A N N O A 2 0 2 2 - 2 0 2 3
Domenica 24 Settembre - 25° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Isaia 55,6-9; Filippesi 1,20-24.27; Matteo 20,1-16
Sarà pur vero che nel corso della storia gli uomini si sono perfino combattuti e ammazzati a motivo delle religioni, per far trionfare l'una piuttosto che l'altra...ma è anche vero che senza una religione la vita a questo mondo risulterebbe piuttosto arida. Sarebbe come vivere al chiuso, ciascuno dentro uno scompartimento dove a un certo punto manca l'aria. Magari all'interno di quello scompartimento tutto sarebbe perfetto, ogni cosa a suo posto e un posto per ogni cosa...ma si starebbe piuttosto stretti. Se non ci fosse uno squarcio di luce dall'alto che dà a ogni cosa il suo colore, tutto risulterebbe grigio: lucido, forse, ma sarebbe la grigia e fredda lucentezza di un obitorio.
Cosa sarebbe la convivenza civile, se si andasse avanti solo col criterio del dovere, ignorando completamente la gratuità che è l’anima di ogni volontariato? quella gratuità che ti fa andare oltre il dovuto, e che oltre a un Buongiorno formulato a denti stretti e per convenienza ti fa esprimere anche un sorriso, e magari ti porta a fermarti a scambiare con la persona che incontri due parole...
Cosa sarebbe la convivenza civile se si limitasse a praticare la giustizia (dai tribunali in giù), a osservare le leggi, e non ci fosse alcuna disponibilità ad andare oltre il dovuto, con un po’ di comprensione e misericordia? Pensate, ad esempio, a quanto è povero è limitato il solito criterio di giustizia: "giustizia è dare a ciascuno il suo" si è sempre detto. Sì, ma per qualcuno il "suo" è un mare di beni che non sa nemmeno lui quanti siano...per qualcun altro è niente, neanche un tetto sopra la testa: si fa presto a dargli il suo, cioè: niente. E’ subito fatto. Senza dire che non di rado gli uomini, quanto più potenti sono, tanto più sono in grado di piegare il piatto della bilancia a loro vantaggio.
Le leggi ci vogliono a questo mondo, e occorre far in modo che siano giuste, ma non illudiamoci che bastino le leggi per cambiare in meglio il mondo.
Le religioni, dicevo, hanno il vantaggio di rendere meno arida la convivenza umana, favorendo comportamenti e atteggiamenti che vanno aldilà delle leggi e della giustizia. Ma come accade in ogni cosa, gli uomini portano anche nelle religioni le loro logiche (di solito piuttosto ristrette). Il criterio della retribuzione, ad esempio: “io lavoro, quindi ho diritto che tu mi paghi”. Che è come dire: “tu mi paghi, quindi hai diritto che io lavori. Io ho il dovere di lavorare e tu quello di retribuirmi”. Criterio positivo e doveroso, sia chiaro, ma anche insufficiente: e chi non fosse in grado di lavorare, non avrebbe per questo diritto a vivere? Criterio insufficiente anche quando si entra in relazione con Dio: “io mi comporto bene, quindi tu – Signore - devi retribuirmi; io faccio tante opere buone, quindi tu devi assicurarmi il Paradiso”. E chi, magari per una cattiva educazione ricevuta, si ritrovasse incapace di comportarsi bene, forse che Dio dovrebbe condannarlo? Ah, secondo il criterio di certa giustizia di questo mondo sì, certamente… E chi, per motivi plausibili, proprio non riuscisse a compiere opere buone, forse che Dio non dovrebbe comportarsi da padre anche con lui?
Capite, fratelli, che sto commentando la parabola che avete ascoltato poco fa’ dal Vangelo. Dio è giusto, certamente, secondo quella giustizia che abbiamo in mente anche noi: tant'è vero che il padrone di cui parla la parabola pattuisce con gli operai della prima ora un denaro e alla fine della giornata glielo dà (un denaro era la paga giornaliera di un operaio allora). Se giustizia è dare a ciascuno ciò che si è pattuito con lui, allora Dio è giusto.
Sì, ma Dio è più che giusto: senza mancare nei confronti di chi ha lavorato fin dal mattino, vuol essere generoso anche con chi è arrivato solo all'ultima ora: ecco la giustizia di Dio, che va oltre quella degli uomini. Ecco ciò che rompe l'aridità, il grigiore, il chiuso di cui dicevo.
Alcuni però non accettano che Dio sia giusto e anche generoso, lo vorrebbero semplicemente giusto secondo il loro metro di giustizia. Questa parabola Gesù la riferisce a scribi e farisei che quanto ad opere buone e a rettitudine morale pensavano di accampare molti diritti davanti a Dio, ma soprattutto non riuscivano ad accettare che gente senza morale e totalmente priva di opere buone potesse trovare considerazione presso di Lui, proprio come loro. "Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo". "Amico, non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?".
La mentalità farisaica, fratelli, è un'insidia sempre latente: non potremo mai dire di essercene liberati.
E per stare in guardia da questa mentalità occorre che pensiamo a Dio con cuore grande: stiamo attenti a non attribuirgli i nostri parametri di giudizio, di giustizia, di diritto...sono un vestito troppo stretto per lui.
Per stare in guardia occorre accettare di buon grado, ogni giorno, che i pensieri di Dio non siano i nostri pensieri e che le nostre vie non siano le sue (erano le parole della prima lettura): Quanto il cielo sovrasta la terra, altrettanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri. Mai dovremo permetterci di dimenticarle queste parole.
Per stare in guardia occorre finirla di ripetere: "la giustizia prima di tutto". Non dimentichiamo che a volte in nome della giustizia si son compiute – e si compiono - anche vere e proprie nefandezze. Anche al giorno d’oggi. Dio spazza via questo imbroglio e sostituisce il nostro metro di giustizia con l'amore disinteressato, con la misericordia.
Se Dio potrà comportarsi così anche nella nostra vita, allora porteremo con noi ovunque una ventata che rompe l'asfissia di un vivere fondato solo su criteri di arida giustizia; porteremo con noi il Regno di Dio. Che è gratuità, comprensione, misericordia.
E di cos'altro ha bisogno il mondo se non proprio di questo?
Domenica 17 Settembre - 24° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Siracide 27,33-28,9; Romani 14,7-9; Matteo 18,21-35
Fatti di sangue ne accadono ancora, purtroppo.
E fa notizia, o suscita addirittura scalpore, qundo ai funerali delle vittime qualcuno dei familiari va al microfono e dice: "Noi perdoniamo a coloro che ci hanno portato via questa persona cara...". Fa notizia. E ciò sta a dimostrare quanto sia ancora nuovo e sorprendente il Vangelo, anche in questa nostra epoca che presume di conoscerlo da sempre.
"Quante volte devo perdonare, Signore, a chi mi offende? Bastano sette volte?". Verrebbe da dire che quando uno ha perdonato sette volte di seguito a una persona ha fatto anche più del dovuto. E a quel punto può dire: "Adesso basta! Per un po'... va bene, ma il troppo è troppo; ogni cosa ha un limite: anche il perdono!"
"Non ti dico sette volte, ma settanta volte sette!". Cioè sempre, risponde il Signore. Sempre!
Gesù sembra riferirsi volutamente a una delle prime pagine della Bibbia, laddove si parla di un certo Lamech, discendente di Caino, tipo violento e arrogante che un giorno si mette a gridare: "Ho ucciso un ragazzo per un torto e un uomo per un livido. Caino sarà vendicato sette volte, ma io - Lamech -settanta volte sette” (Gen 4,23.24). È l'inno della vendetta che si trasforma in rappresaglia: tu hai fatto questo a me e io mi vendico, te la faccio pagare moltiplicata più e più volte! Se osservate, di solito la vendetta è sempre più pesante del torto subìto."Lamech sarà vendicato settanta volte sette".
Ed ecco che Gesù invece viene a dire: "No, tu perdonerai settanta volte sette!". Ma come può, com'è possibile in un mondo tutto intriso di violenza e di soprusi, domandare una cosa del genere? Cosa può essere accaduto per consentire di cambiare il comportamento umano fino a questo punto?
È accaduto qualcosa d'eccezionale, d'inatteso e insperato. È accaduto che Dio è venuto tra gli uomini, si è fatto vicino, tanto vicino da farsi vedere per quello che è, cioè: "padre".
È accaduto che lui sta costruendo il suo Regno in questo nostro mondo e invita tutti - e primi tra tutti i poveri, i “poco da bene”, quelli che vivono ai margini - ad entrare: lui li considera figli suoi a tutti gli effetti. Questo è ciò che è accaduto, e questo accade in continuazione. Non è abbastanza per far passare in second'ordine invidie, rancori e desideri di vendetta?
Eppure, invidie, rancori e desideri di vendetta perdurano, nonostante una storia cristiana di 2000 anni. Perdurano, sia a livello individuale che collettivo. Qualche esempio: perché
mai molti buoni propositi di aiuto ai Paesi poveri falliscono e invece il mercato delle armi continua a prosperare? Sarà per via dello spirito di Cristo o per lo spirito di Lamech, il vendicatore, anzi, l’inventore della rappresaglia?
Noi cristiani abbiamo certamente una grave responsabilità in questo campo: non solo possiamo protestare con forza ogni volta che ce ne capita l'occasione, ma dobbiamo anche coltivare tra noi una mentalità di riconciliazione e di rappacificazione. Sì, proprio tra noi. Nell'ambito del lavoro, ad esempio: quanti dissapori, e invidie, e rivalse! In paese, nelle relazioni con i vicini: quante litigiosità a volte! … perché quello di sopra sbatte il tappeto sul poggiolo e fa cadere la polvere su quello di sotto... e perché l'altro fa rumore... e perché l'altro ancora mi ha fatto uno sgarbo (forse senza accorgersene!) e io me la sono legata al dito...
Quante liti, e per quante stupidaggini. Ebbene, noi cristiani dovremmo anzitutto imparare ad essere superiori proprio a certe stupidaggini. E perché? Perché siamo cristiani, cioè crediamo in un Padre che ci ama e verso il quale siamo infinitamente debitori di tutto: della vita, della salute, del pane quotidiano, dell'aria che respiriamo, della fede e della speranza che ci aiutano a vivere. Di tutto siamo debitori! Niente è nostro, niente ci è dovuto; avete sentito quello che afferma oggi san Paolo? "Sia che viviamo, sia che moriamo, noi siamo del Signore!". Di tutto gli siamo debitori.
E cos'è, in confronto a questo, quel piccolo debito che i nostri fratelli (parenti, vicini o colleghi di lavoro) contraggono con noi? Cos'è mai? Vogliamo proprio farglielo pagare? E va bene. Ma attenti: allora anche il Padre nostro potrebbe ragionare alla stessa maniera ed esigere che saldiamo il debito che abbiamo contratto con lui! Ed è grande quel debito… Come faremmo allora? No, fratelli! L'odio e il rancore - tra i resto - rovinano il fegato, fanno star male; ne va della salute alla fin fine. L'avevano intuito quei saggi ebrei che hanno lasciato scritto quell’espressione che è stata proclamata poco fa’: "Se uno conserva la collera, come oserà chiedere la guarigione al Signore?". Rancore e salute sono due cose che non vanno d'accordo. Ma soprattutto ciò che non va d'accordo con la nostra dignità di figli di Dio è il disprezzo per l'altra persona: rancore e odio sono la peggiore forma di disprezzo.
Dio ci tiene alla dignità dei suoi figli: tutti. Non vuol che alcuno sia offeso, né che alcuno - per vendetta - diventi a sua volta offensore. Tra figli dello stesso Padre la legge è la concordia, il guardarsi negli occhi, non il voltarsi le spalle o il farsi lo sgambetto. Non vedete con quanta insistenza ci educa il Signore a rispettarci l'un l'altro nella nostra irripetibile dignità?
Domenica scorsa ci invitava a fare ogni possibile tentativo per ricuperare il fratello che ci ha fatto un torto: "Va' e correggilo, fra te e lui solo... Se non ti ascolta, porta conte dei testimoni... Se non ascolta nemmeno allora, dillo alla Comunità...". Oggi: "Perdonate. Settanta volte sette". Ma perchè tanta insistenza in questo campo delle nostre relazioni? Perché Dio crede nella dignità d'ogni persona, anche di quella che ci offende. Anche il mio offensore è figlio di Dio, come lo sono io. Dio vuole educarci a vivere da figli.È dura a volte, ma a pagare il prezzo più alto di tutti è ancora lui, il Signore, il Padre nostro. Egli è disposto a rimetterci i più grandi debiti che abbiamo verso di lui, e chiede a noi di rimettere a nostra volta i piccoli debiti che i nostri fratelli hanno con noi.
È così, soltanto così che si costruisce quella civiltà nuova che è stata definita la "civiltà dell'amore": cominciando dalle infinite e piccole occasioni del nostro vivere quotidiano. Perché - se i figli delle tenebre piazzano qua e là nel mondo armi sempre più sofisticate e terribili - i figli della luce devono costruire con altrettanta decisione la civiltà dell'amore, fatta di perdono, di magnanimità, che è l’arte di passar sopra alle piccinerie.
Dio l'ha cominciata questa civiltà. A noi chiede di collaborare con lui a costruirla, perché il mondo ne ha davvero estremo bisogno.
Le Letture Bibliche: Siracide 27,33-28,9; Romani 14,7-9; Matteo 18,21-35
Fatti di sangue ne accadono ancora, purtroppo.
E fa notizia, o suscita addirittura scalpore, qundo ai funerali delle vittime qualcuno dei familiari va al microfono e dice: "Noi perdoniamo a coloro che ci hanno portato via questa persona cara...". Fa notizia. E ciò sta a dimostrare quanto sia ancora nuovo e sorprendente il Vangelo, anche in questa nostra epoca che presume di conoscerlo da sempre.
"Quante volte devo perdonare, Signore, a chi mi offende? Bastano sette volte?". Verrebbe da dire che quando uno ha perdonato sette volte di seguito a una persona ha fatto anche più del dovuto. E a quel punto può dire: "Adesso basta! Per un po'... va bene, ma il troppo è troppo; ogni cosa ha un limite: anche il perdono!"
"Non ti dico sette volte, ma settanta volte sette!". Cioè sempre, risponde il Signore. Sempre!
Gesù sembra riferirsi volutamente a una delle prime pagine della Bibbia, laddove si parla di un certo Lamech, discendente di Caino, tipo violento e arrogante che un giorno si mette a gridare: "Ho ucciso un ragazzo per un torto e un uomo per un livido. Caino sarà vendicato sette volte, ma io - Lamech -settanta volte sette” (Gen 4,23.24). È l'inno della vendetta che si trasforma in rappresaglia: tu hai fatto questo a me e io mi vendico, te la faccio pagare moltiplicata più e più volte! Se osservate, di solito la vendetta è sempre più pesante del torto subìto."Lamech sarà vendicato settanta volte sette".
Ed ecco che Gesù invece viene a dire: "No, tu perdonerai settanta volte sette!". Ma come può, com'è possibile in un mondo tutto intriso di violenza e di soprusi, domandare una cosa del genere? Cosa può essere accaduto per consentire di cambiare il comportamento umano fino a questo punto?
È accaduto qualcosa d'eccezionale, d'inatteso e insperato. È accaduto che Dio è venuto tra gli uomini, si è fatto vicino, tanto vicino da farsi vedere per quello che è, cioè: "padre".
È accaduto che lui sta costruendo il suo Regno in questo nostro mondo e invita tutti - e primi tra tutti i poveri, i “poco da bene”, quelli che vivono ai margini - ad entrare: lui li considera figli suoi a tutti gli effetti. Questo è ciò che è accaduto, e questo accade in continuazione. Non è abbastanza per far passare in second'ordine invidie, rancori e desideri di vendetta?
Eppure, invidie, rancori e desideri di vendetta perdurano, nonostante una storia cristiana di 2000 anni. Perdurano, sia a livello individuale che collettivo. Qualche esempio: perché
mai molti buoni propositi di aiuto ai Paesi poveri falliscono e invece il mercato delle armi continua a prosperare? Sarà per via dello spirito di Cristo o per lo spirito di Lamech, il vendicatore, anzi, l’inventore della rappresaglia?
Noi cristiani abbiamo certamente una grave responsabilità in questo campo: non solo possiamo protestare con forza ogni volta che ce ne capita l'occasione, ma dobbiamo anche coltivare tra noi una mentalità di riconciliazione e di rappacificazione. Sì, proprio tra noi. Nell'ambito del lavoro, ad esempio: quanti dissapori, e invidie, e rivalse! In paese, nelle relazioni con i vicini: quante litigiosità a volte! … perché quello di sopra sbatte il tappeto sul poggiolo e fa cadere la polvere su quello di sotto... e perché l'altro fa rumore... e perché l'altro ancora mi ha fatto uno sgarbo (forse senza accorgersene!) e io me la sono legata al dito...
Quante liti, e per quante stupidaggini. Ebbene, noi cristiani dovremmo anzitutto imparare ad essere superiori proprio a certe stupidaggini. E perché? Perché siamo cristiani, cioè crediamo in un Padre che ci ama e verso il quale siamo infinitamente debitori di tutto: della vita, della salute, del pane quotidiano, dell'aria che respiriamo, della fede e della speranza che ci aiutano a vivere. Di tutto siamo debitori! Niente è nostro, niente ci è dovuto; avete sentito quello che afferma oggi san Paolo? "Sia che viviamo, sia che moriamo, noi siamo del Signore!". Di tutto gli siamo debitori.
E cos'è, in confronto a questo, quel piccolo debito che i nostri fratelli (parenti, vicini o colleghi di lavoro) contraggono con noi? Cos'è mai? Vogliamo proprio farglielo pagare? E va bene. Ma attenti: allora anche il Padre nostro potrebbe ragionare alla stessa maniera ed esigere che saldiamo il debito che abbiamo contratto con lui! Ed è grande quel debito… Come faremmo allora? No, fratelli! L'odio e il rancore - tra i resto - rovinano il fegato, fanno star male; ne va della salute alla fin fine. L'avevano intuito quei saggi ebrei che hanno lasciato scritto quell’espressione che è stata proclamata poco fa’: "Se uno conserva la collera, come oserà chiedere la guarigione al Signore?". Rancore e salute sono due cose che non vanno d'accordo. Ma soprattutto ciò che non va d'accordo con la nostra dignità di figli di Dio è il disprezzo per l'altra persona: rancore e odio sono la peggiore forma di disprezzo.
Dio ci tiene alla dignità dei suoi figli: tutti. Non vuol che alcuno sia offeso, né che alcuno - per vendetta - diventi a sua volta offensore. Tra figli dello stesso Padre la legge è la concordia, il guardarsi negli occhi, non il voltarsi le spalle o il farsi lo sgambetto. Non vedete con quanta insistenza ci educa il Signore a rispettarci l'un l'altro nella nostra irripetibile dignità?
Domenica scorsa ci invitava a fare ogni possibile tentativo per ricuperare il fratello che ci ha fatto un torto: "Va' e correggilo, fra te e lui solo... Se non ti ascolta, porta conte dei testimoni... Se non ascolta nemmeno allora, dillo alla Comunità...". Oggi: "Perdonate. Settanta volte sette". Ma perchè tanta insistenza in questo campo delle nostre relazioni? Perché Dio crede nella dignità d'ogni persona, anche di quella che ci offende. Anche il mio offensore è figlio di Dio, come lo sono io. Dio vuole educarci a vivere da figli.È dura a volte, ma a pagare il prezzo più alto di tutti è ancora lui, il Signore, il Padre nostro. Egli è disposto a rimetterci i più grandi debiti che abbiamo verso di lui, e chiede a noi di rimettere a nostra volta i piccoli debiti che i nostri fratelli hanno con noi.
È così, soltanto così che si costruisce quella civiltà nuova che è stata definita la "civiltà dell'amore": cominciando dalle infinite e piccole occasioni del nostro vivere quotidiano. Perché - se i figli delle tenebre piazzano qua e là nel mondo armi sempre più sofisticate e terribili - i figli della luce devono costruire con altrettanta decisione la civiltà dell'amore, fatta di perdono, di magnanimità, che è l’arte di passar sopra alle piccinerie.
Dio l'ha cominciata questa civiltà. A noi chiede di collaborare con lui a costruirla, perché il mondo ne ha davvero estremo bisogno.
Domenica 10 Settembre - 23° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Ezechiele 33,1.7-9; Romani 13,8-10; Matteo 18,15-20
Noi siamo contrassegnati da numeri. Nel mondo d’oggi è inevitabile, del resto. Dal punto di vista delle comunicazioni siamo dei numeri: numeri di telefono, di cellulare, un numero la carta d’identità, la carta di credito, la tessera sanitaria. Non parliamo poi dei numeri di codice… che devono restare segreti ma che è necessario ricordare. Anche in certi negozi o in certi uffici siamo dei numeri, nel senso che bisogna ritirare uno scontrino e fare la fila…
E’ inevitabile del resto: se si vuole un minimo d’ordine e d’efficienza non può che essere così. La cosa però ci mette addosso anche un certo disagio: sì, siamo miliardi a questo mondo, d’accordo, ma miliardi di persone: e così profondamente diversi gli uni dagli altri che non bastano i numeri a differenziarci. I numeri ci livellano, non rendono ragione delle nostre diversità.
E allora ci sorge un dubbio: non è che siamo dei numeri anche davanti a Dio? Lui del resto avrebbe alcune ragioni in più per considerarci dei numeri: non ha a che fare solo con l’umanità dei nostri giorni, ma anche con quella che ci ha preceduto, e con quella che verrà dopo di noi… Come farà Dio a tenerne conto… senza ricorrere ai numeri? Ebbene no, tranquilli: ognuno è unico agli occhi di Dio, e perciò unico può essere anche agli occhi dei suoi fratelli. Quale altro senso possono avere se non questo le parole di Gesù oggi? “Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni.
Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano». Perché tutta questa sollecitudine per il fratello che mi ha procurato un’offesa? (Notate: non io a lui, ma lui a me! Noi penseremmo che in tal caso tocca a lui fare il primo passo! No, tocca a me, l’offeso: perché? Perché ognuno è unico agli occhi di Dio, anche se è un fratello che mi ha fatto del male: unico nel senso di prezioso, e Dio quindi non può permettersi di perderlo. E neanche la Comunità, che è la famiglia di Dio, può permettersi di perderlo. Infatti lo scopo di tutta quella sollecitudine da mettere in atto è quello di “guadagnare il fratello”: è come dire che se il fratello si rovina oppure si salva, sei tu, è la comunità tutta intera che ne perde o ne guadagna.
E’ tanta la stima, la considerazione che ha Gesù Cristo per la sua Comunità da investirla tutta quanta di un potere eccezionale: “In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo”. Legare e sciogliere era competenza di Gesù, che quando girava per le contrade della Palestina condannava l’ipocrisia di scribi e farisei (questo era “legare”) e perdonava peccatori e pubblicani (e questo era “sciogliere”). Ora è la Comunità che ha questa competenza. E perché? E’ pur sempre fatta di uomini e donne… peccatori! La ragione è molto semplice: in questa Comunità c’è Gesù. Gesù, il Signore, il Maestro è il centro vivo della Comunità.
Un secolo fa’ si poteva pensare che era il prete – il parroco – il centro di ogni Comunità, ma le situazioni attuali delle nostre Parrocchie smentiscono questo modo di pensare e danno ragione agli Atti degli Apostoli e alle lettere di san Paolo, dove si si dice e si ripete a iosa che è il Signore Gesù il centro vivo e dinamico di ogni Comunità (a condizione, ovviamente, che in quella Comunità ci siano discepoli che credono in Gesù, e lo seguono perché cercano di vivere il suo vangelo). Sì, fratelli, io non sono certo il segretario del Padreterno, ma sono profondamente convinto che se Dio permette alla sua Chiesa di trovarsi in crisi (crisi di personale - che cala, crisi di istituzioni - che chiudono, crisi di praticanti - che diminuiscono) non è perché lo Spirito santo si è addormentato, ma per motivi ben più decisivi, tra i quali anzitutto questo: ridestare la consapevolezza che il Signore Gesù è il nostro centro vivo, dinamico, l'unico assolutamente insostituibile. E se i laici sapranno darsi una mossa e operare al servizio del Vangelo secondo il dono – il carisma – che tutti hanno ricevuto, non sarà perché scarseggiano i preti, o perché la necessità lo richiede: tutto questo è pretesto e provocazione, perchè il vero motivo alla radice è un altro: farci prendere coscienza che la Fede che abbiamo ricevuto in dono trasforma la nostra vita in una missione. Il che trova conferma anche in queste altre parole del vangelo di oggi: “In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà”. E’ forte questa affermazione: sono parole solenni di Gesù. E vere, perché non ci prende in giro.
In quanti bisogna essere allora per fare Comunità? Gli ebrei dicevano che la funzione che celebravano alla sinagoga il Sabato era valida se erano presenti almeno 10 uomini (le donne non facevano neanche numero a quei tempi). Ebbene, avete sentito che rivoluzione porta Gesù in questo campo? Bastano due persone – due che si accordano, si sintonizzano a chiedere una stessa cosa al Padre nostro – per ottenere ciò che si domanda. E l’insistenza qui non è tanto su ciò che si domanda (può capitare che il Padre nostro non conceda sempre ciò che si domanda, o perché ha i suoi buoni motivi per farcelo attendere, o perché ha qualcosa di meglio da darci); no, la novità sta nel fatto che si è insieme, d’accordo, in sintonia: si crea allora una situazione in cui sono addirittura annullate le distanze tra terra e cielo… Perchè mai? “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” dice il Signore. Ecco ciò che qualifica quell’insieme: Gesù, Lui è il centro vivo della Comunità.
Può essere piccola, povera, scalcinata, ma se è fatta di persone che hanno deciso di credere in Gesù Cristo, lui è presente. E se lui è presente, allora quella Comunità è molto più che la somma dei volti o dei nomi delle persone che la compongono: molto, molto di più! Il che è vero per ciascuna delle nostre Comunità, perchè il Vangelo non è un insieme di belle teorie, ma ci offre la radiografia esatta di ogni realtà.
Se la presenza di Gesù Cristo tra noi non è fortemente creduta, adorata, celebrata, è come trovarsi in una casa al buio, sempre al buio: allora, invece che persone e fratelli, si vedono soltanto sagome: sagome da giudicare, da condannare o dalle quali stare alla larga.
Gesù, centro vivo della Comunità: creduto, amato, celebrato! Solo Lui può darci quella profondità di sguardo che ci consente di vedere noi stessi, gli altri, il futuro, con lo stesso sguardo di Dio. Cioè con la sua stessa fiducia, stima e sollecitudine. In altre parole: con il suo stesso amore.
Le Letture Bibliche: Ezechiele 33,1.7-9; Romani 13,8-10; Matteo 18,15-20
Noi siamo contrassegnati da numeri. Nel mondo d’oggi è inevitabile, del resto. Dal punto di vista delle comunicazioni siamo dei numeri: numeri di telefono, di cellulare, un numero la carta d’identità, la carta di credito, la tessera sanitaria. Non parliamo poi dei numeri di codice… che devono restare segreti ma che è necessario ricordare. Anche in certi negozi o in certi uffici siamo dei numeri, nel senso che bisogna ritirare uno scontrino e fare la fila…
E’ inevitabile del resto: se si vuole un minimo d’ordine e d’efficienza non può che essere così. La cosa però ci mette addosso anche un certo disagio: sì, siamo miliardi a questo mondo, d’accordo, ma miliardi di persone: e così profondamente diversi gli uni dagli altri che non bastano i numeri a differenziarci. I numeri ci livellano, non rendono ragione delle nostre diversità.
E allora ci sorge un dubbio: non è che siamo dei numeri anche davanti a Dio? Lui del resto avrebbe alcune ragioni in più per considerarci dei numeri: non ha a che fare solo con l’umanità dei nostri giorni, ma anche con quella che ci ha preceduto, e con quella che verrà dopo di noi… Come farà Dio a tenerne conto… senza ricorrere ai numeri? Ebbene no, tranquilli: ognuno è unico agli occhi di Dio, e perciò unico può essere anche agli occhi dei suoi fratelli. Quale altro senso possono avere se non questo le parole di Gesù oggi? “Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni.
Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano». Perché tutta questa sollecitudine per il fratello che mi ha procurato un’offesa? (Notate: non io a lui, ma lui a me! Noi penseremmo che in tal caso tocca a lui fare il primo passo! No, tocca a me, l’offeso: perché? Perché ognuno è unico agli occhi di Dio, anche se è un fratello che mi ha fatto del male: unico nel senso di prezioso, e Dio quindi non può permettersi di perderlo. E neanche la Comunità, che è la famiglia di Dio, può permettersi di perderlo. Infatti lo scopo di tutta quella sollecitudine da mettere in atto è quello di “guadagnare il fratello”: è come dire che se il fratello si rovina oppure si salva, sei tu, è la comunità tutta intera che ne perde o ne guadagna.
E’ tanta la stima, la considerazione che ha Gesù Cristo per la sua Comunità da investirla tutta quanta di un potere eccezionale: “In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo”. Legare e sciogliere era competenza di Gesù, che quando girava per le contrade della Palestina condannava l’ipocrisia di scribi e farisei (questo era “legare”) e perdonava peccatori e pubblicani (e questo era “sciogliere”). Ora è la Comunità che ha questa competenza. E perché? E’ pur sempre fatta di uomini e donne… peccatori! La ragione è molto semplice: in questa Comunità c’è Gesù. Gesù, il Signore, il Maestro è il centro vivo della Comunità.
Un secolo fa’ si poteva pensare che era il prete – il parroco – il centro di ogni Comunità, ma le situazioni attuali delle nostre Parrocchie smentiscono questo modo di pensare e danno ragione agli Atti degli Apostoli e alle lettere di san Paolo, dove si si dice e si ripete a iosa che è il Signore Gesù il centro vivo e dinamico di ogni Comunità (a condizione, ovviamente, che in quella Comunità ci siano discepoli che credono in Gesù, e lo seguono perché cercano di vivere il suo vangelo). Sì, fratelli, io non sono certo il segretario del Padreterno, ma sono profondamente convinto che se Dio permette alla sua Chiesa di trovarsi in crisi (crisi di personale - che cala, crisi di istituzioni - che chiudono, crisi di praticanti - che diminuiscono) non è perché lo Spirito santo si è addormentato, ma per motivi ben più decisivi, tra i quali anzitutto questo: ridestare la consapevolezza che il Signore Gesù è il nostro centro vivo, dinamico, l'unico assolutamente insostituibile. E se i laici sapranno darsi una mossa e operare al servizio del Vangelo secondo il dono – il carisma – che tutti hanno ricevuto, non sarà perché scarseggiano i preti, o perché la necessità lo richiede: tutto questo è pretesto e provocazione, perchè il vero motivo alla radice è un altro: farci prendere coscienza che la Fede che abbiamo ricevuto in dono trasforma la nostra vita in una missione. Il che trova conferma anche in queste altre parole del vangelo di oggi: “In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà”. E’ forte questa affermazione: sono parole solenni di Gesù. E vere, perché non ci prende in giro.
In quanti bisogna essere allora per fare Comunità? Gli ebrei dicevano che la funzione che celebravano alla sinagoga il Sabato era valida se erano presenti almeno 10 uomini (le donne non facevano neanche numero a quei tempi). Ebbene, avete sentito che rivoluzione porta Gesù in questo campo? Bastano due persone – due che si accordano, si sintonizzano a chiedere una stessa cosa al Padre nostro – per ottenere ciò che si domanda. E l’insistenza qui non è tanto su ciò che si domanda (può capitare che il Padre nostro non conceda sempre ciò che si domanda, o perché ha i suoi buoni motivi per farcelo attendere, o perché ha qualcosa di meglio da darci); no, la novità sta nel fatto che si è insieme, d’accordo, in sintonia: si crea allora una situazione in cui sono addirittura annullate le distanze tra terra e cielo… Perchè mai? “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” dice il Signore. Ecco ciò che qualifica quell’insieme: Gesù, Lui è il centro vivo della Comunità.
Può essere piccola, povera, scalcinata, ma se è fatta di persone che hanno deciso di credere in Gesù Cristo, lui è presente. E se lui è presente, allora quella Comunità è molto più che la somma dei volti o dei nomi delle persone che la compongono: molto, molto di più! Il che è vero per ciascuna delle nostre Comunità, perchè il Vangelo non è un insieme di belle teorie, ma ci offre la radiografia esatta di ogni realtà.
Se la presenza di Gesù Cristo tra noi non è fortemente creduta, adorata, celebrata, è come trovarsi in una casa al buio, sempre al buio: allora, invece che persone e fratelli, si vedono soltanto sagome: sagome da giudicare, da condannare o dalle quali stare alla larga.
Gesù, centro vivo della Comunità: creduto, amato, celebrato! Solo Lui può darci quella profondità di sguardo che ci consente di vedere noi stessi, gli altri, il futuro, con lo stesso sguardo di Dio. Cioè con la sua stessa fiducia, stima e sollecitudine. In altre parole: con il suo stesso amore.
Domenica 3 Settembre - 22° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Geremia 20,7-9; Romani 12,1-2; Matteo 16,21-27
Il Vangelo di ogni Domenica potrebbe finire con la parola “continua”, perché la vicenda che riferisce prosegue la Domenica dopo. Era domenica scorsa infatti che Gesù diceva a Pietro: “Beato te, Simone, perché Dio ti ha fatto capire chi sono io veramente…”. Aveva chiesto ai suoi apostoli: “Chi sono io, secondo voi?”. E Pietro era stato quello che aveva dato la risposta giusta: “Tu sei il Cristo” – cioè colui che Dio ha mandato a portare salvezza in questo mondo che rischia la rovina… il Messia, insomma: ecco chi sei”. “Sì - gli aveva risposto Gesù – beato te che l’hai capito! Anzi, a dire il vero, non sei tu che l’hai scoperto: è Dio, il Padre, che te l’ha fatto capire!”.
A Pietro probabilmente non era sembrato vero di aver fatto quella bella figura davanti a tutti gli altri. Ma ecco che subito dopo la sviolinata arriva una stilettata, un rimprovero, e anche pesante…Gesù ha preannunciato ai suoi amici quello che lo aspetta: andrà a Gerusalemme, dove lo faranno soffrire, gli faranno portare una croce e lo faranno morire su quella croce; poi… sì, risorgerà… ma grazie a che prezzo! E Pietro, che ormai ha preso confidenza con Gesù, lo prende in disparte e cerca di dissuaderlo: “No, Signore! La croce è fatta per i delinquenti, non per te! Tu sei il Messia! Il Messia deve trionfare su tutti i suoi nemici… non finire su una croce!”.
E parla con le migliori intenzioni Pietro, perché vuole bene a Gesù: ma gli vuole bene… a modo suo, non come piace a Dio. Pietro – senza accorgersene – ragiona come Satana, il diavolo (“diavolo” vuol dire “divisore”, colui che separa, che divide, che allontana). Pietro vorrebbe nientemeno che, allontanare Gesù da Dio, il Padre, distoglierlo dalla sua strada. Tant’è vero che si sente chiamare proprio così: “Satana!”. Eh, non è affatto un bel complimento. “Mettiti dietro di me, Satana, perché se invece mi stai davanti, sei d’inciampo: scandalo, appunto. Tu vorresti separarmi da Dio, distogliermi dalla sua strada”.
Al che io, fratelli, mi domando: ma se Gesù ha chiamato “satana” Pietro – san Pietro! – allora noi… come dovrebbe chiamarci? Forse che siamo più ben disposti di Pietro a camminare dietro a Gesù sulla via della croce? Ne, dubito! Perché, vedete: Pietro aveva ben capito che quella storia non riguardava soltanto Gesù… ne era coinvolto anche lui. Tant’è vero che ne ha subito conferma: “Allora Gesù disse: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Eh, sì: riguardava anche Pietro quella prospettiva, e tutti quelli che insieme a lui camminavano o si sarebbero incamminati dietro a Gesù. E io non sarei onesto se non dicessi: si, anche noi, e tutti quelli che come noi si dicono cristiani (il nome “cristiani” deriva da Cristo, infatti…).
Ma che cos’è la croce di cui parla? “…prenda la sua croce e mi segua” dice. So di averlo già detto, ripetuto, e penso che lo dovrò fare ancora. Molti parlano di croce quando capita una disgrazia, o una malattia imprevista, o un brutto incidente… Ma la croce di Gesù non è stata una disgrazia, una malattia incurabile, Gesù non è morto per un incidente: è morto sulla croce perché insegnava ad amare e perdonare invece che a odiare o vendicarsi; diceva che fare del bene, anche a chi ci fa del male, è l’unico modo per cambiare in meglio la storia malata di questo mondo… Gesù è morto sulla croce perché insegnava che tutti siamo figli di Dio, tutti degni di stare al mondo, e quindi l’unica legge che deve regnare è quella della solidarietà, della condivisione, non quella dell’arrembaggio, della ricerca del proprio interesse ad ogni costo. Ora, la legge del perdono, della giustizia vera, della solidarietà, ai potenti e ai grandi non è mai piaciuta, ecco quindi che a Gesù hanno preparato la croce.
E lui ha accettato di morirci sopra, per provare con i fatti che era vero ciò che ci aveva insegnato.
Perciò - in tutta onestà - mette in guardia tutti quelli che lo vogliono seguire. Si, anche noi. Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Forse che la croce di cui parla qui sarà diversa dalla sua? No, affatto: sarà del tutto simile. La conoscono molto bene e per esperienza quei 400 e più milioni di cristiani che subiscono persecuzioni nel mondo d’oggi: o da parte di gruppi intolleranti di altre religioni che pretendono di avere l’esclusiva, o da parte di potenze o società (multinazionali soprattutto) per le quali il Vangelo è come fumo negli occhi… Più di 400 milioni… chiese e case distrutte… fughe per mettersi in salvo… uccisioni. Questa è la croce che ha incontrato Gesù.
Oh, noi non siamo affatto perseguitati, e ci auguriamo di non esserlo mai. Però, fratelli, evitiamo di ridurre la croce a una malattia, o a una sciagura, o a un incidente… Queste batoste c’erano anche prima che venisse Gesù Cristo e nessuno mai le chiamava “croci”. Se siamo cristiani, chiamiamo “croce” la fatica di perdonare chi ci offende, lo sforzo di amare quando è difficile amare, il sacrificio di rinunciare a qualcosa di nostro per condividerlo con chi non ha niente… Chiamiamo croce il sacrificio che ci costa essere leali, coerenti, veri invece che falsi… Questa è la croce di quelli che vogliono seguirlo e e chiamarsi a bon diritto cristiani.
Ah certo, anche una sofferenza, anche una prova, possiamo chiamarla croce, ma a una condizione ben precisa: che cerchiamo di affrontarla senza perdere la Fede, senza smettere di fidarci del Signore. Altrimenti è solo una rogna, una grana. Non abbiamo il diritto di chiamarla croce.
“Chi vuol salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per causa mia, la troverà” conclude Gesù. Perdere la propria vita, per Lui ha voluto dire donare la vita. E che donarla sia l’unico modo per trovarla, lo prova il fatto che Lui è risorto. “Chi invece la sua vita vuol conservarla a tutti i costi, preoccupato di godersela tutta e solo per sé - costui la rovina… la perde. E allora, “quale vantaggio avrà una persona se guadagnerà anche il mondo intero, ma perde la sua vita?”.
Basta guardare alla nostra esperienza di tutti i giorni per capire che è davvero così: se non è la logica del donare la vita quella che ci anima nelle nostre famiglie, come possono stare in piedi le nostre famiglie? Non parliamo poi della società: se non ci muove l’idea che vale la pena donarsi, spendersi – allora è l’dea opposta a dominare: la ricerca del proprio interesse, del prestigio, del successo a qualsiasi costo, del diritto all’odio (come va dicendo qualcuno)… e allora son dolori. Per tutti.
Insomma, non vi pare che abbiamo motivi più che sufficienti per far credito alle parole di Gesù Cristo? “Chi vuol salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per causa mia, la troverà”.
Non vi sfugga però, fratelli, il fatto che Gesù è il primo che si è comportato così. E siccome lui è vivo (ed è qui con noi anche in questa Eucaristia), sappiate che è solo in un forte legame d’amicizia con Lui che impareremo a ragionare e a comportarci così. Con lui, questo stile è saggezza. E’ lo stile vincente. Ed è possibile.
Senza di lui, o a prescindere da lui, sarebbe pura follia.
Le Letture Bibliche: Geremia 20,7-9; Romani 12,1-2; Matteo 16,21-27
Il Vangelo di ogni Domenica potrebbe finire con la parola “continua”, perché la vicenda che riferisce prosegue la Domenica dopo. Era domenica scorsa infatti che Gesù diceva a Pietro: “Beato te, Simone, perché Dio ti ha fatto capire chi sono io veramente…”. Aveva chiesto ai suoi apostoli: “Chi sono io, secondo voi?”. E Pietro era stato quello che aveva dato la risposta giusta: “Tu sei il Cristo” – cioè colui che Dio ha mandato a portare salvezza in questo mondo che rischia la rovina… il Messia, insomma: ecco chi sei”. “Sì - gli aveva risposto Gesù – beato te che l’hai capito! Anzi, a dire il vero, non sei tu che l’hai scoperto: è Dio, il Padre, che te l’ha fatto capire!”.
A Pietro probabilmente non era sembrato vero di aver fatto quella bella figura davanti a tutti gli altri. Ma ecco che subito dopo la sviolinata arriva una stilettata, un rimprovero, e anche pesante…Gesù ha preannunciato ai suoi amici quello che lo aspetta: andrà a Gerusalemme, dove lo faranno soffrire, gli faranno portare una croce e lo faranno morire su quella croce; poi… sì, risorgerà… ma grazie a che prezzo! E Pietro, che ormai ha preso confidenza con Gesù, lo prende in disparte e cerca di dissuaderlo: “No, Signore! La croce è fatta per i delinquenti, non per te! Tu sei il Messia! Il Messia deve trionfare su tutti i suoi nemici… non finire su una croce!”.
E parla con le migliori intenzioni Pietro, perché vuole bene a Gesù: ma gli vuole bene… a modo suo, non come piace a Dio. Pietro – senza accorgersene – ragiona come Satana, il diavolo (“diavolo” vuol dire “divisore”, colui che separa, che divide, che allontana). Pietro vorrebbe nientemeno che, allontanare Gesù da Dio, il Padre, distoglierlo dalla sua strada. Tant’è vero che si sente chiamare proprio così: “Satana!”. Eh, non è affatto un bel complimento. “Mettiti dietro di me, Satana, perché se invece mi stai davanti, sei d’inciampo: scandalo, appunto. Tu vorresti separarmi da Dio, distogliermi dalla sua strada”.
Al che io, fratelli, mi domando: ma se Gesù ha chiamato “satana” Pietro – san Pietro! – allora noi… come dovrebbe chiamarci? Forse che siamo più ben disposti di Pietro a camminare dietro a Gesù sulla via della croce? Ne, dubito! Perché, vedete: Pietro aveva ben capito che quella storia non riguardava soltanto Gesù… ne era coinvolto anche lui. Tant’è vero che ne ha subito conferma: “Allora Gesù disse: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Eh, sì: riguardava anche Pietro quella prospettiva, e tutti quelli che insieme a lui camminavano o si sarebbero incamminati dietro a Gesù. E io non sarei onesto se non dicessi: si, anche noi, e tutti quelli che come noi si dicono cristiani (il nome “cristiani” deriva da Cristo, infatti…).
Ma che cos’è la croce di cui parla? “…prenda la sua croce e mi segua” dice. So di averlo già detto, ripetuto, e penso che lo dovrò fare ancora. Molti parlano di croce quando capita una disgrazia, o una malattia imprevista, o un brutto incidente… Ma la croce di Gesù non è stata una disgrazia, una malattia incurabile, Gesù non è morto per un incidente: è morto sulla croce perché insegnava ad amare e perdonare invece che a odiare o vendicarsi; diceva che fare del bene, anche a chi ci fa del male, è l’unico modo per cambiare in meglio la storia malata di questo mondo… Gesù è morto sulla croce perché insegnava che tutti siamo figli di Dio, tutti degni di stare al mondo, e quindi l’unica legge che deve regnare è quella della solidarietà, della condivisione, non quella dell’arrembaggio, della ricerca del proprio interesse ad ogni costo. Ora, la legge del perdono, della giustizia vera, della solidarietà, ai potenti e ai grandi non è mai piaciuta, ecco quindi che a Gesù hanno preparato la croce.
E lui ha accettato di morirci sopra, per provare con i fatti che era vero ciò che ci aveva insegnato.
Perciò - in tutta onestà - mette in guardia tutti quelli che lo vogliono seguire. Si, anche noi. Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Forse che la croce di cui parla qui sarà diversa dalla sua? No, affatto: sarà del tutto simile. La conoscono molto bene e per esperienza quei 400 e più milioni di cristiani che subiscono persecuzioni nel mondo d’oggi: o da parte di gruppi intolleranti di altre religioni che pretendono di avere l’esclusiva, o da parte di potenze o società (multinazionali soprattutto) per le quali il Vangelo è come fumo negli occhi… Più di 400 milioni… chiese e case distrutte… fughe per mettersi in salvo… uccisioni. Questa è la croce che ha incontrato Gesù.
Oh, noi non siamo affatto perseguitati, e ci auguriamo di non esserlo mai. Però, fratelli, evitiamo di ridurre la croce a una malattia, o a una sciagura, o a un incidente… Queste batoste c’erano anche prima che venisse Gesù Cristo e nessuno mai le chiamava “croci”. Se siamo cristiani, chiamiamo “croce” la fatica di perdonare chi ci offende, lo sforzo di amare quando è difficile amare, il sacrificio di rinunciare a qualcosa di nostro per condividerlo con chi non ha niente… Chiamiamo croce il sacrificio che ci costa essere leali, coerenti, veri invece che falsi… Questa è la croce di quelli che vogliono seguirlo e e chiamarsi a bon diritto cristiani.
Ah certo, anche una sofferenza, anche una prova, possiamo chiamarla croce, ma a una condizione ben precisa: che cerchiamo di affrontarla senza perdere la Fede, senza smettere di fidarci del Signore. Altrimenti è solo una rogna, una grana. Non abbiamo il diritto di chiamarla croce.
“Chi vuol salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per causa mia, la troverà” conclude Gesù. Perdere la propria vita, per Lui ha voluto dire donare la vita. E che donarla sia l’unico modo per trovarla, lo prova il fatto che Lui è risorto. “Chi invece la sua vita vuol conservarla a tutti i costi, preoccupato di godersela tutta e solo per sé - costui la rovina… la perde. E allora, “quale vantaggio avrà una persona se guadagnerà anche il mondo intero, ma perde la sua vita?”.
Basta guardare alla nostra esperienza di tutti i giorni per capire che è davvero così: se non è la logica del donare la vita quella che ci anima nelle nostre famiglie, come possono stare in piedi le nostre famiglie? Non parliamo poi della società: se non ci muove l’idea che vale la pena donarsi, spendersi – allora è l’dea opposta a dominare: la ricerca del proprio interesse, del prestigio, del successo a qualsiasi costo, del diritto all’odio (come va dicendo qualcuno)… e allora son dolori. Per tutti.
