane li per lì, ma le hanno accolte; da quel giorno in poi hanno toccato con mano che non era una favola la bella notizia di Gesù: la loro vita è stata tutta trasformata. Non è che hanno smesso subito di fare i pescatori di pesci per diventare chissà chi…Han capito che loro non erano soltanto lavoratori, condannati a morire di fatica tutte le notti: erano figli di Dio, collaboratori suoi per costruire il suo Regno. Era diverso anche il lavoro, e il modo di comportarsi nella vita di tutti i giorni, e le loro relazioni con la gente: tutto era diverso…
Infatti, prendere sul serio la Parola di Gesù cambia davvero la vita; non si fanno più le cose di tutti i giorni solo perché bisogna farle, è troppo poco: per tutti è troppo poco. Ascoltare la Parola di Gesù, e lasciarsene animare, ha questo effetto: si fanno quelle stesse cose sapendo che anche così si può collaborare a costruire il Regno di Dio in questo mondo, anzi, ha come risultato che quelle cose si fanno perfino meglio, con più grinta, anche con più soddisfazione.
E il segreto è tutto lì: nell’ascoltare con la massima fiducia e attenzione la Parola di Dio. Non una volta tanto, di rado, ma con assiduità direi quotidiana: la stessa per cui non passa giorno che noi non mettiamo qualcosa nello stomaco. E siccome non siamo bestiame da foraggiare, o frigoriferi da riempire, ma bensì figli di Dio, ecco che non ci basta il pane e il companatico: abbiamo bisogno di parole che vengono da Dio.
La Parola di Dio! In questa Domenica siamo invitati con tutti i cristiani del mondo ad accorgerci di quanto è preziosa e irrinunciabile per noi la Parola di Dio. Ascoltarla la Domenica quando si viene a Messa è già molto, ma nel mondo d’oggi – così complesso e caotico – non ci basta, non ci basta per vivere da cristiani, perché poi - fuori di qui, durante la settimana - sentiamo tante altre parole che hanno la meglio su quella di Dio… e magari fossero affidabili, ma molto spesso sono parole al vento! Quanto è importante darle il primo posto tra tutte le parole che sentiamo. E perciò ascoltarla, o leggerla, più spesso… ben aldilà della Domenica.
E qui lasciate che scenda al pratico e vi dia qualche consiglio. Voi sentite questa Parola nelle letture della Bibbia, del Vangelo, quando venite alla messa: a volte ciò che si legge non è sempre chiaro, magari si stenta a capirlo… ma tra tutte le parole delle letture, delle prediche, ce ne sarà almeno una - anche una frase sola - che sentì che riguarda anche te, anzi, proprio te. Cerca di tenerla a mente, portala nel cuore quando esci dalla chiesa, richiamala qualche volta durante la settimana, magari nei momenti di difficoltà: ti aiuterà quella Parola, ti accorgerai come cambia in meglio la tua vita.
Altro consiglio pratico: dal momento che gran parte di noi possiede un cellulare sul quale sappiamo cercare e trovare tante cose, perché non cercarvi anche la Parola di Dio che la Chiesa offre ogni giorno a noi Cristiani? Insomma fratelli, o perché siamo forniti di strumenti adatti, o perché in casa abbiamo tutti almeno un Vangelo, fatto sta che non ci sono più scuse: se ci sta a cuore essere cristiani non solo di nome, la Provvidenza ci ha fornito anche gli strumenti per esserlo di fatto.
“Coloro che abitavano nelle tenebre hanno visto una grande luce” diceva oggi il Vangelo. Nella nostra vita probabilmente non ci sono tenebre, ma forse un certo grigiore sì. Ebbene, la Parola del Signore può sottrarre al grigiore tante nostre situazioni, può farci vedere e apprezzare tutto e tutti, a cominciare da noi stessi.
Perché ormai è vero e sarà sempre vero: il Regno di Dio è vicino, anzi, è in mezzo a noi.
Domenica 15 Gennaio - II° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Isaia 49,3.5-6; 1Corinzi 1,1-3; Giovanni 1,29-34
Quando una persona la si conosce bene e si sanno i suoi gusti, allorchè la si cerca, di solito si sa dove trovarla.
E Dio, dove lo cercheremo? Alla festa dell’Epifania, dieci giorni fa’, ci siamo sentiti dire che Dio… si fa cercare…Quelli che lo vogliono trovare lo devono cercare… E dove? E’ venuto ad abitare in mezzo nella nostra umanità – si è fatto carne, come siamo fatti di carne noi – sì, ma l’umanità è grande, estesa quanto il mondo: sarà andato al Nord o al Sud? E in quale luogo, precisamente? Quando di una persona si conoscono i gusti, dicevo, si sa dove andarla a cercare. Anche nel caso di Gesù, Figlio di Dio, dev’essere così.
Giovanni Battista afferma oggi nel vangelo che non lo conosceva; strano: ma non era suo parente Gesù? Elisabetta, madre di Giovanni, non era cugina di Maria, madre di Gesù? Eppure nel quarto vangelo che abbiamo ascoltato oggi dice espressamente così: “Io non lo conoscevo…”. Due volte lo ripete. E allora… o Gesù era il tipico parente lontano che Giovanni non aveva mai visto prima…oppure non sapeva che quel suo lontano parente Gesù era il Messia… E allora cosa fa Giovanni? Lo aspetta al varco, al fiume Giordano. “Siccome non lo conoscevo – dice – sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a tutti”. Cioè, deve aver pensato: se questo Messia è venuto da Dio per togliere il peccato del mondo, sta sicuro che tra tutta quella gente che viene a farsi battezzare si presenterà anche lui. Sì, ma non ha mica la faccia di un marziano o di un alieno: è uno come tutti; e come faccio a sapere qual è esattamente? “Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua, mi aveva detto così: sta’ attento! Quando vedrai scendere lo Spirito santo e posarsi su un uomo, sappi per certo che quell’uomo è il Messia…”. E così avvenne.
Sì, ma cosa c’entra con noi questa storia? Dov’è il vangelo, cioè la buona notizia per noi, in tutta questa vicenda?
Fratelli, non abbiamo detto e ripetuto che se vogliamo essere credenti che si rispettano dobbiamo cercare Dio sempre? Ecco, la buona notizia oggi è questa: sappiamo i suoi gusti, sappiamo dove si trova e quindi dove cercarlo: al varco di certe esperienze umane, le nostre anzitutto, ma poi quelle di tutti…E in quali esperienze umane lo troveremo? Là dove tutti, uomini e donne, toccano con mano i loro limiti: limiti di fragilità, di debolezza, di infedeltà, di egoismo (che è come dire “peccato”) … e sono tante, tante queste situazioni! Essere limitati non è un peccato, è un dato di fatto naturale. Ma quando il limite che c’è in noi va a braccetto con l’egoismo, allora sì, allora il risultato è il peccato.
Perché, vedete: va bene avere le proprie idee su cosa fare nella vita, come realizzarsi, come mandare avanti la famiglia, come dovrebbe camminare la società, …cosa dovrebbe fare il governo, come impedire che il mondo piombi nel baratro delle guerre…va bene avere le proprie idee su tutto questo; non va più altrettanto bene quando le mie idee sono al servizio del mio egoismo, dei miei interessi, delle mie visuali di comodo: allora, su tutto quello che vivo e faccio io lascio il marchio del mio peccato.
Sì, sono tante le esperienze umane, le occasioni, nelle quali tocchiamo con mano tutto questo. Si va da quelle di famiglia, dove certe volte è difficile intendersi e capirsi perché ognuno vede le cose a modo suo, e crede a tal punto di aver ragione che non si sforza neanche di capire le ragioni dell’altro…Da quelle di famiglia si passa poi a quelle della convivenza con il vicinato, nell’ambiente del lavoro, nella scuola…e ogni persona vi porta se stessa, con ciò che ha di positivo e anche con il suo egoismo…
E che c’è di strano se la stessa cosa capita a livello planetario: tra popoli, tra culture, tra religioni diverse? L’egoismo che c’è in me, moltiplicato per tutti i miliardi di uomini che abitano la faccia della terra, cosa diventa? Chiamatelo come volete, ma il vangelo lo chiama così: il peccato del mondo.
La buona notizia, per noi cristiani oggi, è che oltre tutto questo cumulo di egoismi c’è lui: l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. E’ proprio in queste esperienze umane del limite che lo dobbiamo cercare. Sì, qui all’Eucaristia lo incontriamo come il Signore che ci imbandisce la mensa, ma poi lui sparisce e noi dobbiamo ripartire e cercarlo ancora; oggi sappiamo dove: lo troveremo proprio sul terreno umano dei nostri limiti.
Come agnello ci attende. Non come lupo, o come giudice che ci rimprovera, sentenzia e condanna…no, come agnello: con tutto quello che evoca per noi questa immagine dell’agnello. Pensate, tra il resto, quante volte lo invochiamo con queste parole nella liturgia della messa: agnello di Dio, figlio del Padre, abbi pietà di noi… Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi! (a volte la biascichiamo in fretta questa invocazione e ci chiediamo: ma perché bisogna dirla tre volte?) …ma poi ancora prima della Comunione: Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo! E’ quasi ossessionante questa invocazione all’Agnello…
Sì, fratelli: forse è per educarci all’ossessione della misericordia, della mitezza, della comprensione … Verso noi stessi anzitutto: i nostri limiti, le nostre fragilità, i nostri peccati… e poi verso quelli degli altri, e le situazioni problematiche attorno a noi e nel mondo intero.
Ci sono sempre quelli che sentenziano: Ci vorrebbe questo … e quest’altro… So io cosa bisognerebbe fare… Ci sono sempre questi sputa-sentenze! No, tu non sai niente, tu vedi solo la superficie delle situazioni, come tutti. Quello che ci vuole c’è già: l’Agnello che toglie da tutte quelle situazioni il peccato e lo porta su di sé… E allora, invece che sputar sentenze facili, guarda a Lui, comincia a prendere in considerazione questo Messia Gesù, ma in seria considerazione.
Come hanno fatto quei discepoli che erano lì con Giovanni Battista quel giorno; il vangelo prosegue dicendo che sentendo Giovanni che parlava così, hanno cominciato a seguire Gesù. E non l’hanno mai più perso di vista: sono diventati suoi discepoli.
Facciamolo anche noi, fratelli, e di tutto il cuore.
Domenica 8 Gennaio - Battesimo del Signore
Le Letture Bibliche: Isaia 42,1-4.6-7; Atti 10,34-38; Matteo 3,13-17
Di molte parole che diciamo noi conosciamo certamente il significato, anzi, non occorre nemmeno spiegarle. Di altre invece ci sfugge; si, magari le adoperiamo ma se qualcuno ci chiedesse cosa vogliono dire, ci metterebbe in imbarazzo e forse risponderemmo in maniera molto generica. Battesimo, ad esempio. Cosa vuol dire la parola Battesimo? “Si è quello che si fa per diventare cristiani…”. Beh, è già qualcosa poter rispondere così, ma non vi pare che sarebbe meglio conoscere esattamente il senso di certe parole, soprattutto se sono importanti?
“Battesimo” vuol dire “immersione”, ecco cosa significa la parola Battesimo. Immersione dove? Nell’acqua, di solito, magari gettandosi dal trampolino di una piscina. Gesù è entrato nell’acqua di un fiume, con tanta altra gente che vi si immergeva come lui, su invito di Giovanni Battista. Noi per fare il Battesimo ci limitiamo a versare un po’ d’acqua sul capo… ma in certe Chiese cristiane - come quelle orientali ad esempio - si pratica sempre l’immersione.
A voler essere esatti però, non è questa la vera immersione che ha provato Gesù, il Signore: è un’altra. Per questa si fa presto: si entra nell’acqua e poi si esce (un po’ come quei turisti che presumono di conoscere la cultura di un paese solo perché ci sono stati alcuni giorni in vacanza…). No, Gesù ha provato un’altra immersione, che è durata tutta la sua vita; anzi, ad essere precisi, non è ancora conclusa. Ricordate il bell’annuncio del Natale? “Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Solo che invece che dire “abitare” il Vangelo usa un’altra espressione: “ha piantato la sua tenda in mezzo a noi…”. “Tenda” notate bene, e non come quella di campeggiatori o turisti che l’adoperano per qualche giorno, ma simile piuttosto a quella di chi vive nel deserto e che è la sua abitazione per tutta la vita: una dimora sempre provvisoria perché nel deserto si è Nomadi, ci si sposta in continuazione. Dio ha cominciato la sua storia in questo mondo con un popolo nomade: perché mai? perché noi non siamo mai sempre gli stessi, la vita è cammino - si dice, si cambia in continuazione. E Dio vuol stare al passo con noi, preferisce la tenda alla costruzione di mura… Era stupendo il tempio di Gerusalemme, imponente, l’avevano edificato con materiale prezioso: pietre scelte, legno di cedro, oro a profusione… ma a Dio quel tempio - fisso - stava un po’ stretto. Il nostro Dio preferisce la tenda. “Il Verbo, il Figlio di Dio, si è fatto carne e ha piantato la sua tenda … per stare al passo con noi”.
E non solo per stare al passo con noi, ma per vivere, cioè provare tutto ciò che proviamo noi; in altre parole: è nella nostra esperienza umana che si è immerso il Signore Gesù. Ha condiviso i passaggi abituali di questa nostra avventura che è la vita; si, è già adulto quando arriva al fiume Giordano, ma questo vuol dire che prima è stato bambino, poi ragazzo, poi adolescente, giovane, adulto… questo vuol dire che ha imparato a correre e a giocare con gli altri ragazzi per le strade te e per le colline di Nazaret, ma ha anche imparato il mestiere del carpentiere da Giuseppe…Ha provato cos’è l’ebbrezza del far festa e anche la monotonia del riprendere a lavorare dopo la festa; ha avuto i suoi momenti di entusiasmo e anche quelli di sconforto, ha sperimentato il bello e il meno bello della vita di tutti…
Capite allora fratelli il senso di quell’immersione nelle acque del Giordano, cioè il significato di quel suo Battesimo?
Egli è qui per condividere tutto ciò che è nostro. Ma proprio tutto? “Tranne il peccato” dice la tradizione cristiana: vuol dire che la sua esperienza del peccato non è quella del trasgressore – come siamo tutti noi poco o tanto – ma quella dell’Agnello che porta su di sé i peccati del mondo. Noi il peccato lo conosciamo perché lo facciamo; lui lo conosce perché ne paga il prezzo è - per toglierlo di mezzo - ci muore sotto. Immergendosi nell’acqua del Giordano insieme a tutta quella gente è come se dicesse: prendo tutto ciò che è vostro, lo faccio mio senza eccezioni e senza sconti.
La sua missione la compie così Gesù. Porterà la buona notizia di Dio – che è vicino e costruisce il suo Regno tra noi – entrando nelle case della gente, passando per le strade, in riva al lago, nelle sinagoghe e in tutti gli spazi aperti dove la gente si incontra… e lo farà con estrema semplicità; sarà mite invece che arrogante, rispettoso verso ogni forma di vita, comprensivo e compassionevole verso ogni debolezza. Un metodo strano questo, se pensate che a quei tempi gli emissari dei potenti erano soliti gridare e ricorrevano anche alla violenza per farsi obbedire da tutti… L’inviato di Dio, no: “Il mio servo – dice Dio oggi ( era la prima lettura) – non griderà né alzerà il tono…non spezzerà una canna che è già incrinata…non spegnerà la fiammella di uno stoppino che sta languendo…”. Semplicità e mitezza: ecco gli atteggiamenti del Verbo fatto carne che ha piantato la sua tenda tra noi.
Non è affatto debolezza o mancanza di coraggio la sua; se si comporta così è perché lo sa: la sua bontà, il suo amore disarmante e disarmato l’avranno vinta su qualsiasi ostacolo.