Insomma, non vi pare che abbiamo motivi più che sufficienti per far credito alle parole di Gesù Cristo? “Chi vuol salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per causa mia, la troverà”.
Non vi sfugga però, fratelli, il fatto che Gesù è il primo che si è comportato così. E siccome lui è vivo (ed è qui con noi anche in questa Eucaristia), sappiate che è solo in un forte legame d’amicizia con Lui che impareremo a ragionare e a comportarci così. Con lui, questo stile è saggezza. E’ lo stile vincente. Ed è possibile.
Senza di lui, o a prescindere da lui, sarebbe pura follia.
Domenica 27 Agosto - 21° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Isaia 22,19-23; Romani 11,33-36; Matteo 16,13-20
Il suo nome era Simone. E’ Gesù che gli ha cambiato nome: Pietro, o più precisamente “Pietra”, “roccia”. Su questa “roccia” ha fondato la Chiesa. Ma che roccia può essere? Che stabilità può avere? Un uomo che, sì… vuol bene a Gesù, ma è un rude pescatore dal carattere impulsivo, poco affidabile, poco equilibrato alla fin fine. Qualche Domenica fa’ il Vangelo ci riportava un rimprovero di Gesù proprio a lui: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Si era illuso di caminare sulle acque perché si sentiva capace, ma cominciò subito ad affondare… Nel momento più drammatico della vicenda di Gesù (la passione), lo rinnegò per tre volte… dopo aver giurato che non l’avrebbe mai abbandonato. Oh, non che gli altri 11 fossero molto migliori di lui (anche se prescindiamo da Giuda il traditore): i fratelli Giacomo e Giovanni erano due irruenti che ambivano a far carriera; Tommaso non credeva se non a ciò che vedeva e toccava; Simone era soprannominato lo Zelota: gli Zeloti a quell’epoca erano quelli che oggi chiamiamo i talebani… o i terroristi… In ogni caso, alla fine della vicenda di Gesù, nelle ore della Passione, tutti scapparono e lo abbandonarono (tranne Giovanni, forse… che rimase con Maria accanto alla croce). Insomma, Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa su uomini - a cominciare da Pietro - la cui Fede era mescolata alle loro debolezze. Perché mai? Si sarà sbagliato nella scelta? Impossibile, da Figlio di Dio qual è, li conosceva nell’intimo benissimo, e sapeva come sarebbero andate le cose. Ha fatto apposta a scegliere individui così.
Oh, certo, a stare con Gesù hanno avuto modo di cambiare, e se il Signore ha dato loro un altro nome è perché tutta la loro persona sarebbe cambiata, seguendo Lui come Guida e Maestro di vita. Tutti gli apostoli infatti, a cominciare da Pietro, sono celebrati come martiri nella tradizione cristiana: ciò vuol dire che per quel Gesù che li aveva chiamati hanno sacrificato anche la loro vita alla fin fine. Insomma, debolezze tanto pesanti da risultare scandalose, e grandezze tanto coraggiose da rasentare l’eroismo. La Chiesa di Gesù Cristo è fatta così. L’ha voluta lui così: quel cromosoma iniziale l’ha confezionato Lui stesso. Perché?
Prima di rispondere – o tentare di rispondere – possiamo subito dire che, anche al giorno d’oggi, questo misto di debolezze e di grandezze a molti dà fastidio, non piace. Vorrebbero una Chiesa tutta pura, tutta irreprensibile e coerente al 100% con il messaggio che predica. Invece gli strumenti di comunicazione (che sovrabbondano al giorno d’oggi come non mai), non perdono occasione di riferire di comportamenti malvagi che si registrano nella Chiesa a tutte le latitudini (penso, ad esempio, alla piaga provocata dalla pedofilia: non c’è dubbio che certi uomini di Chiesa ne siano responsabili; fa male a tutta la Chiesa venirne a conoscenza, e tuttavia è un dato di fatto che non si può negare; ma va anche detto che proprio su questo si ignora gran parte della verità, e sta nel fatto che la maggioranza di tali crimini non avvengono nell’ambito della Chiesa, degli Oratori, o delle scuole, ma bensì all’interno della famiglie e dello stretto parentado; e tuttavia, chi oserà denunciare un famigliare? Come pretendere risarcimenti in tal caso? Da un estraneo, invece, eh si, li si può pretendere risarcimento… e perciò si può denunciare. Oh, sia chiaro, con questo non intendo affatto scusare certi uomini di Chiesa che si sono macchiati di azioni tanto disgustose… ma non sarebbe male che la verità una volta tanto venisse a galla in maniera più completa, più obiettiva).
A parte tutto questo, resta comunque vero: la Chiesa fin dalle sue origini reca in se’ tutta la grazia di Dio e tutte le debolezze umane. È Gesù Cristo che l’ha voluta così: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. Perché non ha scelto gli angeli a fare da fondamento alla Chiesa? Gli angeli non hanno esperienza di umanità. Dio invece sì: suo Figlio ha provato cosa significa essere umani, e lo è stato in modo così intenso che soltanto Dio poteva essere umano così. Più che una Chiesa delle Feste, Gesù Cristo ci ha dato una Chiesa dei giorni feriali, perché la vita è fatta soprattutto di giorni feriali. E la salvezza – quella che Lui ha portato dentro questo mondo – si realizza proprio dentro la nostra umanità feriale e quotidiana, vivendo un amore che ha i connotati della fedeltà, anche se a volte monotona; del camminare cadenzato, anche se a volte si sperimentano cadute e peccati. Su questa pietra edificherò la mia Chiesa.
Io a volte sono stato abbastanza critico verso certe posizioni della Chiesa, nei confronti di certi uomini di Chiesa e dei loro comportamenti…e penso che lo sarò sempre. Nello stesso tempo, però, amo questa Chiesa che Gesù ha inventato; e chiedo a Dio due cose: di essere abbastanza umile da guardarmi addosso prima di guardare e criticare gli altri; e poi di far sì che la mia critica sia motivata dall’amore, solo dall’amore. Se in una famiglia certe cose non vanno, solo chi guarda da fuori ne sparla e fa maldicenze; chi è dentro ne soffre, e soffre perché ama. La Chiesa è la Famiglia di Dio con noi. Chi è dentro, magari ne soffre, ma la ama.
E qual è la sua forza, il segreto di questo suo andare avanti, nonostante le sue debolezze interne e le difficoltà da fuori, che non mancano mai? “Voi, chi dite che io sia?” chiese Gesù a quei dodici. “Tu sei il Cristo, il Figlio del vivente”, rispose Pietro. Eccolo, fratelli, il segreto. Se le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa di Gesù non è perché in 2000 anni di storia è diventata tanto brava da superare tutte le tempeste… E’ solo perché non distoglie lo sguardo da Lui: il suo Signore, il vero timoniere della barca. (Ricordate il vangelo di Pietro che camminava sulle acque per invito di Gesù e che quando distolse lo sguardo da Lui cominciò ad affondare?). E’ lo sguardo fisso su Gesù Cristo il vero motivo dell’esistenza e della resistenza della Chiesa. E farne parte, fratelli, vuol dire guardare tutti a Lui come al vero essenziale. Tutto il resto diventa relativo: possiamo avere idee diverse su tante cose, anche importanti; possiamo discutere, perfino litigare, ma poi i nostri sguardi devono concentrarsi sull’essenziale: Gesù Cristo.
“Ordinò allora ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo”, cioè il Messia. Lui infatti non è un’idea per cui combattere o da imporre agli altri; è una Persona: il Figlio di Dio diventato umano come noi.
Tutto da contemplare, da amare e soprattutto da seguire.
Le Letture Bibliche: Isaia 22,19-23; Romani 11,33-36; Matteo 16,13-20
Il suo nome era Simone. E’ Gesù che gli ha cambiato nome: Pietro, o più precisamente “Pietra”, “roccia”. Su questa “roccia” ha fondato la Chiesa. Ma che roccia può essere? Che stabilità può avere? Un uomo che, sì… vuol bene a Gesù, ma è un rude pescatore dal carattere impulsivo, poco affidabile, poco equilibrato alla fin fine. Qualche Domenica fa’ il Vangelo ci riportava un rimprovero di Gesù proprio a lui: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Si era illuso di caminare sulle acque perché si sentiva capace, ma cominciò subito ad affondare… Nel momento più drammatico della vicenda di Gesù (la passione), lo rinnegò per tre volte… dopo aver giurato che non l’avrebbe mai abbandonato. Oh, non che gli altri 11 fossero molto migliori di lui (anche se prescindiamo da Giuda il traditore): i fratelli Giacomo e Giovanni erano due irruenti che ambivano a far carriera; Tommaso non credeva se non a ciò che vedeva e toccava; Simone era soprannominato lo Zelota: gli Zeloti a quell’epoca erano quelli che oggi chiamiamo i talebani… o i terroristi… In ogni caso, alla fine della vicenda di Gesù, nelle ore della Passione, tutti scapparono e lo abbandonarono (tranne Giovanni, forse… che rimase con Maria accanto alla croce). Insomma, Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa su uomini - a cominciare da Pietro - la cui Fede era mescolata alle loro debolezze. Perché mai? Si sarà sbagliato nella scelta? Impossibile, da Figlio di Dio qual è, li conosceva nell’intimo benissimo, e sapeva come sarebbero andate le cose. Ha fatto apposta a scegliere individui così.
Oh, certo, a stare con Gesù hanno avuto modo di cambiare, e se il Signore ha dato loro un altro nome è perché tutta la loro persona sarebbe cambiata, seguendo Lui come Guida e Maestro di vita. Tutti gli apostoli infatti, a cominciare da Pietro, sono celebrati come martiri nella tradizione cristiana: ciò vuol dire che per quel Gesù che li aveva chiamati hanno sacrificato anche la loro vita alla fin fine. Insomma, debolezze tanto pesanti da risultare scandalose, e grandezze tanto coraggiose da rasentare l’eroismo. La Chiesa di Gesù Cristo è fatta così. L’ha voluta lui così: quel cromosoma iniziale l’ha confezionato Lui stesso. Perché?
Prima di rispondere – o tentare di rispondere – possiamo subito dire che, anche al giorno d’oggi, questo misto di debolezze e di grandezze a molti dà fastidio, non piace. Vorrebbero una Chiesa tutta pura, tutta irreprensibile e coerente al 100% con il messaggio che predica. Invece gli strumenti di comunicazione (che sovrabbondano al giorno d’oggi come non mai), non perdono occasione di riferire di comportamenti malvagi che si registrano nella Chiesa a tutte le latitudini (penso, ad esempio, alla piaga provocata dalla pedofilia: non c’è dubbio che certi uomini di Chiesa ne siano responsabili; fa male a tutta la Chiesa venirne a conoscenza, e tuttavia è un dato di fatto che non si può negare; ma va anche detto che proprio su questo si ignora gran parte della verità, e sta nel fatto che la maggioranza di tali crimini non avvengono nell’ambito della Chiesa, degli Oratori, o delle scuole, ma bensì all’interno della famiglie e dello stretto parentado; e tuttavia, chi oserà denunciare un famigliare? Come pretendere risarcimenti in tal caso? Da un estraneo, invece, eh si, li si può pretendere risarcimento… e perciò si può denunciare. Oh, sia chiaro, con questo non intendo affatto scusare certi uomini di Chiesa che si sono macchiati di azioni tanto disgustose… ma non sarebbe male che la verità una volta tanto venisse a galla in maniera più completa, più obiettiva).
A parte tutto questo, resta comunque vero: la Chiesa fin dalle sue origini reca in se’ tutta la grazia di Dio e tutte le debolezze umane. È Gesù Cristo che l’ha voluta così: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. Perché non ha scelto gli angeli a fare da fondamento alla Chiesa? Gli angeli non hanno esperienza di umanità. Dio invece sì: suo Figlio ha provato cosa significa essere umani, e lo è stato in modo così intenso che soltanto Dio poteva essere umano così. Più che una Chiesa delle Feste, Gesù Cristo ci ha dato una Chiesa dei giorni feriali, perché la vita è fatta soprattutto di giorni feriali. E la salvezza – quella che Lui ha portato dentro questo mondo – si realizza proprio dentro la nostra umanità feriale e quotidiana, vivendo un amore che ha i connotati della fedeltà, anche se a volte monotona; del camminare cadenzato, anche se a volte si sperimentano cadute e peccati. Su questa pietra edificherò la mia Chiesa.
Io a volte sono stato abbastanza critico verso certe posizioni della Chiesa, nei confronti di certi uomini di Chiesa e dei loro comportamenti…e penso che lo sarò sempre. Nello stesso tempo, però, amo questa Chiesa che Gesù ha inventato; e chiedo a Dio due cose: di essere abbastanza umile da guardarmi addosso prima di guardare e criticare gli altri; e poi di far sì che la mia critica sia motivata dall’amore, solo dall’amore. Se in una famiglia certe cose non vanno, solo chi guarda da fuori ne sparla e fa maldicenze; chi è dentro ne soffre, e soffre perché ama. La Chiesa è la Famiglia di Dio con noi. Chi è dentro, magari ne soffre, ma la ama.
E qual è la sua forza, il segreto di questo suo andare avanti, nonostante le sue debolezze interne e le difficoltà da fuori, che non mancano mai? “Voi, chi dite che io sia?” chiese Gesù a quei dodici. “Tu sei il Cristo, il Figlio del vivente”, rispose Pietro. Eccolo, fratelli, il segreto. Se le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa di Gesù non è perché in 2000 anni di storia è diventata tanto brava da superare tutte le tempeste… E’ solo perché non distoglie lo sguardo da Lui: il suo Signore, il vero timoniere della barca. (Ricordate il vangelo di Pietro che camminava sulle acque per invito di Gesù e che quando distolse lo sguardo da Lui cominciò ad affondare?). E’ lo sguardo fisso su Gesù Cristo il vero motivo dell’esistenza e della resistenza della Chiesa. E farne parte, fratelli, vuol dire guardare tutti a Lui come al vero essenziale. Tutto il resto diventa relativo: possiamo avere idee diverse su tante cose, anche importanti; possiamo discutere, perfino litigare, ma poi i nostri sguardi devono concentrarsi sull’essenziale: Gesù Cristo.
“Ordinò allora ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo”, cioè il Messia. Lui infatti non è un’idea per cui combattere o da imporre agli altri; è una Persona: il Figlio di Dio diventato umano come noi.
Tutto da contemplare, da amare e soprattutto da seguire.
Domenica 20 Agosto - 20° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Isaia 56,1.6-7; Romani 11,13-15.29-32; Matteo 15,21-28
Se c’è una situazione che tocca il cuore e non lascia insensibili è quella di un bambino che soffre, e il vedere che papà e mamma soffrono con lui …e forse anche di più perché non possono far niente…Tocca il cuore.
E’ sconcertante però che Gesù faccia il sordo alle richieste di una povera mamma che lo prega per la sua bambina gravemente malata… Si era recato a Tiro e Sidone (nell’attuale Libano, Paese straniero e totalmente pagano). Lui che di solito è sempre così ben disposto verso i malatii, ‘stavolta si dimostra insensibile, indifferente. Così sembra, almeno.
E’ ben vero che quella donna non è ebrea, cioè non appartiene al popolo di Dio, ma possibile che anche Gesù abbia una mentalità così ristretta e razzista da disprezzare chiunque non appartiene a quel popolo? “Io non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele…”. Come a dire: sono qui solo per gli Ebrei, non per i pagani. Questa reazione mi richiama un fatto accaduto qualche anno fa’: a Trento c’è un ragazzo di origine asiatica, adottato da una famiglia italiana, che non vuole più salire su un tram o su un pullman dal giorno in cui, da bambino, vi era salito con la mamma e si era seduto su un seggiolino… Alla fermata successiva sali una signora col suo ragazzino, lo vide e lo apostrofò dicendo ad alta voce: “i posti sono per i trentini”… Quel bambino arrossì, si alzò in fretta e ancor oggi - se pure ragazzo ormai grande - si rifiuta di salire sui mezzi pubblici.
Gesù, a quella povera donna pagana che lo supplica risponde: “Io sono qui solo per i credenti in Dio, gli ebrei!”… possibile che anche Gesù – Figlio di Dio – abbia una mentalità così ristretta? Quella donna, di cui ci parla il vangelo, non chiedeva elemosine, ma qualcosa di più vitale: è per questo che non si diede per vinta. Il primo rifiuto la rese ancora più audace. Gli apostoli vorrebbero metter fine a quella scena; “Ascoltala! – dicono al Signore – Cosa ti costa? Vedi come ci grida dietro!”. Assomigliano a noi, quando facciamo il bene non per bontà, per misericordia e di cuore, ma semplicemente per toglierci di mezzo una scocciatura… e poi magari tiriamo anche un respiro di sollievo.
“Non è bene prendere il pane – che spetta ai figli – per gettarlo ai cagnolini!” ribatte Gesù. I figli sarebbero gli Ebrei, il popolo di Dio, il popolo eletto… Erano talmente convinti di essere “popolo eletto” da guardare dall’alto in basso tutti quelli che non erano ebrei come loro: “cani” li consideravano (allora non era come oggi: i cani valevano molto meno delle persone). Gesù è un po’ più moderato, usa il vezzeggiativo “cagnolini”…ma l’idea è sempre quella! Possibile che anche lui – Figlio di Dio – abbia una mentalità così ristretta, per non dire razzista? Quella donna però sa stare al gioco; tiene testa alla ritrosia di Gesù con grande caparbietà… “Sarà anche vero, Signore, che noi - pagàni - siamo cani rispetto a voi ebrei, però guarda che anche i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni! Io ti chiedo solo le briciole!”.
A quel punto Gesù si toglie la maschera. Aveva fatto finta di essere duro, di non volerla ascoltare, di condividere la ristrettezza mentale del suo popolo (che considerava i pagani alla stregua dei cani…). Aveva fatto finta, ma era tutta una strategia per far risaltare la fede di quella donna, solo in apparenza pagana. E glielo riconosce pubblicamente, con soddisfazione: “Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri!”. In un’altra circostanza, simile a questa, Gesù ebbe a dire: “Neanche tra gli ebrei - popolo di Dio - ho mai trovato una fede così grande!”. Tutto questo, fratelli, suona provocatorio anche per noi e ci deve far rizzare gli orecchi… Sì, siamo popolo di Dio, cristiani, credenti, ma … quanto “credenti”?
Noi – se siamo onesti - dobbiamo accettare di buon grado che a questo mondo ci siano credenti… più credenti di noi, anche se non fanno parte della nostra cerchia, o comunque della Chiesa: individui, uomini e donne, che alla prova dei fatti – cioè quando c’è da fidarsi di Dio (comunque lo chiamino) – si fidano davvero, anche a caro prezzo, e senza condizioni. Ci sono. Questa pagina del vangelo ci mette sull’avviso e ce lo ricorda sempre se per caso lo dimentichiamo. Nei profeti, del resto, Dio l’aveva già predetto (l’abbiamo sentito nella prima lettura di oggi): “La mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli”, non solo per il popolo della Bibbia e del Vangelo. Per tutti i popoli.
In fatto di Fede, di Cristianesimo vissuto, non siamo affatto i primi della classe noi occidentali, anche se abbiamo radici cristiane nella nostra storia. Una recente indagine dell’ISTAT ha rivelato che vent’anni fa’ gli italiani che frequentavano regolarmente la chiesa erano il 36%. Oggi si sono ridotti al 19%: 1 su 5. È vero che nelle altre nazioni europee la percentuale è ancora più ridotta: tra il 3 e il 7 %… (poi è da verificare se i praticanti sono anche credenti… non è affatto scontato! Come non è scontato che chi non frequenta la chiesa sia senz’altro ateo o pagano…S.Agostino metteva in guardia già 1600 anni fa’ quando diceva: “Ci son di quelli che sembrano far parte della Chiesa, ma alla prova dei fatti ne sono fuori… Come ci sono altri che sembrano esser fuori, ma alla prova dei fatti ne fanno parte!”).
In ogni caso resta vero: il Cristianesimo non ha più il suo baricentro in Europa, cioè nel nostro primo vecchio mondo, ma nel terzo o quarto mondo. La maggioranza dei cristiani oggi è lì. Noi non siamo affatto i primi della classe quanto a Fede.
E allora, fratelli, la prima cosa da fare (proprio alla luce di questo vangelo di oggi) è una verifica: quale consistenza ha la mia fede, quanto è robusta? So fidarmi di Dio con audacia, con caparbietà? O sono di quelli che si fidano sì anche di Dio, ma prima contano “su questo, su quello”, sulle proprie risorse insomma, “perché… non si sa mai”?
E se per caso Dio fa il sordo quando lo prego, come reagisco io? Fratelli, vi siete mai chiesti perché il Signore a volte fa il sordo alle nostre preghiere? La risposta ce la dà proprio il vangelo di oggi.
Quella donna all’inizio era soltanto petulante, per disperazione… ma via via che incontrava rifiuto, invece che scoraggiarsi, si fece ancora più audace. E da petulante diventò “credente”, anzi: credente dalla fede “grande”.
Dio non fa mai il sordo per durezza di cuore, o per menefreghismo nei nostri confronti. Dio è un padre che vuole soprattutto una relazione calorosa, forte e audace, con ognuno dei suoi figli. E non di rado l’unico modo per rendere forte e audace la nostra fede è quello di sembrare sordo alle nostre preghiere.
In realtà lui non vede l’ora di poterci ascoltare. Non vede l’ora di poter dire a ciascuno di noi: “Sì, davvero grande è la tua fede!”.
Le Letture Bibliche: Isaia 56,1.6-7; Romani 11,13-15.29-32; Matteo 15,21-28
Se c’è una situazione che tocca il cuore e non lascia insensibili è quella di un bambino che soffre, e il vedere che papà e mamma soffrono con lui …e forse anche di più perché non possono far niente…Tocca il cuore.
E’ sconcertante però che Gesù faccia il sordo alle richieste di una povera mamma che lo prega per la sua bambina gravemente malata… Si era recato a Tiro e Sidone (nell’attuale Libano, Paese straniero e totalmente pagano). Lui che di solito è sempre così ben disposto verso i malatii, ‘stavolta si dimostra insensibile, indifferente. Così sembra, almeno.
E’ ben vero che quella donna non è ebrea, cioè non appartiene al popolo di Dio, ma possibile che anche Gesù abbia una mentalità così ristretta e razzista da disprezzare chiunque non appartiene a quel popolo? “Io non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele…”. Come a dire: sono qui solo per gli Ebrei, non per i pagani. Questa reazione mi richiama un fatto accaduto qualche anno fa’: a Trento c’è un ragazzo di origine asiatica, adottato da una famiglia italiana, che non vuole più salire su un tram o su un pullman dal giorno in cui, da bambino, vi era salito con la mamma e si era seduto su un seggiolino… Alla fermata successiva sali una signora col suo ragazzino, lo vide e lo apostrofò dicendo ad alta voce: “i posti sono per i trentini”… Quel bambino arrossì, si alzò in fretta e ancor oggi - se pure ragazzo ormai grande - si rifiuta di salire sui mezzi pubblici.
Gesù, a quella povera donna pagana che lo supplica risponde: “Io sono qui solo per i credenti in Dio, gli ebrei!”… possibile che anche Gesù – Figlio di Dio – abbia una mentalità così ristretta? Quella donna, di cui ci parla il vangelo, non chiedeva elemosine, ma qualcosa di più vitale: è per questo che non si diede per vinta. Il primo rifiuto la rese ancora più audace. Gli apostoli vorrebbero metter fine a quella scena; “Ascoltala! – dicono al Signore – Cosa ti costa? Vedi come ci grida dietro!”. Assomigliano a noi, quando facciamo il bene non per bontà, per misericordia e di cuore, ma semplicemente per toglierci di mezzo una scocciatura… e poi magari tiriamo anche un respiro di sollievo.
“Non è bene prendere il pane – che spetta ai figli – per gettarlo ai cagnolini!” ribatte Gesù. I figli sarebbero gli Ebrei, il popolo di Dio, il popolo eletto… Erano talmente convinti di essere “popolo eletto” da guardare dall’alto in basso tutti quelli che non erano ebrei come loro: “cani” li consideravano (allora non era come oggi: i cani valevano molto meno delle persone). Gesù è un po’ più moderato, usa il vezzeggiativo “cagnolini”…ma l’idea è sempre quella! Possibile che anche lui – Figlio di Dio – abbia una mentalità così ristretta, per non dire razzista? Quella donna però sa stare al gioco; tiene testa alla ritrosia di Gesù con grande caparbietà… “Sarà anche vero, Signore, che noi - pagàni - siamo cani rispetto a voi ebrei, però guarda che anche i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni! Io ti chiedo solo le briciole!”.
A quel punto Gesù si toglie la maschera. Aveva fatto finta di essere duro, di non volerla ascoltare, di condividere la ristrettezza mentale del suo popolo (che considerava i pagani alla stregua dei cani…). Aveva fatto finta, ma era tutta una strategia per far risaltare la fede di quella donna, solo in apparenza pagana. E glielo riconosce pubblicamente, con soddisfazione: “Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri!”. In un’altra circostanza, simile a questa, Gesù ebbe a dire: “Neanche tra gli ebrei - popolo di Dio - ho mai trovato una fede così grande!”. Tutto questo, fratelli, suona provocatorio anche per noi e ci deve far rizzare gli orecchi… Sì, siamo popolo di Dio, cristiani, credenti, ma … quanto “credenti”?
Noi – se siamo onesti - dobbiamo accettare di buon grado che a questo mondo ci siano credenti… più credenti di noi, anche se non fanno parte della nostra cerchia, o comunque della Chiesa: individui, uomini e donne, che alla prova dei fatti – cioè quando c’è da fidarsi di Dio (comunque lo chiamino) – si fidano davvero, anche a caro prezzo, e senza condizioni. Ci sono. Questa pagina del vangelo ci mette sull’avviso e ce lo ricorda sempre se per caso lo dimentichiamo. Nei profeti, del resto, Dio l’aveva già predetto (l’abbiamo sentito nella prima lettura di oggi): “La mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli”, non solo per il popolo della Bibbia e del Vangelo. Per tutti i popoli.
In fatto di Fede, di Cristianesimo vissuto, non siamo affatto i primi della classe noi occidentali, anche se abbiamo radici cristiane nella nostra storia. Una recente indagine dell’ISTAT ha rivelato che vent’anni fa’ gli italiani che frequentavano regolarmente la chiesa erano il 36%. Oggi si sono ridotti al 19%: 1 su 5. È vero che nelle altre nazioni europee la percentuale è ancora più ridotta: tra il 3 e il 7 %… (poi è da verificare se i praticanti sono anche credenti… non è affatto scontato! Come non è scontato che chi non frequenta la chiesa sia senz’altro ateo o pagano…S.Agostino metteva in guardia già 1600 anni fa’ quando diceva: “Ci son di quelli che sembrano far parte della Chiesa, ma alla prova dei fatti ne sono fuori… Come ci sono altri che sembrano esser fuori, ma alla prova dei fatti ne fanno parte!”).
In ogni caso resta vero: il Cristianesimo non ha più il suo baricentro in Europa, cioè nel nostro primo vecchio mondo, ma nel terzo o quarto mondo. La maggioranza dei cristiani oggi è lì. Noi non siamo affatto i primi della classe quanto a Fede.
E allora, fratelli, la prima cosa da fare (proprio alla luce di questo vangelo di oggi) è una verifica: quale consistenza ha la mia fede, quanto è robusta? So fidarmi di Dio con audacia, con caparbietà? O sono di quelli che si fidano sì anche di Dio, ma prima contano “su questo, su quello”, sulle proprie risorse insomma, “perché… non si sa mai”?
E se per caso Dio fa il sordo quando lo prego, come reagisco io? Fratelli, vi siete mai chiesti perché il Signore a volte fa il sordo alle nostre preghiere? La risposta ce la dà proprio il vangelo di oggi.
Quella donna all’inizio era soltanto petulante, per disperazione… ma via via che incontrava rifiuto, invece che scoraggiarsi, si fece ancora più audace. E da petulante diventò “credente”, anzi: credente dalla fede “grande”.
Dio non fa mai il sordo per durezza di cuore, o per menefreghismo nei nostri confronti. Dio è un padre che vuole soprattutto una relazione calorosa, forte e audace, con ognuno dei suoi figli. E non di rado l’unico modo per rendere forte e audace la nostra fede è quello di sembrare sordo alle nostre preghiere.
In realtà lui non vede l’ora di poterci ascoltare. Non vede l’ora di poter dire a ciascuno di noi: “Sì, davvero grande è la tua fede!”.
Martedì 15 Agosto - Solennità dell'Assunzione della B.V.Maria
Le Letture Bibliche: Apocalisse 11,19;12,1-6.10; 1Corinzi 15,20-26; Luca 1,39-56
Campionati e tornei non mancano certo in questa stagione estiva. Ovviamente tutti gli atleti che partecipano hanno fiducia di vincere, e per questo ce la mettono tutta. Nessun atleta pensa: “Oh, io … tanto non vincerò, quindi per me è inutile lottare…”. Se pensasse così se ne starebbe a casa sua.
Io non so se noi cristiani possiamo paragonarci a degli atleti: secondo l’apostolo Paolo, sì. Lui paragonava i cristiani delle sue comunità a degli atleti che corrono nello stadio olimpico (quello di Dio, ovviamente, non quello di Olimpia in Grecia…). Lo stadio di Dio è questo mondo, e la corsa è la vita: la nostra vita di ogni giorno.
In questa corsa a volte ci pare di non farcela, le nostre possibilità di far fronte a certe prove o di superare certi ostacoli sono proprio ridotte…
E’ un’esperienza che facciamo come individui, senz’altro, ma anche come famiglie. L’ostacolo che troviamo insuperabile può essere un colpo di sfortuna, o la malattia, oppure un problema che non sappiamo come affrontare… Sentiamo che superarlo non è solo questione di buona volontà. E’ questo che ci fa sentire limitati, poveri in fondo, minacciati.
E’ un’esperienza che facciamo anche come cristiani, anzi, come Chiesa. In quest’epoca è evidente che la Chiesa è una realtà povera e limitata rispetto a tante altre che invece si presentano forti e più potenti; e le cose che la Chiesa continua a insegnare sembrano merce poco ricercata, che non va a ruba nei supermercati… Insomma, altroché se sappiamo cos’è l’esperienza del limite! Tutti, e tutti i giorni facciamo questa esperienza.
Ed è anche per questo che suona molto consolante la prima lettura di questa Liturgia che riassume nella figura di una donna tutta la fragilità, la debolezza, l’impotenza di cui ho parlato e che noi sperimentiamo ogni giorno.
Donna vestita di sole, circondata di stelle, con la luna sotto i suoi piedi…cioè arricchita di tutta la grazia di Dio, ma pur sempre una creatura: cosa può mai fare di fronte a quel terrificante drago rosso che le si para davanti? Quel drago – potente, feroce e sanguinario – vorrebbe rapirle il figlio che lei ha appena partorito… (E’ un parlare metaforico, un parlare per simboli).
Quel figlio secondo noi è Gesù, certamente, ma per l’autore dell’Apocalisse (san Giovanni) quella donna è ogni Comunità cristiana, anzi la Chiesa stessa in tutta la sua fragilità; ecco allora che quel figlio rappresenta anche tutto ciò che di buono riusciamo a concepire, a volere, a realizzare… Eh, a volte ci costa molto: quanta fatica a mettere insieme qualcosa di buono, a farlo crescere con sollecitudine e attenzione…altro che se ci costa fatica! Proprio come quella donna che gridava per le doglie e il travaglio del parto (ci diceva quella lettura...).
Ma riuscirà mai il bene che concepiamo nel cuore a diventare realtà, a sopravvivere? I nostri buoni propositi, avranno effetto o saranno divorati dal drago ancor prima di vedere la luce? “Il figlio di quella donna fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono…”. Ecco il vangelo, fratelli, la buona notizia: poveri sì, deboli e con tanti limiti anche, peccatori insomma (non temiamo di usare questa parola), e tuttavia quel po’ di bene che riusciamo a mettere assieme, se pure con fatica, siamone certi: è Dio stesso che lo mette al sicuro. E per quante siano le avversità e le contrarietà, il drago (cioè il Male, che pure è potente), non ci potrà nuocere: Dio, ancora una volta, è dalla nostra parte. “La donna – diceva la lettura dell’Apocalisse – fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio”. Il riferimento storico è alla prima comunità cristiana di Gerusalemme, che quando i Romani assediarono e distrussero la città santa, fuggi nel deserto aldilà del Giordano… Ma l’apostolo Giovanni, al quale Gesù al Calvario aveva affidato Maria, sua madre, vede in lei non solo quella prima Comunità ma tutti quei cristiani che in questo mondo cercano di restare fedeli a Dio fino alla fine, nonostante prove e vicissitudini…
Maria è stata la prima quanto a fedeltà: l’ha vissuta, praticata, pagandola a caro prezzo. Ed ecco che da quel rifugio in cui Dio l’ha custodita e protetta su questa terra, passa alla sicurezza definitiva: quella del cielo. E’ da lì, da quel punto di osservazione che è il cielo, che Maria canta il Magnificat. Canta per il Signore, e anche per noi che siamo i suoi figli…
Sapremo unirci al suo canto, noi che siamo ancora per via? Unirsi al suo canto significa condividere quello che dice: le sue convinzioni… Qui, allora, anche gli stonati possono cantare.
Di generazione in generazione la sua misericordia si estende su quelli che lo temono, canta Maria. E’ del Signore che parla. Quel Signore del quale noi a volte siamo tentati di dire che lo preghiamo ma non ci ascolta, quel Dio del quale qualche volta dubitiamo che ci abbia dimenticati… Maria dice: No! Di generazione in generazione la sua misericordia si estende su quelli che lo temono…altro che dimenticarci e abbandonarci!
Egli ha rovesciato i potenti dai troni, e ha svuotato i ricchi… canta Maria. Noi certe volte pensiamo – e lo diciamo anche – che i potenti, o i prepotenti, hanno sempre la meglio, che è e sarà sempre così, che non c’è niente da fare! avremo ragione noi o avrà ragione Maria, che guarda tutto dal cielo di Dio?
Ha innalzato gli umili questo Dio: può dirlo Maria perché l’ha provato. Ha ricolmato di beni gli affamati questo Dio… noi invece sappiamo che gli affamati continuano a morire di fame, anzi, sono sempre di più! Ma allora, qual è la visuale giusta? la nostra, o quella di Maria?
Il Magnificat - canto di Maria e della Chiesa - non vuol essere una specie di anestetico sui problemi della vita e del mondo, per indurci a ignorarli o a dimenticarli… No. E’ un atto di fede il Magnificat, un inno di speranza: perché, pur in mezzo alle contraddizioni, alle difficoltà e alle miserie umane, non siamo quelli che disperano, ma quelli che lottano… Che senso avrebbe partecipare alle Olimpiadi se non si avesse la speranza di arrivare al premio?
Solo chi ha la speranza di vincere può lottare con costanza e mettercela tutta. Anche se è debole. Qui infatti la vittoria non dipende dalle nostre bravure, dalla nostra abilità. Dipende da Dio che davvero si è messo dalla nostra parte.
Maria, dal traguardo dove è giunta, ci assicura che è così. Da quel traguardo lei vede meglio di noi, fratelli, e noi le possiamo dare fiducia, anche perché è nostra madre. Una madre non imbroglia mai, non prende mai in giro i suoi figli.
Le Letture Bibliche: Apocalisse 11,19;12,1-6.10; 1Corinzi 15,20-26; Luca 1,39-56
Campionati e tornei non mancano certo in questa stagione estiva. Ovviamente tutti gli atleti che partecipano hanno fiducia di vincere, e per questo ce la mettono tutta. Nessun atleta pensa: “Oh, io … tanto non vincerò, quindi per me è inutile lottare…”. Se pensasse così se ne starebbe a casa sua.
Io non so se noi cristiani possiamo paragonarci a degli atleti: secondo l’apostolo Paolo, sì. Lui paragonava i cristiani delle sue comunità a degli atleti che corrono nello stadio olimpico (quello di Dio, ovviamente, non quello di Olimpia in Grecia…). Lo stadio di Dio è questo mondo, e la corsa è la vita: la nostra vita di ogni giorno.
In questa corsa a volte ci pare di non farcela, le nostre possibilità di far fronte a certe prove o di superare certi ostacoli sono proprio ridotte…
E’ un’esperienza che facciamo come individui, senz’altro, ma anche come famiglie. L’ostacolo che troviamo insuperabile può essere un colpo di sfortuna, o la malattia, oppure un problema che non sappiamo come affrontare… Sentiamo che superarlo non è solo questione di buona volontà. E’ questo che ci fa sentire limitati, poveri in fondo, minacciati.
E’ un’esperienza che facciamo anche come cristiani, anzi, come Chiesa. In quest’epoca è evidente che la Chiesa è una realtà povera e limitata rispetto a tante altre che invece si presentano forti e più potenti; e le cose che la Chiesa continua a insegnare sembrano merce poco ricercata, che non va a ruba nei supermercati… Insomma, altroché se sappiamo cos’è l’esperienza del limite! Tutti, e tutti i giorni facciamo questa esperienza.
Ed è anche per questo che suona molto consolante la prima lettura di questa Liturgia che riassume nella figura di una donna tutta la fragilità, la debolezza, l’impotenza di cui ho parlato e che noi sperimentiamo ogni giorno.
Donna vestita di sole, circondata di stelle, con la luna sotto i suoi piedi…cioè arricchita di tutta la grazia di Dio, ma pur sempre una creatura: cosa può mai fare di fronte a quel terrificante drago rosso che le si para davanti? Quel drago – potente, feroce e sanguinario – vorrebbe rapirle il figlio che lei ha appena partorito… (E’ un parlare metaforico, un parlare per simboli).
Quel figlio secondo noi è Gesù, certamente, ma per l’autore dell’Apocalisse (san Giovanni) quella donna è ogni Comunità cristiana, anzi la Chiesa stessa in tutta la sua fragilità; ecco allora che quel figlio rappresenta anche tutto ciò che di buono riusciamo a concepire, a volere, a realizzare… Eh, a volte ci costa molto: quanta fatica a mettere insieme qualcosa di buono, a farlo crescere con sollecitudine e attenzione…altro che se ci costa fatica! Proprio come quella donna che gridava per le doglie e il travaglio del parto (ci diceva quella lettura...).
Ma riuscirà mai il bene che concepiamo nel cuore a diventare realtà, a sopravvivere? I nostri buoni propositi, avranno effetto o saranno divorati dal drago ancor prima di vedere la luce? “Il figlio di quella donna fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono…”. Ecco il vangelo, fratelli, la buona notizia: poveri sì, deboli e con tanti limiti anche, peccatori insomma (non temiamo di usare questa parola), e tuttavia quel po’ di bene che riusciamo a mettere assieme, se pure con fatica, siamone certi: è Dio stesso che lo mette al sicuro. E per quante siano le avversità e le contrarietà, il drago (cioè il Male, che pure è potente), non ci potrà nuocere: Dio, ancora una volta, è dalla nostra parte. “La donna – diceva la lettura dell’Apocalisse – fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio”. Il riferimento storico è alla prima comunità cristiana di Gerusalemme, che quando i Romani assediarono e distrussero la città santa, fuggi nel deserto aldilà del Giordano… Ma l’apostolo Giovanni, al quale Gesù al Calvario aveva affidato Maria, sua madre, vede in lei non solo quella prima Comunità ma tutti quei cristiani che in questo mondo cercano di restare fedeli a Dio fino alla fine, nonostante prove e vicissitudini…
Maria è stata la prima quanto a fedeltà: l’ha vissuta, praticata, pagandola a caro prezzo. Ed ecco che da quel rifugio in cui Dio l’ha custodita e protetta su questa terra, passa alla sicurezza definitiva: quella del cielo. E’ da lì, da quel punto di osservazione che è il cielo, che Maria canta il Magnificat. Canta per il Signore, e anche per noi che siamo i suoi figli…
Sapremo unirci al suo canto, noi che siamo ancora per via? Unirsi al suo canto significa condividere quello che dice: le sue convinzioni… Qui, allora, anche gli stonati possono cantare.
Di generazione in generazione la sua misericordia si estende su quelli che lo temono, canta Maria. E’ del Signore che parla. Quel Signore del quale noi a volte siamo tentati di dire che lo preghiamo ma non ci ascolta, quel Dio del quale qualche volta dubitiamo che ci abbia dimenticati… Maria dice: No! Di generazione in generazione la sua misericordia si estende su quelli che lo temono…altro che dimenticarci e abbandonarci!
Egli ha rovesciato i potenti dai troni, e ha svuotato i ricchi… canta Maria. Noi certe volte pensiamo – e lo diciamo anche – che i potenti, o i prepotenti, hanno sempre la meglio, che è e sarà sempre così, che non c’è niente da fare! avremo ragione noi o avrà ragione Maria, che guarda tutto dal cielo di Dio?
Ha innalzato gli umili questo Dio: può dirlo Maria perché l’ha provato. Ha ricolmato di beni gli affamati questo Dio… noi invece sappiamo che gli affamati continuano a morire di fame, anzi, sono sempre di più! Ma allora, qual è la visuale giusta? la nostra, o quella di Maria?
Il Magnificat - canto di Maria e della Chiesa - non vuol essere una specie di anestetico sui problemi della vita e del mondo, per indurci a ignorarli o a dimenticarli… No. E’ un atto di fede il Magnificat, un inno di speranza: perché, pur in mezzo alle contraddizioni, alle difficoltà e alle miserie umane, non siamo quelli che disperano, ma quelli che lottano… Che senso avrebbe partecipare alle Olimpiadi se non si avesse la speranza di arrivare al premio?
Solo chi ha la speranza di vincere può lottare con costanza e mettercela tutta. Anche se è debole. Qui infatti la vittoria non dipende dalle nostre bravure, dalla nostra abilità. Dipende da Dio che davvero si è messo dalla nostra parte.
Maria, dal traguardo dove è giunta, ci assicura che è così. Da quel traguardo lei vede meglio di noi, fratelli, e noi le possiamo dare fiducia, anche perché è nostra madre. Una madre non imbroglia mai, non prende mai in giro i suoi figli.
Domenica 13 Agosto - 19° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: 1Re 19,9.11-13; Romani 9,1-5; Matteo 14,22-33
In tutte le religioni di questo mondo si è sempre pensato che, siccome ogni cosa ha il suo posto (comprese le persone), è giusto che anche Dio abbia il suo posto; motivo per cui si son costruiti templi, santuari, e fissato feste e solennità in giorni bnen precisi… Per la fede cristiana però le cose stanno diversamente. Qui si pensa che Dio non ha nessun posto specifico in questo mondo, perchè ogni posto, ogni situazione, può andargli bene. Non è un dio che irrompe a scadenze fisse, o che sonnecchia in qualche tempio in attesa di devoti, no. E’ un Dio che ha un gusto preferenziale per la nostra vita di tutti i giorni, per le situazioni umane più normali e anche per quelle anormali: un Dio di ogni momento, insomma, che ama presentarsi di solito in forma sorprendente e inattesa.
Elia, il più grande di tutti i profeti (ce ne parlava la prima lettura di oggi), scoraggiato e deluso nel bel mezzo della sua missione, voleva sfogarsi con Dio, ma si aspettava d’incontrarlo nel fuoco, o nel terremoto che fa ballare le montagne (in fenomeni straordinari insomma)… e invece no: lo incontra su una montagna, nel silenzio d’una brezza leggera. Questo significa che è nella normalità della vita che Dio ci da appuntamento.
Sì, fratelli, nella vita: nelle situazioni quotidiane di famiglia, di lavoro, di ferie, di svago… o di preoccupazione, di fatica, di sofferenza… Dio è lì perché quella è la vita, e lui è Dio della vita. Forse non abbiamo ancora una sensibilità sufficiente da percepirlo, ma è così. Forse pensiamo di incontrarlo soltanto in qualche chiesa – il che fa di noi delle persone un po’ religiose - ma non possiamo dire per questo di essere credenti. I credenti, sì: siedono a mensa con Dio all’Eucaristia, ma per familiarizzare con lui, perché sanno che poi è nella vita che lo incontreranno abitualmente.
La vita! Eh sì, proprio quella vita di oggi che è piuttosto povera di riferimenti religiosi, di richiami a Dio (tanto che si può vivere come se Dio non ci fosse); tutto è profano (tanto che il lamento che si sente spesso è che “non c’è più religione”). Ma è proprio qui che Dio ha il suo posto e ci sta perfino volentieri; è qui che ci attende: non per far colpo su di noi, ma semplicemente per incontrarci, per affrontare le situazioni insieme a noi, in compagnia: con me, con te, con ogni donna e ogni uomo. Questo però a certuni non va giù: perché? Perché, fin che si tratta d’incontrare Dio in chiesa la Domenica, è facile, e soprattutto è comodo: la cosa dura più o meno un’ora alla settimana… e poi non se ne parla più fino alla prossima volta. Ma sapere che è presente nella vita può risultare scomodo, perché richiede coerenza, fedeltà, atteggiamenti di accoglienza e di comprensione verso tutti… E tutto questo dal lunedì al sabato, più che dal sabato al lunedì.
Voi direte: ma sarà poi vero? Che cioè è lì che Dio ci dà appuntamento? Il Vangelo di oggi ce ne da una prova.
Vedete: per la Bibbia il mare, più che luogo di vacanze estive, rappresenta la vita umana, la storia di questo mondo; che se poi è notte e quel mare è in tempesta, raffigura la vita nei suoi momenti di turbolenza, di fatica, di lotta: personale o collettiva che sia. Ebbene, ecco la bella notizia del vangelo: “Gli apostoli stavano facendo la traversata, ma la barca era agitata dalle onde perché il vento era contrario. Sul finire della notte Gesù andò verso di loro camminando sul mare”. E non affonda! Non affonda Gesù Cristo! Ebbene, se la tua fede si radica in lui, neanche tu affondi. “Signore, se sei tu – esclama Pietro - comandami di venire verso di te sulle acque!”. “Vieni!” gli risponde Gesù. E Pietro si mise a camminare sulle acque.
Credere, soprattutto al giorno d’oggi e nel mondo d’oggi, è come lasciare la barca e camminare sulle acque: è da folli a dir poco, il pericolo di affondare è assicurato (soprattutto se uno non sa nuotare!). Figuriamoci poi se il mare è in tempesta.
In questi giorni ricordiamo alcune figure audaci che han provato questo sulla loro pelle (“santi” li chiamiamo di solito) Giovedì ricordavamo Lorenzo, il diacono romano che piuttosto che rinunciare alla Fede in Gesù Cristo accettò di finire bruciato su una graticola… Ma erano i primi tempi del Cristianesimo quelli. Il giorno prima, 9 agosto, ci offrriva il ricordo di Edith Stein, un’ebrea di origine polacca, intelligente, colta e laureata, che si converte al Cristianesimo e si fa monaca di clausura… Ma le sue origini di ebrea però non sfuggono ai nazisti che la deportano ad Auschwitz dove si prodiga a soccorrere le donnee i bambini condannati a morte fin che muore anche lei nelle famigerate camere a gas… Domani (lunedì) 14 ricorderemo Massimiliano Kolbe, un frate di S.Antonio, anche lui deportato ad Auschwitz… Il giorno in cui tra i condannati a morte vide che c’è un padre di famiglia, chiede di sostituirsi a lui… Quel padre si salverà alla fine, ma Padre Massimiliano è relegato nel bunker della fame dove muore il 14 agosto del 1941.
Chissà quali saranno stati i sentimenti di questi individui in quei pochi giorni prima del martirio: paura, angoscia, sgomento… Ma se Cristo ti chiede di lasciare la barca e di andare incontro a lui, non ti lascerà affondare. A volte capiterà di dubitare, questo sì… Dubitare che Dio sia proprio lì in quella situazione che stai vivendo. Dubitare perché eri abituato a contare sulle tue capacità, sulle tue risorse, e la fede… forse l’avevi messa nel cassetto. Ma poi dovrai ricrederti e riconoscere che tu contavi più su te stesso che nel Signore… “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” si senti dire Pietro quella notte sul Mare di Galilea. Sì, magari ti rimprovera il Signore, ma intanto ti prende, ti salva. Oh, forse non nel modo che ti attendevi tu… ma come sa fare lui, perché con lui si può attraversare anche la prova più dura.
Ah, certo: solo con una fede che matura e cresce questo è possibile. Se la fede invece dorme, tutto questo è pura follia. Fratelli, in questo tempo, povero di riferimenti religiosi davvero vitali (e ricco invece di consumismo religioso a buon mercato…) penso che la nostra fede – se non vuole morire d’asfissia – deve fare un salto di qualità. Dio stesso oggi sembra chiederci di abbandonare la barca, cioè quella religiosità fatta solo di pratica religiosa (e magari solo quando ne abbiamo voglia)… Oh, intendiamoci, se la pratica religiosa è l’Eucaristia della Domenica, è irrinunciabile, sia chiaro: è come attrezzare la barca per la traversata. Chi è quello sprovveduto che partirebbe senza niente?
Ma la barca poi è fatta per prendere il largo; in altre parole: Dio ci chiede di avventurarci insieme con lui nella vita. Perché lui – scusate se lo ripeto – è nella vita che ci dà appuntamento, ogni giorno. E’ da lì che ci provoca e ci dice, come a Pietro: “Vieni!”.
Con lui, anche se c’è da camminare sulle acque e si dubita di poter stare a galla, non si affonda. E’ forte la sua mano, è affidabile. E ci salva.
Le Letture Bibliche: 1Re 19,9.11-13; Romani 9,1-5; Matteo 14,22-33
In tutte le religioni di questo mondo si è sempre pensato che, siccome ogni cosa ha il suo posto (comprese le persone), è giusto che anche Dio abbia il suo posto; motivo per cui si son costruiti templi, santuari, e fissato feste e solennità in giorni bnen precisi… Per la fede cristiana però le cose stanno diversamente. Qui si pensa che Dio non ha nessun posto specifico in questo mondo, perchè ogni posto, ogni situazione, può andargli bene. Non è un dio che irrompe a scadenze fisse, o che sonnecchia in qualche tempio in attesa di devoti, no. E’ un Dio che ha un gusto preferenziale per la nostra vita di tutti i giorni, per le situazioni umane più normali e anche per quelle anormali: un Dio di ogni momento, insomma, che ama presentarsi di solito in forma sorprendente e inattesa.
Elia, il più grande di tutti i profeti (ce ne parlava la prima lettura di oggi), scoraggiato e deluso nel bel mezzo della sua missione, voleva sfogarsi con Dio, ma si aspettava d’incontrarlo nel fuoco, o nel terremoto che fa ballare le montagne (in fenomeni straordinari insomma)… e invece no: lo incontra su una montagna, nel silenzio d’una brezza leggera. Questo significa che è nella normalità della vita che Dio ci da appuntamento.
Sì, fratelli, nella vita: nelle situazioni quotidiane di famiglia, di lavoro, di ferie, di svago… o di preoccupazione, di fatica, di sofferenza… Dio è lì perché quella è la vita, e lui è Dio della vita. Forse non abbiamo ancora una sensibilità sufficiente da percepirlo, ma è così. Forse pensiamo di incontrarlo soltanto in qualche chiesa – il che fa di noi delle persone un po’ religiose - ma non possiamo dire per questo di essere credenti. I credenti, sì: siedono a mensa con Dio all’Eucaristia, ma per familiarizzare con lui, perché sanno che poi è nella vita che lo incontreranno abitualmente.
La vita! Eh sì, proprio quella vita di oggi che è piuttosto povera di riferimenti religiosi, di richiami a Dio (tanto che si può vivere come se Dio non ci fosse); tutto è profano (tanto che il lamento che si sente spesso è che “non c’è più religione”). Ma è proprio qui che Dio ha il suo posto e ci sta perfino volentieri; è qui che ci attende: non per far colpo su di noi, ma semplicemente per incontrarci, per affrontare le situazioni insieme a noi, in compagnia: con me, con te, con ogni donna e ogni uomo. Questo però a certuni non va giù: perché? Perché, fin che si tratta d’incontrare Dio in chiesa la Domenica, è facile, e soprattutto è comodo: la cosa dura più o meno un’ora alla settimana… e poi non se ne parla più fino alla prossima volta. Ma sapere che è presente nella vita può risultare scomodo, perché richiede coerenza, fedeltà, atteggiamenti di accoglienza e di comprensione verso tutti… E tutto questo dal lunedì al sabato, più che dal sabato al lunedì.
Voi direte: ma sarà poi vero? Che cioè è lì che Dio ci dà appuntamento? Il Vangelo di oggi ce ne da una prova.
Vedete: per la Bibbia il mare, più che luogo di vacanze estive, rappresenta la vita umana, la storia di questo mondo; che se poi è notte e quel mare è in tempesta, raffigura la vita nei suoi momenti di turbolenza, di fatica, di lotta: personale o collettiva che sia. Ebbene, ecco la bella notizia del vangelo: “Gli apostoli stavano facendo la traversata, ma la barca era agitata dalle onde perché il vento era contrario. Sul finire della notte Gesù andò verso di loro camminando sul mare”. E non affonda! Non affonda Gesù Cristo! Ebbene, se la tua fede si radica in lui, neanche tu affondi. “Signore, se sei tu – esclama Pietro - comandami di venire verso di te sulle acque!”. “Vieni!” gli risponde Gesù. E Pietro si mise a camminare sulle acque.
Credere, soprattutto al giorno d’oggi e nel mondo d’oggi, è come lasciare la barca e camminare sulle acque: è da folli a dir poco, il pericolo di affondare è assicurato (soprattutto se uno non sa nuotare!). Figuriamoci poi se il mare è in tempesta.
In questi giorni ricordiamo alcune figure audaci che han provato questo sulla loro pelle (“santi” li chiamiamo di solito) Giovedì ricordavamo Lorenzo, il diacono romano che piuttosto che rinunciare alla Fede in Gesù Cristo accettò di finire bruciato su una graticola… Ma erano i primi tempi del Cristianesimo quelli. Il giorno prima, 9 agosto, ci offrriva il ricordo di Edith Stein, un’ebrea di origine polacca, intelligente, colta e laureata, che si converte al Cristianesimo e si fa monaca di clausura… Ma le sue origini di ebrea però non sfuggono ai nazisti che la deportano ad Auschwitz dove si prodiga a soccorrere le donnee i bambini condannati a morte fin che muore anche lei nelle famigerate camere a gas… Domani (lunedì) 14 ricorderemo Massimiliano Kolbe, un frate di S.Antonio, anche lui deportato ad Auschwitz… Il giorno in cui tra i condannati a morte vide che c’è un padre di famiglia, chiede di sostituirsi a lui… Quel padre si salverà alla fine, ma Padre Massimiliano è relegato nel bunker della fame dove muore il 14 agosto del 1941.
Chissà quali saranno stati i sentimenti di questi individui in quei pochi giorni prima del martirio: paura, angoscia, sgomento… Ma se Cristo ti chiede di lasciare la barca e di andare incontro a lui, non ti lascerà affondare. A volte capiterà di dubitare, questo sì… Dubitare che Dio sia proprio lì in quella situazione che stai vivendo. Dubitare perché eri abituato a contare sulle tue capacità, sulle tue risorse, e la fede… forse l’avevi messa nel cassetto. Ma poi dovrai ricrederti e riconoscere che tu contavi più su te stesso che nel Signore… “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” si senti dire Pietro quella notte sul Mare di Galilea. Sì, magari ti rimprovera il Signore, ma intanto ti prende, ti salva. Oh, forse non nel modo che ti attendevi tu… ma come sa fare lui, perché con lui si può attraversare anche la prova più dura.
Ah, certo: solo con una fede che matura e cresce questo è possibile. Se la fede invece dorme, tutto questo è pura follia. Fratelli, in questo tempo, povero di riferimenti religiosi davvero vitali (e ricco invece di consumismo religioso a buon mercato…) penso che la nostra fede – se non vuole morire d’asfissia – deve fare un salto di qualità. Dio stesso oggi sembra chiederci di abbandonare la barca, cioè quella religiosità fatta solo di pratica religiosa (e magari solo quando ne abbiamo voglia)… Oh, intendiamoci, se la pratica religiosa è l’Eucaristia della Domenica, è irrinunciabile, sia chiaro: è come attrezzare la barca per la traversata. Chi è quello sprovveduto che partirebbe senza niente?
Ma la barca poi è fatta per prendere il largo; in altre parole: Dio ci chiede di avventurarci insieme con lui nella vita. Perché lui – scusate se lo ripeto – è nella vita che ci dà appuntamento, ogni giorno. E’ da lì che ci provoca e ci dice, come a Pietro: “Vieni!”.
Con lui, anche se c’è da camminare sulle acque e si dubita di poter stare a galla, non si affonda. E’ forte la sua mano, è affidabile. E ci salva.
Domenica 6 Agosto- Trasfigurazione del Signore
Le Letture Bibliche: Daniele 7,9-10.13-14; 2Pietro 1,16-19; Matteo 17,1-9
Non è una parola che adoperiamo molto spesso “trasfigurazione”, ma il suo significato ci è abbastanza famigliare. Per esempio: quando diamo a qualcuno un dono, che desiderava da molto tempo (o una bella notizia che aspettava), per dare un’idea della sua reazione, diciamo così: “si è trasfigurato nel ricevere quel dono, quella notizia…”. Trasfigurazione quindi non è roba da palati raffinati, argomento da monaci di clausura.
Una persona trasfigurata, in fondo, è semplicemente la persona pienamente umana, in tutta quella dignità che ci ha rivelato Gesù, Dio fatto uomo (nessuno è mai stato così tanto umano come lo ha saputo essere Gesù!). La persona sfigurata, all’opposto, è quella in cui scompaiono i tratti dell’umanità ed emergono quelli della bestialità, o della brutalità.
Il profeta Daniele, in quella prima lettura che abbiamo sentito poco fa’, ci diceva di aver contemplato nelle visioni notturne “uno, simile ad un figlio d’uomo; lo vide venire sulle nubi del cielo… e il vegliardo – Dio, l’antico di giorni – gli diede potere, gloria e regno su tutti i popoli della terra…”. Detta così, la scena non c’impressiona granchè: “ma sì – pensiamo – le solite visioni dei profeti!”. Poco prima, però, quel profeta riferisce altre visoni che, confrontate con questa, la fanno diventare molto interessante. Dice di aver visto delle belve terrificanti avanzare sulla scena del mondo e prenderne il potere; una dopo l’altra, perché alla fine ognuna divora la precedente… Poi ecco apparire, finalmente, sulle nubi del cielo una figura che non è più una bestia feroce, ma un uomo: uno simile a un figlio d’uomo, dice il profeta. E il potere del mondo è dato a lui: un potere, un dominio, finalmente umano; non più all’insegna della ferocia e della brutalità, ma dell’umanità.
Questa, fratelli, non è fantasia da visionari; questa è la storia. Nel secolo appena passato ne abbiamo avute prove di ferocia e di brutalità. Sì, conquiste positive e progresso… certamente ce ne sono stati; ma quante efferatezze ha sperimentato l’umanità, quanta bestialità ha conosciuto il mondo, quanti volti sfigurati! Potrà avere un volto finalmente umano il futuro che verrà? Si potranno vedere finalmente non più volti sfigurati, ma trasfigurati, in umanità? “Vidi sulle nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo”: a Lui fu dato il potere del mondo.
E che significa trasfigurarsi?
Quando sento dire che nella nostra società dei consumi aumenta la percentuale degli obesi, dei sovrappeso, perfino tra i bambini…beh, è chiaro: non è questo trasfigurarsi. Non è neanche curare la linea, il fisico, con un’alimentazione appropriata o con molta ginnastica, tantomeno basta rinnovare il guardaroba di continuo, il look! Quante attenzioni per la… carrozzeria della persona in questa nostra epoca, a cominciare da quelle per la salute (fisica, naturalmente); e quanto scarsa considerazione per il motore: lo spirito! Ma la carrozzeria, da sola, si riduce semplicemente a maschera su una personalità umanamente povera, rattrappita.
Trasfigurarsi è maturare in umanità, fratelli, secondo quel bel modello che è Gesù Cristo: nessuno è stato così pienamente umano quanto Lui. Su quel monte non si è trasfigurato per esibizionismo, ma per mostrarci come possiamo diventare noi tutti. Del resto, noi siamo fatti a immagine di Dio? Anzi – di più – siamo figli suoi. Che tra fratelli o tra figli e padre ci sia somiglianza è del tutto naturale. Ebbene, questa sublime dignità di figli di Dio deve trasparire sempre di più via via che andiamo avanti. Anche dal nostro volto si deve vedere che siamo figli di Dio! Si, anche dal nostro volto! Infatti ci sono in tutte le nostre Comunità cristiani dal volto trasfigurato: persone che è un piacere incontrare perché ti dimostrano stima, ti trasmettono serenità. Ci sono.
Ma qui, fratelli, occorre correggere una certa idea di vita cristiana intesa come situazione stazionaria, o una specie di temperatura sempre allo stesso livello… Cristiani lo si è, se lo si diventa ogni giorno un po’ di più: crescendo in autenticità, in coerenza, in una relazione con Dio sempre più appassionata. Altro che stazionari! capite allora che cosa significa per noi “trasfigurazione”?
Sì ma… a lato pratico, come si fa a trasfigurarsi? Domanda importante, e ancor più la risposta. Vedete, fratelli, non siamo mica noi che ci trasfiguriamo, è Dio stesso, è competenza sua. L’esempio che mi viene spontaneo è un po’ banale, ma ci aiuta a capire: è estate, tempo di abbronzature, di tintarelle. “Oggi mi metto al sole e mi abbronzo” si dice. Ma fa’ un piacere! Tu non fai un bel niente. Tu puoi solo metterti al sole: è il sole che ti abbronza, non tu.
E’ Dio che ci trasfigura, fratelli, via via che noi gliene diamo l’occasione, l’opportunità. Quello che noi possiamo fare è stare davanti a Lui, in ascolto, come davanti al sole. Del resto ce l’ha detto Lui stesso oggi, nel vangelo: “Ecco il mio Figlio prediletto. Volete diventare come Lui? Ascoltatelo!”. Che lui compaia trasfigurato tra Mosè ed Elia sta a dire che la Parola da ascoltare è nella Bibbia che ci viene incontro: è là, a disposizione per noi. Parola viva, Parola che crea e trasforma… e che quando può entrare abitualmente nella nostra vita, la trasfigura.
Insomma, è proprio un evangelo questo evento che oggi celebriamo, cioè una vera bella notizia: noi siamo fatti per trasfigurarci, è un’esigenza che portiamo dentro: come di trovare una sorgente d’acqua viva e dissetarci. E grazie a Dio è possibile, a patto che passiamo da un cristianesimo stazionario a una Fede che è ascesi, cioè cammino con Cristo, in salita.
Per non restare nel vago, lasciate che vi dia un consiglio concreto: prendiamoci un impegno serio a partire da oggi; cominciamo a dare respiro, spazio, a quella che si chiama spiritualità; cominciamo a curarci del motore che è in noi – lo spirito! – almeno quanto ci preoccupiamo della carrozzeria (il nostro fisico). E facciamolo non una volta ogni tanto, ma con assiduità direi quotidiana (senza assiduità non si combina mai niente di serio a questo mondo). Prendiamoci il tempo per pregare, ad esempio, ma un pregare che non sia un dir su quattro formule biascicate; ma sia anzitutto “ascolto”: ascolto della Parola, dalla Bibbia, dal vangelo soprattutto (non abbiate riguardo a tenerlo a portata di mano in casa vostra il vangelo, e sempre aperto!). Si, prendiamoci il tempo per questo (nessuno accampi la scusa dei troppi impegni: non regge; il tempo per ciò che ci preme lo troviamo sempre, lo sapete).
E vedrete che Dio sarà di parola, potrà splendere sulla nostra vita: cosa volete che siano le abbronzature più intense, in confronto a quella splendida trasfigurazione che Lui saprà operare in tutta la nostra persona!
Le Letture Bibliche: Daniele 7,9-10.13-14; 2Pietro 1,16-19; Matteo 17,1-9
Non è una parola che adoperiamo molto spesso “trasfigurazione”, ma il suo significato ci è abbastanza famigliare. Per esempio: quando diamo a qualcuno un dono, che desiderava da molto tempo (o una bella notizia che aspettava), per dare un’idea della sua reazione, diciamo così: “si è trasfigurato nel ricevere quel dono, quella notizia…”. Trasfigurazione quindi non è roba da palati raffinati, argomento da monaci di clausura.
Una persona trasfigurata, in fondo, è semplicemente la persona pienamente umana, in tutta quella dignità che ci ha rivelato Gesù, Dio fatto uomo (nessuno è mai stato così tanto umano come lo ha saputo essere Gesù!). La persona sfigurata, all’opposto, è quella in cui scompaiono i tratti dell’umanità ed emergono quelli della bestialità, o della brutalità.
Il profeta Daniele, in quella prima lettura che abbiamo sentito poco fa’, ci diceva di aver contemplato nelle visioni notturne “uno, simile ad un figlio d’uomo; lo vide venire sulle nubi del cielo… e il vegliardo – Dio, l’antico di giorni – gli diede potere, gloria e regno su tutti i popoli della terra…”. Detta così, la scena non c’impressiona granchè: “ma sì – pensiamo – le solite visioni dei profeti!”. Poco prima, però, quel profeta riferisce altre visoni che, confrontate con questa, la fanno diventare molto interessante. Dice di aver visto delle belve terrificanti avanzare sulla scena del mondo e prenderne il potere; una dopo l’altra, perché alla fine ognuna divora la precedente… Poi ecco apparire, finalmente, sulle nubi del cielo una figura che non è più una bestia feroce, ma un uomo: uno simile a un figlio d’uomo, dice il profeta. E il potere del mondo è dato a lui: un potere, un dominio, finalmente umano; non più all’insegna della ferocia e della brutalità, ma dell’umanità.
Questa, fratelli, non è fantasia da visionari; questa è la storia. Nel secolo appena passato ne abbiamo avute prove di ferocia e di brutalità. Sì, conquiste positive e progresso… certamente ce ne sono stati; ma quante efferatezze ha sperimentato l’umanità, quanta bestialità ha conosciuto il mondo, quanti volti sfigurati! Potrà avere un volto finalmente umano il futuro che verrà? Si potranno vedere finalmente non più volti sfigurati, ma trasfigurati, in umanità? “Vidi sulle nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo”: a Lui fu dato il potere del mondo.
E che significa trasfigurarsi?
Quando sento dire che nella nostra società dei consumi aumenta la percentuale degli obesi, dei sovrappeso, perfino tra i bambini…beh, è chiaro: non è questo trasfigurarsi. Non è neanche curare la linea, il fisico, con un’alimentazione appropriata o con molta ginnastica, tantomeno basta rinnovare il guardaroba di continuo, il look! Quante attenzioni per la… carrozzeria della persona in questa nostra epoca, a cominciare da quelle per la salute (fisica, naturalmente); e quanto scarsa considerazione per il motore: lo spirito! Ma la carrozzeria, da sola, si riduce semplicemente a maschera su una personalità umanamente povera, rattrappita.
Trasfigurarsi è maturare in umanità, fratelli, secondo quel bel modello che è Gesù Cristo: nessuno è stato così pienamente umano quanto Lui. Su quel monte non si è trasfigurato per esibizionismo, ma per mostrarci come possiamo diventare noi tutti. Del resto, noi siamo fatti a immagine di Dio? Anzi – di più – siamo figli suoi. Che tra fratelli o tra figli e padre ci sia somiglianza è del tutto naturale. Ebbene, questa sublime dignità di figli di Dio deve trasparire sempre di più via via che andiamo avanti. Anche dal nostro volto si deve vedere che siamo figli di Dio! Si, anche dal nostro volto! Infatti ci sono in tutte le nostre Comunità cristiani dal volto trasfigurato: persone che è un piacere incontrare perché ti dimostrano stima, ti trasmettono serenità. Ci sono.
Ma qui, fratelli, occorre correggere una certa idea di vita cristiana intesa come situazione stazionaria, o una specie di temperatura sempre allo stesso livello… Cristiani lo si è, se lo si diventa ogni giorno un po’ di più: crescendo in autenticità, in coerenza, in una relazione con Dio sempre più appassionata. Altro che stazionari! capite allora che cosa significa per noi “trasfigurazione”?
Sì ma… a lato pratico, come si fa a trasfigurarsi? Domanda importante, e ancor più la risposta. Vedete, fratelli, non siamo mica noi che ci trasfiguriamo, è Dio stesso, è competenza sua. L’esempio che mi viene spontaneo è un po’ banale, ma ci aiuta a capire: è estate, tempo di abbronzature, di tintarelle. “Oggi mi metto al sole e mi abbronzo” si dice. Ma fa’ un piacere! Tu non fai un bel niente. Tu puoi solo metterti al sole: è il sole che ti abbronza, non tu.
E’ Dio che ci trasfigura, fratelli, via via che noi gliene diamo l’occasione, l’opportunità. Quello che noi possiamo fare è stare davanti a Lui, in ascolto, come davanti al sole. Del resto ce l’ha detto Lui stesso oggi, nel vangelo: “Ecco il mio Figlio prediletto. Volete diventare come Lui? Ascoltatelo!”. Che lui compaia trasfigurato tra Mosè ed Elia sta a dire che la Parola da ascoltare è nella Bibbia che ci viene incontro: è là, a disposizione per noi. Parola viva, Parola che crea e trasforma… e che quando può entrare abitualmente nella nostra vita, la trasfigura.
Insomma, è proprio un evangelo questo evento che oggi celebriamo, cioè una vera bella notizia: noi siamo fatti per trasfigurarci, è un’esigenza che portiamo dentro: come di trovare una sorgente d’acqua viva e dissetarci. E grazie a Dio è possibile, a patto che passiamo da un cristianesimo stazionario a una Fede che è ascesi, cioè cammino con Cristo, in salita.
Per non restare nel vago, lasciate che vi dia un consiglio concreto: prendiamoci un impegno serio a partire da oggi; cominciamo a dare respiro, spazio, a quella che si chiama spiritualità; cominciamo a curarci del motore che è in noi – lo spirito! – almeno quanto ci preoccupiamo della carrozzeria (il nostro fisico). E facciamolo non una volta ogni tanto, ma con assiduità direi quotidiana (senza assiduità non si combina mai niente di serio a questo mondo). Prendiamoci il tempo per pregare, ad esempio, ma un pregare che non sia un dir su quattro formule biascicate; ma sia anzitutto “ascolto”: ascolto della Parola, dalla Bibbia, dal vangelo soprattutto (non abbiate riguardo a tenerlo a portata di mano in casa vostra il vangelo, e sempre aperto!). Si, prendiamoci il tempo per questo (nessuno accampi la scusa dei troppi impegni: non regge; il tempo per ciò che ci preme lo troviamo sempre, lo sapete).
E vedrete che Dio sarà di parola, potrà splendere sulla nostra vita: cosa volete che siano le abbronzature più intense, in confronto a quella splendida trasfigurazione che Lui saprà operare in tutta la nostra persona!
Domenica 30 Luglio - 17° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: 1Re 3,5.7-12; Romani 8,28-30; Matteo 13,44-46
Gesù Cristo sa bene come vanno le cose a questo mondo. Sa bene che ci sono persone che partono da zero e riescono a mettere insieme una fortuna favolosa… C’erano in passato, e ci sono anche oggi. Beh, da zero proprio no: qualcosa hanno, qualcosa possiedono (se non altro un buco di casa, e poi la loro vita, che vale ancor più della casa): rischiano tutto, pur di raggiungere un certo obiettivo. Sono persone che sanno rischiare, ecco: sanno rischiare.
Penso che tra noi sia venuta meno anche la capacità di rischiare. Il clima di relativo benessere al quale ci siamo affezionati, opera su di noi come una specie di narcotico: non sono mica tante tra noi le persone che sanno rischiare tutto per raggiungere un certo obiettivo…Oppure si tratta di obiettivi piuttosto ridicoli, decisamente sciocchi: anche chi corre a velocità pazzesca in macchina o in moto rischia… sì, ma per che cosa? Val davvero la pena rischiare tutto, anche la vita, per un obiettivo piuttosto sciocco?
E penso, per analogia, a tutti quei poveri “cristi” che partono da Paesi ben più poveri dei nostri e con ogni mezzo approdano qui con la speranza di rifarsi una vita, forse anche una fortuna…Eh sì, questi sanno rischiare: che ci siano simpatici o meno, dobbiamo riconoscere che sanno rischiare. Molto spesso hanno venduto tutto quel poco che avevano prima di partire per pagare le organizzazioni mafiose che li portano a destinazione… che se poi a destinazione non arrivano, ma muoiono in mare, perdono tutto, anche la vita, senza aver raggiunto l’obiettivo che si erano prefissi. Eh, sì: costoro sanno davvero rischiare, e per obiettivi tutt’altro che sciocchi o ridicoli…
“Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra”. Sia quel contadino, sia quel mercante, sono due individui che sanno rischiare. Sono parabole naturalmente, il che vuol dire che dietro c’è ben dell’altro: che cosa esattamente? “Il Regno dei cieli” lo chiama Gesù: in questo mondo c’è Dio all’opera, e offre a tutti la bella opportunità di entrare a far parte dell’impresa; come collaboratori e come beneficiari nello stesso tempo. E’ così da quando è venuto Gesù. Tutto questo, Gesù lo chiama con questa espressione: “il regno dei cieli”.
Se a questo mondo è normale essere dei numeri, entrare in questa impresa significa diventare persone uniche e irrepetibili. Sì, perché Dio – signore dell’impresa – conosce ciascuno per nome e gli vuol bene in maniera personalizzata.
Entrare in quest’impresa è stravolgere un po’ tutti i propri ideali e interessi, non nel senso di eliminarli, ma nel senso che ne subentrano degli altri, e quelli di prima diventano secondari. Non è che il mercante di perle preziose, dopo aver comprato quella di immenso valore, non si interessa più di perle… ma sono tutte meno importanti di quella che ha trovato.
Entrare in quest’impresa di cui parla Gesù (il regno dei cieli), ha come conseguenza che la vita, la mentalità delle persone, si allarga, e lo sguardo spazia liberamente su un orizzonte che prima non ti sognavi neanche…Perfino oltre questa vita va quell’orizzonte: neanche il traguardo della morte è più un ostacolo, perché la vita va oltre… nel “regno dei cieli”.
Ecco il tesoro, ecco la perla preziosa. A questo punto nulla di strano che ci sia chi – trovato il tesoro, o scoperta quella perla - faccia di tutto pur di averlo. Siu può rischiare tutto, anche la vita. Ma non è un po’ troppo rischiare anche la vita? Beh, se quei poveri “cristi” che attraversano il mare su imbarcazioni già a rischio sapessero che finiranno annegati nel corso della traversata, o respinti a morire di sete nelle sabbie infuocate del deserto, probabilmente non partirebbero neanche…
Ebbene, per questo obiettivo di cui ci parla il vangelo, è ben diverso: qui sì, qui si può perdere anche la vita. Ce l’assicura Gesù: “Chi vuol godersi la vita, stia sicuro che la perde. Chi la perde per il Regno del cieli, sia certo: la ritroverà: e una vita di qualità, di cui quella di adesso è soltanto un aperitivo, un anticipo…
Ho parlato di rischio, ed è vero. Seguire Gesù Cristo e il vangelo è rischio. Occorre l’audacia di rischiare. Ma forse, e ancor prima, dovrei parlare di furbizia: è questione di furbizia, fratelli. I veri furbi sono abbastanza intelligenti di solito, sanno riconoscere il valore delle cose, sanno dove cercarle: solo allora rischiano…
E’ questione di furbizia e di intelligenza sapete trovare “il regno dei cieli”, ed entrarci soprattutto: questione di vedere chiaro e di scegliere giusto alla fin fine. Salomone, nella prima lettura, invece che di furbizia e intelligenza, parlava di sapienza. “Che regalo vuoi?” gli chiese il Signore il giorno in cui diventò re. Tutti i grandi di questo mondo facevano a gara per fargli un regale davvero “regale”.
Salomone avrebbe potuto chiedere … una lunga vita… ricchezze faraoniche…vittorie e successi… e invece no. Chiese la sapienza: la capacità di vedere bene ciò che vale più di tutto e di fare le scelte giuste per governare il suo popolo… Non pensate che in questo clima di complessità in cui viviamo oggi andrebbe bene anche per noi un po’ di sapienza in più?
Ora noi sappiamo ciò che vale più di tutto: ce l’ha insegnato Gesù. E’ il Regno dei cieli: la grande impresa di Dio in mezzo a noi. E se ci interessa saperne di più, apriamo il Vangelo: lì c’è tutto ciò che è necessario sapere.
Che alla fine di quell’ avventura che è la vita, ci ritroviamo con un tesoro oppure con un pugno di mosche, è cosa che ormai dipende da noi, solo da noi.
Le Letture Bibliche: 1Re 3,5.7-12; Romani 8,28-30; Matteo 13,44-46
Gesù Cristo sa bene come vanno le cose a questo mondo. Sa bene che ci sono persone che partono da zero e riescono a mettere insieme una fortuna favolosa… C’erano in passato, e ci sono anche oggi. Beh, da zero proprio no: qualcosa hanno, qualcosa possiedono (se non altro un buco di casa, e poi la loro vita, che vale ancor più della casa): rischiano tutto, pur di raggiungere un certo obiettivo. Sono persone che sanno rischiare, ecco: sanno rischiare.
Penso che tra noi sia venuta meno anche la capacità di rischiare. Il clima di relativo benessere al quale ci siamo affezionati, opera su di noi come una specie di narcotico: non sono mica tante tra noi le persone che sanno rischiare tutto per raggiungere un certo obiettivo…Oppure si tratta di obiettivi piuttosto ridicoli, decisamente sciocchi: anche chi corre a velocità pazzesca in macchina o in moto rischia… sì, ma per che cosa? Val davvero la pena rischiare tutto, anche la vita, per un obiettivo piuttosto sciocco?
E penso, per analogia, a tutti quei poveri “cristi” che partono da Paesi ben più poveri dei nostri e con ogni mezzo approdano qui con la speranza di rifarsi una vita, forse anche una fortuna…Eh sì, questi sanno rischiare: che ci siano simpatici o meno, dobbiamo riconoscere che sanno rischiare. Molto spesso hanno venduto tutto quel poco che avevano prima di partire per pagare le organizzazioni mafiose che li portano a destinazione… che se poi a destinazione non arrivano, ma muoiono in mare, perdono tutto, anche la vita, senza aver raggiunto l’obiettivo che si erano prefissi. Eh, sì: costoro sanno davvero rischiare, e per obiettivi tutt’altro che sciocchi o ridicoli…
“Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra”. Sia quel contadino, sia quel mercante, sono due individui che sanno rischiare. Sono parabole naturalmente, il che vuol dire che dietro c’è ben dell’altro: che cosa esattamente? “Il Regno dei cieli” lo chiama Gesù: in questo mondo c’è Dio all’opera, e offre a tutti la bella opportunità di entrare a far parte dell’impresa; come collaboratori e come beneficiari nello stesso tempo. E’ così da quando è venuto Gesù. Tutto questo, Gesù lo chiama con questa espressione: “il regno dei cieli”.
Se a questo mondo è normale essere dei numeri, entrare in questa impresa significa diventare persone uniche e irrepetibili. Sì, perché Dio – signore dell’impresa – conosce ciascuno per nome e gli vuol bene in maniera personalizzata.
Entrare in quest’impresa è stravolgere un po’ tutti i propri ideali e interessi, non nel senso di eliminarli, ma nel senso che ne subentrano degli altri, e quelli di prima diventano secondari. Non è che il mercante di perle preziose, dopo aver comprato quella di immenso valore, non si interessa più di perle… ma sono tutte meno importanti di quella che ha trovato.
Entrare in quest’impresa di cui parla Gesù (il regno dei cieli), ha come conseguenza che la vita, la mentalità delle persone, si allarga, e lo sguardo spazia liberamente su un orizzonte che prima non ti sognavi neanche…Perfino oltre questa vita va quell’orizzonte: neanche il traguardo della morte è più un ostacolo, perché la vita va oltre… nel “regno dei cieli”.
Ecco il tesoro, ecco la perla preziosa. A questo punto nulla di strano che ci sia chi – trovato il tesoro, o scoperta quella perla - faccia di tutto pur di averlo. Siu può rischiare tutto, anche la vita. Ma non è un po’ troppo rischiare anche la vita? Beh, se quei poveri “cristi” che attraversano il mare su imbarcazioni già a rischio sapessero che finiranno annegati nel corso della traversata, o respinti a morire di sete nelle sabbie infuocate del deserto, probabilmente non partirebbero neanche…
Ebbene, per questo obiettivo di cui ci parla il vangelo, è ben diverso: qui sì, qui si può perdere anche la vita. Ce l’assicura Gesù: “Chi vuol godersi la vita, stia sicuro che la perde. Chi la perde per il Regno del cieli, sia certo: la ritroverà: e una vita di qualità, di cui quella di adesso è soltanto un aperitivo, un anticipo…
Ho parlato di rischio, ed è vero. Seguire Gesù Cristo e il vangelo è rischio. Occorre l’audacia di rischiare. Ma forse, e ancor prima, dovrei parlare di furbizia: è questione di furbizia, fratelli. I veri furbi sono abbastanza intelligenti di solito, sanno riconoscere il valore delle cose, sanno dove cercarle: solo allora rischiano…
E’ questione di furbizia e di intelligenza sapete trovare “il regno dei cieli”, ed entrarci soprattutto: questione di vedere chiaro e di scegliere giusto alla fin fine. Salomone, nella prima lettura, invece che di furbizia e intelligenza, parlava di sapienza. “Che regalo vuoi?” gli chiese il Signore il giorno in cui diventò re. Tutti i grandi di questo mondo facevano a gara per fargli un regale davvero “regale”.
Salomone avrebbe potuto chiedere … una lunga vita… ricchezze faraoniche…vittorie e successi… e invece no. Chiese la sapienza: la capacità di vedere bene ciò che vale più di tutto e di fare le scelte giuste per governare il suo popolo… Non pensate che in questo clima di complessità in cui viviamo oggi andrebbe bene anche per noi un po’ di sapienza in più?
Ora noi sappiamo ciò che vale più di tutto: ce l’ha insegnato Gesù. E’ il Regno dei cieli: la grande impresa di Dio in mezzo a noi. E se ci interessa saperne di più, apriamo il Vangelo: lì c’è tutto ciò che è necessario sapere.
Che alla fine di quell’ avventura che è la vita, ci ritroviamo con un tesoro oppure con un pugno di mosche, è cosa che ormai dipende da noi, solo da noi.
Domenica 23 Luglio - 16° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Sapienza 12,13.16-19: Romani 8,26-27; Matteo 13,24-30
Tra tutte le erbacce che possono crescere in un campo di grano il Signore ha nominato espressamente proprio la zizzania: perché? E’ una mala pianta nel senso più vero della parola: è perfino attaccaticcia, quasi vischiosa, si avvinghia alle pianticelle del grano; a strapparla però si rischia di sradicare anche il grano. Meglio attendere la mietitura: allora apparirà chiaro cosa è zizzania e cosa è grano. Si tratta di una parabola. Quindi c’è un messaggio. Nell’intervallo tra la semina e la mietitura c’è tutta la storia di questo mondo; anche la storia di questo mondo di oggi e di noi che lo abitiamo.
Che ci sia del buon grano è fuori discussione; lo diciamo spesso anche noi: sì, c’è anche del bene a questo mondo, ci sono ancora delle brave persone, per fortuna…Il Vangelo, che ci dà gli occhi per vedere in profondità e le parole per dire quello che vediamo, chiama tutto ciò “Regno di Dio”: l’ha seminato Gesù nella nostra terra, e continua a seminarlo nei cuori di tanti uomini e donne anche ai nostri giorni. E cresce, cresce… Certo, non fa rumore; come tutto ciò che è vivo cresce in modo impercettibile: come un bambino… se lo guardi ogni giorno non lo noti, ma se lo vedi di tanto in tanto, te n’accorgi che cresce… Il grano e tutto ciò che si semina nel campo, se torni ogni alcuni giorni ti accorgi che non è lo stesso dell’ultima volta: è cresciuto. Il Regno di Dio si realizza così, anche nella nostra vita, anche nella storia di questo mondo di oggi.
Certo, c’è anche la zizzania: è ben qui il problema. Zizzania è tutto l’opposto del Regno di Dio, è l’esatto contrario del vangelo: menzogna, falsità, interesse egoistico, sopruso, materialismo, razzismo…sì, è di tante specie e sottospecie la zizzania. Stando alla parabola, i servi vorrebbero estirparla. Chi sono questi servi? Quei tali che se la prendono con Dio e pensano: “Perché il Signore lascia che ai delinquenti vada tutto bene? Perché non li toglie di mezzo? Perché lascia trionfare l’ingiustizia, l’illegalità, l’ipocrisia? “Vuoi che andiamo ad estirparla questa zizzania?”. E senza attendere la risposta, molte volte i cristiani hanno cercato – con la forza – di estirpare la zizzania; alcuni, cristiani o meno, ci provano anche al giorno d’oggi: nessuno c’è mai riuscito. Le crociate, di qualsiasi genere siano, non riescono ad estirpare la zizzania, e se pare che ci riescano, ecco che in un battibaleno rispunta e cresce da un’altra parte, più rigogliosa di prima.
Ah, certo, non è né comodo né entusiasmante convivere con la zizzania, cioè con il male in tutte le sue forme, sempre aggiornate e moderne… Perché il male c’è, nessuno lo può negare: c’è nel mondo di oggi, c’è vicino a noi, c’è anche nella nostra vita. E non basta un clima di vacanze o di sagre per neutralizzare la prersenza del male…
C’è in forma di cattiveria e di egoismo, che quando assume forme planetarie porta a effetti perfino raccapriccianti. C’è nelle forme della superficialità, della smemoratezza, per cui l’umanità torna a ripetere gli stessi errori che aveva già fatto come se fosse la prima volta che li fa… C’è in forma di imponderabile, di catastrofe, di male incurabile di fronte a cui si lotta sì, ma inutilmente…
E anche chi crede in Dio ne paga un certo prezzo. Se la sua fede è un po’ vacillante, si chiede: perché Dio permette il male a questo mondo? Se invece la sua fede è un po’ robusta, resta perplesso, in silenzio, perché sa che la sua fede spiegazioni razionali e convincenti non ne dà. No, neanche Gesù ha dato spiegazioni. Ha semplicemente detto che il male e il bene devono convivere nello stesso campo: è giusto che sia così. “Padrone, vuoi che andiamo a estirpare la zizzania?”. Quante volte ci hanno provato - in tanti! – ed è sempre stato un fallimento, anche perché – se erano onesti – prima o poi si accorgevano che la zizzania c’era anche in loro, dentro la loro vita… “No, non estirpate la zizzania: potreste estirpare anche il grano. Lasciate che crescano insieme fino all’ora della mietitura… Allora sì farà la cernita!”.
E dove sta il vangelo, cioè la buona notizia, in questa parabola? Dio non ci ha fornito spiegazioni sul perché c’è il male a questo mondo: ciò vuol dire che, probabilmente, non erano necessarie (le spiegazioni sono come le diagnosi dei medici: forse che basta la diagnosi esatta di una malattia per guarirla? Eh, ci vuole ben altro… Di quante malattie conosciamo la diagnosi, ma non i rimedi!). No, niente spiegazioni sul perché c’è il male a questo mondo, ma qualcosa più importante delle spiegazioni: questo ci ha donato Dio. Attraverso Gesù, con l’esperienza di Gesù.
Il male Gesù l’ha accettato, l’ha portato con sé sulla croce, è morto sotto il peso del male, ma soprattutto è risorto. Questo, fratelli, vuol dire che il male – per quanto potente sia – non è forte alla pari di Dio: Dio è più potente del male, tanto da potersene addirittura servire per i suoi progetti, che sono sempre e per tutti progetti buoni: di salvezza, non di rovina.
Poggiare su questo Dio – che ci è padre – poggiare su di lui con tutta la fiducia incondizionata di cui si è capaci, è come trovarsi da bambini avvinghiati con tutta la forza al collo del papà, e guardare esterrefatti a qualcosa di catastrofico che sta accadendo: una montagna che frana, un fiume che tracima… Esterrefatti sì, ma non terrorizzati: perché? Il bambino sa che fin che è stretto tra le braccia del suo papà, nulla lo può toccare. E Dio – a differenza di ogni papà di questo mondo – è davvero più forte di tutto quello che può accadere. Ecco il vangelo, la bella notizia, di questa parabola.
“Lasciate che grano e zizzania crescano insieme fino all’ora della mietitura…”. Io non so se vale anche per il grano, ma per il bene che noi possiamo fare vale senz’altro questo criterio: non sarebbe perfettamente bene, non avrebbe la qualifica doc, se non maturasse a contatto con la zizzania, che ogni giorno lo mette alla prova. Una fede che non conoscesse la prova sarebbe una povera fede: fragile e leggera come una foglia secca. Questo ci porta a concludere che la zizzania non c’è solo nel mondo, nella società, fuori di noi comunque: no, in misura più o meno insidiosa c’è anche nella nostra vita. Riconosciamolo senza ipocrisie.
Il che non deve però renderci pessimisti, o farci perdere la fiducia e la stima di noi stessi. Anzi, proprio questa coscienza può rendere più bella, più limpida in noi l’immagine di Dio. Chi è Dio per noi? E’ quel padre nel quale si combinano bene insieme sapienza e misericordia: tanto è sapiente da permettersi di tollerare anche la zizzania (per i suoi bei progetti di salvezza); tanto è misericordia da saper aspettare, da lasciare tempo al tempo, da attendere e sperare: sì, Dio spera sapete!? che ogni malapianta (anche quella che c’è in noi), crescendo e maturando, si trasformi in grano! Oh, non la zizzania del campo, ma noi, uomini e donne di questo mondo, sì… Sarà ingenuo Dio a comportarsi così? No, gli ingenui sono anche un po’ stolti. Dio non è stolto: Lui è sapienza. E misericordia.
Perciò, aggrappiamoci ancora più decisamente a Lui, come quel bambino avvinghiato al collo del suo papà.
Le Letture Bibliche: Sapienza 12,13.16-19: Romani 8,26-27; Matteo 13,24-30
Tra tutte le erbacce che possono crescere in un campo di grano il Signore ha nominato espressamente proprio la zizzania: perché? E’ una mala pianta nel senso più vero della parola: è perfino attaccaticcia, quasi vischiosa, si avvinghia alle pianticelle del grano; a strapparla però si rischia di sradicare anche il grano. Meglio attendere la mietitura: allora apparirà chiaro cosa è zizzania e cosa è grano. Si tratta di una parabola. Quindi c’è un messaggio. Nell’intervallo tra la semina e la mietitura c’è tutta la storia di questo mondo; anche la storia di questo mondo di oggi e di noi che lo abitiamo.
Che ci sia del buon grano è fuori discussione; lo diciamo spesso anche noi: sì, c’è anche del bene a questo mondo, ci sono ancora delle brave persone, per fortuna…Il Vangelo, che ci dà gli occhi per vedere in profondità e le parole per dire quello che vediamo, chiama tutto ciò “Regno di Dio”: l’ha seminato Gesù nella nostra terra, e continua a seminarlo nei cuori di tanti uomini e donne anche ai nostri giorni. E cresce, cresce… Certo, non fa rumore; come tutto ciò che è vivo cresce in modo impercettibile: come un bambino… se lo guardi ogni giorno non lo noti, ma se lo vedi di tanto in tanto, te n’accorgi che cresce… Il grano e tutto ciò che si semina nel campo, se torni ogni alcuni giorni ti accorgi che non è lo stesso dell’ultima volta: è cresciuto. Il Regno di Dio si realizza così, anche nella nostra vita, anche nella storia di questo mondo di oggi.
Certo, c’è anche la zizzania: è ben qui il problema. Zizzania è tutto l’opposto del Regno di Dio, è l’esatto contrario del vangelo: menzogna, falsità, interesse egoistico, sopruso, materialismo, razzismo…sì, è di tante specie e sottospecie la zizzania. Stando alla parabola, i servi vorrebbero estirparla. Chi sono questi servi? Quei tali che se la prendono con Dio e pensano: “Perché il Signore lascia che ai delinquenti vada tutto bene? Perché non li toglie di mezzo? Perché lascia trionfare l’ingiustizia, l’illegalità, l’ipocrisia? “Vuoi che andiamo ad estirparla questa zizzania?”. E senza attendere la risposta, molte volte i cristiani hanno cercato – con la forza – di estirpare la zizzania; alcuni, cristiani o meno, ci provano anche al giorno d’oggi: nessuno c’è mai riuscito. Le crociate, di qualsiasi genere siano, non riescono ad estirpare la zizzania, e se pare che ci riescano, ecco che in un battibaleno rispunta e cresce da un’altra parte, più rigogliosa di prima.