E noi tutti – noi che per il Battesimo siamo diventati figli di Dio e quindi suoi fratelli – penso che sia su queste orme che siamo tenuti a camminare; è questa strada aperta da lui che siamo invitati a percorrere. Mitezza, semplicità, bontà, tolleranza, comprensione…qualcuno dirà: ma sì, le solite cose che dite da 2000 anni voi preti! No, affatto: oggi queste sono cose nuove; vere e autentiche novità. Guardatevi attorno, toccate un po’ il polso della cultura di oggi, dell’opinione pubblica…Quanti hanno la sensazione di essere assediati nel mondo di oggi: da una crisi che porta con se non pochi problemi, da culture diverse che prenderanno sempre più piede tra noi, da una criminalità diffusa… e la reazione qual è? L’intolleranza, che non si fa riguardo di ricorrere a metodi violenti e discriminatori. Torna frequente l’espressione che risuonava negli anni oscuri del secolo appena passato: “tolleranza-zero”!
Ebbene, lo stile del Servo, adottato da Gesù – fatto di mitezza, semplicità, bontà, tolleranza, comprensione - non trovate che vada contro-corrente e sia ancora nuovo dopo 2000 anni?
E allora oggi, oltre che rinnovare la nostra adesione a questo Messia che è Gesù Cristo, chiediamo a Dio di aiutarci davvero, perché possiamo essere coerenti – nella mentalità e nei comportamenti – con quella dignità di figli suoi che proprio nel Battesimo abbiamo ricevuto in dono.
Forti nella mitezza, coraggiosi nella bontà, perseveranti nella comprensione: in tal modo il Cristianesimo sarà anche ai nostri giorni un'autentica novità.
Le Letture Bibliche: Isaia 42,1-4.6-7; Atti 10,34-38; Matteo 3,13-17
Di molte parole che diciamo noi conosciamo certamente il significato, anzi, non occorre nemmeno spiegarle. Di altre invece ci sfugge; si, magari le adoperiamo ma se qualcuno ci chiedesse cosa vogliono dire, ci metterebbe in imbarazzo e forse risponderemmo in maniera molto generica. Battesimo, ad esempio. Cosa vuol dire la parola Battesimo? “Si è quello che si fa per diventare cristiani…”. Beh, è già qualcosa poter rispondere così, ma non vi pare che sarebbe meglio conoscere esattamente il senso di certe parole, soprattutto se sono importanti?
“Battesimo” vuol dire “immersione”, ecco cosa significa la parola Battesimo. Immersione dove? Nell’acqua, di solito, magari gettandosi dal trampolino di una piscina. Gesù è entrato nell’acqua di un fiume, con tanta altra gente che vi si immergeva come lui, su invito di Giovanni Battista. Noi per fare il Battesimo ci limitiamo a versare un po’ d’acqua sul capo… ma in certe Chiese cristiane - come quelle orientali ad esempio - si pratica sempre l’immersione.
A voler essere esatti però, non è questa la vera immersione che ha provato Gesù, il Signore: è un’altra. Per questa si fa presto: si entra nell’acqua e poi si esce (un po’ come quei turisti che presumono di conoscere la cultura di un paese solo perché ci sono stati alcuni giorni in vacanza…). No, Gesù ha provato un’altra immersione, che è durata tutta la sua vita; anzi, ad essere precisi, non è ancora conclusa. Ricordate il bell’annuncio del Natale? “Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Solo che invece che dire “abitare” il Vangelo usa un’altra espressione: “ha piantato la sua tenda in mezzo a noi…”. “Tenda” notate bene, e non come quella di campeggiatori o turisti che l’adoperano per qualche giorno, ma simile piuttosto a quella di chi vive nel deserto e che è la sua abitazione per tutta la vita: una dimora sempre provvisoria perché nel deserto si è Nomadi, ci si sposta in continuazione. Dio ha cominciato la sua storia in questo mondo con un popolo nomade: perché mai? perché noi non siamo mai sempre gli stessi, la vita è cammino - si dice, si cambia in continuazione. E Dio vuol stare al passo con noi, preferisce la tenda alla costruzione di mura… Era stupendo il tempio di Gerusalemme, imponente, l’avevano edificato con materiale prezioso: pietre scelte, legno di cedro, oro a profusione… ma a Dio quel tempio - fisso - stava un po’ stretto. Il nostro Dio preferisce la tenda. “Il Verbo, il Figlio di Dio, si è fatto carne e ha piantato la sua tenda … per stare al passo con noi”.
E non solo per stare al passo con noi, ma per vivere, cioè provare tutto ciò che proviamo noi; in altre parole: è nella nostra esperienza umana che si è immerso il Signore Gesù. Ha condiviso i passaggi abituali di questa nostra avventura che è la vita; si, è già adulto quando arriva al fiume Giordano, ma questo vuol dire che prima è stato bambino, poi ragazzo, poi adolescente, giovane, adulto… questo vuol dire che ha imparato a correre e a giocare con gli altri ragazzi per le strade te e per le colline di Nazaret, ma ha anche imparato il mestiere del carpentiere da Giuseppe…Ha provato cos’è l’ebbrezza del far festa e anche la monotonia del riprendere a lavorare dopo la festa; ha avuto i suoi momenti di entusiasmo e anche quelli di sconforto, ha sperimentato il bello e il meno bello della vita di tutti…
Capite allora fratelli il senso di quell’immersione nelle acque del Giordano, cioè il significato di quel suo Battesimo?
Egli è qui per condividere tutto ciò che è nostro. Ma proprio tutto? “Tranne il peccato” dice la tradizione cristiana: vuol dire che la sua esperienza del peccato non è quella del trasgressore – come siamo tutti noi poco o tanto – ma quella dell’Agnello che porta su di sé i peccati del mondo. Noi il peccato lo conosciamo perché lo facciamo; lui lo conosce perché ne paga il prezzo è - per toglierlo di mezzo - ci muore sotto. Immergendosi nell’acqua del Giordano insieme a tutta quella gente è come se dicesse: prendo tutto ciò che è vostro, lo faccio mio senza eccezioni e senza sconti.
La sua missione la compie così Gesù. Porterà la buona notizia di Dio – che è vicino e costruisce il suo Regno tra noi – entrando nelle case della gente, passando per le strade, in riva al lago, nelle sinagoghe e in tutti gli spazi aperti dove la gente si incontra… e lo farà con estrema semplicità; sarà mite invece che arrogante, rispettoso verso ogni forma di vita, comprensivo e compassionevole verso ogni debolezza. Un metodo strano questo, se pensate che a quei tempi gli emissari dei potenti erano soliti gridare e ricorrevano anche alla violenza per farsi obbedire da tutti… L’inviato di Dio, no: “Il mio servo – dice Dio oggi ( era la prima lettura) – non griderà né alzerà il tono…non spezzerà una canna che è già incrinata…non spegnerà la fiammella di uno stoppino che sta languendo…”. Semplicità e mitezza: ecco gli atteggiamenti del Verbo fatto carne che ha piantato la sua tenda tra noi.
Non è affatto debolezza o mancanza di coraggio la sua; se si comporta così è perché lo sa: la sua bontà, il suo amore disarmante e disarmato l’avranno vinta su qualsiasi ostacolo.
E noi tutti – noi che per il Battesimo siamo diventati figli di Dio e quindi suoi fratelli – penso che sia su queste orme che siamo tenuti a camminare; è questa strada aperta da lui che siamo invitati a percorrere. Mitezza, semplicità, bontà, tolleranza, comprensione…qualcuno dirà: ma sì, le solite cose che dite da 2000 anni voi preti! No, affatto: oggi queste sono cose nuove; vere e autentiche novità. Guardatevi attorno, toccate un po’ il polso della cultura di oggi, dell’opinione pubblica…Quanti hanno la sensazione di essere assediati nel mondo di oggi: da una crisi che porta con se non pochi problemi, da culture diverse che prenderanno sempre più piede tra noi, da una criminalità diffusa… e la reazione qual è? L’intolleranza, che non si fa riguardo di ricorrere a metodi violenti e discriminatori. Torna frequente l’espressione che risuonava negli anni oscuri del secolo appena passato: “tolleranza-zero”!
Ebbene, lo stile del Servo, adottato da Gesù – fatto di mitezza, semplicità, bontà, tolleranza, comprensione - non trovate che vada contro-corrente e sia ancora nuovo dopo 2000 anni?
E allora oggi, oltre che rinnovare la nostra adesione a questo Messia che è Gesù Cristo, chiediamo a Dio di aiutarci davvero, perché possiamo essere coerenti – nella mentalità e nei comportamenti – con quella dignità di figli suoi che proprio nel Battesimo abbiamo ricevuto in dono.
Forti nella mitezza, coraggiosi nella bontà, perseveranti nella comprensione: in tal modo il Cristianesimo sarà anche ai nostri giorni un'autentica novità.
6 Gennaio - Solennità dell'EPIFANIA
“Chi cerca, trova” dice il proverbio. Tuttavia non è sempre vero. Dipende da cosa si cerca, e dall’interesse, dalla passione che ci si mette nel cercare…
Quelle persone o quelle famiglie che in queste Feste han potuto andarsene in vacanza in luoghi particolarmente gettonati… mica hanno deciso il giorno prima di partire: eh, no, han prenotato settimane prima. E prima di prenotare si sono informate su tanti dettagli: una preparazione molto diligente insomma. Ma prendete ad esempio anche il campo della salute: quando si ha qualche problema, sì, magari si comincia col medico di base… ma poi – se il problema è serio – si ricorre allo specialista… e visto come funziona la sanità in Italia di questi tempi, è davvero un’impresa non da poco.
Potrei fare anche l’esempio delle Feste: Natale, ultimo dell’anno, Capodanno… Chi non ha programmato con cura la cornice: i regali, gli auguri, le cene? Chi è quello sprovveduto che ci pensa all’ultimo momento e poi si accontenta della prima cosa che capita? Insomma, chi cerca trova se cerca con cura, con diligenza, con interesse; se no, non trova niente.
Probabilmente avrete capito perché oggi – festa dell’Epifania – ho cominciato con questo discorso. L’Epifania è la festa di chi cerca Dio. Sì, e vale anche qui la regola “chi cerca, trova”… ma solo se cerca con passione, con costanza, con determinazione; altrimenti o non è vero che cerca Dio, o non lo trova affatto.
I Magi – che non erano maghi o prestigiatori, ma individui sapienti e molto decisi – l’hanno trovato Dio. Il lungo viaggio, e le fatiche che dev’essere costato, provano che l’hanno cercato con passione, con grandissimo interesse. Invece quei tali che Dio ce l’avevano lì vicino, e non occorreva che facessero molti chilometri per cercarlo (come Erode o i grandi di Gerusalemme), non l’hanno trovato per niente: sapevano consultare i loro vecchi libri per capire dove avrebbe dovuto venire… “A Betlemme!” Ah sì, a Betlemme…”. Ma non hanno fatto neanche un passo per cercarlo… Figuriamoci se potevano trovarlo: Dio si lascia trovare solo da chi lo cerca con passione, con determinazione. Chi lo cerca in modo fiacco, o non lo cerca affatto, non lo trova mai.
Si racconta nelle storie degli antichi Padri del deserto (i monaci dei primi secoli del cristianesimo) che un ragazzo un giorno andò a trovare un vecchio eremita, un sant’uomo che aveva trascorso tutta la vita a cercare Dio nella solitudine. Abitava in una grotta vicino ad un torrente. “Voglio cercare Dio – disse quel ragazzo – insegnami come devo fare!”. Quel santo vecchio diede una spinta al ragazzo e lo gettò nell’acqua – e gli tenne la testa sotto per qualche istante… poi lo lasciò riemergere e gli domandò: “Intanto che stavi sotto, cosa desideravi di più? – “L’aria”, rispose il ragazzo, “poter respirare!”. E quanto la desideravi? – “Con tutto me stesso… perché altrimenti soffocavo!”. “Ecco – disse quell’anziano – Dio lo puoi cercare solo così: come uno che sta per soffocare e cerca l’aria; solo se lo cerchi così tu potrai trovare Dio!”.
Fratelli, sarà paradossale fin che volete questo esempio, ma non dite che cercare Dio a queste condizioni è troppo faticoso, o addirittura disumano… Non vi accorgete che stiamo diventando disumani noi, a furia di cercare con ansia e con interesse tutto ciò che non è Dio? Stiamo rischiando di soffocare in un mare di banalità…
Dio lo si cerca e lo si trova, solo se lo si cerca con la stessa ansia con cui desidera l’aria uno che sta per affogare… (Per cui, sia io prete, come voi, genitori o nonni, possiamo star certi: o diamo ai figli, ai nipoti, l’esempio di una ricerca così appassionata, o è meglio che non gli parliamo neanche di Dio, perché li prenderemmo in giro: infatti, in una ricerca fiacca e povera di interesse, non lo troverebbero mai…).
Sì, ma perché cercare Dio? La domanda non è affatto sciocca, anzi. Io potrei rispondere così: per non soffocare in quel mare di banalità che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Ma i magi ci possono dare una risposta, più precisa: “…Siamo venuti per adorarlo” (Gesù Cristo, s’intende)…”Arrivati a Betlemme, entrarono nella casa, si inginocchiarono e lo adorarono…”. Sappiamo tutti cosa vuol dire “adorare”, sì anche quelli che non conoscono il significato preciso di questa parola, perché tutti a questo mondo adorano: o Dio, o qualcos’altro che non è Dio, ma tutti adorano… Anche Erode adorava: non Dio certamente, ma il suo potere arrogante e sanguinario. Altroché se lo adorava! Cosa vuol dire “adorare”?
Adorare vuol dire mettere qualcuno, o qualcosa, al primo posto in assoluto… amarlo con tutto il cuore, pensarlo tutti i giorni…
Adorare il Signore - Dio - vuol dire sapere per certo che senza di lui non possiamo star in piedi neanche un istante, perché la vita, la salute, l’aria che respiriamo… tutto ci viene da lui.
Adorare il Signore vuol dire essere sicuri che solo lui è davvero grande, importante, indispensabile… e nessun altro.
Adorarlo è credere a quello che ci dice perché lui ci vuol davvero bene, è di parola e non ci prende mai in giro.
Chi cerca il Signore per adorarlo è uno che si piega solo davanti a lui. Ed è uno che non ha bisogno di tante raffinatezze e banalità per far festa ed essere contento: anzi, quando sono troppe, gli fanno venire il voltastomaco… I Magi che cercavano Dio per adorarlo, sono ben più di tre o quattro… sono i primi di una lunga carovana. In quella carovana ci sono ebrei (ma non tutti), cristiani (ma non tutti), musulmani, buddisti (ma non tutti neanche questi): solo quelli che cercano Dio con passione e decisione fanno parte di quella carovana. Gli altri… si son persi per strada, affogati nel mare delle banalità.
Cosa augurarci allora, fratelli, visto che siamo ancora in tempo di auguri?
Di non annegare nel mare delle banalità o delle piccinerie, ma di cercare Dio, il Signore, con la stessa ansia di quel tale che, sott’acqua, cerca l’aria per respirare.
Allora, ma solo allora, è vero che anche su questa strada “chi cerca, trova”. Infatti Dio, il Signore, è venuto tra noi e non se n’andrà mai più.
“Chi cerca, trova” dice il proverbio. Tuttavia non è sempre vero. Dipende da cosa si cerca, e dall’interesse, dalla passione che ci si mette nel cercare…
Quelle persone o quelle famiglie che in queste Feste han potuto andarsene in vacanza in luoghi particolarmente gettonati… mica hanno deciso il giorno prima di partire: eh, no, han prenotato settimane prima. E prima di prenotare si sono informate su tanti dettagli: una preparazione molto diligente insomma. Ma prendete ad esempio anche il campo della salute: quando si ha qualche problema, sì, magari si comincia col medico di base… ma poi – se il problema è serio – si ricorre allo specialista… e visto come funziona la sanità in Italia di questi tempi, è davvero un’impresa non da poco.