Ah, certo, non è né comodo né entusiasmante convivere con la zizzania, cioè con il male in tutte le sue forme, sempre aggiornate e moderne… Perché il male c’è, nessuno lo può negare: c’è nel mondo di oggi, c’è vicino a noi, c’è anche nella nostra vita. E non basta un clima di vacanze o di sagre per neutralizzare la prersenza del male…
C’è in forma di cattiveria e di egoismo, che quando assume forme planetarie porta a effetti perfino raccapriccianti. C’è nelle forme della superficialità, della smemoratezza, per cui l’umanità torna a ripetere gli stessi errori che aveva già fatto come se fosse la prima volta che li fa… C’è in forma di imponderabile, di catastrofe, di male incurabile di fronte a cui si lotta sì, ma inutilmente…
E anche chi crede in Dio ne paga un certo prezzo. Se la sua fede è un po’ vacillante, si chiede: perché Dio permette il male a questo mondo? Se invece la sua fede è un po’ robusta, resta perplesso, in silenzio, perché sa che la sua fede spiegazioni razionali e convincenti non ne dà. No, neanche Gesù ha dato spiegazioni. Ha semplicemente detto che il male e il bene devono convivere nello stesso campo: è giusto che sia così. “Padrone, vuoi che andiamo a estirpare la zizzania?”. Quante volte ci hanno provato - in tanti! – ed è sempre stato un fallimento, anche perché – se erano onesti – prima o poi si accorgevano che la zizzania c’era anche in loro, dentro la loro vita… “No, non estirpate la zizzania: potreste estirpare anche il grano. Lasciate che crescano insieme fino all’ora della mietitura… Allora sì farà la cernita!”.
E dove sta il vangelo, cioè la buona notizia, in questa parabola? Dio non ci ha fornito spiegazioni sul perché c’è il male a questo mondo: ciò vuol dire che, probabilmente, non erano necessarie (le spiegazioni sono come le diagnosi dei medici: forse che basta la diagnosi esatta di una malattia per guarirla? Eh, ci vuole ben altro… Di quante malattie conosciamo la diagnosi, ma non i rimedi!). No, niente spiegazioni sul perché c’è il male a questo mondo, ma qualcosa più importante delle spiegazioni: questo ci ha donato Dio. Attraverso Gesù, con l’esperienza di Gesù.
Il male Gesù l’ha accettato, l’ha portato con sé sulla croce, è morto sotto il peso del male, ma soprattutto è risorto. Questo, fratelli, vuol dire che il male – per quanto potente sia – non è forte alla pari di Dio: Dio è più potente del male, tanto da potersene addirittura servire per i suoi progetti, che sono sempre e per tutti progetti buoni: di salvezza, non di rovina.
Poggiare su questo Dio – che ci è padre – poggiare su di lui con tutta la fiducia incondizionata di cui si è capaci, è come trovarsi da bambini avvinghiati con tutta la forza al collo del papà, e guardare esterrefatti a qualcosa di catastrofico che sta accadendo: una montagna che frana, un fiume che tracima… Esterrefatti sì, ma non terrorizzati: perché? Il bambino sa che fin che è stretto tra le braccia del suo papà, nulla lo può toccare. E Dio – a differenza di ogni papà di questo mondo – è davvero più forte di tutto quello che può accadere. Ecco il vangelo, la bella notizia, di questa parabola.
“Lasciate che grano e zizzania crescano insieme fino all’ora della mietitura…”. Io non so se vale anche per il grano, ma per il bene che noi possiamo fare vale senz’altro questo criterio: non sarebbe perfettamente bene, non avrebbe la qualifica doc, se non maturasse a contatto con la zizzania, che ogni giorno lo mette alla prova. Una fede che non conoscesse la prova sarebbe una povera fede: fragile e leggera come una foglia secca. Questo ci porta a concludere che la zizzania non c’è solo nel mondo, nella società, fuori di noi comunque: no, in misura più o meno insidiosa c’è anche nella nostra vita. Riconosciamolo senza ipocrisie.
Il che non deve però renderci pessimisti, o farci perdere la fiducia e la stima di noi stessi. Anzi, proprio questa coscienza può rendere più bella, più limpida in noi l’immagine di Dio. Chi è Dio per noi? E’ quel padre nel quale si combinano bene insieme sapienza e misericordia: tanto è sapiente da permettersi di tollerare anche la zizzania (per i suoi bei progetti di salvezza); tanto è misericordia da saper aspettare, da lasciare tempo al tempo, da attendere e sperare: sì, Dio spera sapete!? che ogni malapianta (anche quella che c’è in noi), crescendo e maturando, si trasformi in grano! Oh, non la zizzania del campo, ma noi, uomini e donne di questo mondo, sì… Sarà ingenuo Dio a comportarsi così? No, gli ingenui sono anche un po’ stolti. Dio non è stolto: Lui è sapienza. E misericordia.
Perciò, aggrappiamoci ancora più decisamente a Lui, come quel bambino avvinghiato al collo del suo papà.
Domenica 16 Luglio - 15° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Isaia 55,10-11;Romani 8,18-23; Matteo 13,1-9
Fiducia. Incondizionata fiducia.
“Sì, ma bisogna anche meritarsela la fiducia” aggiungiamo subito noi che siamo persone concrete e pratiche. Un padre e una madre possono anche dare molta fiducia a un figlio, ma se a un certo punto quel figlio ne approfitta e i suoi genitori se n’accorgono… non è che gli tolgono la fiducia, ma certo mettono dei limiti, delle condizioni, e magari esercitano anche un certo controllo su quel figlio.
Ed è naturale, è saggezza, è buon senso.
Qui oggi si parla di un contadino invece che di un genitore (se Gesù Cristo, invece che 2000 anni fa cominciasse oggi ad annunciare il vangelo, forse al posto del contadino metterebbe un personaggio dell’alta finanza, il padrone d’una grande azienda, insomma un ricco sfondato che investe i suoi capitali per farli fruttare al massimo…). No, qui c’è un contadino che semina i suoi campi… (e anche se il mestiere è diventato un po’ raro e quasi esotico, siamo in grado di stupirci lo stesso se osserviamo bene quello che fa).
“Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso. Un’altra parte ancora cadde sui rovi”.
Ma com’è possibile che un contadino semini in questo modo? Ogni contadino sarebbe a dir poco irresponsabile a gettare il seme su ogni tipo di terreno, addirittura tra le pietre e sulla strada. Il seme gettato sulla strada… vennero gli uccelli e lo mangiarono. Quello che cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra, germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciato e, non avendo radici, seccò. Quello seminato tra i rovi, figuriamoci! I rovi crebbero e lo soffocarono.
La gente che ascoltava Gesù a questo punto si chiedeva: ma chi è questo contadino così maldestro e irresponsabile?
Però intanto Gesù aveva suscitato l’attenzione, anzi, la curiosità dei suoi ascoltatori: è per questo che parlava in parabole. No, non è un contadino qualsiasi questo seminatore. E’ Dio stesso che si comporta così. Non si preoccupa di selezionare prima i destinatari della sua opera, rimanda ogni valutazione alla fine, in base ai frutti. Insomma, Dio mostra ancora una volta di ragionare ‘'da Dio".
Ecco l'immagine che ci consegna questa parabola (e per noi tutti è di grande incoraggiamento): lui è un Padre che dà fiducia ai figli (tutti), anche quando quella fiducia è a rischio, è azzardata. Lui spera che la Parola che ha detto potrà portare frutto prima o poi, e frutto abbondante: un grano di frumento in Palestina produce al massimo una spiga di 10… 12 grani: qui siamo a misure esorbitanti. “La parte che cadde sul terreno buono diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno”.
Dio, insomma, è lungimirante, longanime: a differenza di noi, lui vede lontano. Lontano e in profondità. Ma la lungimiranza non basta a giustificare i suoi comportamenti. Dio è generoso soprattutto: largheggia, dona senza misura e senza condizioni. E perché fa così? Solo perché è Dio e può permetterselo? Solo perché le sue riserve non hanno limiti? No, perché ama: è il suo amore che è senza limiti.
Ma pensate un po’: se Dio decidesse di dare la vita solo a quei tali che la sapessero vivere bene, cioè come piace a lui… ma il mondo sarebbe un deserto! Se facesse sorgere il sole solo su quelli che se lo meritano… quante persone dai volti smunti e pallidi che si vedrebbero in giro!
E allora, quando constatiamo che molti ragazzi, giovani e adulti, dopo l’esperienza della catechesi vedono la chiesa solo da lontano… non limitiamoci a provare amarezza, né tantomeno diciamo che la religione o la Chiesa non sono in grado di incidere sulle persone, come lo sono invece tante altre realtà o agenzie di questo mondo… Pnsiamo piuttosto: quanto è grande Dio! Quanto è smisurato l’amore del nostro Dio che dona vita e salute a tutti, anche a quelli che non gli dicono nemmeno grazie, lo ignorano e gli voltano le spalle! Quanto è grande Dio! Solo Dio è davvero grande! Anche l’indifferenza religiosa di tanta gente, anche l’allontanamento dalla fede da parte di molti cristiani a suo modo prova e attesta che Dio è davvero “magnanimo”, longanime, cioè grande nell’amore.
E poi vedete, fratelli: sarebbe sbagliato pensare che alcuni sono il terreno buono e altri la strada, i rovi, o le pietre…Ciascuno di noi è insieme e l'uno e l'altro, a seconda delle situazioni della nostra vita. Noi tutti siamo strada battuta quando cediamo alle tentazioni che allontanano da Dio; quando non siamo capaci di affidarci a lui nell’ora della prova, siamo terreno sassoso; e siamo rovi che soffocano la sua Parola quando ci lasciamo abbindolare da quelli che promettono gioia e benessere a basso prezzo, e invece ci vendono solo delusioni e amarezza.
Ma siamo anche terreno buono allorchè la Parola del Vangelo ce la portiamo davvero nel cuore e ce la lasciamo venir in mente nelle varie situazioni che la vita d’ogni giorno ci presenta. E’ allora che può portare frutto.
Due cose dovremmo imparare bene oggi e scolpircele nella mente.
Prima: il fatto che Dio sia grande nell’amore, generoso verso tutti, anche quelli che lo ignorano, non deve diventare una scusa per non impegnarci troppo nell’esperienza cristiana. Nessun cristiano dovrebbe dire: “beh, allora, se Dio ci ama lo stesso, tanto vale prendersela con comodo”… No, a un amore sovrabbondante non si risponde prendendosela con comodo: si risponde con un amore che cresce e matura sempre più. E’ questione di lealtà e anchedi dignità.
Seconda cosa: noi dobbiamo imparare da Dio; soprattutto chi ha responsabilità verso i più piccoli, i più giovani, come i genitori e gli educatori. Dio - seminatore generoso e paziente - getta il seme della sua Parola gratuitamente e in abbondanza; e sa attendere con fiducia il frutto. Quando si tratta di formare coscienze, di far crescere non solo di statura o di cervello, i frutti non sono legati a logiche di profitto aziendale, o di esami di maturità; qui i frutti maturano seguendo i tempi di Dio, che è longanime e rispettoso della nostra libertà.
Noi siamo suoi figli: è più che naturale per noi imparare da lui.
Le Letture Bibliche: Isaia 55,10-11;Romani 8,18-23; Matteo 13,1-9
Fiducia. Incondizionata fiducia.
“Sì, ma bisogna anche meritarsela la fiducia” aggiungiamo subito noi che siamo persone concrete e pratiche. Un padre e una madre possono anche dare molta fiducia a un figlio, ma se a un certo punto quel figlio ne approfitta e i suoi genitori se n’accorgono… non è che gli tolgono la fiducia, ma certo mettono dei limiti, delle condizioni, e magari esercitano anche un certo controllo su quel figlio.
Ed è naturale, è saggezza, è buon senso.
Qui oggi si parla di un contadino invece che di un genitore (se Gesù Cristo, invece che 2000 anni fa cominciasse oggi ad annunciare il vangelo, forse al posto del contadino metterebbe un personaggio dell’alta finanza, il padrone d’una grande azienda, insomma un ricco sfondato che investe i suoi capitali per farli fruttare al massimo…). No, qui c’è un contadino che semina i suoi campi… (e anche se il mestiere è diventato un po’ raro e quasi esotico, siamo in grado di stupirci lo stesso se osserviamo bene quello che fa).
“Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso. Un’altra parte ancora cadde sui rovi”.
Ma com’è possibile che un contadino semini in questo modo? Ogni contadino sarebbe a dir poco irresponsabile a gettare il seme su ogni tipo di terreno, addirittura tra le pietre e sulla strada. Il seme gettato sulla strada… vennero gli uccelli e lo mangiarono. Quello che cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra, germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciato e, non avendo radici, seccò. Quello seminato tra i rovi, figuriamoci! I rovi crebbero e lo soffocarono.
La gente che ascoltava Gesù a questo punto si chiedeva: ma chi è questo contadino così maldestro e irresponsabile?
Però intanto Gesù aveva suscitato l’attenzione, anzi, la curiosità dei suoi ascoltatori: è per questo che parlava in parabole. No, non è un contadino qualsiasi questo seminatore. E’ Dio stesso che si comporta così. Non si preoccupa di selezionare prima i destinatari della sua opera, rimanda ogni valutazione alla fine, in base ai frutti. Insomma, Dio mostra ancora una volta di ragionare ‘'da Dio".
Ecco l'immagine che ci consegna questa parabola (e per noi tutti è di grande incoraggiamento): lui è un Padre che dà fiducia ai figli (tutti), anche quando quella fiducia è a rischio, è azzardata. Lui spera che la Parola che ha detto potrà portare frutto prima o poi, e frutto abbondante: un grano di frumento in Palestina produce al massimo una spiga di 10… 12 grani: qui siamo a misure esorbitanti. “La parte che cadde sul terreno buono diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno”.
Dio, insomma, è lungimirante, longanime: a differenza di noi, lui vede lontano. Lontano e in profondità. Ma la lungimiranza non basta a giustificare i suoi comportamenti. Dio è generoso soprattutto: largheggia, dona senza misura e senza condizioni. E perché fa così? Solo perché è Dio e può permetterselo? Solo perché le sue riserve non hanno limiti? No, perché ama: è il suo amore che è senza limiti.
Ma pensate un po’: se Dio decidesse di dare la vita solo a quei tali che la sapessero vivere bene, cioè come piace a lui… ma il mondo sarebbe un deserto! Se facesse sorgere il sole solo su quelli che se lo meritano… quante persone dai volti smunti e pallidi che si vedrebbero in giro!
E allora, quando constatiamo che molti ragazzi, giovani e adulti, dopo l’esperienza della catechesi vedono la chiesa solo da lontano… non limitiamoci a provare amarezza, né tantomeno diciamo che la religione o la Chiesa non sono in grado di incidere sulle persone, come lo sono invece tante altre realtà o agenzie di questo mondo… Pnsiamo piuttosto: quanto è grande Dio! Quanto è smisurato l’amore del nostro Dio che dona vita e salute a tutti, anche a quelli che non gli dicono nemmeno grazie, lo ignorano e gli voltano le spalle! Quanto è grande Dio! Solo Dio è davvero grande! Anche l’indifferenza religiosa di tanta gente, anche l’allontanamento dalla fede da parte di molti cristiani a suo modo prova e attesta che Dio è davvero “magnanimo”, longanime, cioè grande nell’amore.
E poi vedete, fratelli: sarebbe sbagliato pensare che alcuni sono il terreno buono e altri la strada, i rovi, o le pietre…Ciascuno di noi è insieme e l'uno e l'altro, a seconda delle situazioni della nostra vita. Noi tutti siamo strada battuta quando cediamo alle tentazioni che allontanano da Dio; quando non siamo capaci di affidarci a lui nell’ora della prova, siamo terreno sassoso; e siamo rovi che soffocano la sua Parola quando ci lasciamo abbindolare da quelli che promettono gioia e benessere a basso prezzo, e invece ci vendono solo delusioni e amarezza.
Ma siamo anche terreno buono allorchè la Parola del Vangelo ce la portiamo davvero nel cuore e ce la lasciamo venir in mente nelle varie situazioni che la vita d’ogni giorno ci presenta. E’ allora che può portare frutto.
Due cose dovremmo imparare bene oggi e scolpircele nella mente.
Prima: il fatto che Dio sia grande nell’amore, generoso verso tutti, anche quelli che lo ignorano, non deve diventare una scusa per non impegnarci troppo nell’esperienza cristiana. Nessun cristiano dovrebbe dire: “beh, allora, se Dio ci ama lo stesso, tanto vale prendersela con comodo”… No, a un amore sovrabbondante non si risponde prendendosela con comodo: si risponde con un amore che cresce e matura sempre più. E’ questione di lealtà e anchedi dignità.
Seconda cosa: noi dobbiamo imparare da Dio; soprattutto chi ha responsabilità verso i più piccoli, i più giovani, come i genitori e gli educatori. Dio - seminatore generoso e paziente - getta il seme della sua Parola gratuitamente e in abbondanza; e sa attendere con fiducia il frutto. Quando si tratta di formare coscienze, di far crescere non solo di statura o di cervello, i frutti non sono legati a logiche di profitto aziendale, o di esami di maturità; qui i frutti maturano seguendo i tempi di Dio, che è longanime e rispettoso della nostra libertà.
Noi siamo suoi figli: è più che naturale per noi imparare da lui.
Domenica 9 Luglio - 14° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Zaccaria 9,9-10; Romani 8,9.11-13; Matteo 11,25-30
Sapienti e dotti ce ne sono sempre stati al mondo. Ce ne sono anche oggi.
Oggi forse, a differenza di una volta, è più facile incappare in sapienti e dotti che non sono, alla fin fine, né dotti né sapienti. Presumono di esserlo, perché hanno studiato un po’… o hanno letto qualche libro: presumono di sapere più di quello che hanno imparato… e di conseguenza pretendono di poter insegnare agli altri.
“Ti rendo lode, o Padre, - esclama Gesù - perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli…”. Quali sono “queste cose”? Quelle che lui fa e dice nel vangelo: il Regno di Dio, presente in questo mondo ma in modo umile e discreto, e tuttavia nell’unico modo vincente… Ma poi anche la fatica del vivere, che Gesù si offre di condividere con noi… E il peso e il sacrificio che costa l’essere fedeli al vangelo…
Ecco le cose che Dio ha nascosto ai sapienti e ai dotti (veri o presunti che siano) e ha invece svelato ai piccoli.
Ma chi sarebbero questi piccoli? Le persone che Gesù ha attorno a sé e che pendono dalle sue labbra…
Immaginate la scena: Gesù sta parlando, all’aperto; a distanza ci sono scribi e farisei – dotti e sapienti – che ascoltano quello che dice solo per prenderlo in castagna e poterlo accusare… Intorno a lui invece ci sono i discepoli – che non sono dotti perché la loro unica preoccupazione è sempre stata quella di sbarcare il lunario facendo i pescatori, i carpentieri o semplicemente gli operai a giornata… Però, una volta che hanno incontrato Gesù, gli han dato fiducia: “Questo non è uno dei soliti che ne sa una pagina più del libro – han pensato – questo qui non ha l’aria di prenderci in giro…”, e gli han dato fiducia: l’hanno seguito.
Di fronte a certi grandi, dei quali i giornali parlano ogni giorno, o che sproloquiano su certi canali televisivi 24 ore su 24, questi sono del tutto sconosciuti, insignificanti: piccoli, appunto. “Ti rendo lode, o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli…”.
A me i sapienti e i dotti danno fastidio quando pretendono di insegnare cose sulle quali non sono assolutamente competenti. A riguardo di Dio, ad esempio. Ci sono filosofi di grido, ci sono personaggi esperti su tutto che pare la sappiano lunga anche su Dio… Ma, a pensarci bene, c’è una pretesa più assurda di questa? Dio è mistero!… non è un oggetto da sezionare in laboratorio o da svendere su una bancarella!
La presunzione di sapere qualcosa su Dio da parte degli uomini è già di per se stessa una patente d’ignoranza…Quindi, fratelli, una raccomandazione: non lasciamoci prender per il naso da nessuno!
A volte di questa presunzione siamo vittime anche noi, e tanta gente come noi… Quando, ad esempio, pensiamo a Dio come a quel tale che manda le malattie, le catastrofi, le disgrazie e via dicendo…E ci facciamo così un’immagine di Lui che fa paura, perché… non può che far paura un Dio così! Ma chi ci autorizza a far fare a Dio figure di questo genere? Chi siamo noi per sapere chi è Dio veramente? No, nessuno al mondo può dire qualcosa su Dio che sia sensata e vera. Solo lui può dirci qualcosa di se stesso. E l’ha fatto, per mezzo di suo Figlio. “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rilevarlo”. Quel Figlio è Gesù: Gesù Cristo.
Allora, fratelli, quando sentite qualcosa su Dio e non sapete se è vera o falsa, aprite il vangelo: consultate Gesù Cristo.
Quando vi vien da pensare o da dire qualcosa di Dio, e volete avere la conferma che è vera, aprite il vangelo: lasciatevi istruire da Gesù Cristo prima di pensarla o di dirla…
Questo però significa essere tutt’altro che presuntuosi. Questa è disponibilità a lasciarsi illuminare, insegnare da qualcuno: da Gesù Cristo, appunto. Sì, questo significa “essere piccoli”, quei piccoli che a Gesù fa piacere incontrare e per i quali ringrazia Dio, suo Padre: “Ti rendo lode, o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai fatte conoscere ai piccoli…”.
Quando si decide di dare davvero fiducia a Gesù, allora… che Dio sia un mistero non fa più problema, perché il nucleo centrale di quel mistero è l’amore: l’amore di un Padre. Ma è Gesù che lo fa conoscere, anzi: che ce lo fa sperimentare.
Quando si decide di dare davvero fiducia a Gesù non fanno più problema neanche certi paradossi, come quelli di Domenica scorsa o del Vangelo di oggi… Pensate un po’, a rigor di logica si direbbe: Come può un peso – faticoso da portare - essere leggero? come può un giogo essere dolce?
E qui , a rischio di ripetermi, non mi stancherò di spiegare questa strana immagine che adopera Gesù: il giogo. Oggi non se ne vedono più, perché al posto di buoi, aratri e carri, si vedono solo trattori… ma una volta erano i buoi che tiravano gli aratri o i carri; il giogo era quello strumento di legno o di ferro che mettevano attorno al collo di due buoi in modo da farli camminare uno a fianco dell’altro; era collegato all’aratro o al carro con delle corde… e i buoi tiravano. Sì, ma attenzione a un particolare: il giogo era fatto per due colli appaiati, erano in due a tirare…
Allora è chiaro l’invito di Gesù “Perché vuoi portare da solo il giogo della vita? Prendi il mio giogo (il mio vangelo), e allora anche il peso del tuo vivere (le tue difficoltà, i problemi che ti trovi ad affrontare) diventerà non solo sop-portabile, ma leggero, perché saremo in due a portarlo: il giogo è fatto per due”. A portarlo da soli, a volte, c’è da soccombere. Con Gesù, che porta il giogo con noi e noi con lui, non solo il peso si fa più leggero, ma troviamo perfino ristoro. Se lo dice lui, credo che possiamo credergli: lui è un Maestro, un compagno di strada che non ci prende in giro.
Insomma, il vangelo non è affatto un peso che schiaccia, ma un giogo che rende liberi… Che la fedeltà a quello che ci insegna il Signore a volte costi fatica, ebbene sì, ma una fatica che è bello provare… “Corro per la via dei tuoi comandamenti – si dice in un salmo – perché tu, Signore, hai dilatato il mio cuore!”.
Certa cultura di oggi predica: niente regole, niente comandamenti… solo allora si è liberi! L’antica sapienza della fede dice esattamente l’opposto: “Corro per la via dei tuoi comandamenti…Signore”. Notate: “Corro”, non cammino a rilento trascinando i piedi… Corro, perché solo su una strada sicura si può correre. E con respiro ampio, non con fiato corto: “perché tu, Signore, hai dilatato il mio cuore!”.
Queste, però, son cose che possono sperimentare solo quei piccoli dei quali ci parla il vangelo oggi.
E allora auguriamoci di far parte di questa categoria: l’unica in grado di conoscere davvero qualcosa di Dio.
Le Letture Bibliche: Zaccaria 9,9-10; Romani 8,9.11-13; Matteo 11,25-30
Sapienti e dotti ce ne sono sempre stati al mondo. Ce ne sono anche oggi.
Oggi forse, a differenza di una volta, è più facile incappare in sapienti e dotti che non sono, alla fin fine, né dotti né sapienti. Presumono di esserlo, perché hanno studiato un po’… o hanno letto qualche libro: presumono di sapere più di quello che hanno imparato… e di conseguenza pretendono di poter insegnare agli altri.
“Ti rendo lode, o Padre, - esclama Gesù - perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli…”. Quali sono “queste cose”? Quelle che lui fa e dice nel vangelo: il Regno di Dio, presente in questo mondo ma in modo umile e discreto, e tuttavia nell’unico modo vincente… Ma poi anche la fatica del vivere, che Gesù si offre di condividere con noi… E il peso e il sacrificio che costa l’essere fedeli al vangelo…
Ecco le cose che Dio ha nascosto ai sapienti e ai dotti (veri o presunti che siano) e ha invece svelato ai piccoli.
Ma chi sarebbero questi piccoli? Le persone che Gesù ha attorno a sé e che pendono dalle sue labbra…
Immaginate la scena: Gesù sta parlando, all’aperto; a distanza ci sono scribi e farisei – dotti e sapienti – che ascoltano quello che dice solo per prenderlo in castagna e poterlo accusare… Intorno a lui invece ci sono i discepoli – che non sono dotti perché la loro unica preoccupazione è sempre stata quella di sbarcare il lunario facendo i pescatori, i carpentieri o semplicemente gli operai a giornata… Però, una volta che hanno incontrato Gesù, gli han dato fiducia: “Questo non è uno dei soliti che ne sa una pagina più del libro – han pensato – questo qui non ha l’aria di prenderci in giro…”, e gli han dato fiducia: l’hanno seguito.
Di fronte a certi grandi, dei quali i giornali parlano ogni giorno, o che sproloquiano su certi canali televisivi 24 ore su 24, questi sono del tutto sconosciuti, insignificanti: piccoli, appunto. “Ti rendo lode, o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli…”.
A me i sapienti e i dotti danno fastidio quando pretendono di insegnare cose sulle quali non sono assolutamente competenti. A riguardo di Dio, ad esempio. Ci sono filosofi di grido, ci sono personaggi esperti su tutto che pare la sappiano lunga anche su Dio… Ma, a pensarci bene, c’è una pretesa più assurda di questa? Dio è mistero!… non è un oggetto da sezionare in laboratorio o da svendere su una bancarella!
La presunzione di sapere qualcosa su Dio da parte degli uomini è già di per se stessa una patente d’ignoranza…Quindi, fratelli, una raccomandazione: non lasciamoci prender per il naso da nessuno!
A volte di questa presunzione siamo vittime anche noi, e tanta gente come noi… Quando, ad esempio, pensiamo a Dio come a quel tale che manda le malattie, le catastrofi, le disgrazie e via dicendo…E ci facciamo così un’immagine di Lui che fa paura, perché… non può che far paura un Dio così! Ma chi ci autorizza a far fare a Dio figure di questo genere? Chi siamo noi per sapere chi è Dio veramente? No, nessuno al mondo può dire qualcosa su Dio che sia sensata e vera. Solo lui può dirci qualcosa di se stesso. E l’ha fatto, per mezzo di suo Figlio. “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rilevarlo”. Quel Figlio è Gesù: Gesù Cristo.
Allora, fratelli, quando sentite qualcosa su Dio e non sapete se è vera o falsa, aprite il vangelo: consultate Gesù Cristo.
Quando vi vien da pensare o da dire qualcosa di Dio, e volete avere la conferma che è vera, aprite il vangelo: lasciatevi istruire da Gesù Cristo prima di pensarla o di dirla…
Questo però significa essere tutt’altro che presuntuosi. Questa è disponibilità a lasciarsi illuminare, insegnare da qualcuno: da Gesù Cristo, appunto. Sì, questo significa “essere piccoli”, quei piccoli che a Gesù fa piacere incontrare e per i quali ringrazia Dio, suo Padre: “Ti rendo lode, o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai fatte conoscere ai piccoli…”.
Quando si decide di dare davvero fiducia a Gesù, allora… che Dio sia un mistero non fa più problema, perché il nucleo centrale di quel mistero è l’amore: l’amore di un Padre. Ma è Gesù che lo fa conoscere, anzi: che ce lo fa sperimentare.
Quando si decide di dare davvero fiducia a Gesù non fanno più problema neanche certi paradossi, come quelli di Domenica scorsa o del Vangelo di oggi… Pensate un po’, a rigor di logica si direbbe: Come può un peso – faticoso da portare - essere leggero? come può un giogo essere dolce?
E qui , a rischio di ripetermi, non mi stancherò di spiegare questa strana immagine che adopera Gesù: il giogo. Oggi non se ne vedono più, perché al posto di buoi, aratri e carri, si vedono solo trattori… ma una volta erano i buoi che tiravano gli aratri o i carri; il giogo era quello strumento di legno o di ferro che mettevano attorno al collo di due buoi in modo da farli camminare uno a fianco dell’altro; era collegato all’aratro o al carro con delle corde… e i buoi tiravano. Sì, ma attenzione a un particolare: il giogo era fatto per due colli appaiati, erano in due a tirare…
Allora è chiaro l’invito di Gesù “Perché vuoi portare da solo il giogo della vita? Prendi il mio giogo (il mio vangelo), e allora anche il peso del tuo vivere (le tue difficoltà, i problemi che ti trovi ad affrontare) diventerà non solo sop-portabile, ma leggero, perché saremo in due a portarlo: il giogo è fatto per due”. A portarlo da soli, a volte, c’è da soccombere. Con Gesù, che porta il giogo con noi e noi con lui, non solo il peso si fa più leggero, ma troviamo perfino ristoro. Se lo dice lui, credo che possiamo credergli: lui è un Maestro, un compagno di strada che non ci prende in giro.
Insomma, il vangelo non è affatto un peso che schiaccia, ma un giogo che rende liberi… Che la fedeltà a quello che ci insegna il Signore a volte costi fatica, ebbene sì, ma una fatica che è bello provare… “Corro per la via dei tuoi comandamenti – si dice in un salmo – perché tu, Signore, hai dilatato il mio cuore!”.
Certa cultura di oggi predica: niente regole, niente comandamenti… solo allora si è liberi! L’antica sapienza della fede dice esattamente l’opposto: “Corro per la via dei tuoi comandamenti…Signore”. Notate: “Corro”, non cammino a rilento trascinando i piedi… Corro, perché solo su una strada sicura si può correre. E con respiro ampio, non con fiato corto: “perché tu, Signore, hai dilatato il mio cuore!”.
Queste, però, son cose che possono sperimentare solo quei piccoli dei quali ci parla il vangelo oggi.
E allora auguriamoci di far parte di questa categoria: l’unica in grado di conoscere davvero qualcosa di Dio.
Domenica 2 Luglio - 13° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: 2Re 4,8-11.14-16a; Romani 6,3-4.8-11; Matteo 10,37-42
“Chi ama il padre o la madre… un figlio o una figlia più di me, non è degno di me…”. Ma sono paradossi o cos’altro sono queste parole di Gesù Cristo? Come si può amare qualcun altro più del proprio figlio? Più della propria madre o padre? Beh, certi fatti di cronaca (nera) al giorno d’oggi dicono che si, si può… In effetti, certi paradossi al giorno d’oggi possono diventare realtà.
Lì per lì comunque possono lasciarci sconcertati le parole di Gesù che abbiamo ascoltato. Ma il Signore parla sul serio o solo per spararle grosse e far colpo?
Per non darvi una spiegazione sbagliata, ho cercato sul vocabolario il significato della parola “paradossi”. Eccolo: i paradossi sono modi di parlare in apparente contraddizione con il buon senso, aldilà di ogni logica… ma ragionandoci su con un po’ di attenzione si dimostrano validi, credibili…
Certo, l’amore per un figlio, una figlia, o per il padre e la madre, è tra i sentimenti più preziosi che possiamo avere, uno di quelli che fanno bella la vita: cosa sarebbe la nostra esistenza se non avessimo qualcuno da amare, e se non fossimo ricambiati, amati da qualcuno? Povera, sarebbe, anzi: misera. Sì ma è anche vero che il nostro amore per le persone più care non può far miracoli...guarire da una malattia... far vivere aldilà di una morte che magari sopraggiunge prematura: no, non basta il nostro amore per questo. Ci occorre qualcuno più forte, qualcuno che ama con una tale energia da superare anche questi limiti: chi? Proprio Colui che oggi ci lancia questi paradossi: il Signore nostro Gesù. Solo il suo amore è più forte di tutti i nostri limiti. Ecco perché san Paolo esortava gli sposi, i genitori, i figli cristiani, ad amarsi sì, ma nel Signore; era come dire: rendete più forti, più robuste le vostre risorse umane, innestandole, radicandole nel Signore.
E' quello che intende dirci oggi Gesù: "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me...", perché non è saggio costui, non è furbo alla fin fine; pensa di guadagnarci e invece ci perde, e non poco, perché espone alla fragilità, alla precarietà la vita di coloro che ama: "Ti amerò per sempre" dice loro, ma non è vero, non può essere vero...non solo perché lui non può vivere per sempre, ma anche perché non sa se domani amerà ancora quella persona (l'esperienza di tanti fallimenti, di tante storie d'amore in questo nostro tempo, lo conferma).
Amare Dio prima e più di ogni persona, dare a Gesù Cristo il primo posto in assoluto, è l’unico modo per mettere davvero al sicuro le persone che si amano. Al sicuro da che cosa? Dai propri umori variabili, per esempio; c'è il padre o la madre che ama il proprio figlio più di tutto, anche più di Dio, con un amore che alla fin fine è espressione di possesso più che di dedizione: ed ecco che quel figlio diventa per loro come un dio...vivono solo per lui, gli danno tutto, (e magari quello ne approfitta pure; per non dire di coloro che un figlio non lo possono avere e allora se lo fanno fare a pagamento: amore questo? Non siamo così ingenui da crederlo: amore sì, ma per se stessi più che per quel figlio).
Dall'altra parte c'è anche il padre o la madre, che può arrivare perfino ad eliminare un figlio (storie che accadono, lo sappiamo). D’altro canto, se l’amore non ha nessuno che gli dia una dritta, una regola di vita, può arrivare anche ad essere criminale.
Insomma, fratelli, amare Dio prima e più di tutto e di tutti, è il segreto per mettere al sicuro la nostra vita e anche quella di coloro che amiamo: perché allora si ha una Guida, un Maestro, che ci illumina e ci insegna a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.
Come quando afferma: “Chi avrà tenuto per se la sua vita, preoccupato solo di realizzarla secondo i suoi gusti, la perderà; chi invece la perderà per causa mia, cioè la dona in tutte le occasioni che gli si presentano, non la perde affatto, anzi, la troverà... la realizzerà per davvero". Altro paradosso. Ma come è possibile – si dirà - che non ci stia moltissimo a cuore la vita, la nostra vita? Sì, in effetti, c’è anche un falso amore per se stessi, per la propria persona. Certi cristiani, ad esempio, sono convinti che quello che fanno per Dio sia tutto in perdita, conti in rosso. Pregare al mattino e alla sera, leggere o ascoltare la Parola del Signore: perdita di tempo... “Con tutte le cose che ci sono da fare - pensano -, con gli impegni, gli orari che non perdonano... ma sì, sta a vedere che perdo proprio il mio tempo a pregare o a leggere la Parola di Dio! Partecipare alla Messa la domenica: ma mi porta via tempo! Preferisco dedicare quel giorno a fare una scampagnata, una bella gita in montagna: perché devo metterci una messa che rompe tutti i miei programmi?!”.
Si illudono di guadagnare tempo rinunciando all'incontro col Signore e non si rendono conto che in realtà, così facendo, tolgono valore a tutto quello che fanno...Si illudono di fare più cose, di guadagnare di più... e invece perdono a tutto campo, perché si precludono la possibilità di rendere più gradevole e prezioso tutto ciò che fanno. Assomigliano questi cristiani a quel cuoco di prestigio (se ne vedono in TV), che prepara tutta una seria di pietanze prelibate che fanno voglia solo a vederle, ma quando le assaggi, ti accorgi che si è dimenticato di metterci il sale... Insipide. Per noi cristiani una vita senza Dio è semplicemente insipida.
Dare a lui il primo posto in assoluto, invece, è la garanzia per dare sapore e valore a tutto quello che facciamo. Le montagne sono molto più affascinanti quando chi le guarda o vi sale ama il Signore molto più delle montagne e glielo dimostra dandogli la priorità su tutto.
Si, la priorità, anche perché lui ci ha amati e ci ama sempre per primo. Perciò, contraccambiarlo… amandolo sopra ogni cosa, più di tutto e più di tutti, è regola di saggezza, fratelli. C'è tutto da guadagnare a comportarsi così.
Le Letture Bibliche: 2Re 4,8-11.14-16a; Romani 6,3-4.8-11; Matteo 10,37-42
“Chi ama il padre o la madre… un figlio o una figlia più di me, non è degno di me…”. Ma sono paradossi o cos’altro sono queste parole di Gesù Cristo? Come si può amare qualcun altro più del proprio figlio? Più della propria madre o padre? Beh, certi fatti di cronaca (nera) al giorno d’oggi dicono che si, si può… In effetti, certi paradossi al giorno d’oggi possono diventare realtà.
Lì per lì comunque possono lasciarci sconcertati le parole di Gesù che abbiamo ascoltato. Ma il Signore parla sul serio o solo per spararle grosse e far colpo?
Per non darvi una spiegazione sbagliata, ho cercato sul vocabolario il significato della parola “paradossi”. Eccolo: i paradossi sono modi di parlare in apparente contraddizione con il buon senso, aldilà di ogni logica… ma ragionandoci su con un po’ di attenzione si dimostrano validi, credibili…
Certo, l’amore per un figlio, una figlia, o per il padre e la madre, è tra i sentimenti più preziosi che possiamo avere, uno di quelli che fanno bella la vita: cosa sarebbe la nostra esistenza se non avessimo qualcuno da amare, e se non fossimo ricambiati, amati da qualcuno? Povera, sarebbe, anzi: misera. Sì ma è anche vero che il nostro amore per le persone più care non può far miracoli...guarire da una malattia... far vivere aldilà di una morte che magari sopraggiunge prematura: no, non basta il nostro amore per questo. Ci occorre qualcuno più forte, qualcuno che ama con una tale energia da superare anche questi limiti: chi? Proprio Colui che oggi ci lancia questi paradossi: il Signore nostro Gesù. Solo il suo amore è più forte di tutti i nostri limiti. Ecco perché san Paolo esortava gli sposi, i genitori, i figli cristiani, ad amarsi sì, ma nel Signore; era come dire: rendete più forti, più robuste le vostre risorse umane, innestandole, radicandole nel Signore.
E' quello che intende dirci oggi Gesù: "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me...", perché non è saggio costui, non è furbo alla fin fine; pensa di guadagnarci e invece ci perde, e non poco, perché espone alla fragilità, alla precarietà la vita di coloro che ama: "Ti amerò per sempre" dice loro, ma non è vero, non può essere vero...non solo perché lui non può vivere per sempre, ma anche perché non sa se domani amerà ancora quella persona (l'esperienza di tanti fallimenti, di tante storie d'amore in questo nostro tempo, lo conferma).
Amare Dio prima e più di ogni persona, dare a Gesù Cristo il primo posto in assoluto, è l’unico modo per mettere davvero al sicuro le persone che si amano. Al sicuro da che cosa? Dai propri umori variabili, per esempio; c'è il padre o la madre che ama il proprio figlio più di tutto, anche più di Dio, con un amore che alla fin fine è espressione di possesso più che di dedizione: ed ecco che quel figlio diventa per loro come un dio...vivono solo per lui, gli danno tutto, (e magari quello ne approfitta pure; per non dire di coloro che un figlio non lo possono avere e allora se lo fanno fare a pagamento: amore questo? Non siamo così ingenui da crederlo: amore sì, ma per se stessi più che per quel figlio).
Dall'altra parte c'è anche il padre o la madre, che può arrivare perfino ad eliminare un figlio (storie che accadono, lo sappiamo). D’altro canto, se l’amore non ha nessuno che gli dia una dritta, una regola di vita, può arrivare anche ad essere criminale.
Insomma, fratelli, amare Dio prima e più di tutto e di tutti, è il segreto per mettere al sicuro la nostra vita e anche quella di coloro che amiamo: perché allora si ha una Guida, un Maestro, che ci illumina e ci insegna a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.
Come quando afferma: “Chi avrà tenuto per se la sua vita, preoccupato solo di realizzarla secondo i suoi gusti, la perderà; chi invece la perderà per causa mia, cioè la dona in tutte le occasioni che gli si presentano, non la perde affatto, anzi, la troverà... la realizzerà per davvero". Altro paradosso. Ma come è possibile – si dirà - che non ci stia moltissimo a cuore la vita, la nostra vita? Sì, in effetti, c’è anche un falso amore per se stessi, per la propria persona. Certi cristiani, ad esempio, sono convinti che quello che fanno per Dio sia tutto in perdita, conti in rosso. Pregare al mattino e alla sera, leggere o ascoltare la Parola del Signore: perdita di tempo... “Con tutte le cose che ci sono da fare - pensano -, con gli impegni, gli orari che non perdonano... ma sì, sta a vedere che perdo proprio il mio tempo a pregare o a leggere la Parola di Dio! Partecipare alla Messa la domenica: ma mi porta via tempo! Preferisco dedicare quel giorno a fare una scampagnata, una bella gita in montagna: perché devo metterci una messa che rompe tutti i miei programmi?!”.
Si illudono di guadagnare tempo rinunciando all'incontro col Signore e non si rendono conto che in realtà, così facendo, tolgono valore a tutto quello che fanno...Si illudono di fare più cose, di guadagnare di più... e invece perdono a tutto campo, perché si precludono la possibilità di rendere più gradevole e prezioso tutto ciò che fanno. Assomigliano questi cristiani a quel cuoco di prestigio (se ne vedono in TV), che prepara tutta una seria di pietanze prelibate che fanno voglia solo a vederle, ma quando le assaggi, ti accorgi che si è dimenticato di metterci il sale... Insipide. Per noi cristiani una vita senza Dio è semplicemente insipida.
Dare a lui il primo posto in assoluto, invece, è la garanzia per dare sapore e valore a tutto quello che facciamo. Le montagne sono molto più affascinanti quando chi le guarda o vi sale ama il Signore molto più delle montagne e glielo dimostra dandogli la priorità su tutto.
Si, la priorità, anche perché lui ci ha amati e ci ama sempre per primo. Perciò, contraccambiarlo… amandolo sopra ogni cosa, più di tutto e più di tutti, è regola di saggezza, fratelli. C'è tutto da guadagnare a comportarsi così.
Domenica 25 Giugno - 12° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Geremia 20,10-13; Romani 5,12-15; Matteo 10,26-33
Dieci righe: di dieci righe è fatto il vangelo di oggi. E in queste dieci righe Gesù ripete per tre volte: “Non abbiate paura…”. E’ come dire che il messaggio oggi è tutto qui, in questa calorosa raccomandazione: “Non abbiate paura…”. Ma … e di che cosa dovremmo o potremmo avere paura?
Noi viviamo in situazioni abbastanza tranquille e tutto sommato siamo fortunati. Da molte parti a questo mondo non è così. In quei Paesi dove guerra e attentati sono all’ordine del giorno, là si sa cos’è la paura… La conoscono anche quei milioni di cristiani che anche al giorno d’oggi in certe nazioni subiscono violenze, persecuzioni e non di rado la morte. Pare che tra tutte le religioni del mondo il Cristianesimo sia anche in quest’epoca quella che sperimenta più ostilità e violenze.
Ma non è solo questo a far paura. Ci sono anche quei martiri (sconosciuti perché sono troppi) che per tutta la vita hanno fatto del bene, con costanza e generosità, ma sono sempre stati pagati con pesci in faccia dalla gente alla quale facevano del bene…
Eh, sì…costa essere credenti con tutto il cuore, fidarsi di Dio sempre, nonostante tutto, succeda quel che succede. Ecco perché Gesù esorta: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima… Abbiate paura piuttosto di chi ha il poter di far perire e l’anima e il corpo: ah, di questo sì abbiate paura!”.
Allora, fratelli, io penso e tiro questa conclusione: noi – noi cristiani che viviamo abbastanza tranquilli in questa società odierna – forse coltiviamo troppe paure sbagliate…e non abbiamo nessuna paura di ciò che invece dovrebbe davvero farci paura… E cosa sarebbe? Il pericolo. Ma quello vero. Il pericolo di perdere la nostra identità di cristiani, ritrovandoci cristiani di nome ma non nella sostanza… Il pericolo di andare comodamente a braccetto con i grandi egoismi e i piccoli ideali di questa società odierna, al punto che chi ci guarda o ci conosce, dice: ma voi siete eguali agli altri, siete come tutti…
Il pericolo di riconoscere Gesù come Signore… a parole, in qualche occasione religiosa… ma di rinnegarlo poi nella vita di ogni giorno, con atteggiamenti, con scelte, con parole, che sono tutto il contrario del vangelo. Ecco il pericolo di cui avere davvero paura: qui ne va ben più che della salute o del conto in banca… “Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio – ci assicura oggi il Signore – ma chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio…”. Sì, di questo – proprio e solo di questo dovremmo avere paura.
Vedete, fratelli: è una bella cosa che la media della vita si sia allungata, che ci siano tante assicurazioni su tutto, l’assistenza sanitaria (anche se è un po’ in crisi di questi tempi), e con l’assistenza… tutto il resto: buona cosa. Ma se questo significa illudere la gente che la vita è tutta qui e quindi l’unica è godersela fin che si può… allora tutti i vantaggi di cui dicevo non sono altro che un grande imbroglio. Anzi, IL grande imbroglio! Ecco perchè il Signore ci mette in guardia: “Abbiate paura di chi ha il poter di far perire anche l’anima oltre al corpo: di questo sì abbiate paura!”. Perché voi avete un’anima: è questa che vi fa grandi, che vi farà vivere per sempre (oppure, che potrebbe rovinarvi per sempre).
Fratelli, che fare allora? Ecco: mettiamoci nelle condizioni di non provare paura: mai, né in questo mondo, né di fronte a Dio… quando gli arriveremo davanti. Voglio dire: tiriamo fuori la nostra dignità di cristiani – e se per caso l’avevamo nascosta sotto un secchio (come dice il Vangelo) rimettiamola sul candelabro perché faccia luce… Non temiamo di farci vedere cristiani, di lasciar trasparire dalle nostre parole e soprattutto dai nostri comportamenti che noi crediamo in Gesù e che la nostra vita prende sapore dal suo vangelo… Non temiamo, anche se siamo pochi, minoranza come si dice… E se questo comporta qualche sacrificio, qualche prezzo da pagare… o se non altro qualche presa in giro… non lasciamoci prendere dalla paura: il Padre nostro non ci lascia mai soli… ce lo garantisce oggi Gesù: “Due passeri, non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia”.
Ecco, ecco il segreto di questa fiducia totale, di questa capacità di rimanere attaccati a Dio anche quando tutto fosse contro di noi…il segreto è la certezza che questo Dio in cui crediamo non è quel misterioso enigma che molti pensano che sia, ma è “il Padre vostro”. Come potrebbe lasciarci perdere? Ma che Padre sarebbe? Ma anche se tutto fosse contro di noi – la cattiveria degli uomini, le prove, le batoste della vita – anche se tutto questo ci sommergesse, nulla di tutto ciò riuscirà a staccarci dal Padre nostro. Che ci conosce, ognuno personalmente, molto meglio di quanto un papà conosca il suo bambino: “Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati! Non abbiate paura: voi valete più di molti passeri!”.