Potrei fare anche l’esempio delle Feste: Natale, ultimo dell’anno, Capodanno… Chi non ha programmato con cura la cornice: i regali, gli auguri, le cene? Chi è quello sprovveduto che ci pensa all’ultimo momento e poi si accontenta della prima cosa che capita? Insomma, chi cerca trova se cerca con cura, con diligenza, con interesse; se no, non trova niente.
Probabilmente avrete capito perché oggi – festa dell’Epifania – ho cominciato con questo discorso. L’Epifania è la festa di chi cerca Dio. Sì, e vale anche qui la regola “chi cerca, trova”… ma solo se cerca con passione, con costanza, con determinazione; altrimenti o non è vero che cerca Dio, o non lo trova affatto.
I Magi – che non erano maghi o prestigiatori, ma individui sapienti e molto decisi – l’hanno trovato Dio. Il lungo viaggio, e le fatiche che dev’essere costato, provano che l’hanno cercato con passione, con grandissimo interesse. Invece quei tali che Dio ce l’avevano lì vicino, e non occorreva che facessero molti chilometri per cercarlo (come Erode o i grandi di Gerusalemme), non l’hanno trovato per niente: sapevano consultare i loro vecchi libri per capire dove avrebbe dovuto venire… “A Betlemme!” Ah sì, a Betlemme…”. Ma non hanno fatto neanche un passo per cercarlo… Figuriamoci se potevano trovarlo: Dio si lascia trovare solo da chi lo cerca con passione, con determinazione. Chi lo cerca in modo fiacco, o non lo cerca affatto, non lo trova mai.
Si racconta nelle storie degli antichi Padri del deserto (i monaci dei primi secoli del cristianesimo) che un ragazzo un giorno andò a trovare un vecchio eremita, un sant’uomo che aveva trascorso tutta la vita a cercare Dio nella solitudine. Abitava in una grotta vicino ad un torrente. “Voglio cercare Dio – disse quel ragazzo – insegnami come devo fare!”. Quel santo vecchio diede una spinta al ragazzo e lo gettò nell’acqua – e gli tenne la testa sotto per qualche istante… poi lo lasciò riemergere e gli domandò: “Intanto che stavi sotto, cosa desideravi di più? – “L’aria”, rispose il ragazzo, “poter respirare!”. E quanto la desideravi? – “Con tutto me stesso… perché altrimenti soffocavo!”. “Ecco – disse quell’anziano – Dio lo puoi cercare solo così: come uno che sta per soffocare e cerca l’aria; solo se lo cerchi così tu potrai trovare Dio!”.
Fratelli, sarà paradossale fin che volete questo esempio, ma non dite che cercare Dio a queste condizioni è troppo faticoso, o addirittura disumano… Non vi accorgete che stiamo diventando disumani noi, a furia di cercare con ansia e con interesse tutto ciò che non è Dio? Stiamo rischiando di soffocare in un mare di banalità…
Dio lo si cerca e lo si trova, solo se lo si cerca con la stessa ansia con cui desidera l’aria uno che sta per affogare… (Per cui, sia io prete, come voi, genitori o nonni, possiamo star certi: o diamo ai figli, ai nipoti, l’esempio di una ricerca così appassionata, o è meglio che non gli parliamo neanche di Dio, perché li prenderemmo in giro: infatti, in una ricerca fiacca e povera di interesse, non lo troverebbero mai…).
Sì, ma perché cercare Dio? La domanda non è affatto sciocca, anzi. Io potrei rispondere così: per non soffocare in quel mare di banalità che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Ma i magi ci possono dare una risposta, più precisa: “…Siamo venuti per adorarlo” (Gesù Cristo, s’intende)…”Arrivati a Betlemme, entrarono nella casa, si inginocchiarono e lo adorarono…”. Sappiamo tutti cosa vuol dire “adorare”, sì anche quelli che non conoscono il significato preciso di questa parola, perché tutti a questo mondo adorano: o Dio, o qualcos’altro che non è Dio, ma tutti adorano… Anche Erode adorava: non Dio certamente, ma il suo potere arrogante e sanguinario. Altroché se lo adorava! Cosa vuol dire “adorare”?
Adorare vuol dire mettere qualcuno, o qualcosa, al primo posto in assoluto… amarlo con tutto il cuore, pensarlo tutti i giorni…
Adorare il Signore - Dio - vuol dire sapere per certo che senza di lui non possiamo star in piedi neanche un istante, perché la vita, la salute, l’aria che respiriamo… tutto ci viene da lui.
Adorare il Signore vuol dire essere sicuri che solo lui è davvero grande, importante, indispensabile… e nessun altro.
Adorarlo è credere a quello che ci dice perché lui ci vuol davvero bene, è di parola e non ci prende mai in giro.
Chi cerca il Signore per adorarlo è uno che si piega solo davanti a lui. Ed è uno che non ha bisogno di tante raffinatezze e banalità per far festa ed essere contento: anzi, quando sono troppe, gli fanno venire il voltastomaco… I Magi che cercavano Dio per adorarlo, sono ben più di tre o quattro… sono i primi di una lunga carovana. In quella carovana ci sono ebrei (ma non tutti), cristiani (ma non tutti), musulmani, buddisti (ma non tutti neanche questi): solo quelli che cercano Dio con passione e decisione fanno parte di quella carovana. Gli altri… si son persi per strada, affogati nel mare delle banalità.
Cosa augurarci allora, fratelli, visto che siamo ancora in tempo di auguri?
Di non annegare nel mare delle banalità o delle piccinerie, ma di cercare Dio, il Signore, con la stessa ansia di quel tale che, sott’acqua, cerca l’aria per respirare.
Allora, ma solo allora, è vero che anche su questa strada “chi cerca, trova”. Infatti Dio, il Signore, è venuto tra noi e non se n’andrà mai più.
1 Gennaio 2023 - S.Maria, Madre di Dio
Le Letture Bibliche: Numeri 6,22-27; Galati 4,4-7; Luca 2,16-21
Non so se il passaggio dall’anno vecchio a quello nuovo è avvenuto in modo più dimesso e più sobrio del solito: se è così è merito o colpa della crisi economica; del resto perché dovrebbe crescere solo il prezzo del pane quotidiano, o le bollette di vario genere, e non anche il costo dei botti e dello champagne?Poi è vero: c’è sempre una percentuale di persone che nessuna crisi riuscirà mai a scalfire, come c’è dall’altra parte una percentuale crescente di individui e famiglie che la crisi la sperimentano ogni giorno sulla loro pelle… Al che, quando sento parlare di civiltà cristiana riguardo alla nostra Europa, mi vien da dire: finiamola con questi eufemismi, o pietose bugie, se preferite! Quanti sanno che la vita e il tempo (e quindi ogni anno nuovo che comincia) sono doni di Dio? Quanti si ricordano di ringraziarlo, di cominciarlo bene insieme a lui? Forse che bastano quattro botti o un cenone per fare di questo che comincia oggi un buon anno?
Poi però mi fermo con le lamentele perchè questa è una predica: a che serve dire queste cose a persone che non c’entrano per niente? Succedeva spesso in passato nelle chiese che quelli che ci venivano si sentivano rimproverare per quelli che non c’erano. Forse accade ancora. Ebbene, no, è meglio che mi congratuli con voi per il fatto che siete qui, invece che prendermela per quelli che non ci sono. Quindi, fratelli, mi congratulo con voi perchè siete qui a cominciare un anno nuovo nel nome del Signore e – sempre nel nome del Signore – io vi auguro che sia buono.
Buono in che senso? Senz’altro nel senso della buona salute fuori e fuori, nel senso che le cose vadano bene come si spera... però, con tutti i limiti degli auguri: gli auguri vanno fatti, lo sappiamo, ma rivelano anche i limiti di quelli che li fanno…Bello sarebbe poter dire a una persona: “Io farò in modo che tu stia sempre bene di salute… Io voglio che le cose per te vadano tutte dritte…”. Ma questo lo può dire solo chi è onnipotente, senza limiti, non certo noi: nessuno può dare una tale garanzia. Io posso dire soltanto: “Vorrei che fosse così…vorrei ogni bene per te, ma …non posso garantirlo: può anche darsi che le cose vadano in altro modo da quello che vorresti e che speri…chissà?!”.
“Chissà!”. Ma come si fa a iniziare un anno nuovo sul “chissà!”? No, io qui – fratelli – devo farvi un augurio che si realizzerà senz’altro: l’unica condizione è che voi lo vogliate davvero. Che augurio sarà?
Per quanto riguarda la buona salute, mettiamocela tutta, ma – come ben sappiamo - dipende solo in parte dalla nostra buona volontà. E così anche per le cose più diverse che fanno la nostra vita e quella delle nostre famiglie: facciamo il possibile, ma tante condizioni non dipendono da noi, e lo sappiamo bene…
Quello che vi auguro invece – e lo auguro anche a me – dipende proprio e solo da noi, ed è che la Fede che abbiamo nel cuore ci accompagni tutti i giorni, sia in quelli sereni sia in quelli nuvolosi: che non ci sia neanche un giorno in cui la Fede dorme; in modo che possiamo non tanto deviare il corso degli eventi (scegliere quelli buoni e scartare quelli cattivi: è da sciocchi pretenderlo!), ma possiamo affrontare tutto – proprio tutto – con dignità, padronanza ed equilibrio cristiano! Questo augurio, fratelli, dipende solo da noi che si realizzi oppure no.
Qualcuno potrebbe dire: eh, un momento…dipende anche dal Signore Dio! – Ma guarda che il Signore Dio si è già impegnato da sempre per realizzare questo buon augurio, Lui la sua parte la fa già…o meglio: aspetta che gli diamo il nostro assenso. Risentiamo le espressioni della prima lettura di oggi: parla chiaro! “Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace!”. Parole della Bibbia queste, cioè parole di Dio: Dio non parla a vanvera, o solo per dire qualcosa…Il Signore farà brillare il suo volto su di te, ti sarà propizio. Ma tu, piuttosto, ti lascerai illuminare dal Signore? Ti lascerai guidare dalle sue indicazioni, dalla sua Parola?
Certo che Lui rivolge su te il suo volto, ma tu…non è che ti volterai dall’altra parte, e farai attenzione a tutto, tranne che a Lui? Certo che il Signore ti concede pace: ma tu la saprai custodire, promuovere questa pace?
Oggi – come ogni Capodanno - è la giornata mondiale della Pace. Ma mai, come in questo Capodanno, sentiamo lancinante la necessità della pace. La cosa strana è che nel mondo di oggi è possibile la pace, perché viene da Dio, è Lui che la concede: “il Signore ti conceda pace”- parole dettate da lui, sono risuonate poco fa’. La concede davvero il Signore la pace! Ma allora perché non la si vede? Perché non la si vuole veramente… Se certi auguri si realizzeranno, non lo sappiamo: non dipende da noi. Ma che questo buon augurio si realizzi, sì: dipende in gran parte da uomini e donne come noi.
E’ l’augurio, in fondo, a vivere con responsabilità il tempo che il Signore ci dona; un anno nuovo è sempre un dono di Dio: noi cristiani dobbiamo adoperarlo bene, con saggezza, con responsabilità. Se non altro perché di ogni dono che ci fa un giorno ci chiederà conto!
La vita non è un limone da spremere e poi buttar via; la vita è un dono da gestire, da vivere con responsabilità. E il Natale che abbiamo appena celebrato era qui proprio ad insegnarci questo: vivere la vita con responsabilità è donarsi, rifiutando decisamente di vivere solo per se stessi.
E’ per insegnarci questo che Dio si è disturbato a venire tra noi.
Fin che ci sono persone che pensano alla vita come a un bene da godere e basta, non ci potranno che essere guerre, violenze e atrocità a questo mondo. La pace comincerà ad arrivare via via che la gente capirà che la vita non è un bene di consumo ma un dono, e che l’unico modo per realizzarla – e goderla davvero – è quello di donarla, vivendola non solo per se stessi. Noi cristiani per primi possiamo condividere questa logica: cos’altro ci insegna il Natale di Dio in mezzo a noi, se non proprio questo?
Perciò, fratelli, auguriamoci di ricevere e gestire con responsabilità questo dono dell’anno nuovo che il Signore depone oggi nelle nostre mani.
Ecco perché dipende anche da noi che vi sia la pace.
Le Letture Bibliche: Numeri 6,22-27; Galati 4,4-7; Luca 2,16-21
Non so se il passaggio dall’anno vecchio a quello nuovo è avvenuto in modo più dimesso e più sobrio del solito: se è così è merito o colpa della crisi economica; del resto perché dovrebbe crescere solo il prezzo del pane quotidiano, o le bollette di vario genere, e non anche il costo dei botti e dello champagne?Poi è vero: c’è sempre una percentuale di persone che nessuna crisi riuscirà mai a scalfire, come c’è dall’altra parte una percentuale crescente di individui e famiglie che la crisi la sperimentano ogni giorno sulla loro pelle… Al che, quando sento parlare di civiltà cristiana riguardo alla nostra Europa, mi vien da dire: finiamola con questi eufemismi, o pietose bugie, se preferite! Quanti sanno che la vita e il tempo (e quindi ogni anno nuovo che comincia) sono doni di Dio? Quanti si ricordano di ringraziarlo, di cominciarlo bene insieme a lui? Forse che bastano quattro botti o un cenone per fare di questo che comincia oggi un buon anno?
Poi però mi fermo con le lamentele perchè questa è una predica: a che serve dire queste cose a persone che non c’entrano per niente? Succedeva spesso in passato nelle chiese che quelli che ci venivano si sentivano rimproverare per quelli che non c’erano. Forse accade ancora. Ebbene, no, è meglio che mi congratuli con voi per il fatto che siete qui, invece che prendermela per quelli che non ci sono. Quindi, fratelli, mi congratulo con voi perchè siete qui a cominciare un anno nuovo nel nome del Signore e – sempre nel nome del Signore – io vi auguro che sia buono.
Buono in che senso? Senz’altro nel senso della buona salute fuori e fuori, nel senso che le cose vadano bene come si spera... però, con tutti i limiti degli auguri: gli auguri vanno fatti, lo sappiamo, ma rivelano anche i limiti di quelli che li fanno…Bello sarebbe poter dire a una persona: “Io farò in modo che tu stia sempre bene di salute… Io voglio che le cose per te vadano tutte dritte…”. Ma questo lo può dire solo chi è onnipotente, senza limiti, non certo noi: nessuno può dare una tale garanzia. Io posso dire soltanto: “Vorrei che fosse così…vorrei ogni bene per te, ma …non posso garantirlo: può anche darsi che le cose vadano in altro modo da quello che vorresti e che speri…chissà?!”.
“Chissà!”. Ma come si fa a iniziare un anno nuovo sul “chissà!”? No, io qui – fratelli – devo farvi un augurio che si realizzerà senz’altro: l’unica condizione è che voi lo vogliate davvero. Che augurio sarà?
Per quanto riguarda la buona salute, mettiamocela tutta, ma – come ben sappiamo - dipende solo in parte dalla nostra buona volontà. E così anche per le cose più diverse che fanno la nostra vita e quella delle nostre famiglie: facciamo il possibile, ma tante condizioni non dipendono da noi, e lo sappiamo bene…
Quello che vi auguro invece – e lo auguro anche a me – dipende proprio e solo da noi, ed è che la Fede che abbiamo nel cuore ci accompagni tutti i giorni, sia in quelli sereni sia in quelli nuvolosi: che non ci sia neanche un giorno in cui la Fede dorme; in modo che possiamo non tanto deviare il corso degli eventi (scegliere quelli buoni e scartare quelli cattivi: è da sciocchi pretenderlo!), ma possiamo affrontare tutto – proprio tutto – con dignità, padronanza ed equilibrio cristiano! Questo augurio, fratelli, dipende solo da noi che si realizzi oppure no.