Insomma, un cristiano ha tutto il diritto di sentirsi come un bambino in braccio al suo papà; e quanto più qualcuno o qualcosa cerca di strapparlo da lì, tanto più gli si avvinghia al collo e si tiene stretto al suo papà. Lui sa che il suo papà è comunque più forte di tutto ciò che può travolgerlo, e soprattutto sa che è il suo papà.
E’ in questa fiducia incondizionata, fratelli, che deve tramutarsi la nostra Fede; deve poter crescere e diventare una fiducia di questo calibro: incondizionata, appunto. E’ bello, è perfino esaltante poter credere così; esaltante perché libera in noi la capacità di essere davvero autentici discepoli del Signore (pur con i nostri limiti e peccati), ma sempre e dovunque discepoli, senza apprensione e paura.
Questa fiducia incondizionata in Dio-Abbà, cioè papà (come lo chiamava Gesù), libera in noi la possibilità di essere davvero cristiani, cioè testimoni non di nostre idee o nostre visuali, ma del vangelo, solo dei valori e degli ideali del vangelo: “Chi mi riconoscerà davanti agli uomini – ci dice oggi il Signore – anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio”.
L’unica paura che potremmo avere sarà per ciò che potrebbe rovinarci per sempre, ben aldilà dei nostri giorni e della nostra esistenza biologica su questa terra.
Ci conceda lo Spirito santo di maturare quella fiducia incondizionata nel Padre nostro, così da poter vivere liberamente e serenamente la nostra vita quotidiana di cristiani.
Le Letture Bibliche: Geremia 20,10-13; Romani 5,12-15; Matteo 10,26-33
Dieci righe: di dieci righe è fatto il vangelo di oggi. E in queste dieci righe Gesù ripete per tre volte: “Non abbiate paura…”. E’ come dire che il messaggio oggi è tutto qui, in questa calorosa raccomandazione: “Non abbiate paura…”. Ma … e di che cosa dovremmo o potremmo avere paura?
Noi viviamo in situazioni abbastanza tranquille e tutto sommato siamo fortunati. Da molte parti a questo mondo non è così. In quei Paesi dove guerra e attentati sono all’ordine del giorno, là si sa cos’è la paura… La conoscono anche quei milioni di cristiani che anche al giorno d’oggi in certe nazioni subiscono violenze, persecuzioni e non di rado la morte. Pare che tra tutte le religioni del mondo il Cristianesimo sia anche in quest’epoca quella che sperimenta più ostilità e violenze.
Ma non è solo questo a far paura. Ci sono anche quei martiri (sconosciuti perché sono troppi) che per tutta la vita hanno fatto del bene, con costanza e generosità, ma sono sempre stati pagati con pesci in faccia dalla gente alla quale facevano del bene…
Eh, sì…costa essere credenti con tutto il cuore, fidarsi di Dio sempre, nonostante tutto, succeda quel che succede. Ecco perché Gesù esorta: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima… Abbiate paura piuttosto di chi ha il poter di far perire e l’anima e il corpo: ah, di questo sì abbiate paura!”.
Allora, fratelli, io penso e tiro questa conclusione: noi – noi cristiani che viviamo abbastanza tranquilli in questa società odierna – forse coltiviamo troppe paure sbagliate…e non abbiamo nessuna paura di ciò che invece dovrebbe davvero farci paura… E cosa sarebbe? Il pericolo. Ma quello vero. Il pericolo di perdere la nostra identità di cristiani, ritrovandoci cristiani di nome ma non nella sostanza… Il pericolo di andare comodamente a braccetto con i grandi egoismi e i piccoli ideali di questa società odierna, al punto che chi ci guarda o ci conosce, dice: ma voi siete eguali agli altri, siete come tutti…
Il pericolo di riconoscere Gesù come Signore… a parole, in qualche occasione religiosa… ma di rinnegarlo poi nella vita di ogni giorno, con atteggiamenti, con scelte, con parole, che sono tutto il contrario del vangelo. Ecco il pericolo di cui avere davvero paura: qui ne va ben più che della salute o del conto in banca… “Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio – ci assicura oggi il Signore – ma chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio…”. Sì, di questo – proprio e solo di questo dovremmo avere paura.
Vedete, fratelli: è una bella cosa che la media della vita si sia allungata, che ci siano tante assicurazioni su tutto, l’assistenza sanitaria (anche se è un po’ in crisi di questi tempi), e con l’assistenza… tutto il resto: buona cosa. Ma se questo significa illudere la gente che la vita è tutta qui e quindi l’unica è godersela fin che si può… allora tutti i vantaggi di cui dicevo non sono altro che un grande imbroglio. Anzi, IL grande imbroglio! Ecco perchè il Signore ci mette in guardia: “Abbiate paura di chi ha il poter di far perire anche l’anima oltre al corpo: di questo sì abbiate paura!”. Perché voi avete un’anima: è questa che vi fa grandi, che vi farà vivere per sempre (oppure, che potrebbe rovinarvi per sempre).
Fratelli, che fare allora? Ecco: mettiamoci nelle condizioni di non provare paura: mai, né in questo mondo, né di fronte a Dio… quando gli arriveremo davanti. Voglio dire: tiriamo fuori la nostra dignità di cristiani – e se per caso l’avevamo nascosta sotto un secchio (come dice il Vangelo) rimettiamola sul candelabro perché faccia luce… Non temiamo di farci vedere cristiani, di lasciar trasparire dalle nostre parole e soprattutto dai nostri comportamenti che noi crediamo in Gesù e che la nostra vita prende sapore dal suo vangelo… Non temiamo, anche se siamo pochi, minoranza come si dice… E se questo comporta qualche sacrificio, qualche prezzo da pagare… o se non altro qualche presa in giro… non lasciamoci prendere dalla paura: il Padre nostro non ci lascia mai soli… ce lo garantisce oggi Gesù: “Due passeri, non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia”.
Ecco, ecco il segreto di questa fiducia totale, di questa capacità di rimanere attaccati a Dio anche quando tutto fosse contro di noi…il segreto è la certezza che questo Dio in cui crediamo non è quel misterioso enigma che molti pensano che sia, ma è “il Padre vostro”. Come potrebbe lasciarci perdere? Ma che Padre sarebbe? Ma anche se tutto fosse contro di noi – la cattiveria degli uomini, le prove, le batoste della vita – anche se tutto questo ci sommergesse, nulla di tutto ciò riuscirà a staccarci dal Padre nostro. Che ci conosce, ognuno personalmente, molto meglio di quanto un papà conosca il suo bambino: “Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati! Non abbiate paura: voi valete più di molti passeri!”.
Insomma, un cristiano ha tutto il diritto di sentirsi come un bambino in braccio al suo papà; e quanto più qualcuno o qualcosa cerca di strapparlo da lì, tanto più gli si avvinghia al collo e si tiene stretto al suo papà. Lui sa che il suo papà è comunque più forte di tutto ciò che può travolgerlo, e soprattutto sa che è il suo papà.
E’ in questa fiducia incondizionata, fratelli, che deve tramutarsi la nostra Fede; deve poter crescere e diventare una fiducia di questo calibro: incondizionata, appunto. E’ bello, è perfino esaltante poter credere così; esaltante perché libera in noi la capacità di essere davvero autentici discepoli del Signore (pur con i nostri limiti e peccati), ma sempre e dovunque discepoli, senza apprensione e paura.
Questa fiducia incondizionata in Dio-Abbà, cioè papà (come lo chiamava Gesù), libera in noi la possibilità di essere davvero cristiani, cioè testimoni non di nostre idee o nostre visuali, ma del vangelo, solo dei valori e degli ideali del vangelo: “Chi mi riconoscerà davanti agli uomini – ci dice oggi il Signore – anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio”.
L’unica paura che potremmo avere sarà per ciò che potrebbe rovinarci per sempre, ben aldilà dei nostri giorni e della nostra esistenza biologica su questa terra.
Ci conceda lo Spirito santo di maturare quella fiducia incondizionata nel Padre nostro, così da poter vivere liberamente e serenamente la nostra vita quotidiana di cristiani.
Domenica 18 Giugno - 11° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Esodo 19,2-6a; Romani 5,6-11; Matteo 9,36-10,8
In questi giorni capita di sentire confidenze di questo genere: “Io quest’anno vado in ferie in giugno… io invece in luglio… Io andrò lì… io andrò là…”. Capita spesso anche di sentire altre voci, del tipo: “Io invece non andrò da nessuna parte”…
Di per sé è legittimo andare in ferie quando si lavora tutto l’anno, ed è normale che in queste cose ognuno si regoli secondo i suoi gusti e secondo le sue possibilità… Sarebbe alquanto strano se tutti dovessero andare in vacanze nello stesso posto, magari negli stessi giorni… oppure se tutti dovessimo starcene a casa nostra senza andare da nessuna parte… strano e problematico. No, ben venga la libertà di evadere di tanto in tanto e di andarsene ognuno dove vuole, oppure di starsene a casa propria.
Funziona così anche con la religione, o meglio, con le religioni? Nel senso che uno dice: “Io credo in questo”… un altro “Io invece in quello”, e un altro ancora: “ Io invece non credo in niente…”. Sarà così anche nelle religioni? Voglio dire: è anche qui una faccenda del tutto privata, personale, anzi, individuale? Per cui io mi guardo bene dall’interferire con le tue idee… tu con le mie… e così ognuno va avanti per conto suo?
Avrete notato che in questi anni anche sul piano della convivenza civile si dà un certo spazio alla religione…Si torna a riconoscere che le tradizioni religiose, i valori proposti dalle religioni, possono contribuire a far andar meglio le cose, o almeno a impedire che vadano peggio… Sarà anche vero, se si vuole, ma il cristianesimo esiste solo per questo? Solo per fornire a ogni persona un po’ di carica, un po’ di conforto per affrontare la vita… visto che a volte è così dura e riserva così tanti problemi? Per cui si viene alla messa, e a volte ci si trova in tanti, ma come ci si può trovare in tanti al mercato o a un supermercato (lì si fa la fila alla cassa, qui invece si fa la fila per la comunione) – ma poi ognuno se ne torna a casa propria con le sue provviste e chi s’è visto s’è visto… E’ così? E’ questo il cristianesimo?
Che molti lo intendano così è fuori dubbio. Che anche noi siamo tentati di pensarlo così, può darsi… ma allora, fratelli, dobbiamo riconoscere che quel benedetto dono che è la Fede l’abbiamo capito poco, e apprezzato ancora meno…
Che in questa civiltà dei consumi qualcuno intenda anche la Fede come un bene di consumo, può darsi, ma sbaglia di grosso… Avete mai visto voi un orefice che si mette a vendere preziosi e diamanti a una bancarella del mercato, e magari a prezzi stracciati? Tutti penserebbero che si tratta di bigiotteria da quattro soldi!
No, la fede non è bigiotteria da quattro soldi, e neanche un bene di consumo personale: pensarla così è svalutar e offendere Dio che ce l’ha donata. Ma che cos’è allora la fede? Perché c’è in noi la fede?
“Se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza… voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa!”. In queste parole di Dio – che abbiamo sentito poco fa’ dalla prima lettura – c’è la nostra carta d’identità di cristiani…Val la pena ripeterle? “Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa…”.
E parla a noi il Signore: noi che viviamo sparpagliati tra gente che non crede, o crede poco, o appartiene ad altre religioni… siamo lì, in quel posto, in quella situazione, come mediatori tra Dio e quella gente… Mediatori vuol dire che portiamo a Dio anche le situazioni, le attese, i problemi di quelle persone… e cerchiamo di testimoniare davanti a quelle stesse persone l’amore, la misericordia di Gesù Cristo… “Popolo di sacerdoti” ci ha definiti la parola di Dio: ebbene, popolo di sacerdoti vuol dire questo.
E questa identità la viviamo a cominciare dalla messa cui partecipiamo (e che facciamo bene a chiamar col suo nome: Eucaristia): se qui voi portate la vostra vita (le vostre attese personali, ciò che avete vissuto o vivete…), certo, è già molto: ma se siamo quello che il Signore ha detto che siamo, è troppo poco venir qui solo per noi stessi… E’ come se io – prete – dicessi la messa solo per me: ma che senso avrebbe?
Un popolo di sacerdoti porta all’Eucaristia la vita e le situazioni di tutti, soprattutto di quelli che conosce, che incontra, con i quali dialoga e vive e lavora fianco a fianco tutti i giorni… Questo fa quel “popolo di sacerdoti” che siamo noi, fratelli.
“Nazione santa”: ecco l’altro dato della nostra carta d’identità di cristiani. Cioè un popolo che non si distingue per una bandiera particolare (fosse anche quelle bianco-gialla del vaticano): no, niente bandiere. Si distingue questa nazione perché è santa: non nel senso che siamo senza difetti – oh, ne abbiamo! - ma nel senso che i valori che ci aiutano a vivere e andare avanti si vede che sono diversi da quelli di questo mondo. Santo, infatti – ve lo ricordo ancora e ancora – vuol dire diverso, ma della diversità bella di Dio, la diversità dei valori che il vangelo offre da 2000 anni…
Insomma, fratelli, noi dovremmo provare un senso di ebbrezza ogni volta che ci troviamo assieme come cristiani…E’ con orgoglio che dovremmo ripetere quelle parole che abbiamo ripetuto poco fa’: “Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida”. Non l’orgoglio di chi si sente superiore e disprezza gli altri, ma l’orgoglio legittimo di chi si sente chiamato a fare qualcosa di bello per gli altri, insieme a Dio che l’ha coinvolto. La fede non è mai stata un bene di consumo individuale, è un dono da sfruttare per gli altri oltre che per noi stessi. Ridurla a bene di consumo privato è come declassare un prezioso diamante a un oggetto di bigiotteria…
Non vi pare che anche le esortazioni di Gesù, nel vangelo, suonino questa stessa musica? “Gesù sentì compassione delle folle e disse: la messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!”.
Gli operai che mancano ancora alla messe, sono quei cristiani che non sono ancora usciti dal guscio del loro piccolo mondo privato: non hanno ancora capito che la fede l’hanno ricevuta in dono non solo per se stessi ma per tutti. Sì, certo, si può anche far a meno di guardarsi attorno: allora non si rischia mai di restar male di fronte alle miserie degli altri… allora gli unici problemi saranno sempre e soltanto i nostri… Allora, se si prega, lo si farà sempre e solo per se stessi… Ma questo è tradimento del cristianesimo.
Fede cristiana è essere chiamati, ognuno per nome… come Simone, Andrea, Giacomo, Giovanni e tutti quei 12 (12 perché 12 vuol dire tutti, ma… uno ad uno! E ci siamo anche noi in quei 12!). Sì, chiamati siamo, non per andare tra i pagani dell’Africa o tra i Samaritani – come dice Gesù: “Rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute di casa vostra, del vostro ambiente o vicinato, della vostra società”… E’ per loro che voi siete “chiamati”, cioè siete cristiani.
L’avete notato, fratelli? Accorgerci delle situazioni degli altri – e prendercele a cuore – è un modo saggio per rendere più leggere le nostre preoccupazioni personali, o famigliari; per vivere più serenamente, alla fin fine.
“Voi sarete per me un popolo di sacerdoti e una nazione santa”. Questa è la nostra identità, fratelli. Se la prendiamo sul serio, ne trarranno vantaggio anche gli altri, ma ne guadagneremo anzitutto noi, statene certi.
Le Letture Bibliche: Esodo 19,2-6a; Romani 5,6-11; Matteo 9,36-10,8
In questi giorni capita di sentire confidenze di questo genere: “Io quest’anno vado in ferie in giugno… io invece in luglio… Io andrò lì… io andrò là…”. Capita spesso anche di sentire altre voci, del tipo: “Io invece non andrò da nessuna parte”…
Di per sé è legittimo andare in ferie quando si lavora tutto l’anno, ed è normale che in queste cose ognuno si regoli secondo i suoi gusti e secondo le sue possibilità… Sarebbe alquanto strano se tutti dovessero andare in vacanze nello stesso posto, magari negli stessi giorni… oppure se tutti dovessimo starcene a casa nostra senza andare da nessuna parte… strano e problematico. No, ben venga la libertà di evadere di tanto in tanto e di andarsene ognuno dove vuole, oppure di starsene a casa propria.
Funziona così anche con la religione, o meglio, con le religioni? Nel senso che uno dice: “Io credo in questo”… un altro “Io invece in quello”, e un altro ancora: “ Io invece non credo in niente…”. Sarà così anche nelle religioni? Voglio dire: è anche qui una faccenda del tutto privata, personale, anzi, individuale? Per cui io mi guardo bene dall’interferire con le tue idee… tu con le mie… e così ognuno va avanti per conto suo?
Avrete notato che in questi anni anche sul piano della convivenza civile si dà un certo spazio alla religione…Si torna a riconoscere che le tradizioni religiose, i valori proposti dalle religioni, possono contribuire a far andar meglio le cose, o almeno a impedire che vadano peggio… Sarà anche vero, se si vuole, ma il cristianesimo esiste solo per questo? Solo per fornire a ogni persona un po’ di carica, un po’ di conforto per affrontare la vita… visto che a volte è così dura e riserva così tanti problemi? Per cui si viene alla messa, e a volte ci si trova in tanti, ma come ci si può trovare in tanti al mercato o a un supermercato (lì si fa la fila alla cassa, qui invece si fa la fila per la comunione) – ma poi ognuno se ne torna a casa propria con le sue provviste e chi s’è visto s’è visto… E’ così? E’ questo il cristianesimo?
Che molti lo intendano così è fuori dubbio. Che anche noi siamo tentati di pensarlo così, può darsi… ma allora, fratelli, dobbiamo riconoscere che quel benedetto dono che è la Fede l’abbiamo capito poco, e apprezzato ancora meno…
Che in questa civiltà dei consumi qualcuno intenda anche la Fede come un bene di consumo, può darsi, ma sbaglia di grosso… Avete mai visto voi un orefice che si mette a vendere preziosi e diamanti a una bancarella del mercato, e magari a prezzi stracciati? Tutti penserebbero che si tratta di bigiotteria da quattro soldi!
No, la fede non è bigiotteria da quattro soldi, e neanche un bene di consumo personale: pensarla così è svalutar e offendere Dio che ce l’ha donata. Ma che cos’è allora la fede? Perché c’è in noi la fede?
“Se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza… voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa!”. In queste parole di Dio – che abbiamo sentito poco fa’ dalla prima lettura – c’è la nostra carta d’identità di cristiani…Val la pena ripeterle? “Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa…”.
E parla a noi il Signore: noi che viviamo sparpagliati tra gente che non crede, o crede poco, o appartiene ad altre religioni… siamo lì, in quel posto, in quella situazione, come mediatori tra Dio e quella gente… Mediatori vuol dire che portiamo a Dio anche le situazioni, le attese, i problemi di quelle persone… e cerchiamo di testimoniare davanti a quelle stesse persone l’amore, la misericordia di Gesù Cristo… “Popolo di sacerdoti” ci ha definiti la parola di Dio: ebbene, popolo di sacerdoti vuol dire questo.
E questa identità la viviamo a cominciare dalla messa cui partecipiamo (e che facciamo bene a chiamar col suo nome: Eucaristia): se qui voi portate la vostra vita (le vostre attese personali, ciò che avete vissuto o vivete…), certo, è già molto: ma se siamo quello che il Signore ha detto che siamo, è troppo poco venir qui solo per noi stessi… E’ come se io – prete – dicessi la messa solo per me: ma che senso avrebbe?
Un popolo di sacerdoti porta all’Eucaristia la vita e le situazioni di tutti, soprattutto di quelli che conosce, che incontra, con i quali dialoga e vive e lavora fianco a fianco tutti i giorni… Questo fa quel “popolo di sacerdoti” che siamo noi, fratelli.
“Nazione santa”: ecco l’altro dato della nostra carta d’identità di cristiani. Cioè un popolo che non si distingue per una bandiera particolare (fosse anche quelle bianco-gialla del vaticano): no, niente bandiere. Si distingue questa nazione perché è santa: non nel senso che siamo senza difetti – oh, ne abbiamo! - ma nel senso che i valori che ci aiutano a vivere e andare avanti si vede che sono diversi da quelli di questo mondo. Santo, infatti – ve lo ricordo ancora e ancora – vuol dire diverso, ma della diversità bella di Dio, la diversità dei valori che il vangelo offre da 2000 anni…
Insomma, fratelli, noi dovremmo provare un senso di ebbrezza ogni volta che ci troviamo assieme come cristiani…E’ con orgoglio che dovremmo ripetere quelle parole che abbiamo ripetuto poco fa’: “Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida”. Non l’orgoglio di chi si sente superiore e disprezza gli altri, ma l’orgoglio legittimo di chi si sente chiamato a fare qualcosa di bello per gli altri, insieme a Dio che l’ha coinvolto. La fede non è mai stata un bene di consumo individuale, è un dono da sfruttare per gli altri oltre che per noi stessi. Ridurla a bene di consumo privato è come declassare un prezioso diamante a un oggetto di bigiotteria…
Non vi pare che anche le esortazioni di Gesù, nel vangelo, suonino questa stessa musica? “Gesù sentì compassione delle folle e disse: la messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!”.
Gli operai che mancano ancora alla messe, sono quei cristiani che non sono ancora usciti dal guscio del loro piccolo mondo privato: non hanno ancora capito che la fede l’hanno ricevuta in dono non solo per se stessi ma per tutti. Sì, certo, si può anche far a meno di guardarsi attorno: allora non si rischia mai di restar male di fronte alle miserie degli altri… allora gli unici problemi saranno sempre e soltanto i nostri… Allora, se si prega, lo si farà sempre e solo per se stessi… Ma questo è tradimento del cristianesimo.
Fede cristiana è essere chiamati, ognuno per nome… come Simone, Andrea, Giacomo, Giovanni e tutti quei 12 (12 perché 12 vuol dire tutti, ma… uno ad uno! E ci siamo anche noi in quei 12!). Sì, chiamati siamo, non per andare tra i pagani dell’Africa o tra i Samaritani – come dice Gesù: “Rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute di casa vostra, del vostro ambiente o vicinato, della vostra società”… E’ per loro che voi siete “chiamati”, cioè siete cristiani.
L’avete notato, fratelli? Accorgerci delle situazioni degli altri – e prendercele a cuore – è un modo saggio per rendere più leggere le nostre preoccupazioni personali, o famigliari; per vivere più serenamente, alla fin fine.
“Voi sarete per me un popolo di sacerdoti e una nazione santa”. Questa è la nostra identità, fratelli. Se la prendiamo sul serio, ne trarranno vantaggio anche gli altri, ma ne guadagneremo anzitutto noi, statene certi.
Corpus Domini - Domenica 11 Giugno
Le Letture Bibliche: Deuteronomio 8,2-3.14b-16a; 1Corinzi 10,16-17; Giovanni 6,51-58
Corpus Domini – il Corpo e il Sangue del Signore.
E’ il dono più grande che ci poteva fare. Varrà pure la pena soffermarsi una volta tanto a valutare quant’è prezioso, se non altro per evitare di farci il callo e non apprezzarlo nemmeno più… Beh, è Lui stesso che ci permette di capirne l’importanza. Ce l’ha detto attraverso le letture che abbiamo ascoltato. “Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto fare nel deserto…(era Mosè che parlava così; parlava a quel popolo che Dio aveva liberato dalla schiavitù dell’Egitto… era passato per il deserto e stava per entrare nella Terra Promessa)… Ricordati che il Signore ti ha nutrito di manna, se no saresti morto di fame… Ricordatelo sempre: guarda di non dimenticare il Signore tuo Dio…”.
Ma perché il Signore ci tiene così tanto a che noi ci ricordiamo di Lui? Per una ragione molto semplice: se dimentichiamo di incontrarci con Lui, ci sentiamo soli abbandonati a noi stessi, e non è vero…perché Lui ormai è sempre con noi: l’Eucaristia che celebriamo ci dà la certezza che è così: mai più saremo soli: è davvero con noi il Signore, tanto che si fa chiamare “Emmanuele”, che vuol dire “Dio con noi”. Solo che se noi la Domenica andiamo per conto nostro invece che partecipare a questo incontro con Lui, allora sì… allora cominciamo a sentirci soli e abbandonati a noi stessi. Ecco perché secoli fa’ i cristiani di Abitene (Abitene era una città dell’attuale Tunisia), arrestati perché stavano celebrando l’Eucaristia, risposero così al giudice che li processava: “Senza la Domenica, noi non possiamo vivere…”. La Domenica per loro non consisteva in una gita in montagna, ma nell’incontrare Gesù all’Eucaristia.
Ma, e… perché non possiamo vivere senza incontrarlo? cosa ci dà il Signore per non farci sentire soli e abbandonati? Ce lo dice: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo…”. E noi tutti sappiamo quanto sia essenziale il pane. Oh, non che basti mettere in bocca roba da mangiare: a differenza degli animali, che mangiano, anzi divorano, noi – persone umane quali siamo – per vivere abbiamo bisogno per esempio anche di parole, di relazioni di affetto, di amicizia… abbiamo bisogno di un po’ di entusiasmo ogni giorno per far funzionare la buona volontà e compiere ciò che è giusto…
Ebbene, proprio questo è Gesù Cristo per noi: Parola che ci scalda il cuore, ci dà fiducia e coraggio per andare avanti (soprattutto quando ci sono momenti duri da affrontare)…Gesù, con il suo vangelo, è luce che ci aiuta a vedere la strada giusta (perché altrimenti noi potremo prendere anche strade sbagliate)… ecco cosa vuol dire con quelle parole: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo”.
Gesù è Pane con le sue parole, con quello che fa, con gli esempi che ci dà… tutto quanto Gesù è pane per noi. Non dobbiamo pensare che nutrirci di Gesù voglia dire solo andare alla Comunione: questo viene dopo, ma prima di questo – prima di aprire le mani o la bocca per ricevere quel pane che è il suo corpo – occorre aprire il cuore per accoglierlo quando parla, quando ci fa da guida e da Maestro di vita… La comunione con Gesù non è qualcosa che dura qualche istante, intanto che mandi giù l’ostia consacrata…Comunione con Gesù è pensare come pensa Lui, è volere quello che vuole Lui, è portarsi nel cuore i suoi ideali e condividerli: questo è “comunione con Gesù”, perché tutta la sua persona è Pane disceso dal cielo…
E se è così – se per te Gesù Cristo è tutto questo – allora sì, va’ pure a ricevere anche quel Pane che è il suo Corpo, perché tu sei già in comunione, in sintonia con Lui, e questo allora diventa il momento della massima intimità, della più forte amicizia con quel Signore al quale hai già aperto il tuo cuore e la tua mente.
Perché mai ci sono cristiani che fanno la Comunione e poi, una volta fuori dalle chiese, si dimenticano che sono cristiani? Perché nella vita non sono affatto in sintonia con Lui; nella vita si comportano come se non lo conoscessero neanche… Se fossero onesti questi tali non dovrebbero neanche accostarsi alla Comunione: non gli serve a niente, anzi, gli fa male, gli va per traverso – come diceva san Paolo: “mangiano la propria condanna”. Attenzione perciò, fratelli: non lo dico per spaventare, ma perché sia chiaro a tutti: è così prezioso questo Dono dell’Eucaristia che non possiamo riceverlo con superficialità, o prenderlo sotto gamba!
Prezioso è. Da cosa si vede? Come può essere prezioso un pezzettino di pane? Ce n’è così tanto pane, anche più saporito di questo! Perché questo è il più prezioso in assoluto?
“Chi lo mangia, ha la vita eterna!” ci dice oggi il Signore. La nostra vita – di bambini, di adulti o di anziani – riceve una carica che la fa diventare eterna! Eterna vuol dire che diventa prima di tutto più bella adesso, più degna di essere vissuta, e poi che niente – neanche la morte – la potrà troncare: “Quel tale che mangia la mia carne…– assicura Gesù – io lo risusciterò, e lo farò vivere per sempre!”. Perché quel tale non è più solo, ma “dimora in me, e io abito in lui”, nella sua vita: io che sono risorto e ho vinto la morte! Ecco perché è prezioso questo dono. Ma poi aggiunge anche: “Chi mangia di me, vivrà per me!”. La cosa più brutta che ci possa capitare a questo mondo è quella di vivere… per nessuno; o vivere…solo per noi stessi.
Certo, le persone che si vogliono bene vivono una per l’altra…non vivono per loro stesse o per nessuno: una mamma, un papà – si dice che vivono per i loro figli, e magari anche per i loro nipoti: le persone care son quelle che ci danno buoni motivi per vivere. Però le persone care non durano per sempre, come noi del resto… Ma allora, non è meglio legarci prima di tutto a qualcuno che ci ama più di tutti, che non ci lascerà mai e che resterà per sempre? “Chi mangia di me, vivrà per me!” afferma oggi Gesù.
Fratelli, vivere per Gesù non significa amare di meno le persone care o i nostri amici; significa amarle di più, anzi, amarle meglio, cioè come piace a Dio: solo Lui se n’intende di amore autentico.
Vivere per Gesù non significa rifiutare ogni altro interesse, o non divertirsi più: significa piuttosto lavorare e fare le cose con più soddisfazione che se le facessimo solo per guadagnarci; significa poter attingere alla fonte della gioia sempre: quella gioia che noi, con tutti i nostri passatempi e divertimenti, non possiamo inventare.
“Chi mangia di me, vivrà per me!”. Che dire allora? Altro che se è prezioso questo dono che chiamiamo Eucaristia! Altro che se ogni Domenica abbiamo buoni motivi per incontrarci con il Signore!
Se la Domenica è anzitutto questo, chiediamogli oggi che ce ne renda convinti, così come erano convinti quei cristiani di Abitène che tanti secoli fa’ rispondevano al giudice: “Senza la Domenica, senza quest’incontro con il Signore, noi non possiamo vivere!”.
Le Letture Bibliche: Deuteronomio 8,2-3.14b-16a; 1Corinzi 10,16-17; Giovanni 6,51-58
Corpus Domini – il Corpo e il Sangue del Signore.
E’ il dono più grande che ci poteva fare. Varrà pure la pena soffermarsi una volta tanto a valutare quant’è prezioso, se non altro per evitare di farci il callo e non apprezzarlo nemmeno più… Beh, è Lui stesso che ci permette di capirne l’importanza. Ce l’ha detto attraverso le letture che abbiamo ascoltato. “Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto fare nel deserto…(era Mosè che parlava così; parlava a quel popolo che Dio aveva liberato dalla schiavitù dell’Egitto… era passato per il deserto e stava per entrare nella Terra Promessa)… Ricordati che il Signore ti ha nutrito di manna, se no saresti morto di fame… Ricordatelo sempre: guarda di non dimenticare il Signore tuo Dio…”.
Ma perché il Signore ci tiene così tanto a che noi ci ricordiamo di Lui? Per una ragione molto semplice: se dimentichiamo di incontrarci con Lui, ci sentiamo soli abbandonati a noi stessi, e non è vero…perché Lui ormai è sempre con noi: l’Eucaristia che celebriamo ci dà la certezza che è così: mai più saremo soli: è davvero con noi il Signore, tanto che si fa chiamare “Emmanuele”, che vuol dire “Dio con noi”. Solo che se noi la Domenica andiamo per conto nostro invece che partecipare a questo incontro con Lui, allora sì… allora cominciamo a sentirci soli e abbandonati a noi stessi. Ecco perché secoli fa’ i cristiani di Abitene (Abitene era una città dell’attuale Tunisia), arrestati perché stavano celebrando l’Eucaristia, risposero così al giudice che li processava: “Senza la Domenica, noi non possiamo vivere…”. La Domenica per loro non consisteva in una gita in montagna, ma nell’incontrare Gesù all’Eucaristia.
Ma, e… perché non possiamo vivere senza incontrarlo? cosa ci dà il Signore per non farci sentire soli e abbandonati? Ce lo dice: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo…”. E noi tutti sappiamo quanto sia essenziale il pane. Oh, non che basti mettere in bocca roba da mangiare: a differenza degli animali, che mangiano, anzi divorano, noi – persone umane quali siamo – per vivere abbiamo bisogno per esempio anche di parole, di relazioni di affetto, di amicizia… abbiamo bisogno di un po’ di entusiasmo ogni giorno per far funzionare la buona volontà e compiere ciò che è giusto…
Ebbene, proprio questo è Gesù Cristo per noi: Parola che ci scalda il cuore, ci dà fiducia e coraggio per andare avanti (soprattutto quando ci sono momenti duri da affrontare)…Gesù, con il suo vangelo, è luce che ci aiuta a vedere la strada giusta (perché altrimenti noi potremo prendere anche strade sbagliate)… ecco cosa vuol dire con quelle parole: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo”.
Gesù è Pane con le sue parole, con quello che fa, con gli esempi che ci dà… tutto quanto Gesù è pane per noi. Non dobbiamo pensare che nutrirci di Gesù voglia dire solo andare alla Comunione: questo viene dopo, ma prima di questo – prima di aprire le mani o la bocca per ricevere quel pane che è il suo corpo – occorre aprire il cuore per accoglierlo quando parla, quando ci fa da guida e da Maestro di vita… La comunione con Gesù non è qualcosa che dura qualche istante, intanto che mandi giù l’ostia consacrata…Comunione con Gesù è pensare come pensa Lui, è volere quello che vuole Lui, è portarsi nel cuore i suoi ideali e condividerli: questo è “comunione con Gesù”, perché tutta la sua persona è Pane disceso dal cielo…
E se è così – se per te Gesù Cristo è tutto questo – allora sì, va’ pure a ricevere anche quel Pane che è il suo Corpo, perché tu sei già in comunione, in sintonia con Lui, e questo allora diventa il momento della massima intimità, della più forte amicizia con quel Signore al quale hai già aperto il tuo cuore e la tua mente.
Perché mai ci sono cristiani che fanno la Comunione e poi, una volta fuori dalle chiese, si dimenticano che sono cristiani? Perché nella vita non sono affatto in sintonia con Lui; nella vita si comportano come se non lo conoscessero neanche… Se fossero onesti questi tali non dovrebbero neanche accostarsi alla Comunione: non gli serve a niente, anzi, gli fa male, gli va per traverso – come diceva san Paolo: “mangiano la propria condanna”. Attenzione perciò, fratelli: non lo dico per spaventare, ma perché sia chiaro a tutti: è così prezioso questo Dono dell’Eucaristia che non possiamo riceverlo con superficialità, o prenderlo sotto gamba!
Prezioso è. Da cosa si vede? Come può essere prezioso un pezzettino di pane? Ce n’è così tanto pane, anche più saporito di questo! Perché questo è il più prezioso in assoluto?
“Chi lo mangia, ha la vita eterna!” ci dice oggi il Signore. La nostra vita – di bambini, di adulti o di anziani – riceve una carica che la fa diventare eterna! Eterna vuol dire che diventa prima di tutto più bella adesso, più degna di essere vissuta, e poi che niente – neanche la morte – la potrà troncare: “Quel tale che mangia la mia carne…– assicura Gesù – io lo risusciterò, e lo farò vivere per sempre!”. Perché quel tale non è più solo, ma “dimora in me, e io abito in lui”, nella sua vita: io che sono risorto e ho vinto la morte! Ecco perché è prezioso questo dono. Ma poi aggiunge anche: “Chi mangia di me, vivrà per me!”. La cosa più brutta che ci possa capitare a questo mondo è quella di vivere… per nessuno; o vivere…solo per noi stessi.
Certo, le persone che si vogliono bene vivono una per l’altra…non vivono per loro stesse o per nessuno: una mamma, un papà – si dice che vivono per i loro figli, e magari anche per i loro nipoti: le persone care son quelle che ci danno buoni motivi per vivere. Però le persone care non durano per sempre, come noi del resto… Ma allora, non è meglio legarci prima di tutto a qualcuno che ci ama più di tutti, che non ci lascerà mai e che resterà per sempre? “Chi mangia di me, vivrà per me!” afferma oggi Gesù.
Fratelli, vivere per Gesù non significa amare di meno le persone care o i nostri amici; significa amarle di più, anzi, amarle meglio, cioè come piace a Dio: solo Lui se n’intende di amore autentico.
Vivere per Gesù non significa rifiutare ogni altro interesse, o non divertirsi più: significa piuttosto lavorare e fare le cose con più soddisfazione che se le facessimo solo per guadagnarci; significa poter attingere alla fonte della gioia sempre: quella gioia che noi, con tutti i nostri passatempi e divertimenti, non possiamo inventare.
“Chi mangia di me, vivrà per me!”. Che dire allora? Altro che se è prezioso questo dono che chiamiamo Eucaristia! Altro che se ogni Domenica abbiamo buoni motivi per incontrarci con il Signore!
Se la Domenica è anzitutto questo, chiediamogli oggi che ce ne renda convinti, così come erano convinti quei cristiani di Abitène che tanti secoli fa’ rispondevano al giudice: “Senza la Domenica, senza quest’incontro con il Signore, noi non possiamo vivere!”.
Santissima Trinità - Domenica 4 Giugno
Le Letture Bibliche: Esodo 34,4b-6.8-9; 2Corinzi 13,11-13; Giovanni 3,16-18
La gente che vive nel deserto non sa cos'è l'individualismo. Nel deserto non si trovano persone che vivono da sole, isolate, distanti le une dalle altre, perché nel deserto da soli non si può sopravvivere: nel deserto si può vivere soltanto insieme. Ecco allora che le persone si trovano sempre in una famiglia, le famiglie formano i clan, i clan formano le tribù. Quando passa qualcuno, si fanno in quattro per ospitarlo: gli offrono da mangiare, da bere, la possibilità di riposarsi.
Nel deserto, da soli, si muore. La gente del deserto lo sa; ecco perché vivere – per quella gente – vuol dire “vivere insieme”.
Quando Dio, il Signore, ha deciso di intervenire nella nostra storia umana per raddizzarla verso una mèta più soddisfacente, ha cominciato con un popolo ben preciso: un popolo che viveva nel deserto. Ce n’erano tanti popoli a questo mondo, forse anche migliori di quello, più evoluti, più ricchi di risorse; perché mai avrà scelto quello?
Oggi, proprio in questa domenica – Festa della Santa Trinità - sappiamo il perchè.
Noi lo chiamiamo Dio, il Signore Dio. A volte (ingiustamente) lo immaginiamo come un personaggio lontano, solitario… Ebbene, no: Dio, il Signore-Dio, è famiglia, è Comunità di persone. Le conosciamo anche – almeno di nome (tant’è vero che le nominiamo spesso): il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo.
Se il Signore Dio fosse un personaggio unico e lontano, tutto chiuso nella sua solitudine, si sarebbe scelto un popolo di individualisti, dove ognuno vive per conto suo, totalmente indifferente agli altri. Ma poichè è famiglia (e in quella famiglia il Padre non fa nulla senza il Figlio, e lo Spirito Santo è il legame d’amore tra loro due), ecco che si è scelto un popolo del deserto; un popolo nel quale da soli non si può sopravvivere, un popolo per il quale esistere vuol dire “vivere insieme”. Anzi, vivere gli uni per gli altri.
Il Signore Dio ha sempre avuto una gran voglia di venire ad abitare tra gli uomini, ma dove c’è chiusura, divisione, individualismo, non si trova a suo agio. Si trova …abbastanza bene là dove la gente si incontra, dialoga, si aiuta, sa fare festa insieme.
Ecco perché siamo qui a celebrare insieme l’Eucaristia nel giorno del Signore. La certezza di incontrare il Signore Gesù ce l’abbiamo soltanto quando ci raduniamo insieme. E’ l’incontro di due famiglie quello che avviene qui: la famiglia di Dio (il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo) e quest’altra famiglia che siamo noi riuniti per l’Eucaristia.
Ma è poi importante questo incontro? Si può tralasciare senza conseguenze particolari? E’ come chiedere: è proprio necessario far parte di una famiglia? Si può venire al mondo, crescere e vivere, senza una famiglia?
Beh, dal punto di vista dell’ingegneria genetica – o di certe moderne leggi europee - può darsi che sia possibile, ma resta qualche dubbio, qualche perplessità a dir poco.
Quanta fatica, a volte, spiegare alle persone che il Cristianesimo non è una religione “fai da te”, dove ognuno prende quello che gli pare e piace, quando ne sente il bisogno, o quando ne ha voglia! Sono state fatte battaglie per la libertà dell’individuo, leggi sulla privacy… perché si ritiene giusto e dignitoso poter essere indipendenti gli uni dagli altri. Ma da questo…al vivere da individualisti, il passo è breve. Non vi pare che con questo modo di fare stiamo costruendo il deserto attorno a noi? Ah certo, meraviglioso, stupendo il deserto fin che lo si percorre da turisti a bordo di fuori strada, ma quando finiscono i panorami e si è costretti ad affrontare la solitudine, l’aridità, il non saper dove andare, allora è il dramma. Quanti drammi di solitudine, di deserto, e quindi di disperazione, in questa società del nostro tempo!
Più di qualcuno al giorno d’oggi fa notare che, dopo aver proclamato i diritti dell’uomo, forse sarebbe ora anche di proclamare i doveri che abbiamo gli uni verso gli altri. I diritti, senza i doveri, non stanno in piedi; favoriscono l’individualismo, la legge della giungla, la solitudine soffocante alla fin fine. Diritti e doveri insieme ci vogliono per assicurare “umanità”, solidarietà e dignità.
In ogni caso, Dio – il Signore in cui crediamo – non è un riccio chiuso su se stesso, tutto soddisfatto della sua privacy… Dio è mistero sì, ma “mistero di famiglia”, cioè vita sovrabbondante e condivisa, che si apre e si dona: “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio unigenito…” ci ricorda il Vangelo di questa Festa. E questo è un dato di fatto, fratelli, questa è storia, questa è la realtà della nostra Fede: noi la possiamo toccare con mano quando ci troviamo insieme, come stiamo facendo anche oggi in questa Eucaristia. Qui, la famiglia di Dio – Padre, Figlio e Spirito Santo - incontra quella famiglia che siamo noi tutti.
Fuori da qui, fuori da questo momento, io non so se sia possibile incontrare Dio; o meglio: possibile sì, lo è, perché è con ogni donna e con ogni uomo che Dio cammina, ma il problema è riconoscerlo, averne la percezione, perché è una presenza misteriosa e discreta la sua, che non dà nell’occhio: ci occorrono delle indicazioni, dei segnali. Dove li troviamo se non in quelle parole della Bibbia, del vangelo, che sentiamo la domenica all’Eucaristia? E’ qui che impariamo a conoscere i gusti di Dio e i suoi connotati. Altrimenti rischiamo di camminare con lui tutti i giorni senza mai riconoscerlo.
La religione fai da te, quando e come vuoi, ognuno per conto suo… è la strada dell’illusione religiosa, non è certamente la strada della Fede. Su questa infatti si cammina soltanto assieme: noi e Dio insieme a noi.
Oggi san Paolo ci ha detto: Siate gioiosi (come si può essere gioiosi… da soli? Non è possibile). Fatevi coraggio a vicenda, continuava l’apostolo (e tutti sappiamo che il coraggio uno non se lo può dare …da solo), abbiate gli stessi sentimenti (è stando insieme che si diventa più umani; da soli ci si impoverisce). E allora – conclude Paolo - l’amore di Dio Padre, la grazia del Signore Gesù, la comunione dello Spirito santo, sarà certamente con voi.
Che questa sia davvero e sempre anche la nostra esperienza.
Le Letture Bibliche: Esodo 34,4b-6.8-9; 2Corinzi 13,11-13; Giovanni 3,16-18
La gente che vive nel deserto non sa cos'è l'individualismo. Nel deserto non si trovano persone che vivono da sole, isolate, distanti le une dalle altre, perché nel deserto da soli non si può sopravvivere: nel deserto si può vivere soltanto insieme. Ecco allora che le persone si trovano sempre in una famiglia, le famiglie formano i clan, i clan formano le tribù. Quando passa qualcuno, si fanno in quattro per ospitarlo: gli offrono da mangiare, da bere, la possibilità di riposarsi.
Nel deserto, da soli, si muore. La gente del deserto lo sa; ecco perché vivere – per quella gente – vuol dire “vivere insieme”.
Quando Dio, il Signore, ha deciso di intervenire nella nostra storia umana per raddizzarla verso una mèta più soddisfacente, ha cominciato con un popolo ben preciso: un popolo che viveva nel deserto. Ce n’erano tanti popoli a questo mondo, forse anche migliori di quello, più evoluti, più ricchi di risorse; perché mai avrà scelto quello?
Oggi, proprio in questa domenica – Festa della Santa Trinità - sappiamo il perchè.
Noi lo chiamiamo Dio, il Signore Dio. A volte (ingiustamente) lo immaginiamo come un personaggio lontano, solitario… Ebbene, no: Dio, il Signore-Dio, è famiglia, è Comunità di persone. Le conosciamo anche – almeno di nome (tant’è vero che le nominiamo spesso): il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo.
Se il Signore Dio fosse un personaggio unico e lontano, tutto chiuso nella sua solitudine, si sarebbe scelto un popolo di individualisti, dove ognuno vive per conto suo, totalmente indifferente agli altri. Ma poichè è famiglia (e in quella famiglia il Padre non fa nulla senza il Figlio, e lo Spirito Santo è il legame d’amore tra loro due), ecco che si è scelto un popolo del deserto; un popolo nel quale da soli non si può sopravvivere, un popolo per il quale esistere vuol dire “vivere insieme”. Anzi, vivere gli uni per gli altri.
Il Signore Dio ha sempre avuto una gran voglia di venire ad abitare tra gli uomini, ma dove c’è chiusura, divisione, individualismo, non si trova a suo agio. Si trova …abbastanza bene là dove la gente si incontra, dialoga, si aiuta, sa fare festa insieme.
Ecco perché siamo qui a celebrare insieme l’Eucaristia nel giorno del Signore. La certezza di incontrare il Signore Gesù ce l’abbiamo soltanto quando ci raduniamo insieme. E’ l’incontro di due famiglie quello che avviene qui: la famiglia di Dio (il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo) e quest’altra famiglia che siamo noi riuniti per l’Eucaristia.
Ma è poi importante questo incontro? Si può tralasciare senza conseguenze particolari? E’ come chiedere: è proprio necessario far parte di una famiglia? Si può venire al mondo, crescere e vivere, senza una famiglia?
Beh, dal punto di vista dell’ingegneria genetica – o di certe moderne leggi europee - può darsi che sia possibile, ma resta qualche dubbio, qualche perplessità a dir poco.
Quanta fatica, a volte, spiegare alle persone che il Cristianesimo non è una religione “fai da te”, dove ognuno prende quello che gli pare e piace, quando ne sente il bisogno, o quando ne ha voglia! Sono state fatte battaglie per la libertà dell’individuo, leggi sulla privacy… perché si ritiene giusto e dignitoso poter essere indipendenti gli uni dagli altri. Ma da questo…al vivere da individualisti, il passo è breve. Non vi pare che con questo modo di fare stiamo costruendo il deserto attorno a noi? Ah certo, meraviglioso, stupendo il deserto fin che lo si percorre da turisti a bordo di fuori strada, ma quando finiscono i panorami e si è costretti ad affrontare la solitudine, l’aridità, il non saper dove andare, allora è il dramma. Quanti drammi di solitudine, di deserto, e quindi di disperazione, in questa società del nostro tempo!
Più di qualcuno al giorno d’oggi fa notare che, dopo aver proclamato i diritti dell’uomo, forse sarebbe ora anche di proclamare i doveri che abbiamo gli uni verso gli altri. I diritti, senza i doveri, non stanno in piedi; favoriscono l’individualismo, la legge della giungla, la solitudine soffocante alla fin fine. Diritti e doveri insieme ci vogliono per assicurare “umanità”, solidarietà e dignità.
In ogni caso, Dio – il Signore in cui crediamo – non è un riccio chiuso su se stesso, tutto soddisfatto della sua privacy… Dio è mistero sì, ma “mistero di famiglia”, cioè vita sovrabbondante e condivisa, che si apre e si dona: “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio unigenito…” ci ricorda il Vangelo di questa Festa. E questo è un dato di fatto, fratelli, questa è storia, questa è la realtà della nostra Fede: noi la possiamo toccare con mano quando ci troviamo insieme, come stiamo facendo anche oggi in questa Eucaristia. Qui, la famiglia di Dio – Padre, Figlio e Spirito Santo - incontra quella famiglia che siamo noi tutti.
Fuori da qui, fuori da questo momento, io non so se sia possibile incontrare Dio; o meglio: possibile sì, lo è, perché è con ogni donna e con ogni uomo che Dio cammina, ma il problema è riconoscerlo, averne la percezione, perché è una presenza misteriosa e discreta la sua, che non dà nell’occhio: ci occorrono delle indicazioni, dei segnali. Dove li troviamo se non in quelle parole della Bibbia, del vangelo, che sentiamo la domenica all’Eucaristia? E’ qui che impariamo a conoscere i gusti di Dio e i suoi connotati. Altrimenti rischiamo di camminare con lui tutti i giorni senza mai riconoscerlo.
La religione fai da te, quando e come vuoi, ognuno per conto suo… è la strada dell’illusione religiosa, non è certamente la strada della Fede. Su questa infatti si cammina soltanto assieme: noi e Dio insieme a noi.
Oggi san Paolo ci ha detto: Siate gioiosi (come si può essere gioiosi… da soli? Non è possibile). Fatevi coraggio a vicenda, continuava l’apostolo (e tutti sappiamo che il coraggio uno non se lo può dare …da solo), abbiate gli stessi sentimenti (è stando insieme che si diventa più umani; da soli ci si impoverisce). E allora – conclude Paolo - l’amore di Dio Padre, la grazia del Signore Gesù, la comunione dello Spirito santo, sarà certamente con voi.
Che questa sia davvero e sempre anche la nostra esperienza.
PENTECOSTE - Domenica 28 Maggio
Le Letture Bibliche: Atti degli Apostoli 2,1-11; 1Corinzi 12,3-7.12-13; Giovanni 20,10-23
NB. L' omelia ha invitato a riflettere su un testo particolare della Liturgia di Pentecoste, cioè la SEQUENZA seguente:
Le Letture Bibliche: Atti degli Apostoli 2,1-11; 1Corinzi 12,3-7.12-13; Giovanni 20,10-23
NB. L' omelia ha invitato a riflettere su un testo particolare della Liturgia di Pentecoste, cioè la SEQUENZA seguente:
Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce.
Vieni, padre dei poveri; vieni, datore dei doni; vieni, luce dei cuori.
Consolatore perfetto, ospite dolce dell'anima, dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo; nella calura, riparo; nel pianto, conforto.
O luce beatissima, invadi nell'intimo il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza, nulla è nell'uomo, nulla senza colpa.
Lava ciò che è sórdido, bagna ciò che è árido, sana ciò che sánguina.
Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato.
Dona ai tuoi fedeli, che solo in te confidano, i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna.
Vieni, padre dei poveri; vieni, datore dei doni; vieni, luce dei cuori.
Consolatore perfetto, ospite dolce dell'anima, dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo; nella calura, riparo; nel pianto, conforto.
O luce beatissima, invadi nell'intimo il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza, nulla è nell'uomo, nulla senza colpa.
Lava ciò che è sórdido, bagna ciò che è árido, sana ciò che sánguina.
Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato.
Dona ai tuoi fedeli, che solo in te confidano, i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna.
Dio è famiglia. La prima famiglia. Le nostre famiglie vengono tutte dalla sua. Le persone di questa famiglia sono: il Padre, il Figlio, lo Spirito santo. Il Padre, i pittori l'hanno immaginato come un grande vecchio dalla barba bianca (io non penso che Dio sia vecchio: per lui non c'è il tempo che passa, per cui è sempre nel fior fiore dell'età... Comunque, i pittori l'hanno immaginato così). Il Figlio, beh il Figlio ha il volto di Gesù di Nazaret: tutti siamo in grado di immaginarcelo. Lo Spirito santo... eh, qui è più difficile lavorare d'immaginazione: non sappiamo che volto dargli... Sì, i pittori l'anno dipinto come una colomba, ma è ovvio che non è un volatile... Oppure come fiamma di fuoco (anche san Luca nel racconto che abbiamo sentito poco fa' parlava di fiamme di fuoco sopra le teste degli apostoli), ma è ovvio che non è un falò lo Spirito santo.
Ma è proprio necessario dargli un volto? Forse è così misterioso, forse sono così tante le sue competenze, che ogni volto gli sta stretto. Ma allora, perché non guardare alle sue specialità, cioè a quello che sa fare?
Nel canto che abbiamo fatto prima del vangelo le abbiamo elencate. E allora passiamone in rassegna alcune con un po' di attenzione (è il modo giusto per imparare ad apprezzarlo!).
- Padre dei poveri l'abbiamo chiamato. Ci sono momenti nella vita nei quali - anche se abbiamo tutto - ci manca l’essenziale, che non possiamo procurarci con i soldi, e ci sentiamo poveri, impotenti...
- Datore dei doni, è stato definito: oh non i doni del Natale o delle feste di compleanno. I veri doni son l'intelligenza, ad esempio, la capacità di amare, la creatività, la costanza nel bene... (e l'elenco sarebbe molto lungo).
- Luce dei cuori è lo Spirito santo: vi è mai capitato di trovarvi in qualche situazione ingarbugliata, in un momento di smarrimento e dover dire "Non ci vedo chiaro"? Ecco: vieni, luce dei cuori...
- Consolatore perfetto, dolcissimo sollievo... Eh, si… noi possiamo cercare di consolare chi è nella tristezza, possiamo dirgli "fatti coraggio", ma il coraggio non glielo possiamo mica dare. Lo Spirito santo sì: vieni consolatore perfetto.
- Bagna ciò che è arido: l'aridità, altrochè se sappiamo tutti cosa vuol dire aridità! Non aver più stimoli per fare le cose con un po' di entusiasmo... per continuare ad amare... a credere, a pregare... Vieni e bagna ciò che è arido!
- Sana ciò che sanguina… gli abbiamo chiesto. E tutti sappiamo che sì, ci sono ferite o acciacchi del corpo, ma ci sono anche ferite dell'anima: piaghe dentro nell’intimo, provocate da certe esperienze di vita che continuano a far male, che stentano a rimarginarsi... Vieni e sana ciò che sanguina: è competenza dello Spirito Santo sanare o lenire certe sofferenze!
- Piega ciò che è rigido... gli abbiamo domandato. Certe testardaggini, certi comportamenti sbagliati e ostinati, certe ottusità che più passano gli anni più si sclerotizzano e diventano dure come pietra. Solo lui - il Paraclito, lo Spirito Santo - può porvi rimedio: perciò, vieni, piega ciò che è rigido!
- E scalda ciò che è gelido: sì, ecco perché è stato paragonato al fuoco. E qui penso all'insensibilità di fronte a certe tragedie umane che capitano anche ai nostri giorni... Com’è possibile che un’ umanità così progredita come quella del nostro tempo, e a volte così religiosa e devota, sia al contempo così disumana? Sarà la paura, sarà che se ne sentono e se ne vedono troppe, ma non è una buona ragione perché il cuore delle persone diventi di ghiaccio. Vieni, Spirito santo e scalda ciò che è gelido...
Beh, a questo punto - anche se non sappiamo che volto dare allo Spirito Santo, non è poi così importante. Più importante è sapere che queste sono le sue competenze: quello che può fare, o più esattamente, quello che potrebbe, che vorrebbe fare... Perché c'è una condizione, infatti: l'ha posta Gesù nel vangelo che abbiamo ascoltato. Il giorno di Pasqua, risorto, si presenta nel cenacolo ai suoi discepoli e dice: "Il Padre ha mandato me in questo mondo, e adesso io mando voi". Quei discepoli, oggi, siamo anche noi: è proprio anche noi manda il Signore. Dove? La nostra terra di missione è la vita, ma la nostra vita reale di giorno dopo giorno, fatta di lavoro per molti... per altri di riposo, magari forzato, costellata forse di acciacchi ogni tanto, o addirittura contrassegnata da una patologia cronica che fa dipendere in tutto e per tutto dagli altri.
Ebbene, se c’è uno che non fa differenze è proprio il Signore: anzi, i suoi collaboratori più fidati li sceglie precisamente tra i più fragili, i più deboli, i meno adatti secondo la logica di questo mondo. Gli altri, sani e pimpanti, si… li coinvolge, li manda, ma certuni sono troppo presi da se stessi e dai loro interessi per prestargli attenzione…
Vorrei dirlo e ribadirlo forte: nessuno si senta inutile o inadatto agli occhi di Dio. O pensate che gli apostoli fossero davvero più disponibili e più adatti di noi? Ciò che conta è essere equipaggiati, attrezzati… e infatti, cosa fa il Signore? Gesù soffiò su di loro, ci ha riferito il vangelo e disse: "Ricevete lo Spirito santo". Ecco l'equipaggiamento, l'attrezzatura perché tutti noi, senza differenze, possiamo davvero vivere la nostra esistenza come una missione. Per questo è dato lo Spirito santo con tutte quelle specialità e competenze di cui dicevo. La vita è cammino, è un viaggio si dice. Chi la vive solo per se stesso, a guscio, non può ricevere lo Spirito santo: cosa se ne farebbe dell'equipaggiamento uno che non viaggia mai?
Chi invece vive con senso di responsabilità (verso Dio che gli ha donato la vita e verso gli altri, vicini o lontani che siano), ah costui sì che può aspettarsi il sostegno dello Spirito santo: lo può desiderare, domandare e ricevere. E non una volta sola, ma sempre, anzi tutti i giorni, perché Dio non è avaro nel darlo, anzi, è il suo dono più prezioso e arde dal desiderio di darlo generosamente a quanti sono nelle condizioni di riceverlo.
Buona Pentecoste pertanto, fratelli, e che possiamo essere anche noi tra questi.
Ma è proprio necessario dargli un volto? Forse è così misterioso, forse sono così tante le sue competenze, che ogni volto gli sta stretto. Ma allora, perché non guardare alle sue specialità, cioè a quello che sa fare?
Nel canto che abbiamo fatto prima del vangelo le abbiamo elencate. E allora passiamone in rassegna alcune con un po' di attenzione (è il modo giusto per imparare ad apprezzarlo!).
- Padre dei poveri l'abbiamo chiamato. Ci sono momenti nella vita nei quali - anche se abbiamo tutto - ci manca l’essenziale, che non possiamo procurarci con i soldi, e ci sentiamo poveri, impotenti...
- Datore dei doni, è stato definito: oh non i doni del Natale o delle feste di compleanno. I veri doni son l'intelligenza, ad esempio, la capacità di amare, la creatività, la costanza nel bene... (e l'elenco sarebbe molto lungo).
- Luce dei cuori è lo Spirito santo: vi è mai capitato di trovarvi in qualche situazione ingarbugliata, in un momento di smarrimento e dover dire "Non ci vedo chiaro"? Ecco: vieni, luce dei cuori...
- Consolatore perfetto, dolcissimo sollievo... Eh, si… noi possiamo cercare di consolare chi è nella tristezza, possiamo dirgli "fatti coraggio", ma il coraggio non glielo possiamo mica dare. Lo Spirito santo sì: vieni consolatore perfetto.
- Bagna ciò che è arido: l'aridità, altrochè se sappiamo tutti cosa vuol dire aridità! Non aver più stimoli per fare le cose con un po' di entusiasmo... per continuare ad amare... a credere, a pregare... Vieni e bagna ciò che è arido!
- Sana ciò che sanguina… gli abbiamo chiesto. E tutti sappiamo che sì, ci sono ferite o acciacchi del corpo, ma ci sono anche ferite dell'anima: piaghe dentro nell’intimo, provocate da certe esperienze di vita che continuano a far male, che stentano a rimarginarsi... Vieni e sana ciò che sanguina: è competenza dello Spirito Santo sanare o lenire certe sofferenze!
- Piega ciò che è rigido... gli abbiamo domandato. Certe testardaggini, certi comportamenti sbagliati e ostinati, certe ottusità che più passano gli anni più si sclerotizzano e diventano dure come pietra. Solo lui - il Paraclito, lo Spirito Santo - può porvi rimedio: perciò, vieni, piega ciò che è rigido!
- E scalda ciò che è gelido: sì, ecco perché è stato paragonato al fuoco. E qui penso all'insensibilità di fronte a certe tragedie umane che capitano anche ai nostri giorni... Com’è possibile che un’ umanità così progredita come quella del nostro tempo, e a volte così religiosa e devota, sia al contempo così disumana? Sarà la paura, sarà che se ne sentono e se ne vedono troppe, ma non è una buona ragione perché il cuore delle persone diventi di ghiaccio. Vieni, Spirito santo e scalda ciò che è gelido...
Beh, a questo punto - anche se non sappiamo che volto dare allo Spirito Santo, non è poi così importante. Più importante è sapere che queste sono le sue competenze: quello che può fare, o più esattamente, quello che potrebbe, che vorrebbe fare... Perché c'è una condizione, infatti: l'ha posta Gesù nel vangelo che abbiamo ascoltato. Il giorno di Pasqua, risorto, si presenta nel cenacolo ai suoi discepoli e dice: "Il Padre ha mandato me in questo mondo, e adesso io mando voi". Quei discepoli, oggi, siamo anche noi: è proprio anche noi manda il Signore. Dove? La nostra terra di missione è la vita, ma la nostra vita reale di giorno dopo giorno, fatta di lavoro per molti... per altri di riposo, magari forzato, costellata forse di acciacchi ogni tanto, o addirittura contrassegnata da una patologia cronica che fa dipendere in tutto e per tutto dagli altri.
Ebbene, se c’è uno che non fa differenze è proprio il Signore: anzi, i suoi collaboratori più fidati li sceglie precisamente tra i più fragili, i più deboli, i meno adatti secondo la logica di questo mondo. Gli altri, sani e pimpanti, si… li coinvolge, li manda, ma certuni sono troppo presi da se stessi e dai loro interessi per prestargli attenzione…
Vorrei dirlo e ribadirlo forte: nessuno si senta inutile o inadatto agli occhi di Dio. O pensate che gli apostoli fossero davvero più disponibili e più adatti di noi? Ciò che conta è essere equipaggiati, attrezzati… e infatti, cosa fa il Signore? Gesù soffiò su di loro, ci ha riferito il vangelo e disse: "Ricevete lo Spirito santo". Ecco l'equipaggiamento, l'attrezzatura perché tutti noi, senza differenze, possiamo davvero vivere la nostra esistenza come una missione. Per questo è dato lo Spirito santo con tutte quelle specialità e competenze di cui dicevo. La vita è cammino, è un viaggio si dice. Chi la vive solo per se stesso, a guscio, non può ricevere lo Spirito santo: cosa se ne farebbe dell'equipaggiamento uno che non viaggia mai?
Chi invece vive con senso di responsabilità (verso Dio che gli ha donato la vita e verso gli altri, vicini o lontani che siano), ah costui sì che può aspettarsi il sostegno dello Spirito santo: lo può desiderare, domandare e ricevere. E non una volta sola, ma sempre, anzi tutti i giorni, perché Dio non è avaro nel darlo, anzi, è il suo dono più prezioso e arde dal desiderio di darlo generosamente a quanti sono nelle condizioni di riceverlo.
Buona Pentecoste pertanto, fratelli, e che possiamo essere anche noi tra questi.
Ascensione del Signore - 21 Maggio
Le Letture Bibliche: Atti degli Apostoli 1,1-11; Efesini 1,17-23; Matteo 28,16-20
Sarà che anch’io ho le mie allergie particolari (e chi non ce le ha, oggi?) ma a volte mi pare di respirare quel tipico odore di chiuso, di stantio, che si sente in quegli ambienti dove non gira mai l’aria. E non mi riferisco alla mia abitazione (che è fin troppo spaziosa) ma al mondo, proprio a questo mondo, a questa società in cui tutti viviamo.
Sarà che è diventato piccolo, per cui ciò che accade all'altro capo, in un battibaleno si viene a sapere: proprio come se fossimo tutti inuna stanza...Sarà che i grandi di questo mondo - quelli che una volta parevano tanto diversi da noi - alla fin fine si rivelano anche loro piccini come tutti, capaci di stupidità e di debolezze esattamente come tutti.
Io, ad esempio, sono stufo di assistere a quel gran varietà che offrono certi dibattiti che dovrebbero essere politici, dove però di varietà - cioè di nuovo – non c'è mai niente, ma solo esibizioni di presunzione, giochi di potere, scaramucce di bassa lega… Stufo di notizie di cronaca, più o meno sempre quelle, che hanno solo lo scopo di nascondere problemi e scandali ben più grossi... Stufo anche di certi articoli di giornale, che definire "culturali" è far loro un grosso favore. Ci sono le eccezioni, ovviamente, e per fortuna, ma non fanno chiasso… Sì, a volte ho la sensazione di tornare bambino alla fontana del mio paese dove c'erano le lavandaie che - o litigavano, o facevano pettegolezzi. Ed era sempre quella solfa tutti i giorni. Ecco perché a volte mi sento al chiuso: l'aria, a questo mondo, troppe volte puzza di stantio.
Che se poi scendiamo nel concreto della vita delle persone, delle nostre famiglie, non vi pare che il clima che si respira sia simile? Finiamo spesso col dare gran peso a cose che non ne hanno, incapaci poi di valutare adeguatamente quelle davvero importanti… Eh, sì… anche qui a volte manca l’aria, perché quella che c’è è un po’ stagnante. E allora?
“Gli undici discepoli andarono in Galilea sul monte che Gesù aveva loro fissato”. Cominciava così il vangelo di oggi, Festa dell'Ascensione. L’evangelista Matteo parla di un monte in Galilea; Luca, invece, del Monte degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme. In ogni caso, il monte (ogni monte!) offre due vantaggi: da lassù si vede meglio tutto quanto: la prima cosa che affascina chi va in montagna è il panorama che si gode da quelle altezze. Tutto appare nelle sue dimensioni reali, anzi, se da un monte è possibile vedere in basso la propria casa, ci si meraviglia che appaia così piccola... fosse anche una reggia o una caserma, dall'alto appare minuscola.
Capite cosa intendo dire? Seguire Gesù Cristo significa tirarsi fuori ogni tanto dal tran tran delle cose ordinarie e salire a un livello un po' superiore, per osservarle dall'alto, a distanza: perché altrimenti succede che le cose ordinarie - positive o negative che siano - ci risucchiano come in un vortice e ci divorano. A starci dentro sempre, senza mai prendere le distanze, si finisce col pensare che il mondo è tutto lì, che la vita non può che essere quella di sempre ...con un respiro che si fa sempre più corto, e con un orizzonte che finisce là dove finiscono i nostri interessi o i nostri grattacapi.
Ascensione del Signore significa che si può uscire, prendere le distanze e salire di qualche livello: è solo dall'alto che si vede bene; e cosa si vede esattamente? i motivi per cui siamo al mondo, i traguardi che ci attendono e che Dio ha fissato per noi: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole... e insegnando loro il mio vangelo...". Comunque le interpretiamo queste parole, fratelli, una cosa è certa: l’essere discepoli di Gesù cambia la vita; non è più un affare privato e soltanto nostro l’esistenza: è missione.
Quale che sia il nostro stato di vita o la nostra professione, vivere per noi è missione. Dite pure che l'affermazione è grossa e che non ci sentiamo molto tagliati per questo (lo pensavano anche gli apostoli!), ma resta il fatto che se non siamo convinti che la nostra vita è missione, essa decade e diventa di una banalità incredibile: allora sì che rischia di riempirsi di tante piccinerie e sciocchezze.
Del resto, solo chi vive la sua vita come missione ha davvero esperienza di Gesù Cristo vivo: infatti, è a quei discepoli che manda nel mondo che lui dice: Ecco, io sono con voi tutti giorni...
Un cristiano che vive solo per se stesso, chiuso nel piccolo mondo dei suoi interessi o problemi, non potrà mai sentire che Cristo è vivo e percepirne la presenza nella sua vita. E' a quanti vivono per qualcosa di più grande di loro che Gesù Cristo assicura: Io sarò con voi tutti i giorni…
Il monte, dicevo.
Il monte offre anche un altro vantaggio: ci avvicina al cielo; con tutto quello che ha di simbolico questa parola "cielo" per noi credenti. Non solo ci richiama Dio, le realtà invisibili, i cosiddetti valori dello spirito, ma oggi - proprio con l'Ascensione di Gesù - ci dice chiaramente che quella è anche la nostra direzione, il nostro habitat definitivo: quel Gesù che entra nel cielo di Dio è solo la primizia, ma alla primizia fa seguito la messe, e la messe siamo noi tutti.
Lasciatemi allora, fratelli, riprendere le parole di S.Paolo, come augurio e come lieta notizia per tutti noi: "Possa Dio illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi...". Possa Dio fare questo: e lo farà se gliene daremo il modo, l'occasione. Non lasciamo che la nostra vita si riduca a piccola cosa, decada a monotona banalità, non rassegniamoci al chiuso, a respirare aria stantìa. Noi siamo fatti per ben altro da questo! Grazie a Lui!
Ecco perché diciamo volentieri anche oggi: Sia lodato Gesù Cristo!
Le Letture Bibliche: Atti degli Apostoli 1,1-11; Efesini 1,17-23; Matteo 28,16-20
Sarà che anch’io ho le mie allergie particolari (e chi non ce le ha, oggi?) ma a volte mi pare di respirare quel tipico odore di chiuso, di stantio, che si sente in quegli ambienti dove non gira mai l’aria. E non mi riferisco alla mia abitazione (che è fin troppo spaziosa) ma al mondo, proprio a questo mondo, a questa società in cui tutti viviamo.
Sarà che è diventato piccolo, per cui ciò che accade all'altro capo, in un battibaleno si viene a sapere: proprio come se fossimo tutti inuna stanza...Sarà che i grandi di questo mondo - quelli che una volta parevano tanto diversi da noi - alla fin fine si rivelano anche loro piccini come tutti, capaci di stupidità e di debolezze esattamente come tutti.
Io, ad esempio, sono stufo di assistere a quel gran varietà che offrono certi dibattiti che dovrebbero essere politici, dove però di varietà - cioè di nuovo – non c'è mai niente, ma solo esibizioni di presunzione, giochi di potere, scaramucce di bassa lega… Stufo di notizie di cronaca, più o meno sempre quelle, che hanno solo lo scopo di nascondere problemi e scandali ben più grossi... Stufo anche di certi articoli di giornale, che definire "culturali" è far loro un grosso favore. Ci sono le eccezioni, ovviamente, e per fortuna, ma non fanno chiasso… Sì, a volte ho la sensazione di tornare bambino alla fontana del mio paese dove c'erano le lavandaie che - o litigavano, o facevano pettegolezzi. Ed era sempre quella solfa tutti i giorni. Ecco perché a volte mi sento al chiuso: l'aria, a questo mondo, troppe volte puzza di stantio.
Che se poi scendiamo nel concreto della vita delle persone, delle nostre famiglie, non vi pare che il clima che si respira sia simile? Finiamo spesso col dare gran peso a cose che non ne hanno, incapaci poi di valutare adeguatamente quelle davvero importanti… Eh, sì… anche qui a volte manca l’aria, perché quella che c’è è un po’ stagnante. E allora?
“Gli undici discepoli andarono in Galilea sul monte che Gesù aveva loro fissato”. Cominciava così il vangelo di oggi, Festa dell'Ascensione. L’evangelista Matteo parla di un monte in Galilea; Luca, invece, del Monte degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme. In ogni caso, il monte (ogni monte!) offre due vantaggi: da lassù si vede meglio tutto quanto: la prima cosa che affascina chi va in montagna è il panorama che si gode da quelle altezze. Tutto appare nelle sue dimensioni reali, anzi, se da un monte è possibile vedere in basso la propria casa, ci si meraviglia che appaia così piccola... fosse anche una reggia o una caserma, dall'alto appare minuscola.
Capite cosa intendo dire? Seguire Gesù Cristo significa tirarsi fuori ogni tanto dal tran tran delle cose ordinarie e salire a un livello un po' superiore, per osservarle dall'alto, a distanza: perché altrimenti succede che le cose ordinarie - positive o negative che siano - ci risucchiano come in un vortice e ci divorano. A starci dentro sempre, senza mai prendere le distanze, si finisce col pensare che il mondo è tutto lì, che la vita non può che essere quella di sempre ...con un respiro che si fa sempre più corto, e con un orizzonte che finisce là dove finiscono i nostri interessi o i nostri grattacapi.
Ascensione del Signore significa che si può uscire, prendere le distanze e salire di qualche livello: è solo dall'alto che si vede bene; e cosa si vede esattamente? i motivi per cui siamo al mondo, i traguardi che ci attendono e che Dio ha fissato per noi: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole... e insegnando loro il mio vangelo...". Comunque le interpretiamo queste parole, fratelli, una cosa è certa: l’essere discepoli di Gesù cambia la vita; non è più un affare privato e soltanto nostro l’esistenza: è missione.
Quale che sia il nostro stato di vita o la nostra professione, vivere per noi è missione. Dite pure che l'affermazione è grossa e che non ci sentiamo molto tagliati per questo (lo pensavano anche gli apostoli!), ma resta il fatto che se non siamo convinti che la nostra vita è missione, essa decade e diventa di una banalità incredibile: allora sì che rischia di riempirsi di tante piccinerie e sciocchezze.
Del resto, solo chi vive la sua vita come missione ha davvero esperienza di Gesù Cristo vivo: infatti, è a quei discepoli che manda nel mondo che lui dice: Ecco, io sono con voi tutti giorni...
Un cristiano che vive solo per se stesso, chiuso nel piccolo mondo dei suoi interessi o problemi, non potrà mai sentire che Cristo è vivo e percepirne la presenza nella sua vita. E' a quanti vivono per qualcosa di più grande di loro che Gesù Cristo assicura: Io sarò con voi tutti i giorni…
Il monte, dicevo.
Il monte offre anche un altro vantaggio: ci avvicina al cielo; con tutto quello che ha di simbolico questa parola "cielo" per noi credenti. Non solo ci richiama Dio, le realtà invisibili, i cosiddetti valori dello spirito, ma oggi - proprio con l'Ascensione di Gesù - ci dice chiaramente che quella è anche la nostra direzione, il nostro habitat definitivo: quel Gesù che entra nel cielo di Dio è solo la primizia, ma alla primizia fa seguito la messe, e la messe siamo noi tutti.
Lasciatemi allora, fratelli, riprendere le parole di S.Paolo, come augurio e come lieta notizia per tutti noi: "Possa Dio illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi...". Possa Dio fare questo: e lo farà se gliene daremo il modo, l'occasione. Non lasciamo che la nostra vita si riduca a piccola cosa, decada a monotona banalità, non rassegniamoci al chiuso, a respirare aria stantìa. Noi siamo fatti per ben altro da questo! Grazie a Lui!
Ecco perché diciamo volentieri anche oggi: Sia lodato Gesù Cristo!
6° Domenica di Pasqua - 14 Maggio
294° Anniversario della prima Apparizione
Le Letture Bibliche: Atti degli Apostoli 8,5-8.14-17; 1Pietro 3,15-18; Giovanni 14,15-21
"Non vi lascerò orfani...Verrò da voi" ci dice oggi Gesù. Sarà di parola, oppure lo dirà solo per farci star buoni? No, se dice “verrò” egli viene davvero, perché “venire tra noi” è la sua prerogativa, la sua passione… non desidera altro. In tutte le religioni sono gli uomini e le donne che cercano Dio, vorrebbero trovarlo, e quindi si muovono per andare da Lui… Noi cristiani sappiamo che è lui che viene da noi, lui che ci cerca, che ci ama per primo… E Gesù è appunto Dio che viene a noi.
Che c’è di strano allora se anche Maria, la Madre sua, ha i suoi stessi gusti? La sua stessa passione, venire lei stessa a cercare i suoi figli? La tradizione di Pinè riferisce che quel 14 Maggio di tanti anni fa’, alla Comparsa, a quella giovane donna che avrebbe voluto recarsi in pellegrinaggio a Caravaggio ma non poteva, apparve e disse: “Non occorre che tu venga da me laggiù, così lontano… Vengo io da te, e verrò ancora: per te e per tanti altri…”.
Sì, fratelli, noi crediamo in un Dio che viene a noi, che ci cerca, che ci ama sempre per primo. Ecco perché " Verrò da voi" ci dice oggi Gesù. “Non vi lascerò orfani...”.
Anzi, non solo viene Lui a noi, ma ci assicura che saranno addirittura... in due a venire, per non lasciarci orfani. Con lui ci sarà "un altro Paràclito": così infatti lo chiama. "Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito, perché rimanga con voi per sempre". Molti tra voi sanno che il Paràclito è lo Spirito santo. Ma perché Gesù lo chiama Paràclito? Quanto più sono importanti le cose, tanto più è necessario adoperare parole esatte per dirle, magari anche parole nuove, o addirittura straniere, salvo poi a spiegarle ovviamente .
Ebbene, Paraclito (parola greca) indica una persona forte, competente, fedele, che sta accanto a chi è meno forte, inesperto e debole. E’ una presenza che insegna, consiglia, dà vigore, provoca se necessario, e incoraggia (non nel senso banale di dire "fatti coraggio", ma) nel senso che il coraggio te lo dà davvero. E tutto questo in modo discreto per cui la gente non lo vede: ne vede gli effetti, vede magari un uomo o una donna che affrontano con coraggio certe dure prove della vita, oppure costantemente impegnati in forme di servizio che farebbero perdere la pazienza anche a Giobbe, e la gente pensa: “Ma che brave persone! ma dove la trovano la forza, il coraggio? magari fossero tutti così!”. Ecco chi è il Paraclito, o meglio, ecco gli effetti della sua compagnia, del suo stare con noi. A questo punto non occorre neanche dire quanto è importante essere accompagnati, anzi, abitati e animati da lui!
Gesù però dice più esattamente: "Il Padre vi darà un altro Paràclito". Ma se quest’altro è lo Spirito santo, chi è allora il primo? Il primo è Gesù stesso. Egli è stato mandato nel mondo per esssere il Dio con noi: è Gesù il primo Paràclito. Noi a volte pensiamo quant’erano fortunati quelli che hanno conosciuto personalmente Gesù Cristo, i suoi apostoli, i suoi primi discepoli! Loro potevano sentire il vangelo dalle sue stesse labbra, vedere i suoi miracoli, anzi, lo potevano toccare... Noi invece, solo credere possiamo, senza veder niente. Eppure qualche domenica fa', Gesù ci ha detto che sono più fortunati quelli che credono senza avere visto… Come mai più fortunati? Perché se ci ostiniamo a voler vedere e toccare, non potremo mai credere veramente, non sarebbe più fede la nostra! Ma senza la fede, quale esperienza potremo avere di Dio? Nessuna. Ecco perché Gesù si sottrae al nostro vedere e toccare… ecco perché il Padre ci darà un altro Paràclito, che rimarrà con noi per sempre, a sostegno della nostra fede. Al che, a noi smaliziati quali siamo, vien da dire: ma sarà vero? La realtà che ci troviamo davanti - la realtà della nostra vita, la fatica che si fa a star sempre dalla parte del bene, a perseverare nella disponibilità, nella pazienza, nella speranza - oltre alla realtà attorno a noi (cioè questo mondo, che non sembra affatto interessato allo Spirito Santo): tutto questo potrebbe farci sospettare che anche Gesù dica solo tante belle parole... Sarà davvero così?
Sempre nel vangelo di oggi afferma che questo Paràclito (cioè lo Spirito santo) il mondo non lo può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Eh, questo è importante da sapere. Questo mondo che ha le sue logiche, i suoi ideali, i suoi interessi, che - in buona parte - non vanno d'accordo con quelli di Dio, cioè del vangelo, come potrebbe ricevere lo Spirito Paràclito? Non può affatto. E’ come un recipiente già pieno (di sé stesso), non lo si può riempire anche di qualcos'altro… Per cui, non illudiamoci, fratelli: se il nostro maestro è il mondo (con i suoi ideali e valori di cartapesta, del tutto contrari al Vangelo), noi non possiamo avere nessuna esperienza dello Spirito santo: nessuna consolazione da lui, nessun insegnamento, nessuna risorsa di coraggio né di luce o forza per camminare da cristiani con dignità.
E allora cosa si deve fare? Ecco: "Se mi amate, osserverete i miei comandamenti... - ci dice oggi Gesù - perché solo chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, mi ama: e allora sì, io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito". Ecco la condizione, fratelli: stare davvero dalla parte di Gesù, condividere la sua logica, il suo pensiero, il suo modo di ragionare e valutare; far nostra la sua mentalità, insomma.
"Osservare i suoi comandamenti" non significa metterli subito in pratica, sempre e in ogni occasione (neanche i santi erano capaci di far questo!); osservarli è portarli nel cuore, con la ferma convinzione che sono degni di fiducia, anche se il praticarli a volte costa fatica...
E allora torniamo all’esempio di Domenica Targa che in questo luogo si sarebbe sentita chiedere dalla Madonna: “Cosa stai facendo?” – “Prego il Rosario – rispose – e penso alla Passione di Gesù”. Ecco cosa vuol dire “osservare”: portare nel cuore, ricordare, tornare spesso col pensiero lì … a quei fatti del Vangelo, a quelle parole del Signore.
E dal cuore, un po' alla volta passeranno alla vita, alla pratica, alla condotta. Perché c'è qualcuno accanto a noi che in modo instancabile si dà da fare ad animarci, a sostenerci, a spronarci: il Paràclito appunto.
Quello Spirito forte e buono che sosteneva Gesù, ora può davvero accompagnare ciascuno di noi, se lo sapremo apprezzare e accogliere.
294° Anniversario della prima Apparizione
Le Letture Bibliche: Atti degli Apostoli 8,5-8.14-17; 1Pietro 3,15-18; Giovanni 14,15-21
"Non vi lascerò orfani...Verrò da voi" ci dice oggi Gesù. Sarà di parola, oppure lo dirà solo per farci star buoni? No, se dice “verrò” egli viene davvero, perché “venire tra noi” è la sua prerogativa, la sua passione… non desidera altro. In tutte le religioni sono gli uomini e le donne che cercano Dio, vorrebbero trovarlo, e quindi si muovono per andare da Lui… Noi cristiani sappiamo che è lui che viene da noi, lui che ci cerca, che ci ama per primo… E Gesù è appunto Dio che viene a noi.
Che c’è di strano allora se anche Maria, la Madre sua, ha i suoi stessi gusti? La sua stessa passione, venire lei stessa a cercare i suoi figli? La tradizione di Pinè riferisce che quel 14 Maggio di tanti anni fa’, alla Comparsa, a quella giovane donna che avrebbe voluto recarsi in pellegrinaggio a Caravaggio ma non poteva, apparve e disse: “Non occorre che tu venga da me laggiù, così lontano… Vengo io da te, e verrò ancora: per te e per tanti altri…”.
Sì, fratelli, noi crediamo in un Dio che viene a noi, che ci cerca, che ci ama sempre per primo. Ecco perché " Verrò da voi" ci dice oggi Gesù. “Non vi lascerò orfani...”.
Anzi, non solo viene Lui a noi, ma ci assicura che saranno addirittura... in due a venire, per non lasciarci orfani. Con lui ci sarà "un altro Paràclito": così infatti lo chiama. "Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito, perché rimanga con voi per sempre". Molti tra voi sanno che il Paràclito è lo Spirito santo. Ma perché Gesù lo chiama Paràclito? Quanto più sono importanti le cose, tanto più è necessario adoperare parole esatte per dirle, magari anche parole nuove, o addirittura straniere, salvo poi a spiegarle ovviamente .
Ebbene, Paraclito (parola greca) indica una persona forte, competente, fedele, che sta accanto a chi è meno forte, inesperto e debole. E’ una presenza che insegna, consiglia, dà vigore, provoca se necessario, e incoraggia (non nel senso banale di dire "fatti coraggio", ma) nel senso che il coraggio te lo dà davvero. E tutto questo in modo discreto per cui la gente non lo vede: ne vede gli effetti, vede magari un uomo o una donna che affrontano con coraggio certe dure prove della vita, oppure costantemente impegnati in forme di servizio che farebbero perdere la pazienza anche a Giobbe, e la gente pensa: “Ma che brave persone! ma dove la trovano la forza, il coraggio? magari fossero tutti così!”. Ecco chi è il Paraclito, o meglio, ecco gli effetti della sua compagnia, del suo stare con noi. A questo punto non occorre neanche dire quanto è importante essere accompagnati, anzi, abitati e animati da lui!
Gesù però dice più esattamente: "Il Padre vi darà un altro Paràclito". Ma se quest’altro è lo Spirito santo, chi è allora il primo? Il primo è Gesù stesso. Egli è stato mandato nel mondo per esssere il Dio con noi: è Gesù il primo Paràclito. Noi a volte pensiamo quant’erano fortunati quelli che hanno conosciuto personalmente Gesù Cristo, i suoi apostoli, i suoi primi discepoli! Loro potevano sentire il vangelo dalle sue stesse labbra, vedere i suoi miracoli, anzi, lo potevano toccare... Noi invece, solo credere possiamo, senza veder niente. Eppure qualche domenica fa', Gesù ci ha detto che sono più fortunati quelli che credono senza avere visto… Come mai più fortunati? Perché se ci ostiniamo a voler vedere e toccare, non potremo mai credere veramente, non sarebbe più fede la nostra! Ma senza la fede, quale esperienza potremo avere di Dio? Nessuna. Ecco perché Gesù si sottrae al nostro vedere e toccare… ecco perché il Padre ci darà un altro Paràclito, che rimarrà con noi per sempre, a sostegno della nostra fede. Al che, a noi smaliziati quali siamo, vien da dire: ma sarà vero? La realtà che ci troviamo davanti - la realtà della nostra vita, la fatica che si fa a star sempre dalla parte del bene, a perseverare nella disponibilità, nella pazienza, nella speranza - oltre alla realtà attorno a noi (cioè questo mondo, che non sembra affatto interessato allo Spirito Santo): tutto questo potrebbe farci sospettare che anche Gesù dica solo tante belle parole... Sarà davvero così?
Sempre nel vangelo di oggi afferma che questo Paràclito (cioè lo Spirito santo) il mondo non lo può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Eh, questo è importante da sapere. Questo mondo che ha le sue logiche, i suoi ideali, i suoi interessi, che - in buona parte - non vanno d'accordo con quelli di Dio, cioè del vangelo, come potrebbe ricevere lo Spirito Paràclito? Non può affatto. E’ come un recipiente già pieno (di sé stesso), non lo si può riempire anche di qualcos'altro… Per cui, non illudiamoci, fratelli: se il nostro maestro è il mondo (con i suoi ideali e valori di cartapesta, del tutto contrari al Vangelo), noi non possiamo avere nessuna esperienza dello Spirito santo: nessuna consolazione da lui, nessun insegnamento, nessuna risorsa di coraggio né di luce o forza per camminare da cristiani con dignità.
E allora cosa si deve fare? Ecco: "Se mi amate, osserverete i miei comandamenti... - ci dice oggi Gesù - perché solo chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, mi ama: e allora sì, io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito". Ecco la condizione, fratelli: stare davvero dalla parte di Gesù, condividere la sua logica, il suo pensiero, il suo modo di ragionare e valutare; far nostra la sua mentalità, insomma.
"Osservare i suoi comandamenti" non significa metterli subito in pratica, sempre e in ogni occasione (neanche i santi erano capaci di far questo!); osservarli è portarli nel cuore, con la ferma convinzione che sono degni di fiducia, anche se il praticarli a volte costa fatica...
E allora torniamo all’esempio di Domenica Targa che in questo luogo si sarebbe sentita chiedere dalla Madonna: “Cosa stai facendo?” – “Prego il Rosario – rispose – e penso alla Passione di Gesù”. Ecco cosa vuol dire “osservare”: portare nel cuore, ricordare, tornare spesso col pensiero lì … a quei fatti del Vangelo, a quelle parole del Signore.
E dal cuore, un po' alla volta passeranno alla vita, alla pratica, alla condotta. Perché c'è qualcuno accanto a noi che in modo instancabile si dà da fare ad animarci, a sostenerci, a spronarci: il Paràclito appunto.
Quello Spirito forte e buono che sosteneva Gesù, ora può davvero accompagnare ciascuno di noi, se lo sapremo apprezzare e accogliere.
5° Domenica di Pasqua - 7 Maggio
Le Letture Bibliche: Atti degli Apostoli 6,1-7; 1Pietro 2,4-9; Giovanni 14,1-12
Soddisfazioni... e preoccupazioni. Gioie... e dolori. Ogni famiglia che si rispetti conosce questi ritornelli, questa alternanza di giorni di sole e giorni di nuvolo. Per certe famiglie poi quelli di nuvolo e di pioggia sono più di quelli luminosi. Una cosa comunque è certa: quanto più una famiglia è numerosa, magari allargata da tutto un parentado, tanto più abbondano soddisfazioni e preoccupazioni, perché quello che è di uno diventa di tutti...
Anche per la Chiesa è così, o meglio dovrebbe essere così.
La Chiesa l'ha voluta Gesù Cristo, e l'ha voluta di uomini e donne, e per tutti gli uomini e le donne di questo mondo, di tutti i tempi. E' ovvio aspettarsi che degli uomini e delle donne la Chiesa abbia i pregi e i difetti. "...I cristiani di lingua greca si lamentarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell'assistenza quotidiana, venivano trascurati i loro poveri...": cominciava così la prima lettura che abbiamo ascoltato oggi. E
siamo appena agli inizi del Cristianesimo: è una Chiesa appena nata quella di cui si parla. Figuriamoci poi, nel corso della storia che segue (2000 anni e più!)... figuriamoci se non ci saranno occasioni in cui protestare perché, nella Chiesa, le cose non vanno bene come dovrebbero!
Nella Chiesa ci sono molte cose belle, e anche alcune cose brutte che la sfigurano. Proprio come il volto di una donna: la Chiesa è sempre stata dipinta come una donna, una madre: la "madre Chiesa" si è sempre detto. Una madre, anche se invecchia, anche se sul suo volto compaiono delle rughe... i figli non diranno mai che è brutta, anzi, non lo penseranno nemmeno. Saranno quelli fuori dalla famiglia a dirlo, ma non i suoi figli. E noi, fratelli, quando abbiamo qualche critica da fare alla Chiesa, da dove la facciamo: da dentro o da fuori della famiglia?
La Chiesa è la Comunità che formiamo tutti insieme e che ci accoglie in quanto cristiani... Oh, ce ne sarebbero mormorazioni e lamentele da fare! Pensate, ad esempio: noi siamo bravi a ripetere "Io credo in Dio...", ma a volte mi domando: sarà poi vero che gli crediamo? Quando vedo famiglie che vengono a messa la Domenica ... solo se non hanno niente di più divertente da fare, questo sarebbe segno che credono in Dio? E' questo amare il Signore con tutto il cuore e sopra ogni cosa? Oh, ce ne sarebbero mormorazioni e lamentele! E a me capita spesso di pensare: se fossi più coerente io, prete, se fossi un prete santo (come tanti ce ne sono stati e ce ne sono) invece che un prete mediocre ... forse ci sarebbero meno lamentele da fare sulla Chiesa. Sì, perché sono le incoerenze e i peccati di noi tutti che sfigurano il suo volto.
Eppure - ciononostante - oggi Gesù Cristo ci dice: "Non sia turbato il vostro cuore: abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. I vostri limiti (e sono tanti), le vostre incoerenze (e sono tante anche quelle), non vi impediranno di arrivare nella casa del Padre mio, dove ci sono molti posti...per i santi, e per quelli che tra voi sono semplicemente mediocri o addirittura lazzeroni, ma che diventeranno comunque santi... Io vado a prepararvi un posto!".
Fate solo attenzione a un particolare: "Io sono la via, la verità e la vita - aggiunge. Nessuno arriva a Dio, al Padre, se non per mezzo di me".
Che Dio, nella sua infinita creatività e misericordia abbia modo di salvare anche ebrei, e musulmani, e buddisti, e quant'altri...è fuori discussione, ma per noi - discepoli di Cristo e perciò cristiani - vale quello che ci dice con tutta la sua autorevolezza divina: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno arriva a Dio, al Padre, se non per mezzo di me".
Questa dichiarazione così solenne oggi ci provoca a ritrovare la nostra tipica identità di cristiani; a viverla, senza fanatismi o integrismi, ma anche senza cedimenti. Perché, se il confronto con altre religioni, con altre visuali della vita diverse dalla nostra, ci portasse a concludere che tutte le religioni sono buone, o che una visuale vale l'altra, sarebbe segno che la nostra fede, sì, l'abbiamo ricevuta in dono, ma non l'abbiamo mai veramente apprezzata per quello che vale.
Ma allora che motivo aveva san Pietro di rivolgersi ai cristiani dell'Asia Minore (e ora a noi!): "Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami a tutti i popoli le sue opere meravigliose!"? E sono parole di Dio queste. Anche a noi le dice oggi il Signore, come per rinfrescarci la memoria su chi siamo veramente noi cristiani.
Apprezzare poco la fede ha delle brutte conseguenze anche sul piano della fraternità. Sappiamo che anche nel mondo d’oggi non sono pochi i cristiani che subiscono persecuzioni e atrocità a causa della loro fede. "E noi cosa c'entriamo?" si dirà. Beh, non sembra che noi europei ci preoccupiamo molto di situazioni come queste. Questa Europa dalle vere o presunte radici cristiane, dalle molte (troppe) chiese e cattedrali meravigliose - sta facendo qualcosa? Non pare. Bella fraternità questa, non c'è che dire!
Ma probabilmente è conseguenza di qualcos'altro: quando non si sa più praticare la solidarietà, vuol dire che di fraternità non ce n'è proprio. Ma se non c'è fraternità è segno che è venuto meno il motivo della fraternità, il fondamento. Sì perché senza un fondamento solido, niente sta in piedi, neanche la fraternità.