Qualcuno potrebbe dire: eh, un momento…dipende anche dal Signore Dio! – Ma guarda che il Signore Dio si è già impegnato da sempre per realizzare questo buon augurio, Lui la sua parte la fa già…o meglio: aspetta che gli diamo il nostro assenso. Risentiamo le espressioni della prima lettura di oggi: parla chiaro! “Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace!”. Parole della Bibbia queste, cioè parole di Dio: Dio non parla a vanvera, o solo per dire qualcosa…Il Signore farà brillare il suo volto su di te, ti sarà propizio. Ma tu, piuttosto, ti lascerai illuminare dal Signore? Ti lascerai guidare dalle sue indicazioni, dalla sua Parola?
Certo che Lui rivolge su te il suo volto, ma tu…non è che ti volterai dall’altra parte, e farai attenzione a tutto, tranne che a Lui? Certo che il Signore ti concede pace: ma tu la saprai custodire, promuovere questa pace?
Oggi – come ogni Capodanno - è la giornata mondiale della Pace. Ma mai, come in questo Capodanno, sentiamo lancinante la necessità della pace. La cosa strana è che nel mondo di oggi è possibile la pace, perché viene da Dio, è Lui che la concede: “il Signore ti conceda pace”- parole dettate da lui, sono risuonate poco fa’. La concede davvero il Signore la pace! Ma allora perché non la si vede? Perché non la si vuole veramente… Se certi auguri si realizzeranno, non lo sappiamo: non dipende da noi. Ma che questo buon augurio si realizzi, sì: dipende in gran parte da uomini e donne come noi.
E’ l’augurio, in fondo, a vivere con responsabilità il tempo che il Signore ci dona; un anno nuovo è sempre un dono di Dio: noi cristiani dobbiamo adoperarlo bene, con saggezza, con responsabilità. Se non altro perché di ogni dono che ci fa un giorno ci chiederà conto!
La vita non è un limone da spremere e poi buttar via; la vita è un dono da gestire, da vivere con responsabilità. E il Natale che abbiamo appena celebrato era qui proprio ad insegnarci questo: vivere la vita con responsabilità è donarsi, rifiutando decisamente di vivere solo per se stessi.
E’ per insegnarci questo che Dio si è disturbato a venire tra noi.
Fin che ci sono persone che pensano alla vita come a un bene da godere e basta, non ci potranno che essere guerre, violenze e atrocità a questo mondo. La pace comincerà ad arrivare via via che la gente capirà che la vita non è un bene di consumo ma un dono, e che l’unico modo per realizzarla – e goderla davvero – è quello di donarla, vivendola non solo per se stessi. Noi cristiani per primi possiamo condividere questa logica: cos’altro ci insegna il Natale di Dio in mezzo a noi, se non proprio questo?
Perciò, fratelli, auguriamoci di ricevere e gestire con responsabilità questo dono dell’anno nuovo che il Signore depone oggi nelle nostre mani.
Ecco perché dipende anche da noi che vi sia la pace.
25 Dicembre 2022 - Natale del Signore
Le Letture Bibliche: Isaia 52,7-10; Ebrei 1,1-6; Giovanni 1,1-18
A scanso di equivoci, premetto subito che non ho cose nuove da dirvi, fratelli: la novità - se di novità si tratta - l'avete già sentita e la conoscete. Se qualcuno vi chiedesse oggi:"Che cosa ha detto il prete alla messa?" potreste rispondere: "oh, sempre le stesse cose...". E non avreste tutti i torti. Però una persona in questi giorni mi esprimeva un’altra opinione: "Per fortuna – mi diceva – almeno a Natale, son sempre le stesse cose... Per fortuna Dio è fedele, non si smentisce mai, e ci viene incontro".
La predica di Natale può essere soltanto eco, risonanza di quella notizia che da sempre conoscete: chi c'era alla messa di questa notte potrà dire che quest'eco l'ha già sentita, ma non importa: una bella notizia, attesa, desiderata, non ci si stanca mai di risentirla; magari si dice alla persona che ce la porta:"Dài, dimmela un'altra volta!".
"Dopo aver parlato molte volte per mezzo di profeti... (era una lettura di poco fa’) Dio ha parlato a noi per mezzo di suo Figlio": come si fa a dire, a Natale, che Dio è muto, che non parla, che non si sentono le sue parole? Occorre esser sordi e ciechi nel cuore per affermarlo. - "Il Verbo - cioè la Parola di Dio - si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi".
Sì, ma nel modo che vuole Lui viene, non come parrebbe logico a noi. Dio, l'immensamente grande, sceglie la via della piccolezza, della fragilità: un bambino! La cosa più sorprendente per i pastori di Betlemme non era il vedere angeli svolazzanti sopra le loro teste, ma il sapere che avrebbero trovato Dio in un bambino avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia: questo sì che era sorprendente, inaudito, impensabile. Piccolo come ogni essere umano che nasce dal grembo di una donna; piccolo e insignificante, tanto da arrivare inosservato perfino tra la gente che avrebbe dovuto conoscerlo e accoglierlo. “Venne tra i suoi – ci ha detto poco fa il Vangelo – ma i suoi non l’hanno accolto”.
Non è normale che Dio si comporti così. Da che mondo è mondo chi si sente importante e grande si impone con potenza, con sfarzo, fa sentire la sua superiorità con tutti i mezzi adeguati a shoccare la gente... Non è forse così che anche nel nostro mondo di oggi si dà prova di grandezza, di superiorità, di arroganza alla fin fine?
Ebbene, Dio non ci sta a questo gioco. Per lui lo stile è esattamente l’opposto. Proprio nel farsi piccolo Egli si rivela davvero grande E non è affatto una scelta dovuta a debolezza la sua - notate bene - è una scelta d'amore: una coraggiosa scelta d'amore. Ci vuole più coraggio a scendere, ad abbassarsi, che non a salire. E' questo che ha fatto Dio.
Noi siamo qui a celebrare proprio quell'evento, che stona decisamente con certa mentalità molto diffusa al giorno d'oggi, e che forse pure noi condividiamo, magari senza accorgerci: quale? Direte. Beh, basta guardarsi attorno: non mi pare che piccolezza, semplicità, attenzione per chi è povero e fragile, siano i criteri che smuovono il mondo. Non mi pare. Anzi, tutt'altro! Ecco perchè il Natale, nella sua essenza, è perfino inquietante per chi lo prende sul serio. Infatti, per cos’altro è che si cerca di neutralizzarlo, di mascherarlo con un miscuglio di mille altre cose che molto spesso hanno il sapore delle corbellerie.
Fratelli, vi auguro di accogliere il Natale per quello che è veramente: Dio che viene, piccolo e povero e debole, con l'unico obiettivo di stare con noi e di insegnarci, vivendo con noi, quali sono le cose vere con le quali costruire la vita e il futuro di tutti.
Diciamo pure Buon Natale alle persone che amiamo e che incontriamo, ma ricordiamoci che questo maugurio sarà vero solo se noi e loro sappiamo piegarci davanti a questo Dio che si fa piccolo per amore: piegarci per imparare qualcosa, se non altro a rivedere la nostra mentalità, i nostri ideali e criteri di vita.
Ricordiamoci che Buon Natale può dirlo con verità solo chi è consapevole che la vera grandezza sta nello scendere, nel dedicare attenzione a chi è debole, povero, trascurato.
Questa è la vera superiorità di cui Dio ci ha dato l’esempio: solo questa. E se c'è da salire, è la croce l'unica altezza da salire: per amore.
Ecco cosa ci ha insegnato il nostro Dio, fratelli. Il fascino di questo insegnamento riempia i nostri cuori e rinnovi la nostra mentalità: è il mio augurio di Buon Natale a ciascuno di voi.
Le Letture Bibliche: Isaia 52,7-10; Ebrei 1,1-6; Giovanni 1,1-18
A scanso di equivoci, premetto subito che non ho cose nuove da dirvi, fratelli: la novità - se di novità si tratta - l'avete già sentita e la conoscete. Se qualcuno vi chiedesse oggi:"Che cosa ha detto il prete alla messa?" potreste rispondere: "oh, sempre le stesse cose...". E non avreste tutti i torti. Però una persona in questi giorni mi esprimeva un’altra opinione: "Per fortuna – mi diceva – almeno a Natale, son sempre le stesse cose... Per fortuna Dio è fedele, non si smentisce mai, e ci viene incontro".
La predica di Natale può essere soltanto eco, risonanza di quella notizia che da sempre conoscete: chi c'era alla messa di questa notte potrà dire che quest'eco l'ha già sentita, ma non importa: una bella notizia, attesa, desiderata, non ci si stanca mai di risentirla; magari si dice alla persona che ce la porta:"Dài, dimmela un'altra volta!".
"Dopo aver parlato molte volte per mezzo di profeti... (era una lettura di poco fa’) Dio ha parlato a noi per mezzo di suo Figlio": come si fa a dire, a Natale, che Dio è muto, che non parla, che non si sentono le sue parole? Occorre esser sordi e ciechi nel cuore per affermarlo. - "Il Verbo - cioè la Parola di Dio - si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi".
Sì, ma nel modo che vuole Lui viene, non come parrebbe logico a noi. Dio, l'immensamente grande, sceglie la via della piccolezza, della fragilità: un bambino! La cosa più sorprendente per i pastori di Betlemme non era il vedere angeli svolazzanti sopra le loro teste, ma il sapere che avrebbero trovato Dio in un bambino avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia: questo sì che era sorprendente, inaudito, impensabile. Piccolo come ogni essere umano che nasce dal grembo di una donna; piccolo e insignificante, tanto da arrivare inosservato perfino tra la gente che avrebbe dovuto conoscerlo e accoglierlo. “Venne tra i suoi – ci ha detto poco fa il Vangelo – ma i suoi non l’hanno accolto”.
Non è normale che Dio si comporti così. Da che mondo è mondo chi si sente importante e grande si impone con potenza, con sfarzo, fa sentire la sua superiorità con tutti i mezzi adeguati a shoccare la gente... Non è forse così che anche nel nostro mondo di oggi si dà prova di grandezza, di superiorità, di arroganza alla fin fine?
Ebbene, Dio non ci sta a questo gioco. Per lui lo stile è esattamente l’opposto. Proprio nel farsi piccolo Egli si rivela davvero grande E non è affatto una scelta dovuta a debolezza la sua - notate bene - è una scelta d'amore: una coraggiosa scelta d'amore. Ci vuole più coraggio a scendere, ad abbassarsi, che non a salire. E' questo che ha fatto Dio.
Noi siamo qui a celebrare proprio quell'evento, che stona decisamente con certa mentalità molto diffusa al giorno d'oggi, e che forse pure noi condividiamo, magari senza accorgerci: quale? Direte. Beh, basta guardarsi attorno: non mi pare che piccolezza, semplicità, attenzione per chi è povero e fragile, siano i criteri che smuovono il mondo. Non mi pare. Anzi, tutt'altro! Ecco perchè il Natale, nella sua essenza, è perfino inquietante per chi lo prende sul serio. Infatti, per cos’altro è che si cerca di neutralizzarlo, di mascherarlo con un miscuglio di mille altre cose che molto spesso hanno il sapore delle corbellerie.
Fratelli, vi auguro di accogliere il Natale per quello che è veramente: Dio che viene, piccolo e povero e debole, con l'unico obiettivo di stare con noi e di insegnarci, vivendo con noi, quali sono le cose vere con le quali costruire la vita e il futuro di tutti.
Diciamo pure Buon Natale alle persone che amiamo e che incontriamo, ma ricordiamoci che questo maugurio sarà vero solo se noi e loro sappiamo piegarci davanti a questo Dio che si fa piccolo per amore: piegarci per imparare qualcosa, se non altro a rivedere la nostra mentalità, i nostri ideali e criteri di vita.
Ricordiamoci che Buon Natale può dirlo con verità solo chi è consapevole che la vera grandezza sta nello scendere, nel dedicare attenzione a chi è debole, povero, trascurato.
Questa è la vera superiorità di cui Dio ci ha dato l’esempio: solo questa. E se c'è da salire, è la croce l'unica altezza da salire: per amore.
Ecco cosa ci ha insegnato il nostro Dio, fratelli. Il fascino di questo insegnamento riempia i nostri cuori e rinnovi la nostra mentalità: è il mio augurio di Buon Natale a ciascuno di voi.
18 Dicembre 2022 - IV° Domenica d'Avvento
Le Letture Bibliche: Isaia 7,10-14; Romani 1,1-7; Matteo 1,18-24
Mi è sembrato di intravedere una certa fretta quest’anno nel preparare i presepi, sia nelle chiese, sia nelle case o nelle piazze… come se non si vedesse l’ora che arrivi il Natale. D’altronde è pur vero: i presepi più belli son quelli che si preparano prima del tempo, anzi da lontano…
E i personaggi non si dispongono tutti e subito: alcuni vengono prima, Gesù Bambino viene dopo. A voler essere esatti poi, i pastori verrebbero dopo di lui, e i magi alla fine della processione. Ma io sono dell’idea che quando uno fa il presepio in casa sua, farebbe bene a metterci anche se stesso prima o poi, e i suoi familiari insieme a lui. Senza di noi, i nostri presepi non sono completi. A parte questo, oggi abbiamo già due personaggi sulla scena: il primo è un re che è vissuto diversi secoli prima del presepio, ma lo prepara da lontano: Acaz si chiama. L’altro lo conosciamo meglio: è Giuseppe. (Maria, per intanto, è ancora sullo sfondo). Acaz e Giuseppe sono due personaggi interessanti, tanto diversi da essere addirittura l’uno l’opposto dell’altro. Giuseppe si fida di Dio. Acaz invece no. E’ re di Gerusalemme costui (ce ne parlava la prima lettura); un giorno, mentre sta passeggiando per i giardini del suo palazzo, è in preda all’agitazione perché il suo piccolo regno rischia di venire ingoiato da una grande potenza: è l’Assiria, che sta conquistando tutti i regni e i paesi del Medio Oriente. Anche Gerusalemme è lì lì per finire tra le sue grinfie: ecco perchè il re Acaz è preoccupato e non sa che soluzioni prendere. Dopo che si è consultato con i suoi consiglieri, gli viene incontro il profeta, Isaia: “Perchè non chiedi al Signore, che ti suggerisca lui una soluzione? Perchè non gli domandi un segno?”. Acaz era un credente: era re di un popolo che si chiamava “il popolo di Dio”. “Ma figurati se chiederò un segno al Signore! - risponde – Il Signore non c’entra con queste cose!”. Si, era un credente quel re, ma in Dio non credeva affatto. La Fede per lui era qualcosa di superfluo di cui si può anche far senza. Come sono molti a pensare. Ah, certo...a Natale sta anche bene un po’ di religiosità, magari mescolata al folklore: Acaz non mancava mai alle grandi celebrazioni del Tempio. “Ma poi nella vita sei tu che te la devi cavare - pensava – tu con le tue capacità , con le tue risorse. Cosa c’entra Dio? Dio va bene come ornamento ogni tanto e basta”. Ecco il primo personaggio del presepio: uno che fa finta di credere nel Signore ma che è tutto fuor che un credente. “Ebbene, che tu lo chieda o no, - gli risponde Isaia, il profeta - Dio stesso vi darà un segno: la vergine darà alla luce un figlio (il profeta parlava della giovane moglie di Acaz, si erano sposati da poco); quel figlio che nascerà sarà il segno che Dio è con voi. Potrai chiamarlo così: Emmanuele, che vuol dire Dio è con noi”. Ma a che serve che Dio sia con voi, se voi non vi fidate di lui?
Giuseppe è l’altro personaggio del presepio.