Ecco, fratelli, anche questo sporca, deturpa il volto della Chiesa.
E tuttavia proprio a questa Chiesa che siamo anche noi, oggi Gesù dice: "Non sia turbato il vostro cuore... Voi siete stirpe eletta, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato tra tutti i popoli a caro prezzo...".
Questa è la vostra identità. E per tenerla viva ricordatevi che io sono per voi la via, la verità, la vita. Ecco cosa ci dice oggi il Signore.
Fratelli, camminiamo su questa via, che è il vangelo; non perdiamo di vista ciò che ci insegna (la verità: che ci permette di distinguere ciò che è davvero importante da ciò che vale poco o niente); non allontaniamoci da lui, se è vero che abbiamo scelto di seguirlo: Gesù è la fonte della nostra vita.
Senza di lui la nostra esistenza diventerebbe come la terra quando manca l’acqua: arida, secca, inaridita dal vento. E invece, grazie all’Eucaristia, la nostra vita è una terra che si ridesta ogni Domenica, come a primavera…
Perciò scambiamoci anche oggi il festoso saluto Pasquale: Cristo è risorto! E' davvero risorto!
Le Letture Bibliche: Atti degli Apostoli 6,1-7; 1Pietro 2,4-9; Giovanni 14,1-12
Soddisfazioni... e preoccupazioni. Gioie... e dolori. Ogni famiglia che si rispetti conosce questi ritornelli, questa alternanza di giorni di sole e giorni di nuvolo. Per certe famiglie poi quelli di nuvolo e di pioggia sono più di quelli luminosi. Una cosa comunque è certa: quanto più una famiglia è numerosa, magari allargata da tutto un parentado, tanto più abbondano soddisfazioni e preoccupazioni, perché quello che è di uno diventa di tutti...
Anche per la Chiesa è così, o meglio dovrebbe essere così.
La Chiesa l'ha voluta Gesù Cristo, e l'ha voluta di uomini e donne, e per tutti gli uomini e le donne di questo mondo, di tutti i tempi. E' ovvio aspettarsi che degli uomini e delle donne la Chiesa abbia i pregi e i difetti. "...I cristiani di lingua greca si lamentarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell'assistenza quotidiana, venivano trascurati i loro poveri...": cominciava così la prima lettura che abbiamo ascoltato oggi. E
siamo appena agli inizi del Cristianesimo: è una Chiesa appena nata quella di cui si parla. Figuriamoci poi, nel corso della storia che segue (2000 anni e più!)... figuriamoci se non ci saranno occasioni in cui protestare perché, nella Chiesa, le cose non vanno bene come dovrebbero!
Nella Chiesa ci sono molte cose belle, e anche alcune cose brutte che la sfigurano. Proprio come il volto di una donna: la Chiesa è sempre stata dipinta come una donna, una madre: la "madre Chiesa" si è sempre detto. Una madre, anche se invecchia, anche se sul suo volto compaiono delle rughe... i figli non diranno mai che è brutta, anzi, non lo penseranno nemmeno. Saranno quelli fuori dalla famiglia a dirlo, ma non i suoi figli. E noi, fratelli, quando abbiamo qualche critica da fare alla Chiesa, da dove la facciamo: da dentro o da fuori della famiglia?
La Chiesa è la Comunità che formiamo tutti insieme e che ci accoglie in quanto cristiani... Oh, ce ne sarebbero mormorazioni e lamentele da fare! Pensate, ad esempio: noi siamo bravi a ripetere "Io credo in Dio...", ma a volte mi domando: sarà poi vero che gli crediamo? Quando vedo famiglie che vengono a messa la Domenica ... solo se non hanno niente di più divertente da fare, questo sarebbe segno che credono in Dio? E' questo amare il Signore con tutto il cuore e sopra ogni cosa? Oh, ce ne sarebbero mormorazioni e lamentele! E a me capita spesso di pensare: se fossi più coerente io, prete, se fossi un prete santo (come tanti ce ne sono stati e ce ne sono) invece che un prete mediocre ... forse ci sarebbero meno lamentele da fare sulla Chiesa. Sì, perché sono le incoerenze e i peccati di noi tutti che sfigurano il suo volto.
Eppure - ciononostante - oggi Gesù Cristo ci dice: "Non sia turbato il vostro cuore: abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. I vostri limiti (e sono tanti), le vostre incoerenze (e sono tante anche quelle), non vi impediranno di arrivare nella casa del Padre mio, dove ci sono molti posti...per i santi, e per quelli che tra voi sono semplicemente mediocri o addirittura lazzeroni, ma che diventeranno comunque santi... Io vado a prepararvi un posto!".
Fate solo attenzione a un particolare: "Io sono la via, la verità e la vita - aggiunge. Nessuno arriva a Dio, al Padre, se non per mezzo di me".
Che Dio, nella sua infinita creatività e misericordia abbia modo di salvare anche ebrei, e musulmani, e buddisti, e quant'altri...è fuori discussione, ma per noi - discepoli di Cristo e perciò cristiani - vale quello che ci dice con tutta la sua autorevolezza divina: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno arriva a Dio, al Padre, se non per mezzo di me".
Questa dichiarazione così solenne oggi ci provoca a ritrovare la nostra tipica identità di cristiani; a viverla, senza fanatismi o integrismi, ma anche senza cedimenti. Perché, se il confronto con altre religioni, con altre visuali della vita diverse dalla nostra, ci portasse a concludere che tutte le religioni sono buone, o che una visuale vale l'altra, sarebbe segno che la nostra fede, sì, l'abbiamo ricevuta in dono, ma non l'abbiamo mai veramente apprezzata per quello che vale.
Ma allora che motivo aveva san Pietro di rivolgersi ai cristiani dell'Asia Minore (e ora a noi!): "Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami a tutti i popoli le sue opere meravigliose!"? E sono parole di Dio queste. Anche a noi le dice oggi il Signore, come per rinfrescarci la memoria su chi siamo veramente noi cristiani.
Apprezzare poco la fede ha delle brutte conseguenze anche sul piano della fraternità. Sappiamo che anche nel mondo d’oggi non sono pochi i cristiani che subiscono persecuzioni e atrocità a causa della loro fede. "E noi cosa c'entriamo?" si dirà. Beh, non sembra che noi europei ci preoccupiamo molto di situazioni come queste. Questa Europa dalle vere o presunte radici cristiane, dalle molte (troppe) chiese e cattedrali meravigliose - sta facendo qualcosa? Non pare. Bella fraternità questa, non c'è che dire!
Ma probabilmente è conseguenza di qualcos'altro: quando non si sa più praticare la solidarietà, vuol dire che di fraternità non ce n'è proprio. Ma se non c'è fraternità è segno che è venuto meno il motivo della fraternità, il fondamento. Sì perché senza un fondamento solido, niente sta in piedi, neanche la fraternità.
Ecco, fratelli, anche questo sporca, deturpa il volto della Chiesa.
E tuttavia proprio a questa Chiesa che siamo anche noi, oggi Gesù dice: "Non sia turbato il vostro cuore... Voi siete stirpe eletta, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato tra tutti i popoli a caro prezzo...".
Questa è la vostra identità. E per tenerla viva ricordatevi che io sono per voi la via, la verità, la vita. Ecco cosa ci dice oggi il Signore.
Fratelli, camminiamo su questa via, che è il vangelo; non perdiamo di vista ciò che ci insegna (la verità: che ci permette di distinguere ciò che è davvero importante da ciò che vale poco o niente); non allontaniamoci da lui, se è vero che abbiamo scelto di seguirlo: Gesù è la fonte della nostra vita.
Senza di lui la nostra esistenza diventerebbe come la terra quando manca l’acqua: arida, secca, inaridita dal vento. E invece, grazie all’Eucaristia, la nostra vita è una terra che si ridesta ogni Domenica, come a primavera…
Perciò scambiamoci anche oggi il festoso saluto Pasquale: Cristo è risorto! E' davvero risorto!
4° Domenica di Pasqua - 30 Aprile
Le Letture Bibliche: Atti degli Apostoli 2,14a.36-41; 1Pietro 2,20b-25; Giovanni 10,1-10
Chi non passa dalla porta, ma entra in casa per il poggiolo o per la finestra, di solito è un ladro… Topi d’appartamento, li chiamavano una volta. Oggi si è tornati al nome proprio: ladri.
Eh, succede ogni tanto che qualcuno si ritrova l’appartamento a soqquadro… che qualche signora, dalla sera alla mattina, veda sparire i suoi gioielli (pochi o tanti che fossero)… che qualche anziano si ritrovi senza i soldi della pensione che aveva ritirato proprio l’altro giorno…
“Chi non passa dalla porta, ma entra da un’altra parte nel recinto delle pecore è un ladro”… lo dice anche Gesù.
Di solito i ladri nessuno li accoglie con troppa cordialità, anzi… Gli amici, gli ospiti, sì… ma i ladri no: “vengono per rubare, uccidere, distruggere” dice oggi il vangelo.
Eppure, molte volte succede proprio questo: che ai ladri e i briganti si spalanca la porta con grande cordialità, mentre agli amici, alle persone fidate, la porta gliela si sbatte in faccia. Sì, succede. E’ successo per esempio a Gesù. “Venne nella sua casa, ma i suoi non l’hanno accolto” è scritto nel vangelo.
Ma sarà successo soltanto quand’è venuto la prima volta, 2000 anni fa’, o succede ancora?
Ladri e briganti che trovano buona accoglienza ce ne sono sempre stati, ma oggi è una categoria che si è addirittura moltiplicata e specializzata. Non è che per caso possono entrare non solo in casa nostra, ma perfino nella nostra vita? Facciamoci un’altra domanda prima di questa: da chi ci lasciamo guidare noi, di solito? Dalle opinioni del nostro solito giornale, quello che riflette al meglio le nostre idee? Da ciò che sentiamo alla radio o alla televisione?
Oppure ci lasciamo guidare da quello che osserviamo attorno a noi perché, alla fin fine… 'così fan tutti'? Non avete idea di quante persone colte e raffinate ci siano nella società di oggi… che si comportano così perché “così fan tutti”!
Potrebbero essere invece anche i nostri interessi, i nostri vantaggi, a fare da bussola ogni volta che c’è una decisione da prendere…
Certuni poi si sentono sicuramente liberi perché si lasciano guidare – dicono - dalla spontaneità, del tipo «Va' dove ti porta il cuore»… (come se il loro cuore fosse una guida sicura e immune da tutti i condizionamenti possibili…)
Eh, ce ne sono ladri e briganti che tentano di entrare nella nostra vita… e i più insospettabili e pericolosi sappiamo tutti che sono quelli in giacca e cravatta (gli altri… sono, in fondo, ladri di galline).
Comunque: “il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere: io sono venuto perché abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza”. E’ Gesù a parlare così, colui che chiamiamo il nostro buon pastore. Ma – fratelli – è poi davvero lui il nostro buon Pastore?
Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla… ripetiamo e cantiamo: ma, sono soltanto parole, o è vero che solo da lui ci lasciamo guidare, ogni volta che dobbiamo decidere comportamenti giusti, atteggiamenti adeguati, scelte sagge? Proprio da lui ci facciamo guidare?
Sapete poi qual è il segreto perché in casa non entrino mai ladri a rubare, uccidere e distruggere? Che in casa ci sia un padrone più forte dei ladri. Un padrone che entra ed esce dalla porta, non un ladro che passa dalla finestra…
“Chi entra dalla porta è il pastore delle pecore. Egli le chiama, ciascuna per nome, le conduce fuori… e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce…”. Ecco, fratelli: si può dire con convinzione “il Signore è il mio pastore”, quando davvero si ascolta la voce del Signore Gesù, e si apprezza la sua parola più di tutte le altre parole che si sentono. Insomma, occorre avere una relazione preferenziale, forte e unica, con il Signore Gesù: solo allora si è al sicuro da ladri e briganti.
Oggi nel mondo cristiano si celebra la Giornata Mondiale delle Vocazioni.
Vocazione: eh, sì. Vivere è vocazione, è rispondere a una chiamata. Lo diciamo spesso noi cristiani. Ma forse non ci crediamo poi tanto, alla prova dei fatti… Alla prova dei fatti magari ci ritroviamo a pensare che siamo al mondo…per caso, e allora tanto vale sfruttare la situazione fin che dura…
Eh no, fratelli: se ci sta a cuore essere cristiani, sia chiaro: è un’altra la mentalità che ci guida nella vita. Sono al mondo perché Dio mi ha chiamato a vivere – e mi ha chiamato a vivere perché io faccia qualcosa di bello insieme a lui…”Io sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza – ci dice oggi il buon Pastore. Il ladro viene solo per rubare, uccidere e distruggere…”.
C’è solo un tipo di appartamento dove i ladri non possono portar via né gioielli, né soldi… sapete qual è? Quello in cui gioielli e soldi non ce ne sono. Eh, lì non ne possono portar via perché non ne trovano.
Cosa intendo dire con questo? Ecco cosa intendo, rispondo con un’altra domanda: perché oggi certe vite di giovani, di adulti, risultano irrimediabilmente rovinate?
Perché sono state costruite su materiale fragile, su ideali da bigiotteria… Perché nessuno ha loro detto: tu hai una vocazione, tu non sei al mondo per caso, tu non puoi buttarti via… Ed ecco che – in quelle vite - i ladri e i briganti han fatto man bassa.
Sì, ma perché questo? Chi semina vento, raccoglie tempesta… Se noi cristiani adulti non siamo affatto convinti che è una vocazione la nostra vita, come volete che ci siano ragazzi e giovani che lo pensano, e magari trovano il coraggio di mettere la loro esistenza a disposizione di Dio e del prossimo? Ci vuole il terreno adatto per seminare, fratelli, e il terreno siamo noi tutti.
Finiamola allora di dare fiducia a ladri e briganti…
Cominciamo ad aprire la porta della nostra vita a Cristo, buon Pastore. Ascoltiamolo quando ci parla nel suo Vangelo: non con freddezza, ma con tutto il cuore, e seguiamolo, con fiducia incondizionata.
Scambiamoci anche oggi pertanto il saluto Pasquale:
Cristo è risorto!
3° Domenica di Pasqua - 23 Aprile
Le Letture Bibliche: Atti degli Apostoli 2,14.22-23; 1Pietro 1,17-21; Luce 24,13-35
Pasqua è passata da 15 giorni. Le vacanze sono già un ricordo lontano; anche delle uova di cioccolato e delle colombe son rimasti solo gli avanzi in qualche supermercato. A Pasqua eravamo tutti presi da quell’ebbrezza che porta a fare auguri, baci e abbracci a destra e sinistra… Ed era giusto: “Gesù è risorto”, se non era una bella notizia questa, quali sono le belle notizie? E questa notizia si combinava col suono delle campane, correva sulle ali degli auguri, viaggiava con quelli che a Pasqua giravano di qua o di là. Ma poi – come sempre - tutto rientra nella normalità: scuola, lavoro, impegni di tutti i giorni, con qualche problema che non manca mai (e che, siccome c’era già prima di Pasqua, dopo te lo ritrovi di nuovo). E allora capita di domandarsi: ma …è proprio vero che è risorto Gesù Cristo? … ma se è tutto come prima? E poi, ammesso che sia davvero risorto, dov’è finito?
Fratelli, la prima certezza che non dobbiamo lasciarci portar via da nessuno è questa: Gesù è vivo. Io lo ripeto spesso, e insisto, perché so che troppi pensano il contrario, che cioè Gesù Cristo è scomparso da un pezzo. Un personaggio del passato, come lo sono stati Giulio Cesare, Carlo Magno, Napoleone… e tanti altri. Vissuti e poi scomparsi per sempre.
Oppure si pensa che Gesù Cristo è un mito. Cioè sì, continuiamo a parlarne noi preti, i vescovi, il papa, perché è stato un personaggio importante e perché quello che diceva ha segnato il corso della storia… Perciò facciamo come se fosse vivo, ma in realtà sappiamo bene che lui non c’è più da quasi 2000 anni. Un mito, insomma. Sono in tanti a pensarla così, a strombazzarlo in tutti i toni… Filosofi, saggisti, conduttori di programmi televisivi; a volte ci si mette anche qualche teologo che ne sa una pagina più del vangelo: la risurrezione di Gesù sarebbe un simbolo, soltanto un simbolo… Cosa vorrà dire poi?
Ebbene, no: Gesù è VIVO con tutta la sua persona perché è davvero risorto. Se non fosse vero che è risorto, noi cristiani – come dice san Paolo – saremmo i più miserabili degli uomini… Saremmo degli ingenui, o degli illusi.
E invece no: siamo i discepoli del Risorto, che è vivo per sempre. E se qualcuno trova impossibile crederlo, questa è la dimostrazione che si fida più dei suoi ragionamenti che di Dio. I ragionamenti li dobbiamo pur fare: Dio creatore ci ha fornito apposta di un cervello, ma quando si pretende di spiegare tutto, anche ciò che è aldilà della nostra portata, allora si cade nella presunzione, e la presunzione è la maschera dell’ignoranza. Allargare certi orizzonti davanti a noi, è competenza di Dio, non nostra. Sì, è vivo Gesù, più vivo di noi: la sua vita non è più un’esistenza solo biologica, come lo è per noi.
Sì, però… le perplessità non sono finite: se è vivo, dov’è? Se lo domandavano anche quei due che proprio il giorno di Pasqua “stavano camminando verso un villaggio di nome Emmaus…distante circa undici chilometri da Gerusalemme”… “Di cosa state parlando?” chiese quel viandante che prese a camminare con loro. “Di Gesù - risposero: alcune donne hanno detto che non è più nel sepolcro… e noi ci stiamo chiedendo: dove sarà finito?!”.
Non si accorsero che quel viandante era Gesù in persona. Perché, da risorto, Gesù è sì quello di prima, ma è anche diverso da prima… Adesso, se si cammina per strada, lui può assumere le sembianze di un viandante come tanti altri… Se si è in campagna, l’aspetto di un contadino (così lo vide Maria Maddalena, e non lo riconobbe subito). Sulle rive del Lago di Galilea, dove tanti fanno il mestiere di pescatori, Gesù assomiglia a un pescatore tra gli altri (così lo incontrarono gli apostoli, una mattina mentre rientravano dopo una nottata buttata via senza aver preso niente…).
Ma perché Gesù – vivo - cambia aspetto a seconda delle situazioni? Perché in ogni situazione dove c’è qualcuno che ha un pizzico di fiducia in lui, qualcuno che gli vuole un po’ di bene, lui ci tiene a esserci: ma senza far chiasso, anzi, così…in incognito, con discrezione: solo per fare compagnia. Gesù è giovane che va a scuola là dove ci sono ragazzi che gli vogliono un po’ di bene e vanno a scuola … E’ operaio o impiegato, là dove ci sono impiegati e operai che credono in lui e vanno a lavorare…Con chi è malato e ha fede in Gesù, Gesù si fa anche lui malato… oppure medico: pur di essere lì e fare compagnia. Insomma, basta che le persone gli vogliano un po’ di bene, gli diano un po’ di fiducia, e Gesù si fa loro compagno. Sempre. Non c’è più nessuna situazione dove lui non possa essere presente. Ma allora perché non ce n’accorgiamo? Perché non percepiamo subito che lui è accanto a noi tutti i giorni? Forse perché noi crediamo sì in Gesù, ma con una fede un po’… tiepida, fiacca. Ci vuole una fede più decisa, fratelli, più viva. Credere sì, ma con tutta l’anima; amare sì, ma con passione… E’ allora che ci si accorge di Gesù e si sente di non essere più soli.
Io penso che prima o poi arriveremo a una Fede così. Però, in attesa di arrivarci, cosa possiamo fare? Nonostante le nostre perplessità e i nostri dubbi, Gesù stesso ci dà l’occasione di incontrarlo, anzi, di toccarlo. E come? Torniamo per un attimo alla bella storia del vangelo che abbiamo ascoltato oggi. Quando quei due discepoli arrivarono a Emmaus dov’erano diretti, gli dissero: “Resta con noi… è già sera ormai!”. E lui accettò. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora sì che si aprirono i loro occhi, e lo riconobbero… ma lui sparì dalla loro vista”. Non è quello che fa anche con noi Gesù, ogni volta che ci raduniamo la Dimenica per l’Eucaristia? Non è lui che spezza il pane e ce lo dà? Non è il suo corpo quel pane che mangiamo?
Quei due si alzarono, rifecero di nuovo quegli undici chilometri… di corsa, con il cuore pieno di gioia, per andare a dire agli altri che Gesù è vivo. Noi non abbiamo da fare molti chilometri, ma dopo ogni Eucaristia anche noi torniamo alla nostra vita. Non meravigliatevi se poi nella vita (in casa, a scuola, sul lavoro…) non vedrete Gesù come vedete qualsiasi altra persona. Non stupitevi se tanti pensano che sia morto, scomparso, o che sia soltanto un mito… Lasciate che lo pensino. Voi sapete che – se noi gli vogliamo bene – lui è con noi sempre e dappertutto.
Tuttavia, fratelli, se vogliamo esserne proprio sicuri, allora non perdiamo l’occasione di trovarci a mensa con lui ogni Domenica: all’Eucaristia è lui che parla nel vangelo che ascoltiamo, è lui che spezza il pane e ce lo dà. Quelle parole sono le sue. E’ lui stesso quel Pane. E dopo ogni Eucaristia possiamo tornare alla vita …non come viandanti stanchi o rassegnati, ma volando… perché abbiamo ogni volta la certezza, la prova, che Lui è davvero con noi.
Ravviviamo questa certezza con il consueto saluto Pasquale: Cristo è risorto! - E' davvero risorto!
Le Letture Bibliche: Atti degli Apostoli 2,14.22-23; 1Pietro 1,17-21; Luce 24,13-35
Pasqua è passata da 15 giorni. Le vacanze sono già un ricordo lontano; anche delle uova di cioccolato e delle colombe son rimasti solo gli avanzi in qualche supermercato. A Pasqua eravamo tutti presi da quell’ebbrezza che porta a fare auguri, baci e abbracci a destra e sinistra… Ed era giusto: “Gesù è risorto”, se non era una bella notizia questa, quali sono le belle notizie? E questa notizia si combinava col suono delle campane, correva sulle ali degli auguri, viaggiava con quelli che a Pasqua giravano di qua o di là. Ma poi – come sempre - tutto rientra nella normalità: scuola, lavoro, impegni di tutti i giorni, con qualche problema che non manca mai (e che, siccome c’era già prima di Pasqua, dopo te lo ritrovi di nuovo). E allora capita di domandarsi: ma …è proprio vero che è risorto Gesù Cristo? … ma se è tutto come prima? E poi, ammesso che sia davvero risorto, dov’è finito?
Fratelli, la prima certezza che non dobbiamo lasciarci portar via da nessuno è questa: Gesù è vivo. Io lo ripeto spesso, e insisto, perché so che troppi pensano il contrario, che cioè Gesù Cristo è scomparso da un pezzo. Un personaggio del passato, come lo sono stati Giulio Cesare, Carlo Magno, Napoleone… e tanti altri. Vissuti e poi scomparsi per sempre.
Oppure si pensa che Gesù Cristo è un mito. Cioè sì, continuiamo a parlarne noi preti, i vescovi, il papa, perché è stato un personaggio importante e perché quello che diceva ha segnato il corso della storia… Perciò facciamo come se fosse vivo, ma in realtà sappiamo bene che lui non c’è più da quasi 2000 anni. Un mito, insomma. Sono in tanti a pensarla così, a strombazzarlo in tutti i toni… Filosofi, saggisti, conduttori di programmi televisivi; a volte ci si mette anche qualche teologo che ne sa una pagina più del vangelo: la risurrezione di Gesù sarebbe un simbolo, soltanto un simbolo… Cosa vorrà dire poi?
Ebbene, no: Gesù è VIVO con tutta la sua persona perché è davvero risorto. Se non fosse vero che è risorto, noi cristiani – come dice san Paolo – saremmo i più miserabili degli uomini… Saremmo degli ingenui, o degli illusi.
E invece no: siamo i discepoli del Risorto, che è vivo per sempre. E se qualcuno trova impossibile crederlo, questa è la dimostrazione che si fida più dei suoi ragionamenti che di Dio. I ragionamenti li dobbiamo pur fare: Dio creatore ci ha fornito apposta di un cervello, ma quando si pretende di spiegare tutto, anche ciò che è aldilà della nostra portata, allora si cade nella presunzione, e la presunzione è la maschera dell’ignoranza. Allargare certi orizzonti davanti a noi, è competenza di Dio, non nostra. Sì, è vivo Gesù, più vivo di noi: la sua vita non è più un’esistenza solo biologica, come lo è per noi.
Sì, però… le perplessità non sono finite: se è vivo, dov’è? Se lo domandavano anche quei due che proprio il giorno di Pasqua “stavano camminando verso un villaggio di nome Emmaus…distante circa undici chilometri da Gerusalemme”… “Di cosa state parlando?” chiese quel viandante che prese a camminare con loro. “Di Gesù - risposero: alcune donne hanno detto che non è più nel sepolcro… e noi ci stiamo chiedendo: dove sarà finito?!”.
Non si accorsero che quel viandante era Gesù in persona. Perché, da risorto, Gesù è sì quello di prima, ma è anche diverso da prima… Adesso, se si cammina per strada, lui può assumere le sembianze di un viandante come tanti altri… Se si è in campagna, l’aspetto di un contadino (così lo vide Maria Maddalena, e non lo riconobbe subito). Sulle rive del Lago di Galilea, dove tanti fanno il mestiere di pescatori, Gesù assomiglia a un pescatore tra gli altri (così lo incontrarono gli apostoli, una mattina mentre rientravano dopo una nottata buttata via senza aver preso niente…).
Ma perché Gesù – vivo - cambia aspetto a seconda delle situazioni? Perché in ogni situazione dove c’è qualcuno che ha un pizzico di fiducia in lui, qualcuno che gli vuole un po’ di bene, lui ci tiene a esserci: ma senza far chiasso, anzi, così…in incognito, con discrezione: solo per fare compagnia. Gesù è giovane che va a scuola là dove ci sono ragazzi che gli vogliono un po’ di bene e vanno a scuola … E’ operaio o impiegato, là dove ci sono impiegati e operai che credono in lui e vanno a lavorare…Con chi è malato e ha fede in Gesù, Gesù si fa anche lui malato… oppure medico: pur di essere lì e fare compagnia. Insomma, basta che le persone gli vogliano un po’ di bene, gli diano un po’ di fiducia, e Gesù si fa loro compagno. Sempre. Non c’è più nessuna situazione dove lui non possa essere presente. Ma allora perché non ce n’accorgiamo? Perché non percepiamo subito che lui è accanto a noi tutti i giorni? Forse perché noi crediamo sì in Gesù, ma con una fede un po’… tiepida, fiacca. Ci vuole una fede più decisa, fratelli, più viva. Credere sì, ma con tutta l’anima; amare sì, ma con passione… E’ allora che ci si accorge di Gesù e si sente di non essere più soli.
Io penso che prima o poi arriveremo a una Fede così. Però, in attesa di arrivarci, cosa possiamo fare? Nonostante le nostre perplessità e i nostri dubbi, Gesù stesso ci dà l’occasione di incontrarlo, anzi, di toccarlo. E come? Torniamo per un attimo alla bella storia del vangelo che abbiamo ascoltato oggi. Quando quei due discepoli arrivarono a Emmaus dov’erano diretti, gli dissero: “Resta con noi… è già sera ormai!”. E lui accettò. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora sì che si aprirono i loro occhi, e lo riconobbero… ma lui sparì dalla loro vista”. Non è quello che fa anche con noi Gesù, ogni volta che ci raduniamo la Dimenica per l’Eucaristia? Non è lui che spezza il pane e ce lo dà? Non è il suo corpo quel pane che mangiamo?
Quei due si alzarono, rifecero di nuovo quegli undici chilometri… di corsa, con il cuore pieno di gioia, per andare a dire agli altri che Gesù è vivo. Noi non abbiamo da fare molti chilometri, ma dopo ogni Eucaristia anche noi torniamo alla nostra vita. Non meravigliatevi se poi nella vita (in casa, a scuola, sul lavoro…) non vedrete Gesù come vedete qualsiasi altra persona. Non stupitevi se tanti pensano che sia morto, scomparso, o che sia soltanto un mito… Lasciate che lo pensino. Voi sapete che – se noi gli vogliamo bene – lui è con noi sempre e dappertutto.
Tuttavia, fratelli, se vogliamo esserne proprio sicuri, allora non perdiamo l’occasione di trovarci a mensa con lui ogni Domenica: all’Eucaristia è lui che parla nel vangelo che ascoltiamo, è lui che spezza il pane e ce lo dà. Quelle parole sono le sue. E’ lui stesso quel Pane. E dopo ogni Eucaristia possiamo tornare alla vita …non come viandanti stanchi o rassegnati, ma volando… perché abbiamo ogni volta la certezza, la prova, che Lui è davvero con noi.
Ravviviamo questa certezza con il consueto saluto Pasquale: Cristo è risorto! - E' davvero risorto!
2° Domenica di Pasqua - 16 Aprile
Le Letture Bibliche: Atti degli Apostoli 2,42-47; 1Pietro 1,3-9; Giovanni 20,19-31
Ottava di Pasqua vuol dire che oggi è ancora Pasqua, proprio quella che abbiamo iniziato a celebrare 8 giorni fa’. Probabilmente noi abbiamo finito da una settimana di fare auguri, perché altrimenti sarebbe come far girare sempre lo stesso disco…ma ciò non toglie che, da sempre, questa Festa dura otto giorni; uno solo non basta a contenerla tutta. Quindi: anche oggi è Pasqua. Voglio raccontarvi una storia (so di averla già raccontata, ma siccome oggi si dimentica tutto e in fretta, è come se ve la raccontassi la prima volta). Molti secoli fa’ (quando era rischioso radunarsi come cristiani perché si poteva essere perseguitati o anche uccisi), in una città del Nord Africa che si chiamava Abitène, 49 cristiani furono arrestati e processati perché avevano osato riunirsi di Domenica in casa di uno di loro per celebrare la Messa, l’Eucaristia. Al giudice che chiedeva loro perché avevano disobbedito alla legge che vietava quei raduni, risposero in latino (allora si parla latino): “Sine Dominico vivere non possumus”. Cosa voleva dire? Dominus voleva dire Signore e Dominico giorno del Signore. “Senza il Signore e senza il giorno del Signore noi non possiamo vivere”: ecco la loro risposta. Naturalmente furono uccisi tutti: vecchi, giovani, anche ragazzi e bambini. Ma…e perché non si può vivere senza il Signore e senza celebrare il giorno del Signore (cioè la Domenica)? Dove sta scritto? Nel vangelo forse? L’ha forse detto Gesù?
Sì, sta scritto nel Vangelo, proprio quello che oggi abbiamo ascoltato. L’iniziativa di incontrarsi con i suoi discepoli – di Domenica – l’ha presa proprio Lui, Gesù. “Il primo giorno dopo il Sabato, venne Gesù, e si fermò in mezzo a loro”. Mancava Tommaso, come abbiamo sentito; sarà andato per i fatti suoi, chissà dove… Però non basta fare una cosa una volta perché diventi un’abitudine. Infatti, poi il vangelo continua, dicendo che “otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo insieme, c’era anche Tommaso, e venne Gesù”. Se la prima volta era il giorno dopo il sabato, otto giorno dopo è ancora il “giorno dopo il Sabato”: la Domenica, appunto. (Magari lo sapete già, ma non fa male richiamarlo: anche il nome Domenica ha a che vedere con il Signor, che viene proprio in questo giorno. Domenica, infatti, viene da Dominus, che in latino vuol dire “Signore”: è il giorno in cui viene il Signore, e perciò: giorno del Signore). Insomma, è stato Gesù stesso a prendere l’iniziativa di venire là dove i cristiani si radunano.
Noi lo chiamiamo “messa” questo raduno, ma è un po’ povera e insulsa questa parola... Molti, quando sentono la parola “messa”, pensano a una funzione dove c’è un tale (un prete di solito) che indossa vestiti un po’ strani e fa gesti altrettanto strani…e pensano che tutto si riduce a quello. Eh no, c’è ben dell’altro dietro! C’è nientemeno che Gesù, risorto e vivo, che viene lì, tra i suoi: il prete che dice messa gli presta solo la voce, ma è Gesù – non il prete – il vero centro di quel raduno. Anche oggi, qui, è così: è Gesù il centro vivo in mezzo a noi.
“Senza Domenica noi non possiamo vivere” dicevano al giudice quei cristiani di Abitene tanti secoli fa’. Ma è ancora vero? Proviamo a vedere se è vero che “senza Domenica non possiamo vivere”.
Che cosa ci guadagniamo a incontrare Gesù all’Eucaristia di ogni Domenica? Non è molto bella questa domanda: perché bisogna sempre fare tutto per guadagnarci qualcosa? Forse che un amico, una persona cara, lo andiamo a trovare per guadagnarci qualcosa? Povera amicizia, allora, povero affetto! Ma, pazienza; visto che l’ansia di guadagnare sempre qualcosa impregna tutta la cultura di oggi, adoperiamolo per una volta anche qui oggi.
Beh, Gesù – il giorno dopo il Sabato – non viene mai a mani vuote; avete sentito il Vangelo di oggi?
Appena arriva tra i suoi li saluta dicendo: “Pace a voi!”. E quando è il Signore a dirlo, guardate che la pace la dona sul serio ai suoi…
Quella pace è la possibilità di andar avanti senza lasciarsi prendere dalla paura, è poter tenere sotto controllo situazioni e problemi che a volte sono più grandi di noi, quella pace è “quiete dopo le tempeste”: durante la settimana ci possono essere momenti di preoccupazione, di agitazione, ma la Domenica, quando veniamo all’Eucaristia e vi partecipiamo vivamente, qui troviamo quella pace.
E con la pace, il dono dello Spirito Santo. “Ricevete lo Spirito Santo” dice Gesù risorto allorché si presenta tra i suoi, e lo dona davvero lo Spirito Santo, con un gesto strano se volete, ma che dice tutta la ricchezza di quel dono: “alitò su di loro”, dice il vangelo, cioè soffiò… Perché soffiò su di loro? Cosa sta a dire questo gesto?
Il soffio ha a che vedere con il respiro. Solo chi ha il respiro buono può soffiare. Colui che stenta a respirare, si dice che ha il fiato corto… Beh, a tutti noi capita a volte di avere il fiato corto di fronte alla vita e alle situazioni che ci riserva: fiato corto vuol dire abbattersi, perdersi di coraggio di fronte alle difficoltà, per esempio. Fiato corto è andar dietro a interessi solo terra terra; fiato corto è affannarsi per cose che sono sì reali, ma non assolutamente importanti; fiato corto è trascurare quello che davvero conta e vale, e preoccuparsi per ciò che conta poco, o vale niente. Quante volte capita di avere il fiato corto!
Chi potrà dire di non aver bisogno di Gesù, di quel soffio o respiro lungo che il Signore viene a portarci ogni Domenica?
Sì, ma non lo vediamo mai Gesù. Perché dobbiamo solo credere che è tra noi all’Eucaristia, senza mai poterlo vedere?
Era anche la pretesa di Tommaso questa. E la risposta è Gesù stesso che ce la dà: “Tu hai creduto perché hai veduto… Beati quelli che anche senza vedermi crederanno!”.
Ma è possibile andare avanti così, cioè credere senza mai vedere?
Sì, è possibile. Quei cristiani dei quali parlavo all’inizio, arrestati e condannati a morte perché stavano celebrando la Messa, non lo vedevano mica il Signore. Eppure dissero: “Senza il Signore, senza celebrare il giorno del Signore, noi non possiamo vivere”.
Non lo vediamo il Signore Gesù su questa terra; nessuno lo vede. Perché beati son quelli che credono, senza averlo visto.
E che siano beati, lo dice la loro vita. Beati vuol dire fortunati, perché – qualsiasi cosa accada - hanno sempre la pace di Gesù nel cuore, e affrontano la vita di ogni giorno non col fiato corto, ma con grande respiro.
Che anche noi, fratelli, possiamo essere cristiani così.
Le Letture Bibliche: Atti degli Apostoli 2,42-47; 1Pietro 1,3-9; Giovanni 20,19-31
Ottava di Pasqua vuol dire che oggi è ancora Pasqua, proprio quella che abbiamo iniziato a celebrare 8 giorni fa’. Probabilmente noi abbiamo finito da una settimana di fare auguri, perché altrimenti sarebbe come far girare sempre lo stesso disco…ma ciò non toglie che, da sempre, questa Festa dura otto giorni; uno solo non basta a contenerla tutta. Quindi: anche oggi è Pasqua. Voglio raccontarvi una storia (so di averla già raccontata, ma siccome oggi si dimentica tutto e in fretta, è come se ve la raccontassi la prima volta). Molti secoli fa’ (quando era rischioso radunarsi come cristiani perché si poteva essere perseguitati o anche uccisi), in una città del Nord Africa che si chiamava Abitène, 49 cristiani furono arrestati e processati perché avevano osato riunirsi di Domenica in casa di uno di loro per celebrare la Messa, l’Eucaristia. Al giudice che chiedeva loro perché avevano disobbedito alla legge che vietava quei raduni, risposero in latino (allora si parla latino): “Sine Dominico vivere non possumus”. Cosa voleva dire? Dominus voleva dire Signore e Dominico giorno del Signore. “Senza il Signore e senza il giorno del Signore noi non possiamo vivere”: ecco la loro risposta. Naturalmente furono uccisi tutti: vecchi, giovani, anche ragazzi e bambini. Ma…e perché non si può vivere senza il Signore e senza celebrare il giorno del Signore (cioè la Domenica)? Dove sta scritto? Nel vangelo forse? L’ha forse detto Gesù?
Sì, sta scritto nel Vangelo, proprio quello che oggi abbiamo ascoltato. L’iniziativa di incontrarsi con i suoi discepoli – di Domenica – l’ha presa proprio Lui, Gesù. “Il primo giorno dopo il Sabato, venne Gesù, e si fermò in mezzo a loro”. Mancava Tommaso, come abbiamo sentito; sarà andato per i fatti suoi, chissà dove… Però non basta fare una cosa una volta perché diventi un’abitudine. Infatti, poi il vangelo continua, dicendo che “otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo insieme, c’era anche Tommaso, e venne Gesù”. Se la prima volta era il giorno dopo il sabato, otto giorno dopo è ancora il “giorno dopo il Sabato”: la Domenica, appunto. (Magari lo sapete già, ma non fa male richiamarlo: anche il nome Domenica ha a che vedere con il Signor, che viene proprio in questo giorno. Domenica, infatti, viene da Dominus, che in latino vuol dire “Signore”: è il giorno in cui viene il Signore, e perciò: giorno del Signore). Insomma, è stato Gesù stesso a prendere l’iniziativa di venire là dove i cristiani si radunano.
Noi lo chiamiamo “messa” questo raduno, ma è un po’ povera e insulsa questa parola... Molti, quando sentono la parola “messa”, pensano a una funzione dove c’è un tale (un prete di solito) che indossa vestiti un po’ strani e fa gesti altrettanto strani…e pensano che tutto si riduce a quello. Eh no, c’è ben dell’altro dietro! C’è nientemeno che Gesù, risorto e vivo, che viene lì, tra i suoi: il prete che dice messa gli presta solo la voce, ma è Gesù – non il prete – il vero centro di quel raduno. Anche oggi, qui, è così: è Gesù il centro vivo in mezzo a noi.
“Senza Domenica noi non possiamo vivere” dicevano al giudice quei cristiani di Abitene tanti secoli fa’. Ma è ancora vero? Proviamo a vedere se è vero che “senza Domenica non possiamo vivere”.
Che cosa ci guadagniamo a incontrare Gesù all’Eucaristia di ogni Domenica? Non è molto bella questa domanda: perché bisogna sempre fare tutto per guadagnarci qualcosa? Forse che un amico, una persona cara, lo andiamo a trovare per guadagnarci qualcosa? Povera amicizia, allora, povero affetto! Ma, pazienza; visto che l’ansia di guadagnare sempre qualcosa impregna tutta la cultura di oggi, adoperiamolo per una volta anche qui oggi.
Beh, Gesù – il giorno dopo il Sabato – non viene mai a mani vuote; avete sentito il Vangelo di oggi?
Appena arriva tra i suoi li saluta dicendo: “Pace a voi!”. E quando è il Signore a dirlo, guardate che la pace la dona sul serio ai suoi…
Quella pace è la possibilità di andar avanti senza lasciarsi prendere dalla paura, è poter tenere sotto controllo situazioni e problemi che a volte sono più grandi di noi, quella pace è “quiete dopo le tempeste”: durante la settimana ci possono essere momenti di preoccupazione, di agitazione, ma la Domenica, quando veniamo all’Eucaristia e vi partecipiamo vivamente, qui troviamo quella pace.
E con la pace, il dono dello Spirito Santo. “Ricevete lo Spirito Santo” dice Gesù risorto allorché si presenta tra i suoi, e lo dona davvero lo Spirito Santo, con un gesto strano se volete, ma che dice tutta la ricchezza di quel dono: “alitò su di loro”, dice il vangelo, cioè soffiò… Perché soffiò su di loro? Cosa sta a dire questo gesto?
Il soffio ha a che vedere con il respiro. Solo chi ha il respiro buono può soffiare. Colui che stenta a respirare, si dice che ha il fiato corto… Beh, a tutti noi capita a volte di avere il fiato corto di fronte alla vita e alle situazioni che ci riserva: fiato corto vuol dire abbattersi, perdersi di coraggio di fronte alle difficoltà, per esempio. Fiato corto è andar dietro a interessi solo terra terra; fiato corto è affannarsi per cose che sono sì reali, ma non assolutamente importanti; fiato corto è trascurare quello che davvero conta e vale, e preoccuparsi per ciò che conta poco, o vale niente. Quante volte capita di avere il fiato corto!
Chi potrà dire di non aver bisogno di Gesù, di quel soffio o respiro lungo che il Signore viene a portarci ogni Domenica?
Sì, ma non lo vediamo mai Gesù. Perché dobbiamo solo credere che è tra noi all’Eucaristia, senza mai poterlo vedere?
Era anche la pretesa di Tommaso questa. E la risposta è Gesù stesso che ce la dà: “Tu hai creduto perché hai veduto… Beati quelli che anche senza vedermi crederanno!”.
Ma è possibile andare avanti così, cioè credere senza mai vedere?
Sì, è possibile. Quei cristiani dei quali parlavo all’inizio, arrestati e condannati a morte perché stavano celebrando la Messa, non lo vedevano mica il Signore. Eppure dissero: “Senza il Signore, senza celebrare il giorno del Signore, noi non possiamo vivere”.
Non lo vediamo il Signore Gesù su questa terra; nessuno lo vede. Perché beati son quelli che credono, senza averlo visto.
E che siano beati, lo dice la loro vita. Beati vuol dire fortunati, perché – qualsiasi cosa accada - hanno sempre la pace di Gesù nel cuore, e affrontano la vita di ogni giorno non col fiato corto, ma con grande respiro.
Che anche noi, fratelli, possiamo essere cristiani così.
Pasqua di Risurrezione - 9 Aprile
Le Letture Bibliche: Atti degli Apostoli 10,34a.37-43; Colossesi 3,1-4; Giovanni 20,1-9
Quando ci si raduna per far festa a qualcuno, la prima condizione è che quel tale ci sia: assicuri la sua presenza. Che senso avrebbe – ad esempio - festeggiare una persona cara, se proprio in quell’occasione fosse assente?
Eppure, noi oggi qui – in questo giorno di Pasqua – siamo proprio in questa situazione strana, almeno a prima vista: festeggiamo non una presenza, ma un’assenza. Non è più nel sepolcro Cristo: morto, la sera di quel venerdì, l’avevano messo lì, ma non è più lì… È vuota la sua tomba. E così, la prima notizia di Pasqua è la notizia di un’assenza, di un vuoto…
E che buona notizia può rappresentare un’assenza, un vuoto?
Ma poi… era ancora buio quando Maria Maddalena andò al sepolcro: è sicura di aver visto bene?
Un sepolcro vuoto! Beh, potrebbero averlo portato via il morto che c’era dentro… e averlo nascosto da un’altra parte…
“Hanno portato via il Signore del sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”.
C’è chi si ferma a questa constatazione e non va oltre. Anche tra i cristiani di oggi. Festeggiano la Pasqua in qualche modo, ma non cambia niente…Il giorno dopo è tutto come prima.
Anche perché, effettivamente, troppe cose portano a pensare che non è cambiato niente…
Chi era preoccupato ieri, lo è anche oggi, e lo sarà anche domani…
Chi era malato, non è che oggi – perché è Pasqua – si ritrova guarito…
Chi fino adesso ha fatto il furbo e il disonesto, continuerà a farlo… magari facendo gli auguri di buona Pasqua a tutti i furbi e disonesti come lui…
E le lacrime che scorrevano fino a ieri sul viso di molti innocenti, probabilmente continueranno a scorrere ancora…
Ecco, fratelli, questi sono sintomi di forze oscure che vorrebbero fermare la bella notizia di Pasqua sulla soglia di quel sepolcro vuoto… vorrebbero impedire alla luce del risorto di risplendere…Cos’altro vuol dire, se non questo, il particolare che “era ancora buio” quando Maria di Magdala scoprì che quel sepolcro era vuoto?
Ma ci sono anche quelli che non si fermano lì, a constatare l’assenza, il vuoto… Anzi, proprio quel vuoto diventa provocazione a cercare, a correre, ad andare oltre…
E chi sono questi tali? Allora si chiamavano Pietro e Giovanni, due apostoli di Gesù: “correvano insieme tutti e due, ma Giovanni corse più veloce e arrivò per primo al sepolcro…”. Perché chi è giovane di solito corre più veloce, ma - veloce oppure no – quello che conta è che ognuno corra com’è capace…
Cos’è che muove questi due? Perché altri, molti altri, non corrono affatto, non cercano, fermi all’idea (comoda) che Gesù Cristo è scomparso?
La ragione è molto semplice ma altrettanto decisiva; sta tutta in questa parola: l’amore.
Maria Maddalena amava Gesù Cristo: per questo si recò al sepolcro quand’era ancora buio. Al buio si esce di casa solo se si deve o c’è qualcosa o qualcuno che sta molto molto a cuore. E quando trovò vuoto quel sepolcro non se ne tornò semplicemente a casa delusa; continuò a cercarlo, fin che non se lo vide davanti vivo e si sentì chiamare da lui con il suo nome: “Maria!”.
E ciò che faceva correre Pietro e Giovanni era ancora e semplicemente l’amore: amavano Gesù… Anche se uno dei due l’aveva rinnegato, era accaduto per debolezza, ma in realtà lo amava davvero.