Un uomo che si trova alle prese con il proprio matrimonio da preparare, e già sorgono i problemi: la sua futura sposa è già in attesa di un bambino. Giuseppe intuisce che in quella vicenda c’entra probabilmente Dio, Dio stesso, e a quel punto pensa che la soluzione migliore sia quella di ritirarsi e lasciar perdere. Perché? Perché è un uomo giusto Giuseppe. Nel linguaggio del Vangelo non c’è definizione più sobria e più bella di questa. "Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusare pubblicamente Maria, pensò di ripudiarla in segreto." Se Maria fa parte di un progetto più grande, divino addirittura, è bene che faccia la sua strada con Dio. Dio per Giuseppe – uomo giusto - non è solo un ornamento. L’uomo è giusto, per la Bibbia, quando preferisce i disegni di Dio alle sue opinioni o progetti personali. E infatti i disegni di Dio vanno molto aldilà dei progetti di Giuseppe: “Non temere di prendere con te Maria tua sposa – si sente dire - perchè, è vero: il bambino che lei porta in grembo viene dallo Spirito Santo, ma sarai tu che gli porrai nome Gesù”. Per il popolo della Bibbia, dare il nome a un bambino era come dire. “Questo è mio figlio e io sono suo padre”. E Giuseppe acconsente: “fece come il Signore gli aveva detto”. Se Maria è madre di Gesù perché l’ha partorito, Giuseppe è vero padre di Gesù perché gli ha dato il nome e l’ha fatto crescere. Genitori si fa presto a diventarlo: per generare basta poco. Padri lo si diventa un po' alla volta…e non senza molto impegno, e anche fatica. Giuseppe lo è diventato, con tutto un apprendistato, anche faticoso (che i Vangeli non dicono, ma lasciano indovinare): fatica nell’aderire a un progetto che oltrepassava la sua capacità di comprendere, fatica nel decifrarne le tappe dentro gli eventi – spesso inspiegabili e contorti. Fatica nell’obbedire a Dio con costanza - e probabilmente senza tutta quella luce e quello svolazzare di angeli che una lettura superficiale del Vangelo lascerebbe supporre.
La differenza tra il re Acaz e Giuseppe sta qui: l’uno fa finta d’esser credente (Dio per lui è solo un ornamento), l’altro ... credente lo è per davvero: Dio per lui è una presenza, un Assoluto buono di cui val la pena fidarsi, e che proprio per questo ha diritto di modificare i piani delle persone e di cambiare anche i loro progetti, se lo ritiene opportuno.
Non pensate fratelli che andrebbe meglio il mondo se ci fossero più donne e più uomini “giusti” come Giuseppe?
Per entrare nella nostra carovana umana e orientarla verso un futuro “vivibile” e “buono”, Dio ha bisogno di persone disponibili: come il sole, che per entrare nelle nostre case ha bisogno di finestre. Le porte e le finestre che permettono a Dio di entrare, sono le donne gli uomini giusti come Giuseppe. Il Natale, lo sapete, non lo faremo noi: ce lo farà il Signore. E allora diamogli fiducia! Sia nostra ambizione, nostro vanto, vivere, decidere e fare non secondo noi, ma secondo quello che lui ci dice, ci insegna, ci domanda.
E visto che è già tempo di auguri, è proprio questo che vi auguro: non solo di preparare il presepio, ma di entrarci, di trovare lì vostro posto, di far parte a pieno titolo di quel presepio.
Le Letture Bibliche: Isaia 7,10-14; Romani 1,1-7; Matteo 1,18-24
Mi è sembrato di intravedere una certa fretta quest’anno nel preparare i presepi, sia nelle chiese, sia nelle case o nelle piazze… come se non si vedesse l’ora che arrivi il Natale. D’altronde è pur vero: i presepi più belli son quelli che si preparano prima del tempo, anzi da lontano…
E i personaggi non si dispongono tutti e subito: alcuni vengono prima, Gesù Bambino viene dopo. A voler essere esatti poi, i pastori verrebbero dopo di lui, e i magi alla fine della processione. Ma io sono dell’idea che quando uno fa il presepio in casa sua, farebbe bene a metterci anche se stesso prima o poi, e i suoi familiari insieme a lui. Senza di noi, i nostri presepi non sono completi. A parte questo, oggi abbiamo già due personaggi sulla scena: il primo è un re che è vissuto diversi secoli prima del presepio, ma lo prepara da lontano: Acaz si chiama. L’altro lo conosciamo meglio: è Giuseppe. (Maria, per intanto, è ancora sullo sfondo). Acaz e Giuseppe sono due personaggi interessanti, tanto diversi da essere addirittura l’uno l’opposto dell’altro. Giuseppe si fida di Dio. Acaz invece no. E’ re di Gerusalemme costui (ce ne parlava la prima lettura); un giorno, mentre sta passeggiando per i giardini del suo palazzo, è in preda all’agitazione perché il suo piccolo regno rischia di venire ingoiato da una grande potenza: è l’Assiria, che sta conquistando tutti i regni e i paesi del Medio Oriente. Anche Gerusalemme è lì lì per finire tra le sue grinfie: ecco perchè il re Acaz è preoccupato e non sa che soluzioni prendere. Dopo che si è consultato con i suoi consiglieri, gli viene incontro il profeta, Isaia: “Perchè non chiedi al Signore, che ti suggerisca lui una soluzione? Perchè non gli domandi un segno?”. Acaz era un credente: era re di un popolo che si chiamava “il popolo di Dio”. “Ma figurati se chiederò un segno al Signore! - risponde – Il Signore non c’entra con queste cose!”. Si, era un credente quel re, ma in Dio non credeva affatto. La Fede per lui era qualcosa di superfluo di cui si può anche far senza. Come sono molti a pensare. Ah, certo...a Natale sta anche bene un po’ di religiosità, magari mescolata al folklore: Acaz non mancava mai alle grandi celebrazioni del Tempio. “Ma poi nella vita sei tu che te la devi cavare - pensava – tu con le tue capacità , con le tue risorse. Cosa c’entra Dio? Dio va bene come ornamento ogni tanto e basta”. Ecco il primo personaggio del presepio: uno che fa finta di credere nel Signore ma che è tutto fuor che un credente. “Ebbene, che tu lo chieda o no, - gli risponde Isaia, il profeta - Dio stesso vi darà un segno: la vergine darà alla luce un figlio (il profeta parlava della giovane moglie di Acaz, si erano sposati da poco); quel figlio che nascerà sarà il segno che Dio è con voi. Potrai chiamarlo così: Emmanuele, che vuol dire Dio è con noi”. Ma a che serve che Dio sia con voi, se voi non vi fidate di lui?
Giuseppe è l’altro personaggio del presepio.
Un uomo che si trova alle prese con il proprio matrimonio da preparare, e già sorgono i problemi: la sua futura sposa è già in attesa di un bambino. Giuseppe intuisce che in quella vicenda c’entra probabilmente Dio, Dio stesso, e a quel punto pensa che la soluzione migliore sia quella di ritirarsi e lasciar perdere. Perché? Perché è un uomo giusto Giuseppe. Nel linguaggio del Vangelo non c’è definizione più sobria e più bella di questa. "Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusare pubblicamente Maria, pensò di ripudiarla in segreto." Se Maria fa parte di un progetto più grande, divino addirittura, è bene che faccia la sua strada con Dio. Dio per Giuseppe – uomo giusto - non è solo un ornamento. L’uomo è giusto, per la Bibbia, quando preferisce i disegni di Dio alle sue opinioni o progetti personali. E infatti i disegni di Dio vanno molto aldilà dei progetti di Giuseppe: “Non temere di prendere con te Maria tua sposa – si sente dire - perchè, è vero: il bambino che lei porta in grembo viene dallo Spirito Santo, ma sarai tu che gli porrai nome Gesù”. Per il popolo della Bibbia, dare il nome a un bambino era come dire. “Questo è mio figlio e io sono suo padre”. E Giuseppe acconsente: “fece come il Signore gli aveva detto”. Se Maria è madre di Gesù perché l’ha partorito, Giuseppe è vero padre di Gesù perché gli ha dato il nome e l’ha fatto crescere. Genitori si fa presto a diventarlo: per generare basta poco. Padri lo si diventa un po' alla volta…e non senza molto impegno, e anche fatica. Giuseppe lo è diventato, con tutto un apprendistato, anche faticoso (che i Vangeli non dicono, ma lasciano indovinare): fatica nell’aderire a un progetto che oltrepassava la sua capacità di comprendere, fatica nel decifrarne le tappe dentro gli eventi – spesso inspiegabili e contorti. Fatica nell’obbedire a Dio con costanza - e probabilmente senza tutta quella luce e quello svolazzare di angeli che una lettura superficiale del Vangelo lascerebbe supporre.
La differenza tra il re Acaz e Giuseppe sta qui: l’uno fa finta d’esser credente (Dio per lui è solo un ornamento), l’altro ... credente lo è per davvero: Dio per lui è una presenza, un Assoluto buono di cui val la pena fidarsi, e che proprio per questo ha diritto di modificare i piani delle persone e di cambiare anche i loro progetti, se lo ritiene opportuno.
Non pensate fratelli che andrebbe meglio il mondo se ci fossero più donne e più uomini “giusti” come Giuseppe?
Per entrare nella nostra carovana umana e orientarla verso un futuro “vivibile” e “buono”, Dio ha bisogno di persone disponibili: come il sole, che per entrare nelle nostre case ha bisogno di finestre. Le porte e le finestre che permettono a Dio di entrare, sono le donne gli uomini giusti come Giuseppe. Il Natale, lo sapete, non lo faremo noi: ce lo farà il Signore. E allora diamogli fiducia! Sia nostra ambizione, nostro vanto, vivere, decidere e fare non secondo noi, ma secondo quello che lui ci dice, ci insegna, ci domanda.
E visto che è già tempo di auguri, è proprio questo che vi auguro: non solo di preparare il presepio, ma di entrarci, di trovare lì vostro posto, di far parte a pieno titolo di quel presepio.
11 Dicembre 2022 - III° Domenica d'Avvento + "Gaudète"
Le Letture Bibliche: Isaia 35,1-6.8.10; Giacomo 5,7-10; Matteo 11,2-11
Come ogni Domenica, anche oggi noi abbiamo sentito delle parole che possono passar sopra le nostre teste senza farci né caldo né freddo… oppure possono darci un’immensa gioia. E di conseguenza noi potremmo o uscire dalla Messa esattamente come ci siamo venuti (con i volti tesi, per il freddo, ma più facilmente per qualche preoccupazione che ci pesa sul cuore) oppure uscire saltando e gridando di gioia… (Beh, i più anziani potrebbero limitarsi a gridare… saltare, no, piano: se no corrono il rischio di rompersi qualche femore…).E per quale ragione dovremmo metterci a gridare e saltare di gioia? Per quello che abbiamo sentito poco fa’: “Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio: viene a salvarvi!”. Era il profeta Isaia a dire queste parole, migliaia di anni fa’. Come può essere che parole dette o scritte migliaia di anni fa’ possano dare gioia e entusiasmo a noi? Il motivo ve l’ho già detto Domenica scorsa, ma val la pena riprenderlo: il profeta Isaia non non era in grado di prevedere che migliaia di anni dopo saremmo venuti al mondo noi e avremmo risentito le sue parole… No, questo è sicuro. Ma Dio, il Signore che ispirava quelle parole, ah Dio sì che era in grado di pensare a noi! Lui vedeva i nostri volti, prevedeva le nostre storie di vita, sapeva già da allora i nostri nomi…E allora, proprio con queste parole, è a me, a te, a ciascuno di noi che si rivolge oggi il Signore: “Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Voi, smarriti di cuore: Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio: viene a salvarvi!”.
Anche noi a volte diciamo a qualche persona: “Coraggio! Non avere paura”… Però, siamo in grado poi di darle effettivamente coraggio? Eh, non basta dirlo! A meno che non sia il Signore a dirci “Coraggio! Non temete”…, ah allora è diverso. Lui sì che può darcelo il coraggio, e perché? Perché “ecco il vostro Dio! Egli viene a salvarvi!”. Sì, fratelli: se queste parole le lasciamo entrare nel cuore (invece che lasciarle scorrere sopra le nostre teste) potremo metterci a gridare e a saltare di gioia … anche chi ha le gambe malferme, o è stonato o di poche parole… infatti il profeta aggiungeva che “allora lo zoppo salterà come un cervo e griderà di gioia la lingua del muto…”. Perché il Signore viene a salvarvi.
Da che cosa viene a salvarci? Dalle malattie che potrebbero colpirci, o da quelle che già ci portiamo dietro da tempo? Dai rischi di dover pagare un caro prezzo alla crisi economica in atto? Quei bambini intirizziti dal freddo che vivono nei campi profughi della Siria, o nei rifugi dell’Ukraina, forse che il Signore li salverà dal freddo gelido, o dai bombardamenti? E quelli che già sono stati colpiti, dilaniati, forse che li guarirà, o restituirà la vita strappata a quelli che non ci sono più?
A prima vista, stando al vangelo di oggi, sembrerebbe di sì: “Andate e riferite a Giovanni Battista ciò che vedete – afferma Gesù: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano…”. E’ certo che Gesù ha operato guarigioni, ha richiamato anche morti alla vita… Lo poteva fare, del resto, perché lui è il Figlio di Dio. Ma non penso che Gesù abbia guarito tutti i malati che c’erano in Palestina al suo tempo, tantomeno ha risuscitato tutti i morti… E perché non l’ha fatto, se è vero che poteva farlo? Anzi, perché non continua a farlo anche al giorno d’oggi, se è vero che è risorto ed è vivo?
Io penso che la spiegazione sia molto semplice: perché questo non è assolutamente importante. E lo vediamo, ne abbiamo le prove. Eccone una: come sapete, al giorno d’oggi la medicina, è arrivata a trovare soluzioni e rimedi che a volte sono davvero prodigiosi: quante persone hanno ripreso a vivere grazie a interventi… senza dei quali sarebbero state spacciate… Interventi impensabili in passato. Ebbene, quelle persone che hanno ricuperato la salute e hanno ripreso a vivere, sono anche diventate migliori, più equilibrate, più affidabili, più generose, più credenti? Alcune sì, ma altre sono rimaste tali e quali di prima: con gli stessi difetti, stesse piccinerie, stessa vita grigia e povera di senso… Insomma, saranno state guarite, ma salvate… no. Salvare è competenza di Dio, di Gesù.
E i suoi interventi partono sempre in profondità, dal cuore diciamo noi: che non è l’organo anatomico che abbiamo qui… un po’ a sinistra, ma è l’intimo di ogni persona, là dove nessun altro può entrare e nessun bisturi può arrivare, là dove ognuno prende le sue decisioni in bene o in male: ecco dove comincia l’intervento del Signore, cioè la salvezza. E se lì entra la salvezza, allora le gambe – che erano malate – possono continuare a restare malate, e gli occhi – che erano ciechi – possono continuare a non vedere… ma quella persona comprende e vede con il cuore molto più chiaramente di chi ha occhi buoni come un’aquila, o progredisce e matura meglio di chi cammina speditamente! S.Agostino diceva nel suo bel latino: “Melius it claudus in via, quam cursor praeter viam!” – “Cammina meglio uno zoppo sulla strada giusta che un corridore fuori da quella strada!”.
E’ questa infatti la competenza di Dio, di Gesù: salvarci, cioè trasformarci nell’intimo, dove la nostra vita ha bisogno di senso, di luce, di motivi per non cadere nel grigiore. Forse noi, fratelli, siamo ancora tra quelli che si scandalizzano perché Dio non interviene ad aggiustare le cose storte, come e quando vorremmo noi. O quando lo preghiamo per avere subito certi favori – o la soluzione di un problema e non l’otteniamo… Allora ci scandalizziamo, perché ci pare che Dio non sia affatto onnipotente e buono come credevamo…come pensò anche Giovanni Battista, che dalla prigione dove era rinchiuso mandò a chiedergli: “Ma insomma, sei tu quel tale che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. E Gesù risponde - a lui e anche a noi oggi: “Beato chi non si scandalizza di me!”. Beato chi comprende che la salvezza è molto più preziosa di qualsiasi altra grazia che gli potrei fare. Beato chi mi dà fiducia e mi apre la porta del suo cuore: costui sì che salterà e griderà di gioia, anche se è zoppo, o sordo o cieco… Io infatti vengo per salvarvi, non per portarvi un dono o un regalo da aggiungere agli altri…
Salvezza può sembrare una parola astratta, fratelli. Ma allora preghiamo Dio che ce la renda familiare, e ce ne faccia sentire il bisogno estremamente concreto, così da desiderarla con ardente passione, più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Le Letture Bibliche: Isaia 35,1-6.8.10; Giacomo 5,7-10; Matteo 11,2-11
Come ogni Domenica, anche oggi noi abbiamo sentito delle parole che possono passar sopra le nostre teste senza farci né caldo né freddo… oppure possono darci un’immensa gioia. E di conseguenza noi potremmo o uscire dalla Messa esattamente come ci siamo venuti (con i volti tesi, per il freddo, ma più facilmente per qualche preoccupazione che ci pesa sul cuore) oppure uscire saltando e gridando di gioia… (Beh, i più anziani potrebbero limitarsi a gridare… saltare, no, piano: se no corrono il rischio di rompersi qualche femore…).E per quale ragione dovremmo metterci a gridare e saltare di gioia? Per quello che abbiamo sentito poco fa’: “Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio: viene a salvarvi!”. Era il profeta Isaia a dire queste parole, migliaia di anni fa’. Come può essere che parole dette o scritte migliaia di anni fa’ possano dare gioia e entusiasmo a noi? Il motivo ve l’ho già detto Domenica scorsa, ma val la pena riprenderlo: il profeta Isaia non non era in grado di prevedere che migliaia di anni dopo saremmo venuti al mondo noi e avremmo risentito le sue parole… No, questo è sicuro. Ma Dio, il Signore che ispirava quelle parole, ah Dio sì che era in grado di pensare a noi! Lui vedeva i nostri volti, prevedeva le nostre storie di vita, sapeva già da allora i nostri nomi…E allora, proprio con queste parole, è a me, a te, a ciascuno di noi che si rivolge oggi il Signore: “Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Voi, smarriti di cuore: Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio: viene a salvarvi!”.
Anche noi a volte diciamo a qualche persona: “Coraggio! Non avere paura”… Però, siamo in grado poi di darle effettivamente coraggio? Eh, non basta dirlo! A meno che non sia il Signore a dirci “Coraggio! Non temete”…, ah allora è diverso. Lui sì che può darcelo il coraggio, e perché? Perché “ecco il vostro Dio! Egli viene a salvarvi!”. Sì, fratelli: se queste parole le lasciamo entrare nel cuore (invece che lasciarle scorrere sopra le nostre teste) potremo metterci a gridare e a saltare di gioia … anche chi ha le gambe malferme, o è stonato o di poche parole… infatti il profeta aggiungeva che “allora lo zoppo salterà come un cervo e griderà di gioia la lingua del muto…”. Perché il Signore viene a salvarvi.
Da che cosa viene a salvarci? Dalle malattie che potrebbero colpirci, o da quelle che già ci portiamo dietro da tempo? Dai rischi di dover pagare un caro prezzo alla crisi economica in atto? Quei bambini intirizziti dal freddo che vivono nei campi profughi della Siria, o nei rifugi dell’Ukraina, forse che il Signore li salverà dal freddo gelido, o dai bombardamenti? E quelli che già sono stati colpiti, dilaniati, forse che li guarirà, o restituirà la vita strappata a quelli che non ci sono più?
A prima vista, stando al vangelo di oggi, sembrerebbe di sì: “Andate e riferite a Giovanni Battista ciò che vedete – afferma Gesù: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano…”. E’ certo che Gesù ha operato guarigioni, ha richiamato anche morti alla vita… Lo poteva fare, del resto, perché lui è il Figlio di Dio. Ma non penso che Gesù abbia guarito tutti i malati che c’erano in Palestina al suo tempo, tantomeno ha risuscitato tutti i morti… E perché non l’ha fatto, se è vero che poteva farlo? Anzi, perché non continua a farlo anche al giorno d’oggi, se è vero che è risorto ed è vivo?
Io penso che la spiegazione sia molto semplice: perché questo non è assolutamente importante. E lo vediamo, ne abbiamo le prove. Eccone una: come sapete, al giorno d’oggi la medicina, è arrivata a trovare soluzioni e rimedi che a volte sono davvero prodigiosi: quante persone hanno ripreso a vivere grazie a interventi… senza dei quali sarebbero state spacciate… Interventi impensabili in passato. Ebbene, quelle persone che hanno ricuperato la salute e hanno ripreso a vivere, sono anche diventate migliori, più equilibrate, più affidabili, più generose, più credenti? Alcune sì, ma altre sono rimaste tali e quali di prima: con gli stessi difetti, stesse piccinerie, stessa vita grigia e povera di senso… Insomma, saranno state guarite, ma salvate… no. Salvare è competenza di Dio, di Gesù.
E i suoi interventi partono sempre in profondità, dal cuore diciamo noi: che non è l’organo anatomico che abbiamo qui… un po’ a sinistra, ma è l’intimo di ogni persona, là dove nessun altro può entrare e nessun bisturi può arrivare, là dove ognuno prende le sue decisioni in bene o in male: ecco dove comincia l’intervento del Signore, cioè la salvezza. E se lì entra la salvezza, allora le gambe – che erano malate – possono continuare a restare malate, e gli occhi – che erano ciechi – possono continuare a non vedere… ma quella persona comprende e vede con il cuore molto più chiaramente di chi ha occhi buoni come un’aquila, o progredisce e matura meglio di chi cammina speditamente! S.Agostino diceva nel suo bel latino: “Melius it claudus in via, quam cursor praeter viam!” – “Cammina meglio uno zoppo sulla strada giusta che un corridore fuori da quella strada!”.
E’ questa infatti la competenza di Dio, di Gesù: salvarci, cioè trasformarci nell’intimo, dove la nostra vita ha bisogno di senso, di luce, di motivi per non cadere nel grigiore. Forse noi, fratelli, siamo ancora tra quelli che si scandalizzano perché Dio non interviene ad aggiustare le cose storte, come e quando vorremmo noi. O quando lo preghiamo per avere subito certi favori – o la soluzione di un problema e non l’otteniamo… Allora ci scandalizziamo, perché ci pare che Dio non sia affatto onnipotente e buono come credevamo…come pensò anche Giovanni Battista, che dalla prigione dove era rinchiuso mandò a chiedergli: “Ma insomma, sei tu quel tale che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. E Gesù risponde - a lui e anche a noi oggi: “Beato chi non si scandalizza di me!”. Beato chi comprende che la salvezza è molto più preziosa di qualsiasi altra grazia che gli potrei fare. Beato chi mi dà fiducia e mi apre la porta del suo cuore: costui sì che salterà e griderà di gioia, anche se è zoppo, o sordo o cieco… Io infatti vengo per salvarvi, non per portarvi un dono o un regalo da aggiungere agli altri…
Salvezza può sembrare una parola astratta, fratelli. Ma allora preghiamo Dio che ce la renda familiare, e ce ne faccia sentire il bisogno estremamente concreto, così da desiderarla con ardente passione, più di qualsiasi altra cosa al mondo.
8 Dicembre 2022 - Immacolata Concezione di Maria
Le Letture Bibliche: Genesi 3,9-15.20; Efesini 1,3-6.11-12; Luca 1,26-38
Passato, presente, futuro… fin dalle scuole elementari si insegna a distingue tra passato, presente e futuro.
Quello che interessa di più tra questi tre (quello che riscuote il più alto indice di attenzione) è certamente il futuro. Come sarà il futuro? Certo, un giovane lo pensa, lo sogna, lo immagina, diverso da come lo pensa (o lo teme) un anziano…Alcuni lo desiderano, altri lo guardano con apprensione… In ogni caso, nessuno può far a meno di pensarci.
E oltre che pensarci, bisogna anche darsi le mani d’attorno, perché – se è pur vero che in buona parte non dipende da noi, è anche vero che per quella parte che dipende da noi, è necessario prepararlo, costruirlo, mettere le basi… mica si può aspettare che il futuro ci venga addosso.
E’ qui, però, che cominciano a sorgere i problemi. Cosa vuol dire mettere le basi del futuro? Che significa mettere le mani avanti per costruirlo?
Il serpente – quel mitico serpente del paradiso terrestre di cui ci ha parlato la prima lettura – aveva promesso all’uomo e alla donna un futuro radioso: “Se invece che obbedire a Dio farete di testa vostra, voi avrete un futuro radioso: diventerete come Dio!”. L’uomo e la donna gli credettero ma invece che un futuro radioso si aprì davanti a loro un futuro disastroso. Si ritrovarono nudi. E si nascosero. Da quel momento cominciarono a scaricare le loro responsabilità uno sull’altro, si ritrovarono ostili, nemici. Perché uno dei nomi più conosciuti di quel serpente è quello di “diàbolos”, antica parola greca che vuol dire “divisore”. La sua specialità infatti è portare divisione, non solo tra persone diverse, ma perfino dentro la stessa persona. Quando lo si lascia entrare (ed entra in modo astuto e sinuoso proprio come sa fare un serpente) allora quello che si apre davanti è un futuro disastroso, invece che sereno e quindi vivibile.
E come sarà il futuro del mondo, fratelli? il futuro di questa società di oggi, come sarà? Non è forte anche ai nostri giorni la tentazione di sostituirsi a Dio, come padroni della nostra vita e magari anche di quella degli altri? Non è sempre attuale la suggestione di voltare le spalle a Dio, facendo senza di lui e contro di lui?
Sul semplice piano della vita delle famiglie – delle nostre famiglie - quello che si prepara sarebbe un futuro in cui regnano la divisione, il sospetto, l’accusa reciproca e il rifiuto delle proprie responsabilità. Sul piano della vita collettiva, sociale – invece – beh, non osiamo pensarlo come potrebbe essere… Ma è questo “mettere le basi del futuro”? E’ così che si fa per costruirlo buono, vivibile quantomeno?
No, c’è un altro modo, del tutto alternativo a questo.
E in questi giorni dell’Avvento – giorni nei quali è proprio al futuro che siamo invitati a guardare in atteggiamento di operosa attesa – in questi giorni il modo giusto e adeguato di preparare il futuro prende le sembianze di una donna: Maria, l’Immacolata. E’ molto interessante che il modello, la garanzia di un futuro buono, vivibile, sia una donna, cioè una creatura femminile, anziché maschile… Un pensatore dei nostri giorni afferma: “Tutto ciò che gli uomini hanno costruito ha le sue radici – troppo spesso – nella paura. La forza del cristianesimo sta nel denunciare questa paura e nel coraggio di affermare che le relazioni umane possono armonizzarsi nell’amore. C’è una dimensione femminile nel cristianesimo che, di fronte all’odio, alla rivalità, all’aggressività e all’arroganza degli uomini, oppone valori quali la tenerezza, l’attenzione all’altro, il rispetto, la sollecitudine per la vita…” (Eric Emmanuel Schmitt). A me pare di poter aggiungere: sì, ne abbiamo abbastanza dimostrazioni di odio, di rivalità, di arroganza; c’è bisogno di tenerezza, di attenzione reciproca, di sollecitudine per la vita, soprattutto se indifesa e fragile.
Maria, l’Immacolata, è l’incarnazione di questo. Quanto è diverso il suo atteggiamento da quello dell’uomo e della donna nel paradiso terrestre (ce ne parlava la prima lettura)! Lì, quei due pretendevano di diventare come Dio: Maria, dal canto suo invece, si riconosce “serva” del Signore. I due del giardino dell’Eden anzichè riconoscere ciascuno la propria colpa, se la scaricano uno sull’altro. Maria, invece, si prende le sue responsabilità di fronte a Dio fino in fondo e dall’inizio alla fine. Quelli si nascosero a Dio (o tentarono di nascondersi, almeno). Maria non si nasconde, anzi, gli sta davanti con fiducia: “Eccomi, Signore: fa’ di me quello che vuoi!”.
Il futuro buono, quello di cui non avere paura ma da attendere, da sperare, lo si costruisce solo così, fratelli. E dicendo “futuro” intendo il mio, il tuo, quello delle nostre famiglie, quello di tutti. Se ci guardiamo attorno, se leggiamo i giornali o ascoltiamo qualche dibattito televisivo, mi pare che scarseggia l’ottimismo sul futuro, e in compenso aumenta il disaccordo, la polemica disfattista, la logica dell’ognuno per sé.
Sì, il futuro, in parte dipende da me, da te, da tutti: ma solo in parte. E per l’altra parte chi ne è il responsabile? Il destino cieco forse? O il caso? Oppure la fortuna o la sfortuna?
No, fratelli, per l’altra parte - la più gran parte - il futuro è nelle buone mani di Dio: quel Dio “che ci ha benedetti con ogni possibile benedizione” (ci assicura oggi san Paolo), cioè ha deciso in tutto e per tutto il nostro bene, perché ci ama. Pertanto sì, c’è un destino, eccolo infatti: “Dio ci ha scelti e voluti come figli (sempre parole di San Paolo) – ci ha predestinati a vivere con lui nell’amore”. Questo è il nostro unico e vero destino. Un bel destino, bisogna dire. E un futuro altrettanto bello e radioso, invece che disastroso.
Cosa chiedere allora oggi all’Immacolata, visto che è nostra buona Madre?Che ci insegni a fidarci di Dio, della sua buona volontà, senza porre condizioni, come ha fatto lei. Per un futuro, buono, vivibile: per noi e per tutti.
Le Letture Bibliche: Genesi 3,9-15.20; Efesini 1,3-6.11-12; Luca 1,26-38
Passato, presente, futuro… fin dalle scuole elementari si insegna a distingue tra passato, presente e futuro.
Quello che interessa di più tra questi tre (quello che riscuote il più alto indice di attenzione) è certamente il futuro. Come sarà il futuro? Certo, un giovane lo pensa, lo sogna, lo immagina, diverso da come lo pensa (o lo teme) un anziano…Alcuni lo desiderano, altri lo guardano con apprensione… In ogni caso, nessuno può far a meno di pensarci.
E oltre che pensarci, bisogna anche darsi le mani d’attorno, perché – se è pur vero che in buona parte non dipende da noi, è anche vero che per quella parte che dipende da noi, è necessario prepararlo, costruirlo, mettere le basi… mica si può aspettare che il futuro ci venga addosso.
E’ qui, però, che cominciano a sorgere i problemi. Cosa vuol dire mettere le basi del futuro? Che significa mettere le mani avanti per costruirlo?
Il serpente – quel mitico serpente del paradiso terrestre di cui ci ha parlato la prima lettura – aveva promesso all’uomo e alla donna un futuro radioso: “Se invece che obbedire a Dio farete di testa vostra, voi avrete un futuro radioso: diventerete come Dio!”. L’uomo e la donna gli credettero ma invece che un futuro radioso si aprì davanti a loro un futuro disastroso. Si ritrovarono nudi. E si nascosero. Da quel momento cominciarono a scaricare le loro responsabilità uno sull’altro, si ritrovarono ostili, nemici. Perché uno dei nomi più conosciuti di quel serpente è quello di “diàbolos”, antica parola greca che vuol dire “divisore”. La sua specialità infatti è portare divisione, non solo tra persone diverse, ma perfino dentro la stessa persona. Quando lo si lascia entrare (ed entra in modo astuto e sinuoso proprio come sa fare un serpente) allora quello che si apre davanti è un futuro disastroso, invece che sereno e quindi vivibile.
E come sarà il futuro del mondo, fratelli? il futuro di questa società di oggi, come sarà? Non è forte anche ai nostri giorni la tentazione di sostituirsi a Dio, come padroni della nostra vita e magari anche di quella degli altri? Non è sempre attuale la suggestione di voltare le spalle a Dio, facendo senza di lui e contro di lui?
Sul semplice piano della vita delle famiglie – delle nostre famiglie - quello che si prepara sarebbe un futuro in cui regnano la divisione, il sospetto, l’accusa reciproca e il rifiuto delle proprie responsabilità. Sul piano della vita collettiva, sociale – invece – beh, non osiamo pensarlo come potrebbe essere… Ma è questo “mettere le basi del futuro”? E’ così che si fa per costruirlo buono, vivibile quantomeno?
No, c’è un altro modo, del tutto alternativo a questo.
E in questi giorni dell’Avvento – giorni nei quali è proprio al futuro che siamo invitati a guardare in atteggiamento di operosa attesa – in questi giorni il modo giusto e adeguato di preparare il futuro prende le sembianze di una donna: Maria, l’Immacolata. E’ molto interessante che il modello, la garanzia di un futuro buono, vivibile, sia una donna, cioè una creatura femminile, anziché maschile… Un pensatore dei nostri giorni afferma: “Tutto ciò che gli uomini hanno costruito ha le sue radici – troppo spesso – nella paura. La forza del cristianesimo sta nel denunciare questa paura e nel coraggio di affermare che le relazioni umane possono armonizzarsi nell’amore. C’è una dimensione femminile nel cristianesimo che, di fronte all’odio, alla rivalità, all’aggressività e all’arroganza degli uomini, oppone valori quali la tenerezza, l’attenzione all’altro, il rispetto, la sollecitudine per la vita…” (Eric Emmanuel Schmitt). A me pare di poter aggiungere: sì, ne abbiamo abbastanza dimostrazioni di odio, di rivalità, di arroganza; c’è bisogno di tenerezza, di attenzione reciproca, di sollecitudine per la vita, soprattutto se indifesa e fragile.
Maria, l’Immacolata, è l’incarnazione di questo. Quanto è diverso il suo atteggiamento da quello dell’uomo e della donna nel paradiso terrestre (ce ne parlava la prima lettura)! Lì, quei due pretendevano di diventare come Dio: Maria, dal canto suo invece, si riconosce “serva” del Signore. I due del giardino dell’Eden anzichè riconoscere ciascuno la propria colpa, se la scaricano uno sull’altro. Maria, invece, si prende le sue responsabilità di fronte a Dio fino in fondo e dall’inizio alla fine. Quelli si nascosero a Dio (o tentarono di nascondersi, almeno). Maria non si nasconde, anzi, gli sta davanti con fiducia: “Eccomi, Signore: fa’ di me quello che vuoi!”.
Il futuro buono, quello di cui non avere paura ma da attendere, da sperare, lo si costruisce solo così, fratelli. E dicendo “futuro” intendo il mio, il tuo, quello delle nostre famiglie, quello di tutti. Se ci guardiamo attorno, se leggiamo i giornali o ascoltiamo qualche dibattito televisivo, mi pare che scarseggia l’ottimismo sul futuro, e in compenso aumenta il disaccordo, la polemica disfattista, la logica dell’ognuno per sé.
Sì, il futuro, in parte dipende da me, da te, da tutti: ma solo in parte. E per l’altra parte chi ne è il responsabile? Il destino cieco forse? O il caso? Oppure la fortuna o la sfortuna?
No, fratelli, per l’altra parte - la più gran parte - il futuro è nelle buone mani di Dio: quel Dio “che ci ha benedetti con ogni possibile benedizione” (ci assicura oggi san Paolo), cioè ha deciso in tutto e per tutto il nostro bene, perché ci ama. Pertanto sì, c’è un destino, eccolo infatti: “Dio ci ha scelti e voluti come figli (sempre parole di San Paolo) – ci ha predestinati a vivere con lui nell’amore”. Questo è il nostro unico e vero destino. Un bel destino, bisogna dire. E un futuro altrettanto bello e radioso, invece che disastroso.
Cosa chiedere allora oggi all’Immacolata, visto che è nostra buona Madre?Che ci insegni a fidarci di Dio, della sua buona volontà, senza porre condizioni, come ha fatto lei. Per un futuro, buono, vivibile: per noi e per tutti.
4 Dicembre 2022 - II° Domenica d'Avvento
Le Letture Bibliche: Isaia 11,1-10; Romani 15,4-9; Matteo3,1-12
Le letture che sentite quando venite alla Messa potranno suonare antiche e le loro parole molto diverse dalle nostre, ma quello che Dio vuol dirci attraverso quelle parole conserva un freschezza, una novità sempre eccezionale, insuperabile.
Oggi, per esempio, anche la prima lettura che abbiamo sentito ha un sapore di bella notizia… e chi ha fame e sete di belle notizie, fa bene ad aprire orecchi e cuore. Le parole sono del profeta Isaia, il quale – migliaia di anni fa’ - non poteva certo pensare a noi (non c’eravamo ancora noi), ma il Signore, che ispirava quel profeta, eh il Signore sì che pensava certamente anche a noi: vedeva i nostri volti, uno per uno, raccolti qui oggi per l’Eucaristia.
Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Jesse era stato il padre del re David; la sua famiglia era vissuta a Betlemme. Sia lui che la famiglia erano scomparsi da tanto tempo, come una pianta di cui eran rimasti soltanto il ceppo e le radici. Ebbene, un germoglio spunterà da quel ceppo, da quella vecchia radice (sarà Gesù quel germoglio: Gesù discende proprio dalla famiglia di David). E il messaggio per noi qual è? Dove sta la bella notizia? Nulla e nessuno a questo mondo è così vecchio al punto che il Signore non possa far germogliare novità proprio da lui: questo era vero allora ed è vero sempre, anche oggi.
Su quel germoglio si poserà lo spirito del Signore, - proseguiva così la bella notizia - spirito di sapienza e di intelligenza, di consiglio e di fortezza, di conoscenza e di timore del Signore. Insomma, qel germoglio, che è Gesù, avrà tutti i doni dello Spirito santo; soprattutto il timore del Signore, il timor di Dio. Cos'è il timor di Dio? Non è la paura di Dio (la paura non è affatto un dono!). Timor di Dio vuol dire: prendere sul serio Dio, la sua Parola, la sua volontà; così come si prendono sul serio tra loro due persone che si vogliono davvero bene. E allora ecco una prima conclusione: non ci sarà germoglio, cioè non ci sarà nulla di veramente nuovo né nella nostra vita, nè nella vita di questo mondo, se non si prende sul serio il Signore, se non ci si lega a lui con una relazione d’amore: è solo così che noi possiamo ricevere i doni dello Spirito santo.
Quel germoglio che Dio farà sorgere, dice poi il profeta, "non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra". Quanto bisogno di giustizia a questo mondo! Ma dove sta di casa la giustizia? Nei tribunali? I profeti della Bibbia hanno un'idea di giustizia diversa da quella dei tribunali: giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Notate, non è che Dio, per fare giustizia, favorirà i poveri a danno dei ricchi: questa è la pretesa dei rivoluzionari di questo mondo. Giustizia, per Dio, è promuovere i diritti di ogni uomo, e se per questo comincia da chi è povero, è perché costui (a differenza del ricco) non ha i mezzi per farsi giustizia da solo. La giustizia vera, per Dio, parte da lì. Cosa accadrebbe se a questo mondo si cominciasse a ragionare così?
Accadrebbe che il lupo dimorerebbe insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierebbe accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascolerebbero insieme e un piccolo fanciullo li guiderebbe. Il leone si ciberebbe di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerebbe sulla buca della vipera; il bambino metterebbe la mano nel covo del serpente velenoso senza trarne alcun danno… E' una cascata di immagini pardossali per dire: Pace, ecco cosa accadrà: la Pace. Che non è fatta di armistizi o di compromessi ma di giustizia vera. E cosa c'entrano il lupo e l'agnello, la vacca e l'orsa, il leone e il bue e il bambino che gioca con i serpenti? Beh, questa è la natura. Non è forse vero che quando è l'egoismo di pochi a dominare il mondo, anche la natura ne soffre? Chi è così cieco da non voler vedere i molti danni, le molteplici catastrofi, troppo frequenti e disastrose ormai per essere semplicemente naturali? Sì, anche la natura, anche l'aria che respiriamo ha bisogno di pace...
Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno – continua il profeta - perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare. Tutti hanno diritto di esprimere le loro opinioni, di fare dibattiti, di contrapporsi gli uni agli altri, ma una sola è la conoscenza – il sapere - di cui abbiamo veramente bisogno: quello che viene dal Signore. La conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare.
Ecco, fratelli, il vangelo che oggi il profeta ci consegna: questo vuol fare il Signore. Ma cosa aspetta a farlo? Forse la risposta ce la dà l'altro profeta che oggi entra in scena: Giovanni Battista. "Convertitevi - grida – perché il Regno dei cieli è vicino: preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!". Cosa vorrà dire? Basta guardarlo: è uno che non si preoccupa dell'abbigliamento: il suo vestito è fatto di peli di cammello, stretto da una cintura attorno ai fianchi... Ha preso le distanze dal conformismo tanto da andare a vivere nel deserto e la gente corre lì ad ascoltarlo. Perché mai? E’ forse un personaggio da baraccone? No, è uno del quale Dio si fida a tal punto da farlo suo portavoce; quello che dice lo grida con tutta la sua persona. “Convertitevi, raddrizzate i sentieri della vostra vita, se volete che Dio venga!”.
Fratelli, ancora una volta siamo entrati nell’Avvento, poi arriverà anche il Natale; quante volte è già arrivato nel corso della nostra vita? E cosa è cambiato? Sì, ogni anno qualche addobbo nuovo, i regali anche (mica si possono fare sempre gli stessi regali), probabilmente anche l’abbigliamento ha sempre avuto almeno qualche particolare diverso… ma noi, siamo cambiati noi in qualche cosa, o ci siamo limitati semplicemente ad aggiungere un anno in più a ogni avvento, a ogni Natale?
E’ nei nostri atteggiamenti che ci sono sentieri da raddrizzare, fratelli! è nella nostra condotta abituale che occorre aprire quella strada: altrimenti, Dio non può realizzare le sue promesse, non può venire! Attenderlo e accoglierlo vuol dire fare anzitutto una verifica: conservare e rinvigorire ciò che è vero e buono… ed eliminare coraggiosamente ciò che è falso e sbagliato. Se questo non lo facciamo, le nostre feste più belle si riducono a sceneggiate che lasciano il tempo che trovano. Insomma, ce lo dobbiamo domandare onestamente: cosa siamo disposti a cambiare in noi stessi perchè la bella notizia di Dio si realizzi? Qual è la strada da aprire, i sentieri da raddrizzare? I tempi nei quali viviamo non ci consentono di prendere alla leggera quella parola rude e decisa che oggi è risuonata: “Convertitevi!”. Accogliamola, fratelli: non limitiamoci a risentirla come un vecchio disco. Facciamole posto nell’intimo della nostra coscienza e lasciamo che in ciascuno di noi smuova qualche cosa per davvero.
Le Letture Bibliche: Isaia 11,1-10; Romani 15,4-9; Matteo3,1-12
Le letture che sentite quando venite alla Messa potranno suonare antiche e le loro parole molto diverse dalle nostre, ma quello che Dio vuol dirci attraverso quelle parole conserva un freschezza, una novità sempre eccezionale, insuperabile.
Oggi, per esempio, anche la prima lettura che abbiamo sentito ha un sapore di bella notizia… e chi ha fame e sete di belle notizie, fa bene ad aprire orecchi e cuore. Le parole sono del profeta Isaia, il quale – migliaia di anni fa’ - non poteva certo pensare a noi (non c’eravamo ancora noi), ma il Signore, che ispirava quel profeta, eh il Signore sì che pensava certamente anche a noi: vedeva i nostri volti, uno per uno, raccolti qui oggi per l’Eucaristia.
Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Jesse era stato il padre del re David; la sua famiglia era vissuta a Betlemme. Sia lui che la famiglia erano scomparsi da tanto tempo, come una pianta di cui eran rimasti soltanto il ceppo e le radici. Ebbene, un germoglio spunterà da quel ceppo, da quella vecchia radice (sarà Gesù quel germoglio: Gesù discende proprio dalla famiglia di David). E il messaggio per noi qual è? Dove sta la bella notizia? Nulla e nessuno a questo mondo è così vecchio al punto che il Signore non possa far germogliare novità proprio da lui: questo era vero allora ed è vero sempre, anche oggi.
Su quel germoglio si poserà lo spirito del Signore, - proseguiva così la bella notizia - spirito di sapienza e di intelligenza, di consiglio e di fortezza, di conoscenza e di timore del Signore. Insomma, qel germoglio, che è Gesù, avrà tutti i doni dello Spirito santo; soprattutto il timore del Signore, il timor di Dio. Cos'è il timor di Dio? Non è la paura di Dio (la paura non è affatto un dono!). Timor di Dio vuol dire: prendere sul serio Dio, la sua Parola, la sua volontà; così come si prendono sul serio tra loro due persone che si vogliono davvero bene. E allora ecco una prima conclusione: non ci sarà germoglio, cioè non ci sarà nulla di veramente nuovo né nella nostra vita, nè nella vita di questo mondo, se non si prende sul serio il Signore, se non ci si lega a lui con una relazione d’amore: è solo così che noi possiamo ricevere i doni dello Spirito santo.
Quel germoglio che Dio farà sorgere, dice poi il profeta, "non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra". Quanto bisogno di giustizia a questo mondo! Ma dove sta di casa la giustizia? Nei tribunali? I profeti della Bibbia hanno un'idea di giustizia diversa da quella dei tribunali: giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Notate, non è che Dio, per fare giustizia, favorirà i poveri a danno dei ricchi: questa è la pretesa dei rivoluzionari di questo mondo. Giustizia, per Dio, è promuovere i diritti di ogni uomo, e se per questo comincia da chi è povero, è perché costui (a differenza del ricco) non ha i mezzi per farsi giustizia da solo. La giustizia vera, per Dio, parte da lì. Cosa accadrebbe se a questo mondo si cominciasse a ragionare così?
Accadrebbe che il lupo dimorerebbe insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierebbe accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascolerebbero insieme e un piccolo fanciullo li guiderebbe. Il leone si ciberebbe di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerebbe sulla buca della vipera; il bambino metterebbe la mano nel covo del serpente velenoso senza trarne alcun danno… E' una cascata di immagini pardossali per dire: Pace, ecco cosa accadrà: la Pace. Che non è fatta di armistizi o di compromessi ma di giustizia vera. E cosa c'entrano il lupo e l'agnello, la vacca e l'orsa, il leone e il bue e il bambino che gioca con i serpenti? Beh, questa è la natura. Non è forse vero che quando è l'egoismo di pochi a dominare il mondo, anche la natura ne soffre? Chi è così cieco da non voler vedere i molti danni, le molteplici catastrofi, troppo frequenti e disastrose ormai per essere semplicemente naturali? Sì, anche la natura, anche l'aria che respiriamo ha bisogno di pace...
Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno – continua il profeta - perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare. Tutti hanno diritto di esprimere le loro opinioni, di fare dibattiti, di contrapporsi gli uni agli altri, ma una sola è la conoscenza – il sapere - di cui abbiamo veramente bisogno: quello che viene dal Signore. La conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare.
Ecco, fratelli, il vangelo che oggi il profeta ci consegna: questo vuol fare il Signore. Ma cosa aspetta a farlo? Forse la risposta ce la dà l'altro profeta che oggi entra in scena: Giovanni Battista. "Convertitevi - grida – perché il Regno dei cieli è vicino: preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!". Cosa vorrà dire? Basta guardarlo: è uno che non si preoccupa dell'abbigliamento: il suo vestito è fatto di peli di cammello, stretto da una cintura attorno ai fianchi... Ha preso le distanze dal conformismo tanto da andare a vivere nel deserto e la gente corre lì ad ascoltarlo. Perché mai? E’ forse un personaggio da baraccone? No, è uno del quale Dio si fida a tal punto da farlo suo portavoce; quello che dice lo grida con tutta la sua persona. “Convertitevi, raddrizzate i sentieri della vostra vita, se volete che Dio venga!”.
Fratelli, ancora una volta siamo entrati nell’Avvento, poi arriverà anche il Natale; quante volte è già arrivato nel corso della nostra vita? E cosa è cambiato? Sì, ogni anno qualche addobbo nuovo, i regali anche (mica si possono fare sempre gli stessi regali), probabilmente anche l’abbigliamento ha sempre avuto almeno qualche particolare diverso… ma noi, siamo cambiati noi in qualche cosa, o ci siamo limitati semplicemente ad aggiungere un anno in più a ogni avvento, a ogni Natale?
E’ nei nostri atteggiamenti che ci sono sentieri da raddrizzare, fratelli! è nella nostra condotta abituale che occorre aprire quella strada: altrimenti, Dio non può realizzare le sue promesse, non può venire! Attenderlo e accoglierlo vuol dire fare anzitutto una verifica: conservare e rinvigorire ciò che è vero e buono… ed eliminare coraggiosamente ciò che è falso e sbagliato. Se questo non lo facciamo, le nostre feste più belle si riducono a sceneggiate che lasciano il tempo che trovano. Insomma, ce lo dobbiamo domandare onestamente: cosa siamo disposti a cambiare in noi stessi perchè la bella notizia di Dio si realizzi? Qual è la strada da aprire, i sentieri da raddrizzare? I tempi nei quali viviamo non ci consentono di prendere alla leggera quella parola rude e decisa che oggi è risuonata: “Convertitevi!”. Accogliamola, fratelli: non limitiamoci a risentirla come un vecchio disco. Facciamole posto nell’intimo della nostra coscienza e lasciamo che in ciascuno di noi smuova qualche cosa per davvero.
27 Novembre 2022 - I° Domenica d'Avvento
Le Letture Bibliche: Isaia 2,1-5; Romani 13,11-14a; Matteo 24,37-44
Anche se la stagione invernale inizia ufficialmente il 21 dicembre, i sintomi, i segnali sono ormai quelli dell’inverno… Per molti e’ un po’ traumatico svegliarsi, doversi alzare e uscire di casa quando è ancora buio. Penso ai ragazzi che escono presto per andare a scuola, con i loro zaini come se andassero a scalare chissà che montagna… o agli adulti infagottati e frettolosi che vanno a lavorare! Chissà che fatica fanno ogni mattina…
Sì, d’inverno – più che d’estate – è forte la tentazione di restare a poltrire, aspettando che sia il sole (che sorge piuttosto tardi) a far aprire gli occhi. E perché, invece, ci svegliamo, ci alziamo dal letto e usciamo di casa anche se fuori è ancora freddo e buio? Perché lo vogliamo. Perché decidiamo che è giusto, anzi, doveroso, e allora ci diamo una mossa… Non basta la sveglia per far uscire dal sonno: ci sono di quelli che la sentono ma poi chiudono la suoneria, si girano dall’altra e continuano a dormire… No, occorre proprio volersi svegliare, voler uscire dal sonno. Se poi vi chiedete perché ho cominciato la mia riflessione con questi esempi, ecco il motivo: me l’ha suggerito poco fa san Paolo, l’apostolo, che oggi ci rivolge proprio nel nome del Signore queste precise parole: “Fratelli, è ormai tempo di svegliarvi dal sonno…!”.
Ma di che sonno parla? Quello che ci coglie ogni sera quando andiamo a dormire come al solito? No!… C’è un altro sonno, ben più pesante di quello: è la tiepidezza, la mediocrità, l’indifferenza che ci contagiano quando ci dimentichiamo che siamo cristiani…
Vivere è come camminare, lo sappiamo, è come fare un viaggio. Sì, ma in una certa direzione… invece a volte giriamo a vuoto, andiamo a zonzo di qua e di là, girovaghiamo senza una meta… Oh, il viaggio della vita procede lo stesso eh! Cioè, il tempo passa lo stesso, gli anni anche, i bimbi crescono, i papà e le mamme imbiancano… ma noi, anziché camminare, ci lasciamo portare: dal tempo, dalle circostanze, dagli eventi…si procede per forza d’inerzia, insomma… Ecco il sonno. Ah, questo è ben più pesante di quello che ci prende quando andiamo a dormire!
E ci prende più o meno tutti: cristiani e anche non cristiani, sia quelli che frequentano le chiese, sia quelli che invece frequentano di più i supermercati e i mercatini di vario genere. E’ una specie di epidemia collettiva questo sonno. Da cosa si vede? Quali sono i sintomi?
Tirare avanti …così, rimanendo sempre gli stessi. Gli unici cambiamenti che avvengono sono superficiali: la statura (per chi è bambino), l’aspetto esteriore della persona, gli oggetti di casa nostra, il guardaroba, ma noi – dentro: nel cuore, nella mentalità – siamo sempre gli stessi. Gesù oggi dice che anche ai giorni di Noè la gente viveva così: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, si sposavano, si separavano… e non si accorsero di nulla fin che non venne il diluvio e travolse tutti… Di cos’è che avrebbe dovuto accorgersi? Forse che è male mangiare e bere, comprare e vendere, cioè fare le cose di tutti i giorni? No, affatto. Il male sta nel non pensare ad altro, nel preoccuparsi solo o anzitutto di queste cose. Non è stato il diluvio a travolgere la gente, è stata la gente ad andargli incontro… Ai tempi di Noè è andata così. E ai nostri tempi? A differenza di quella gente noi sappiamo se la strada che percorriamo è giusta o sbagliata: noi, cristiani, non possiamo dire che non sapevamo, che eravamo all’oscuro, che nessuno ci ha preavvisati… No, lo potranno dire altri, ma noi no.
Noi sappiamo quali sono le cose assolutamente importanti e quali invece sono secondarie o addirittura sciocche. Quando ci interessiamo solo di queste ultime e dimentichiamo le prime, somigliamo a quel tale che sonnecchia sotto le coperte, pur sapendo che dovrebbe alzarsi, però è così bello poltrire che non trova il coraggio di saltar fuori dal letto…
“Fratelli, è ormai tempo di svegliarvi dal sonno…” ci sentiamo dire oggi. Sonno collettivo, dicevo: cioè che prende tutti. Anche me, prete. Anch’io rischio di sonnecchiare: se le cose che dico a voi, non le ascolto anzitutto io stesso, se non accetto che cambino me “dentro”… io sono uno che sonnecchia, uno che invecchia, ma non cambia mai nell’intimo, nella mentalità.
E voi, fratelli, in che situazione vi trovate? Vale anche per voi l’invito a svegliarvi dal sonno?
Certo, cambiamenti ne avvengono nelle nostre famiglie: i bambini diventano ragazzi, i ragazzi diventano giovani, i giovani diventano adulti… Ma, maturano veramente? Cambiano davvero in meglio, o crescono soltanto di statura, oppure perché passano dalle medie alle superiori e dalle superiori all’università o al posto di lavoro?
La domanda, però, è opportuno che ce la facciamo noi adulti: siamo disponibili a cambiare qualcosa di noi stessi, in profondità, o siamo sensibili solo a cambiamenti di facciata? Penso ai genitori che accompagnano i loro bambini o ragazzi nel cammino della Fede: ma, cambia qualcosa in loro, nel modo di vivere, di ragionare, negli ideali, nelle scelte che fanno? o sono sempre quelli? Se così fosse, allora vorrebbe dire che è il sonno a far da padrone…
“Fratelli, è ormai tempo di svegliarvi dal sonno…!”
E non perché qualcuno ci butta fuori dal letto e allora è gioco forza svegliarsi, cioè – per fare un esempio: se fosse solo la crisi economica a renderci più sobri su tutti i fronti, sarebbe piuttosto avvilente per noi cristiani: sobrietà solo per risparmiare, non è altro che un’altra forma di egoismo; forse che questo promuoverà un futuro migliore per tutti? Chi è così ingenuo da pensarlo? No, le crisi che investono Paesi e Nazioni provocano non solo alla sobrietà, ma alla solidarietà, e per ragioni di giustizia, di equità, perché è proprio l’assenza di queste la prima causa delle crisi.
Fratelli, l’Avvento che oggi cominciamo non è solo un tempo per preparare un Natale … forse un po’ meno consumistico di quelli passati… (non sarebbero necessarie quattro settimane per un risultato così scadente!).
L’Avvento è un tempo di grazia in cui destarsi dal sonno e prendere a vivere da cristiani più credibili: “Vegliate!”, vuol dire proprio questo. Oggi il Signore ce lo raccomanda con insistenza perché tutto porterebbe nella direzione opposta: “Vegliate… Vegliate!”. E siccome non basta il suono di una sveglia per ridestare la nostra coscienza, auguriamoci di accogliere questa sua accalorata raccomandazione e che la volontà di volerci svegliare a una vita cristiana più coerente ci sia davvero in ciascuno di noi.
Le Letture Bibliche: Isaia 2,1-5; Romani 13,11-14a; Matteo 24,37-44
Anche se la stagione invernale inizia ufficialmente il 21 dicembre, i sintomi, i segnali sono ormai quelli dell’inverno… Per molti e’ un po’ traumatico svegliarsi, doversi alzare e uscire di casa quando è ancora buio. Penso ai ragazzi che escono presto per andare a scuola, con i loro zaini come se andassero a scalare chissà che montagna… o agli adulti infagottati e frettolosi che vanno a lavorare! Chissà che fatica fanno ogni mattina…
Sì, d’inverno – più che d’estate – è forte la tentazione di restare a poltrire, aspettando che sia il sole (che sorge piuttosto tardi) a far aprire gli occhi. E perché, invece, ci svegliamo, ci alziamo dal letto e usciamo di casa anche se fuori è ancora freddo e buio? Perché lo vogliamo. Perché decidiamo che è giusto, anzi, doveroso, e allora ci diamo una mossa… Non basta la sveglia per far uscire dal sonno: ci sono di quelli che la sentono ma poi chiudono la suoneria, si girano dall’altra e continuano a dormire… No, occorre proprio volersi svegliare, voler uscire dal sonno. Se poi vi chiedete perché ho cominciato la mia riflessione con questi esempi, ecco il motivo: me l’ha suggerito poco fa san Paolo, l’apostolo, che oggi ci rivolge proprio nel nome del Signore queste precise parole: “Fratelli, è ormai tempo di svegliarvi dal sonno…!”.
Ma di che sonno parla? Quello che ci coglie ogni sera quando andiamo a dormire come al solito? No!… C’è un altro sonno, ben più pesante di quello: è la tiepidezza, la mediocrità, l’indifferenza che ci contagiano quando ci dimentichiamo che siamo cristiani…
Vivere è come camminare, lo sappiamo, è come fare un viaggio. Sì, ma in una certa direzione… invece a volte giriamo a vuoto, andiamo a zonzo di qua e di là, girovaghiamo senza una meta… Oh, il viaggio della vita procede lo stesso eh! Cioè, il tempo passa lo stesso, gli anni anche, i bimbi crescono, i papà e le mamme imbiancano… ma noi, anziché camminare, ci lasciamo portare: dal tempo, dalle circostanze, dagli eventi…si procede per forza d’inerzia, insomma… Ecco il sonno. Ah, questo è ben più pesante di quello che ci prende quando andiamo a dormire!
E ci prende più o meno tutti: cristiani e anche non cristiani, sia quelli che frequentano le chiese, sia quelli che invece frequentano di più i supermercati e i mercatini di vario genere. E’ una specie di epidemia collettiva questo sonno. Da cosa si vede? Quali sono i sintomi?
Tirare avanti …così, rimanendo sempre gli stessi. Gli unici cambiamenti che avvengono sono superficiali: la statura (per chi è bambino), l’aspetto esteriore della persona, gli oggetti di casa nostra, il guardaroba, ma noi – dentro: nel cuore, nella mentalità – siamo sempre gli stessi. Gesù oggi dice che anche ai giorni di Noè la gente viveva così: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, si sposavano, si separavano… e non si accorsero di nulla fin che non venne il diluvio e travolse tutti… Di cos’è che avrebbe dovuto accorgersi? Forse che è male mangiare e bere, comprare e vendere, cioè fare le cose di tutti i giorni? No, affatto. Il male sta nel non pensare ad altro, nel preoccuparsi solo o anzitutto di queste cose. Non è stato il diluvio a travolgere la gente, è stata la gente ad andargli incontro… Ai tempi di Noè è andata così. E ai nostri tempi? A differenza di quella gente noi sappiamo se la strada che percorriamo è giusta o sbagliata: noi, cristiani, non possiamo dire che non sapevamo, che eravamo all’oscuro, che nessuno ci ha preavvisati… No, lo potranno dire altri, ma noi no.
Noi sappiamo quali sono le cose assolutamente importanti e quali invece sono secondarie o addirittura sciocche. Quando ci interessiamo solo di queste ultime e dimentichiamo le prime, somigliamo a quel tale che sonnecchia sotto le coperte, pur sapendo che dovrebbe alzarsi, però è così bello poltrire che non trova il coraggio di saltar fuori dal letto…
“Fratelli, è ormai tempo di svegliarvi dal sonno…” ci sentiamo dire oggi. Sonno collettivo, dicevo: cioè che prende tutti. Anche me, prete. Anch’io rischio di sonnecchiare: se le cose che dico a voi, non le ascolto anzitutto io stesso, se non accetto che cambino me “dentro”… io sono uno che sonnecchia, uno che invecchia, ma non cambia mai nell’intimo, nella mentalità.
E voi, fratelli, in che situazione vi trovate? Vale anche per voi l’invito a svegliarvi dal sonno?
Certo, cambiamenti ne avvengono nelle nostre famiglie: i bambini diventano ragazzi, i ragazzi diventano giovani, i giovani diventano adulti… Ma, maturano veramente? Cambiano davvero in meglio, o crescono soltanto di statura, oppure perché passano dalle medie alle superiori e dalle superiori all’università o al posto di lavoro?
La domanda, però, è opportuno che ce la facciamo noi adulti: siamo disponibili a cambiare qualcosa di noi stessi, in profondità, o siamo sensibili solo a cambiamenti di facciata? Penso ai genitori che accompagnano i loro bambini o ragazzi nel cammino della Fede: ma, cambia qualcosa in loro, nel modo di vivere, di ragionare, negli ideali, nelle scelte che fanno? o sono sempre quelli? Se così fosse, allora vorrebbe dire che è il sonno a far da padrone…
“Fratelli, è ormai tempo di svegliarvi dal sonno…!”
E non perché qualcuno ci butta fuori dal letto e allora è gioco forza svegliarsi, cioè – per fare un esempio: se fosse solo la crisi economica a renderci più sobri su tutti i fronti, sarebbe piuttosto avvilente per noi cristiani: sobrietà solo per risparmiare, non è altro che un’altra forma di egoismo; forse che questo promuoverà un futuro migliore per tutti? Chi è così ingenuo da pensarlo? No, le crisi che investono Paesi e Nazioni provocano non solo alla sobrietà, ma alla solidarietà, e per ragioni di giustizia, di equità, perché è proprio l’assenza di queste la prima causa delle crisi.
Fratelli, l’Avvento che oggi cominciamo non è solo un tempo per preparare un Natale … forse un po’ meno consumistico di quelli passati… (non sarebbero necessarie quattro settimane per un risultato così scadente!).
L’Avvento è un tempo di grazia in cui destarsi dal sonno e prendere a vivere da cristiani più credibili: “Vegliate!”, vuol dire proprio questo. Oggi il Signore ce lo raccomanda con insistenza perché tutto porterebbe nella direzione opposta: “Vegliate… Vegliate!”. E siccome non basta il suono di una sveglia per ridestare la nostra coscienza, auguriamoci di accogliere questa sua accalorata raccomandazione e che la volontà di volerci svegliare a una vita cristiana più coerente ci sia davvero in ciascuno di noi.