E proprio perché lo amavano, trovarono in quel sepolcro la conferma che il Signore è davvero risuscitato: il sudario e le bende, piegati con cura in un angolo, stavano a dire che non erano stati i ladri a portarlo via (i ladri, lo sapete, lasciano tutto sottosopra, non stanno certo lì a mettere ordine!). No, solo la forza di Dio può aver ridestato dalla morte Gesù: una forza non violenta, non disordinata, ma pacifica, silenziosa, e comunque potente. Lazzaro (ricorderete il vangelo di qualche domenica fa’), era uscito vivo dal suo sepolcro con le bende addosso, perché Lazzaro era stato semplicemente risvegliato alla vita mortale. Ma Gesù se ne esce libero dai limiti mortali: può permettersi di abbandonare il suo abbigliamento da morto. Lui non è solo risvegliato a una vita che comunque un giorno o l’altro arriverà al capolinea: Gesù è risorto, è vivo per sempre.
E questa, fratelli, è una notizia tanto paradossale, tanto straordinaria, che non basta un po’ di fede per crederla: occorre che quel po’ di fede vada a braccetto con molto amore. Sì, occorre amare Gesù Cristo, per sentire che è risorto, per avere prima o poi la sensazione che lui è vivo per davvero.
Occorre amarlo almeno quanto si ama qualsiasi altro interesse che ci smuove e ci spinge a cercare correndo… Occorre amarlo con ansia, con passione, con desiderio di trovarlo. Solo allora il Signore si fa incontrare.
Altrimenti, se non c’è amore, si rimane lì alla constatazione che non c’è più, che il sepolcro è vuoto, che lui è scomparso per sempre… E allora sì che il buio diventa ancora più fitto, e tutto è davvero come prima.
Io invece auguro a me e poi a tutti voi di non fermarci al buio, al vuoto di quel sepolcro, ma di cercare il Signore Gesù con amore fino ad incontrarlo: partendo proprio da questa Eucaristia che stiamo celebrando.
Allora, per un certo verso, sarà anche vero che tutto sembra come prima: le situazioni della vita nostra e del mondo, la realtà che ci circonda, la temperatura…
Ma sarà altrettanto vero che tutto, proprio tutto, può essere diverso da prima. In ogni caso, questo ormai dipende da noi, dalla nostra fede, o meglio, dal nostro amore per il Signore Gesù. Dio la sua parte l’ha fatta, e anche bene.
Lo dice bene il saluto che – come fanno i cristiani d’Oriente - da oggi e per tutte le Domeniche di Pasqua ci scambieremo alla fine di ogni omelia: Cristo è risorto!
E’ davvero risorto!
Le Letture Bibliche: Atti degli Apostoli 10,34a.37-43; Colossesi 3,1-4; Giovanni 20,1-9
Quando ci si raduna per far festa a qualcuno, la prima condizione è che quel tale ci sia: assicuri la sua presenza. Che senso avrebbe – ad esempio - festeggiare una persona cara, se proprio in quell’occasione fosse assente?
Eppure, noi oggi qui – in questo giorno di Pasqua – siamo proprio in questa situazione strana, almeno a prima vista: festeggiamo non una presenza, ma un’assenza. Non è più nel sepolcro Cristo: morto, la sera di quel venerdì, l’avevano messo lì, ma non è più lì… È vuota la sua tomba. E così, la prima notizia di Pasqua è la notizia di un’assenza, di un vuoto…
E che buona notizia può rappresentare un’assenza, un vuoto?
Ma poi… era ancora buio quando Maria Maddalena andò al sepolcro: è sicura di aver visto bene?
Un sepolcro vuoto! Beh, potrebbero averlo portato via il morto che c’era dentro… e averlo nascosto da un’altra parte…
“Hanno portato via il Signore del sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”.
C’è chi si ferma a questa constatazione e non va oltre. Anche tra i cristiani di oggi. Festeggiano la Pasqua in qualche modo, ma non cambia niente…Il giorno dopo è tutto come prima.
Anche perché, effettivamente, troppe cose portano a pensare che non è cambiato niente…
Chi era preoccupato ieri, lo è anche oggi, e lo sarà anche domani…
Chi era malato, non è che oggi – perché è Pasqua – si ritrova guarito…
Chi fino adesso ha fatto il furbo e il disonesto, continuerà a farlo… magari facendo gli auguri di buona Pasqua a tutti i furbi e disonesti come lui…
E le lacrime che scorrevano fino a ieri sul viso di molti innocenti, probabilmente continueranno a scorrere ancora…
Ecco, fratelli, questi sono sintomi di forze oscure che vorrebbero fermare la bella notizia di Pasqua sulla soglia di quel sepolcro vuoto… vorrebbero impedire alla luce del risorto di risplendere…Cos’altro vuol dire, se non questo, il particolare che “era ancora buio” quando Maria di Magdala scoprì che quel sepolcro era vuoto?
Ma ci sono anche quelli che non si fermano lì, a constatare l’assenza, il vuoto… Anzi, proprio quel vuoto diventa provocazione a cercare, a correre, ad andare oltre…
E chi sono questi tali? Allora si chiamavano Pietro e Giovanni, due apostoli di Gesù: “correvano insieme tutti e due, ma Giovanni corse più veloce e arrivò per primo al sepolcro…”. Perché chi è giovane di solito corre più veloce, ma - veloce oppure no – quello che conta è che ognuno corra com’è capace…
Cos’è che muove questi due? Perché altri, molti altri, non corrono affatto, non cercano, fermi all’idea (comoda) che Gesù Cristo è scomparso?
La ragione è molto semplice ma altrettanto decisiva; sta tutta in questa parola: l’amore.
Maria Maddalena amava Gesù Cristo: per questo si recò al sepolcro quand’era ancora buio. Al buio si esce di casa solo se si deve o c’è qualcosa o qualcuno che sta molto molto a cuore. E quando trovò vuoto quel sepolcro non se ne tornò semplicemente a casa delusa; continuò a cercarlo, fin che non se lo vide davanti vivo e si sentì chiamare da lui con il suo nome: “Maria!”.
E ciò che faceva correre Pietro e Giovanni era ancora e semplicemente l’amore: amavano Gesù… Anche se uno dei due l’aveva rinnegato, era accaduto per debolezza, ma in realtà lo amava davvero.
E proprio perché lo amavano, trovarono in quel sepolcro la conferma che il Signore è davvero risuscitato: il sudario e le bende, piegati con cura in un angolo, stavano a dire che non erano stati i ladri a portarlo via (i ladri, lo sapete, lasciano tutto sottosopra, non stanno certo lì a mettere ordine!). No, solo la forza di Dio può aver ridestato dalla morte Gesù: una forza non violenta, non disordinata, ma pacifica, silenziosa, e comunque potente. Lazzaro (ricorderete il vangelo di qualche domenica fa’), era uscito vivo dal suo sepolcro con le bende addosso, perché Lazzaro era stato semplicemente risvegliato alla vita mortale. Ma Gesù se ne esce libero dai limiti mortali: può permettersi di abbandonare il suo abbigliamento da morto. Lui non è solo risvegliato a una vita che comunque un giorno o l’altro arriverà al capolinea: Gesù è risorto, è vivo per sempre.
E questa, fratelli, è una notizia tanto paradossale, tanto straordinaria, che non basta un po’ di fede per crederla: occorre che quel po’ di fede vada a braccetto con molto amore. Sì, occorre amare Gesù Cristo, per sentire che è risorto, per avere prima o poi la sensazione che lui è vivo per davvero.
Occorre amarlo almeno quanto si ama qualsiasi altro interesse che ci smuove e ci spinge a cercare correndo… Occorre amarlo con ansia, con passione, con desiderio di trovarlo. Solo allora il Signore si fa incontrare.
Altrimenti, se non c’è amore, si rimane lì alla constatazione che non c’è più, che il sepolcro è vuoto, che lui è scomparso per sempre… E allora sì che il buio diventa ancora più fitto, e tutto è davvero come prima.
Io invece auguro a me e poi a tutti voi di non fermarci al buio, al vuoto di quel sepolcro, ma di cercare il Signore Gesù con amore fino ad incontrarlo: partendo proprio da questa Eucaristia che stiamo celebrando.
Allora, per un certo verso, sarà anche vero che tutto sembra come prima: le situazioni della vita nostra e del mondo, la realtà che ci circonda, la temperatura…
Ma sarà altrettanto vero che tutto, proprio tutto, può essere diverso da prima. In ogni caso, questo ormai dipende da noi, dalla nostra fede, o meglio, dal nostro amore per il Signore Gesù. Dio la sua parte l’ha fatta, e anche bene.
Lo dice bene il saluto che – come fanno i cristiani d’Oriente - da oggi e per tutte le Domeniche di Pasqua ci scambieremo alla fine di ogni omelia: Cristo è risorto!
E’ davvero risorto!
Domenica di Passione o delle Palme - 2 Aprile
Le Letture Bibliche: Isaia 50,4-7; Filippesi 2,6-11; Matteo 26,14-27,66
Abbiamo così dato inizio alla celebrazione della Pasqua…
La lunga lettura del Vangelo della Passione e morte di Gesù, se la si ascolta con fede e con amore, vale più di tutte le prediche: ecco perché a questo punto mi limito a una mini-omelia.
Ci tengo però che a partire da questa Domenica delle Palme ci portiamo tutti nel cuore almeno un messaggio, e il messaggio è riassunto in quel ramo di ulivo che abbiamo ricevuto in mano e che, arrivando a casa metteremo non nel cassonetto della spazzatura, ma in un posto ben visibile (magari accanto a un’immagine di Gesù Cristo).
Un ramo d’ulivo non è una pistola, o un kalashnikov… non è neanche una sferza o un bastone per dar botte a qualcuno… è simbolo di mitezza, di convivenza armoniosa (è un caso che l’ulivo cresca in tutti i paesi attorno al Mediterraneo, nessuno escluso?); è simbolo di costanza nel cercare la pace (infatti, non perde la sua chioma d’inverno; qualcuno sostiene che è una pianta che non muore mai; forse non è vero, certo che ha una durata molto molto lunga…).
Mitezza, convivenza armoniosa, pace…
Non per nulla dall’ulivo si trae l’olio: l’olio che dà sostanza ai cibi, che lenisce le ferite, che permette agli ingranaggi arrugginiti di funzionare senza quei cigolii che sembrano lamenti…
Recare tra le mani un ramoscello d’ulivo e metterlo in un bel posto in casa è come dire: noi siamo per la mitezza, non per la violenza; noi siamo gente di pace, non gente arrogante o litigiosa… perché siamo discepoli di un Messia che ha fatto il suo ingresso di trionfo su di un asino, mentre la gente agitava attorno a lui rami di ulivo in segno di benevenuto… Mica potevano agitare rovi o rami spinosi, e tantomeno accoglierlo con botti e spari o scoppio di bombe…
Gesù è un Maestro, un Messia, mite e anche umile. Ma tanto è mite e umile, altrettanto è forte: ma forte “dentro” (perché chi è forte solo fuori - cioè di braccia o di parole, spesso è semplicemente arrogante e violento).
Poco fa sentivamo queste parole come dalla sua bocca: “Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”… Certo, chi è mite e forte dentro, spesso sembra perdente, sembra fare una brutta fine…Il racconto della passione di Gesù che abbiamo ascoltato oggi finisce con una scena di sconfitta. I violenti e gli arroganti sembrano aver vinto. Quel sepolcro chiuso e sigillato da una pietra è l’immagine di una storia finita male.
E tuttavia il vincitore sarà proprio lui, il Crocifisso, perché questo è solo l’inizio della Pasqua: l’ultima parola non sarà quella dell’odio o della cattiveria umana, ma quella dell’amore, che si esprime nel perdono, nell’accoglienza, nella mitezza forte e coraggiosa.
Ecco il bel messaggio racchiuso in quel ramoscello d’ulivo che oggi rechiamo tra le mani e porteremo nelle nostre case. Che questo messaggio ci resti stabilmente nel cuore e che di esso possiamo essere tutti buoni testimoni.
Le Letture Bibliche: Isaia 50,4-7; Filippesi 2,6-11; Matteo 26,14-27,66
Abbiamo così dato inizio alla celebrazione della Pasqua…
La lunga lettura del Vangelo della Passione e morte di Gesù, se la si ascolta con fede e con amore, vale più di tutte le prediche: ecco perché a questo punto mi limito a una mini-omelia.
Ci tengo però che a partire da questa Domenica delle Palme ci portiamo tutti nel cuore almeno un messaggio, e il messaggio è riassunto in quel ramo di ulivo che abbiamo ricevuto in mano e che, arrivando a casa metteremo non nel cassonetto della spazzatura, ma in un posto ben visibile (magari accanto a un’immagine di Gesù Cristo).
Un ramo d’ulivo non è una pistola, o un kalashnikov… non è neanche una sferza o un bastone per dar botte a qualcuno… è simbolo di mitezza, di convivenza armoniosa (è un caso che l’ulivo cresca in tutti i paesi attorno al Mediterraneo, nessuno escluso?); è simbolo di costanza nel cercare la pace (infatti, non perde la sua chioma d’inverno; qualcuno sostiene che è una pianta che non muore mai; forse non è vero, certo che ha una durata molto molto lunga…).
Mitezza, convivenza armoniosa, pace…
Non per nulla dall’ulivo si trae l’olio: l’olio che dà sostanza ai cibi, che lenisce le ferite, che permette agli ingranaggi arrugginiti di funzionare senza quei cigolii che sembrano lamenti…
Recare tra le mani un ramoscello d’ulivo e metterlo in un bel posto in casa è come dire: noi siamo per la mitezza, non per la violenza; noi siamo gente di pace, non gente arrogante o litigiosa… perché siamo discepoli di un Messia che ha fatto il suo ingresso di trionfo su di un asino, mentre la gente agitava attorno a lui rami di ulivo in segno di benevenuto… Mica potevano agitare rovi o rami spinosi, e tantomeno accoglierlo con botti e spari o scoppio di bombe…
Gesù è un Maestro, un Messia, mite e anche umile. Ma tanto è mite e umile, altrettanto è forte: ma forte “dentro” (perché chi è forte solo fuori - cioè di braccia o di parole, spesso è semplicemente arrogante e violento).
Poco fa sentivamo queste parole come dalla sua bocca: “Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”… Certo, chi è mite e forte dentro, spesso sembra perdente, sembra fare una brutta fine…Il racconto della passione di Gesù che abbiamo ascoltato oggi finisce con una scena di sconfitta. I violenti e gli arroganti sembrano aver vinto. Quel sepolcro chiuso e sigillato da una pietra è l’immagine di una storia finita male.
E tuttavia il vincitore sarà proprio lui, il Crocifisso, perché questo è solo l’inizio della Pasqua: l’ultima parola non sarà quella dell’odio o della cattiveria umana, ma quella dell’amore, che si esprime nel perdono, nell’accoglienza, nella mitezza forte e coraggiosa.
Ecco il bel messaggio racchiuso in quel ramoscello d’ulivo che oggi rechiamo tra le mani e porteremo nelle nostre case. Che questo messaggio ci resti stabilmente nel cuore e che di esso possiamo essere tutti buoni testimoni.
Domenica 26 Marzo - V° di Quaresima
Le Letture Bibliche: Ezechie 37,12-14; Romani 8,8-11; Giovanni 11,1-45
Il Vangelo è una musica che risuona bene solo dentro la vita: la vita mia, la vostra, la vita di questo mondo in cui ci troviamo tutti. Non è un vecchio libro il Vangelo, sempre quello, no: è sempre una notizia fresca e buona, come il pane appena sfornato, ma lo è solo se lo ascoltiamo dentro la nostra vita… Io non voglio rovinare con le mie chiacchiere o con le mie opinioni personali questa vicenda toccante che ci consegna oggi l’evangelista Giovanni, e allora vi rivolgo un invito: entriamo dentro questo vangelo; entriamo anche noi in questa vicenda, ed entriamo portando con noi proprio la nostra vita, le nostre esperienze, ed anche le attese e le angosce di questo mondo d’oggi nel quale ci troviamo a vivere. Entriamo in questo vangelo e sentiamole rivolte a noi stessi le parole che dice.
Lazzaro – amico di Gesù - si ammala, muore e Gesù non c’è, è lontano. Quando arriva han già fatto il funerale. La prima cosa che Gesù deve sorbirsi è il rimprovero delle sorelle di Lazzaro, Marta e Maria (un rimprovero rispettoso, fatto con garbo, ma è un rimprovero!): “Signore, se tu fossi stato qui, nostro fratello non sarebbe morto!”.
Eh sì, siamo proprio anche noi qui a parlare o a pensare così (ecco che il vangelo comincia ad entrare nella nostra vita!). Quante volte lo diciamo o lo pensiamo: “Ma perché il Signore non interviene quando ho bisogno? Quando non ho bisogno, faccio senza…”. Quante volte vorremmo che rispondesse alle nostre attese, subito…Ci sono magagne e grane che prima o poi si risolvono, ma altre invece ce le dobbiamo portare con noi per tanto tempo…e ci chiediamo: “Ma questo Signore Dio, se davvero ci vuol bene, perché non si fa sentire, non ci dà una mano per venirne fuori?”. E alle volte, per quanto ci si arrabatti, non se ne viene proprio fuori: “Signore, se tu fossi stato qui, nostro fratello non sarebbe morto!”. Eh, sì…qui non si tratta più soltanto di Marta o di Maria, qui siamo anche noi gli attori del dramma (ecco il vangelo che entra nella nostra vita!).
Sì, crediamo in Dio: glielo diciamo tutte le domeniche del resto; e se uno ci ferma e ci domanda se crediamo in Dio, senz’altro diciamo: “Sì che ci credo”. Ma…un po’ come ci credeva Marta, cioè: così… in astratto, in teoria. Quando Gesù arriva e le dice: “Tuo fratello risorgerà”, lei risponde: “Ah sì, lo so che risorgerà… me l’hanno sempre detto che si risorgerà tutti nell’ultimo giorno: guarda che l’ho imparato il Catechismo, Signore!”. No, Marta, tu credi in un’idea, in una teoria alla fin fine: non basta… vedi anche tu che non ti basta in questa circostanza. “Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me anche se muore vivrà…e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno”.
E’ forte questa parola, fratelli; è forte e provocante anche per noi, mi pare: Fede non è credere questo o quello, credere così invece che colà. Fede per noi cristiani è credere in Gesù Cristo, ma nel senso di attaccarci a lui con il cuore e con la vita, e non lasciarlo mai più. Fede è sentire le sue parole rivolte proprio a noi e berle come assetati; è aprire le mani per ricevere il suo santo Corpo, ma aprirle come affamati… “E’ questo per te credere?” Ce lo domanda oggi il Signore, proprio come l’ha domandato a Marta: “E’ davvero questo per te credere?”
Ma chi è questo Gesù che ci dice di attaccarci a Lui con tutto il cuore e con la vita? è nientemeno che la risurrezione e la vita alla sorgente. Non si limita ad assicurarci che “risorgeremo e vivremo”, è ben di più quello che ci offre: “Io sono la risurrezione e la vita!”. E ci ama, questa è la cosa più decisiva: ci ama. “Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella Maria e a Lazzaro” dice il vangelo, ma adesso siamo noi coinvolti in questa storia: è a noi che il Signore vuole molto bene, cioè a me, a te, in modo personalissimo e tipico. Tanto bene ci vuole da commuoversi davanti ai nostri limiti, alle nostre stanchezze, alle nostre magagne, ai nostri peccati (è la carovana della morte sapete questa, fratelli!): “Gesù si commosse profondamente, si turbò… Gesù scoppiò in pianto!”. E noi che pensiamo che sia lontano, indifferente, estraneo alle nostre disavventure…Ma va’! Ma perché non apri gli occhi? Ma accorgiti finalmente che è accanto a te e condivide tutto con te! “Gesù si commosse profondamente, si turbò… Gesù scoppiò in pianto!”.
Quando poi ordina di aprire il sepolcro di Lazzaro, Marta si oppone decisamente: “Signore, no: è già chiuso là dentro da quattro giorni: puzza mormai!”. Eh, noi siamo sempre pronti a prendercela con Dio: perché dovrebbe essere qui ma non è qui, perché non risponde subito alle nostre attese… ma ecco che quando si fa presente, siamo altrettanto pronti a mettergli ostacoli: “sì, ma…non così, Signore… dovresti fare come dico io…”, insomma pretendiamo di insegnare anche a Dio, se fosse possibile. Incapaci di credere che può far molto di più di quello che immaginiamo noi, e in modi diversi dai nostri. Gesù avrebbe potuto guarire Lazzaro invece che lasciarlo morire, ma Gesù ha fatto molto più che guarirlo: lo ha risvegliato alla vita dopo che era morto. Dio può fare molto di più di quello che noi osiamo immaginare; e ci ascolta sempre, sempre… anche quando a noi sembra che non sia così: ci ascolta e ci risponde ben aldilà delle nostre attese immediate.
E poi c’è quella parola, quella provocazione inaudita e fortissima: “Lazzaro, vieni fuori!”. Quando è la risurrezione e la vita a dirla – cioè Gesù – ha sicuro effetto, sempre. Ed è questa parola che ognuno di noi, fratelli, nell’imminenza della Pasqua ormai, può sentire rivolta a sé stesso (non vi dicevo che occorre entrare nel vangelo e sentire rivolte a noi le parole che dice?). E’ a me. a te, a ciascuno che Gesù grida con autorità. “Vieni fuori!”. Perché è questo fare Pasqua: “venir fuori”. I sepolcri dai quali uscire son quelli che ci costruiamo noi: da vivi. Quelli da morti ce li faranno gli altri, ma quelli dai quali ci provoca il Signore ad uscire ce li costruiamo noi: da vivi. E ognuno ha il suo, fatto a misura dei suoi limiti e difetti, dei suoi peccati o delle sue visuali ristrette: oh magari si trova anche comodo all’interno di quel sepolcro, ma è sempre un sepolcro! “Lazzaro, vieni fuori!”. Parla a noi adesso il Signore: mettiamo pure il nostro nome al posto di quello di Lazzaro perché parla a ciascuno di noi.
Ecco il Vangelo, bella notizia che risuona bene solo da dentro la nostra vita. Accogliamola con tutto il cuore e con riconoscenza, perché è la Parola di Colui che ci ama e che cammina davanti a noi verso la Pasqua.
Le Letture Bibliche: Ezechie 37,12-14; Romani 8,8-11; Giovanni 11,1-45
Il Vangelo è una musica che risuona bene solo dentro la vita: la vita mia, la vostra, la vita di questo mondo in cui ci troviamo tutti. Non è un vecchio libro il Vangelo, sempre quello, no: è sempre una notizia fresca e buona, come il pane appena sfornato, ma lo è solo se lo ascoltiamo dentro la nostra vita… Io non voglio rovinare con le mie chiacchiere o con le mie opinioni personali questa vicenda toccante che ci consegna oggi l’evangelista Giovanni, e allora vi rivolgo un invito: entriamo dentro questo vangelo; entriamo anche noi in questa vicenda, ed entriamo portando con noi proprio la nostra vita, le nostre esperienze, ed anche le attese e le angosce di questo mondo d’oggi nel quale ci troviamo a vivere. Entriamo in questo vangelo e sentiamole rivolte a noi stessi le parole che dice.
Lazzaro – amico di Gesù - si ammala, muore e Gesù non c’è, è lontano. Quando arriva han già fatto il funerale. La prima cosa che Gesù deve sorbirsi è il rimprovero delle sorelle di Lazzaro, Marta e Maria (un rimprovero rispettoso, fatto con garbo, ma è un rimprovero!): “Signore, se tu fossi stato qui, nostro fratello non sarebbe morto!”.
Eh sì, siamo proprio anche noi qui a parlare o a pensare così (ecco che il vangelo comincia ad entrare nella nostra vita!). Quante volte lo diciamo o lo pensiamo: “Ma perché il Signore non interviene quando ho bisogno? Quando non ho bisogno, faccio senza…”. Quante volte vorremmo che rispondesse alle nostre attese, subito…Ci sono magagne e grane che prima o poi si risolvono, ma altre invece ce le dobbiamo portare con noi per tanto tempo…e ci chiediamo: “Ma questo Signore Dio, se davvero ci vuol bene, perché non si fa sentire, non ci dà una mano per venirne fuori?”. E alle volte, per quanto ci si arrabatti, non se ne viene proprio fuori: “Signore, se tu fossi stato qui, nostro fratello non sarebbe morto!”. Eh, sì…qui non si tratta più soltanto di Marta o di Maria, qui siamo anche noi gli attori del dramma (ecco il vangelo che entra nella nostra vita!).
Sì, crediamo in Dio: glielo diciamo tutte le domeniche del resto; e se uno ci ferma e ci domanda se crediamo in Dio, senz’altro diciamo: “Sì che ci credo”. Ma…un po’ come ci credeva Marta, cioè: così… in astratto, in teoria. Quando Gesù arriva e le dice: “Tuo fratello risorgerà”, lei risponde: “Ah sì, lo so che risorgerà… me l’hanno sempre detto che si risorgerà tutti nell’ultimo giorno: guarda che l’ho imparato il Catechismo, Signore!”. No, Marta, tu credi in un’idea, in una teoria alla fin fine: non basta… vedi anche tu che non ti basta in questa circostanza. “Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me anche se muore vivrà…e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno”.
E’ forte questa parola, fratelli; è forte e provocante anche per noi, mi pare: Fede non è credere questo o quello, credere così invece che colà. Fede per noi cristiani è credere in Gesù Cristo, ma nel senso di attaccarci a lui con il cuore e con la vita, e non lasciarlo mai più. Fede è sentire le sue parole rivolte proprio a noi e berle come assetati; è aprire le mani per ricevere il suo santo Corpo, ma aprirle come affamati… “E’ questo per te credere?” Ce lo domanda oggi il Signore, proprio come l’ha domandato a Marta: “E’ davvero questo per te credere?”
Ma chi è questo Gesù che ci dice di attaccarci a Lui con tutto il cuore e con la vita? è nientemeno che la risurrezione e la vita alla sorgente. Non si limita ad assicurarci che “risorgeremo e vivremo”, è ben di più quello che ci offre: “Io sono la risurrezione e la vita!”. E ci ama, questa è la cosa più decisiva: ci ama. “Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella Maria e a Lazzaro” dice il vangelo, ma adesso siamo noi coinvolti in questa storia: è a noi che il Signore vuole molto bene, cioè a me, a te, in modo personalissimo e tipico. Tanto bene ci vuole da commuoversi davanti ai nostri limiti, alle nostre stanchezze, alle nostre magagne, ai nostri peccati (è la carovana della morte sapete questa, fratelli!): “Gesù si commosse profondamente, si turbò… Gesù scoppiò in pianto!”. E noi che pensiamo che sia lontano, indifferente, estraneo alle nostre disavventure…Ma va’! Ma perché non apri gli occhi? Ma accorgiti finalmente che è accanto a te e condivide tutto con te! “Gesù si commosse profondamente, si turbò… Gesù scoppiò in pianto!”.
Quando poi ordina di aprire il sepolcro di Lazzaro, Marta si oppone decisamente: “Signore, no: è già chiuso là dentro da quattro giorni: puzza mormai!”. Eh, noi siamo sempre pronti a prendercela con Dio: perché dovrebbe essere qui ma non è qui, perché non risponde subito alle nostre attese… ma ecco che quando si fa presente, siamo altrettanto pronti a mettergli ostacoli: “sì, ma…non così, Signore… dovresti fare come dico io…”, insomma pretendiamo di insegnare anche a Dio, se fosse possibile. Incapaci di credere che può far molto di più di quello che immaginiamo noi, e in modi diversi dai nostri. Gesù avrebbe potuto guarire Lazzaro invece che lasciarlo morire, ma Gesù ha fatto molto più che guarirlo: lo ha risvegliato alla vita dopo che era morto. Dio può fare molto di più di quello che noi osiamo immaginare; e ci ascolta sempre, sempre… anche quando a noi sembra che non sia così: ci ascolta e ci risponde ben aldilà delle nostre attese immediate.
E poi c’è quella parola, quella provocazione inaudita e fortissima: “Lazzaro, vieni fuori!”. Quando è la risurrezione e la vita a dirla – cioè Gesù – ha sicuro effetto, sempre. Ed è questa parola che ognuno di noi, fratelli, nell’imminenza della Pasqua ormai, può sentire rivolta a sé stesso (non vi dicevo che occorre entrare nel vangelo e sentire rivolte a noi le parole che dice?). E’ a me. a te, a ciascuno che Gesù grida con autorità. “Vieni fuori!”. Perché è questo fare Pasqua: “venir fuori”. I sepolcri dai quali uscire son quelli che ci costruiamo noi: da vivi. Quelli da morti ce li faranno gli altri, ma quelli dai quali ci provoca il Signore ad uscire ce li costruiamo noi: da vivi. E ognuno ha il suo, fatto a misura dei suoi limiti e difetti, dei suoi peccati o delle sue visuali ristrette: oh magari si trova anche comodo all’interno di quel sepolcro, ma è sempre un sepolcro! “Lazzaro, vieni fuori!”. Parla a noi adesso il Signore: mettiamo pure il nostro nome al posto di quello di Lazzaro perché parla a ciascuno di noi.
Ecco il Vangelo, bella notizia che risuona bene solo da dentro la nostra vita. Accogliamola con tutto il cuore e con riconoscenza, perché è la Parola di Colui che ci ama e che cammina davanti a noi verso la Pasqua.
Domenica 19 Marzo - IV° di Quaresima * "Laetare"
Le Letture Bibliche: 1Samuele 16,1-13; Efesini 5,8-14; Giovanni 9,1-41
I ciechi: tutti ne abbiamo incontrato o conosciuto qualcuno, magari con quel tipico bastone o con il cane al guinzaglio che lo guidava… Oggi, però, non li si chiama più “ciechi”; oggi si dice “non vedenti”. Dire ciechi è quasi offensivo. Essere non-vedenti è un male, un handicap, ma essere ciechi è molto peggio. Cos’è essere ciechi? E’ avere occhi che funzionano benissimo, ma non vedere affatto, o non vedere bene, non vedere in profondità. A un figlio che cammina su una brutta strada, il papà e la mamma dicono: “ma non vedi dove ti porterà questa strada? Sei cieco?”. Quel figlio vede la strada, gli piace perfino, ma non vede il brutto traguardo che lo aspetta: è cieco. Eppure, ripeto, i suoi occhi ci vedono benissimo.
Sì, per bene che vada, ci vedono benissimo i nostri occhi, ma – lo diciamo spesso del resto – non vedono molto aldilà del nostro naso. Oppure vedono ma come i cavalli: con il paraocchi, cioè con un orizzonte molto ristretto; intorno – ai lati – non vedono. Ed è qui che cominciano i problemi, perché certuni si illudono di vedere tutto e bene. Capita dappertutto: capita in politica (dove ciechi o miopi ce ne sono sempre molti), capita nelle relazioni tra persone (dove si vede e si sa qualcosa, ma si presume di conoscere tutta la persona), capita la’ dove si fanno progetti sul futuro (quante volte si parte con la presunzione di vedere tutto e bene e poi si finisce in un fallimento)…
Oggi, poi, con questo vivere …che è come essere su di un treno a gran velocità, chi pretende di vedere tutto e bene in realtà si rivela per quello che è: un presuntuoso, e perciò un ignorante. Le persone con un minimo di intelligenza sanno riconoscere che tutto è complesso, ingarbugliato a volte; sanno
riconoscere di non vederci affatto bene.
“Non ci vedo chiaro…”: quante volta risuona questo ritornello: “Non ci vedo chiaro…”. No, non basta avere due occhi come quelli di un’aquila…non ci basta. Ce ne vogliono almeno altri due, ma non piantati sulla fronte (sulla fronte stanno bene quelli che abbiamo già). Questi altri due sono dentro; direi che sono piantati nel cuore, o nella mente, se preferite. “Sono”. Notate che ho detto “sono”: cioè ci sono già. Ogni uomo e ogni donna a questo mondo ha occhi anche dentro: nel cuore, o nella mente. A noi cristiani, Dio – nostro Padre – ce li ha aperti questi occhi “dentro” il giorno del nostro Battesimo. Quando Gesù dice a quel cieco: “Va’ a lavarti alla piscina di Siloe”, chi ha descritto questo fatto nel Vangelo, è al Battesimo che pensa: dal giorno del Battesimo un cristiano - se è coerente - può cominciare a vedere bene, meglio che con tutti gli occhiali e i cannocchiali di questo mondo, perché il Battesimo ci accende una luce dentro, ed è solo da dentro che si vede bene. San Paolo faceva questo augurio ai cristiani delle sue Comunità. “Che Dio illumini gli occhi della vostra mente, perché possiate vedere bene e in profondità…”. Ecco cosa vuol dire vedere da dentro.
Ho parlato di Battesimo: ma che cos’è il Battesimo? E’ solo quel po’ d’acqua che, da bambini, ci rovesciano in testa? Eh, è ben altro il Battesimo! Quel giorno noi siamo come dei piccoli rami, dei tralci, che vengono innestati in un grande albero, o una vite: il grande albero, o la vite, è Gesù. “Io sono la vite – ci ha detto – voi siete i tralci, i rami”. Da quel giorno, tutta la linfa della vite passa nei rami: tutto ciò che è di Gesù, diventa nostro: il suo modo di ragionare, i suoi comportamenti, anche i suoi occhi: sì, da quel giorno, noi impariamo a guardare tutto e tutti (a cominciare da noi stessi) come guarda Gesù Cristo. Cioè, come vede Dio. E vede bene, sapete, il Signore Dio! Non si ferma alle apparenze, come facciamo noi a volte…Non vede con i paraocchi Dio! Ci vede davvero bene.
La prima lettura di oggi ce ne ha dato la prova. Ci parlava di Samuele, uomo di Dio che va a Betlemme a scegliere colui che sarà il Re degli Ebrei, ma quando è lì e passa in rassegna i giovani (e manca proprio David, colui che sarà il prescelto), il Signore gli dice: “Fa’ attenzione! Non lasciarti imbrogliare dall’aspetto, non fermarti alle apparenze! La gente a questo mondo guarda le apparenze, ma io – il Signore – io guardo il cuore!”. Eh, sì: Dio è l’unico che vede davvero bene.
E noi - lo ripeto - siamo attrezzati per vedere come vede lui: gli occhi “dentro” abbiamo, nel cuore appunto. Dal giorno del Battesimo è così. Peccato che poi, a partire da quel giorno, non tutti si esercitano ad adoperarli gli occhi del cuore (voi sapete che i sensi che abbiamo, se non li adoperiamo si atrofizzano: non funzionano più!). Purtroppo, anche se sono stati battezzati, certuni non crescono come cristiani… Sì, sono ben stati innestati in Gesù Cristo – come tralci nella vite – ma non prendono linfa dalla vite, non coltivano la loro Fede…e allora tutto si blocca: si ritrovano come rami secchi, tralci che non portano nessun frutto. Gli occhi del cuore non li adoperano mai: si accontentano di quei due che hanno in fronte e credono di vedere tutto e bene. La più grande fregatura che ci possa capitare nella vita, fratelli, non è quella di vivere una volta sola, o di vivere di meno invece che di più; la più grande fregatura è quella di cogliere dalla vita solo la scorza, solo una parte, e pensare che sia tutto… Alla fine la si vedrà tutta la vita: Dio ce la farà vedere completa, in profondità, e ci sarà chi dovrà dire: “ma guarda! Ma perché sono stato così distratto, così superficiale? Perché non ho visto quello che c’era dietro a quella situazione che ho vissuto? Dietro a quei volti, a quelle persone? Ho avuto tante cose tra le mani: come ho fatto a non capire che erano doni di Dio, tutte quante?”.
Fratelli, guardate che se non ci esercitiamo a guardare con gli occhi del cuore – cioè con sguardo di Fede – perdiamo il meglio della vita; ci impoveriamo da noi stessi, con le nostre stesse mani. E allora evitiamo questo rischio, dato che si vive una volta sola. Esercitiamo quello sguardo che Dio ci ha dato il giorno del Battesimo. Facciamo in modo che funzioni. Non accontentiamoci di vedere quello che tutti vedono, cioè quello che riprenderebbe anche una telecamera… No, noi non siamo telecamere, siamo figli di Dio.
In altre parole: coltiviamo il nostro innesto in Gesù; da buoni tralci radichiamoci sempre più solidamente in Lui, vera vite. Prendiamo linfa da Lui, cioè curiamo la familiarità, l’amicizia, la comunione con Gesù Cristo. E’ così, solo così, che il suo sguardo può diventare il nostro sguardo, e noi possiamo vedere tutto come vede Dio, cioè bene finalmente! Noi abbiamo questa possibilità. Ci è stata donata. E sfruttiamola allora.
Tanto per cominciare, sappiate che abbiamo anche un criterio per verificare tutto questo: è l’amore, la misericordia. Dio vede sempre con misericordia. E vede bene! Noi allora sappiamo che cominciamo a vedere bene, quando guardiamo tutto – noi stessi, gli altri, e le situazioni attorno a noi – con sguardo di comprensione, di misericordia.
Questo è il segreto per vedere tutto e bene.
Le Letture Bibliche: 1Samuele 16,1-13; Efesini 5,8-14; Giovanni 9,1-41
I ciechi: tutti ne abbiamo incontrato o conosciuto qualcuno, magari con quel tipico bastone o con il cane al guinzaglio che lo guidava… Oggi, però, non li si chiama più “ciechi”; oggi si dice “non vedenti”. Dire ciechi è quasi offensivo. Essere non-vedenti è un male, un handicap, ma essere ciechi è molto peggio. Cos’è essere ciechi? E’ avere occhi che funzionano benissimo, ma non vedere affatto, o non vedere bene, non vedere in profondità. A un figlio che cammina su una brutta strada, il papà e la mamma dicono: “ma non vedi dove ti porterà questa strada? Sei cieco?”. Quel figlio vede la strada, gli piace perfino, ma non vede il brutto traguardo che lo aspetta: è cieco. Eppure, ripeto, i suoi occhi ci vedono benissimo.
Sì, per bene che vada, ci vedono benissimo i nostri occhi, ma – lo diciamo spesso del resto – non vedono molto aldilà del nostro naso. Oppure vedono ma come i cavalli: con il paraocchi, cioè con un orizzonte molto ristretto; intorno – ai lati – non vedono. Ed è qui che cominciano i problemi, perché certuni si illudono di vedere tutto e bene. Capita dappertutto: capita in politica (dove ciechi o miopi ce ne sono sempre molti), capita nelle relazioni tra persone (dove si vede e si sa qualcosa, ma si presume di conoscere tutta la persona), capita la’ dove si fanno progetti sul futuro (quante volte si parte con la presunzione di vedere tutto e bene e poi si finisce in un fallimento)…
Oggi, poi, con questo vivere …che è come essere su di un treno a gran velocità, chi pretende di vedere tutto e bene in realtà si rivela per quello che è: un presuntuoso, e perciò un ignorante. Le persone con un minimo di intelligenza sanno riconoscere che tutto è complesso, ingarbugliato a volte; sanno
riconoscere di non vederci affatto bene.
“Non ci vedo chiaro…”: quante volta risuona questo ritornello: “Non ci vedo chiaro…”. No, non basta avere due occhi come quelli di un’aquila…non ci basta. Ce ne vogliono almeno altri due, ma non piantati sulla fronte (sulla fronte stanno bene quelli che abbiamo già). Questi altri due sono dentro; direi che sono piantati nel cuore, o nella mente, se preferite. “Sono”. Notate che ho detto “sono”: cioè ci sono già. Ogni uomo e ogni donna a questo mondo ha occhi anche dentro: nel cuore, o nella mente. A noi cristiani, Dio – nostro Padre – ce li ha aperti questi occhi “dentro” il giorno del nostro Battesimo. Quando Gesù dice a quel cieco: “Va’ a lavarti alla piscina di Siloe”, chi ha descritto questo fatto nel Vangelo, è al Battesimo che pensa: dal giorno del Battesimo un cristiano - se è coerente - può cominciare a vedere bene, meglio che con tutti gli occhiali e i cannocchiali di questo mondo, perché il Battesimo ci accende una luce dentro, ed è solo da dentro che si vede bene. San Paolo faceva questo augurio ai cristiani delle sue Comunità. “Che Dio illumini gli occhi della vostra mente, perché possiate vedere bene e in profondità…”. Ecco cosa vuol dire vedere da dentro.
Ho parlato di Battesimo: ma che cos’è il Battesimo? E’ solo quel po’ d’acqua che, da bambini, ci rovesciano in testa? Eh, è ben altro il Battesimo! Quel giorno noi siamo come dei piccoli rami, dei tralci, che vengono innestati in un grande albero, o una vite: il grande albero, o la vite, è Gesù. “Io sono la vite – ci ha detto – voi siete i tralci, i rami”. Da quel giorno, tutta la linfa della vite passa nei rami: tutto ciò che è di Gesù, diventa nostro: il suo modo di ragionare, i suoi comportamenti, anche i suoi occhi: sì, da quel giorno, noi impariamo a guardare tutto e tutti (a cominciare da noi stessi) come guarda Gesù Cristo. Cioè, come vede Dio. E vede bene, sapete, il Signore Dio! Non si ferma alle apparenze, come facciamo noi a volte…Non vede con i paraocchi Dio! Ci vede davvero bene.
La prima lettura di oggi ce ne ha dato la prova. Ci parlava di Samuele, uomo di Dio che va a Betlemme a scegliere colui che sarà il Re degli Ebrei, ma quando è lì e passa in rassegna i giovani (e manca proprio David, colui che sarà il prescelto), il Signore gli dice: “Fa’ attenzione! Non lasciarti imbrogliare dall’aspetto, non fermarti alle apparenze! La gente a questo mondo guarda le apparenze, ma io – il Signore – io guardo il cuore!”. Eh, sì: Dio è l’unico che vede davvero bene.
E noi - lo ripeto - siamo attrezzati per vedere come vede lui: gli occhi “dentro” abbiamo, nel cuore appunto. Dal giorno del Battesimo è così. Peccato che poi, a partire da quel giorno, non tutti si esercitano ad adoperarli gli occhi del cuore (voi sapete che i sensi che abbiamo, se non li adoperiamo si atrofizzano: non funzionano più!). Purtroppo, anche se sono stati battezzati, certuni non crescono come cristiani… Sì, sono ben stati innestati in Gesù Cristo – come tralci nella vite – ma non prendono linfa dalla vite, non coltivano la loro Fede…e allora tutto si blocca: si ritrovano come rami secchi, tralci che non portano nessun frutto. Gli occhi del cuore non li adoperano mai: si accontentano di quei due che hanno in fronte e credono di vedere tutto e bene. La più grande fregatura che ci possa capitare nella vita, fratelli, non è quella di vivere una volta sola, o di vivere di meno invece che di più; la più grande fregatura è quella di cogliere dalla vita solo la scorza, solo una parte, e pensare che sia tutto… Alla fine la si vedrà tutta la vita: Dio ce la farà vedere completa, in profondità, e ci sarà chi dovrà dire: “ma guarda! Ma perché sono stato così distratto, così superficiale? Perché non ho visto quello che c’era dietro a quella situazione che ho vissuto? Dietro a quei volti, a quelle persone? Ho avuto tante cose tra le mani: come ho fatto a non capire che erano doni di Dio, tutte quante?”.
Fratelli, guardate che se non ci esercitiamo a guardare con gli occhi del cuore – cioè con sguardo di Fede – perdiamo il meglio della vita; ci impoveriamo da noi stessi, con le nostre stesse mani. E allora evitiamo questo rischio, dato che si vive una volta sola. Esercitiamo quello sguardo che Dio ci ha dato il giorno del Battesimo. Facciamo in modo che funzioni. Non accontentiamoci di vedere quello che tutti vedono, cioè quello che riprenderebbe anche una telecamera… No, noi non siamo telecamere, siamo figli di Dio.
In altre parole: coltiviamo il nostro innesto in Gesù; da buoni tralci radichiamoci sempre più solidamente in Lui, vera vite. Prendiamo linfa da Lui, cioè curiamo la familiarità, l’amicizia, la comunione con Gesù Cristo. E’ così, solo così, che il suo sguardo può diventare il nostro sguardo, e noi possiamo vedere tutto come vede Dio, cioè bene finalmente! Noi abbiamo questa possibilità. Ci è stata donata. E sfruttiamola allora.
Tanto per cominciare, sappiate che abbiamo anche un criterio per verificare tutto questo: è l’amore, la misericordia. Dio vede sempre con misericordia. E vede bene! Noi allora sappiamo che cominciamo a vedere bene, quando guardiamo tutto – noi stessi, gli altri, e le situazioni attorno a noi – con sguardo di comprensione, di misericordia.
Questo è il segreto per vedere tutto e bene.
Domenica 12 Marzo - III° di Quaresima
Le Letture Bibliche: Esodo 17,3-7; Romani 5,1-2.5-8; Giovanni 4,5-42
E’ proprio necessario trovarsi nel deserto per sapere quanto è preziosa l’acqua? Eravamo abituati ad averne in abbondanza, a usarne e anche ad abusarne, ma ecco che da un po’ di tempo a questa parte la secca, l’aridità si fa sentire anche da noi, con conseguenze che potrebbero diventare preoccupanti. In certe zone d’Italia l’acqua viene razionata, o arriva portata dalle autobotti. Anche la terra ne soffre, non sentiamo i suoi lamenti, ma li vediamo: in forma di polvere, o di piccole crepe che sembrano tante ferite aperte... Figuriamoci poi gli uomini: quanto a lamentarci, noi siamo imbattibili. "Dacci acqua da bere!" - grida a Mosè quel popolo che fugge dall’oppressione dell’Egitto e si avventura nel deserto... Figuriamoci se non si prova la sete nel deserto! "Ci hai portato qui per farci morire di sete?!" Urlano a Mose’. Insomma, brutta piaga la sete, l’arsura.
Anche Gesù l'ha provata: "...stanco del viaggio - era verso mezzogiorno - sedette al pozzo di Giacobbe: Donna, dammi da bere!". Che strana questa richiesta! Ma non è il Figlio di Dio Gesù? E Dio non è colui che dà? Come mai qui è un povero assetato che chiede? “Donna, dammi da bere, per favore!”. Assetato come un mendicante è quel Gesù, che ha tutto da dare perché è Figlio di Dio… Ed era vera sete la sua, come quella che proverà sulla croce; lì lo dirà con un ultimo sospiro: "Ho sete!". Sete drammatica come la sete della terra, come la sete di tanti bambini, donne, uomini su questa faccia della terra (esclusi noi, al momento, perchè non sappiamo ancora cos’è la sete vera!).
Ma perchè mai Lui, Figlio di Dio, è venuto in questo mondo a provare tutto, anche la sete? E poi, è solo bisogno di acqua, o è sete di qualcos'altro? Nei primi tempi del cristianesimo, a quelli che si stavano preparando al Battesimo si diceva così: “Gesù Cristo ha sete ... di voi. Desidera a tal punto darvi vita e salvezza che questo desiderio è come un'arsura per lui”. Ed è proprio quello che dice a quella donna samaritana: "Io ti chiedo da bere (un po' d'acqua del pozzo), ma posso darti un'acqua di sorgente che tu neanche te l'immagini... "Se conoscessi questo dono di Dio... tu stessa me l'avresti chiesto, e io potrei darti acqua viva".
Sete e acqua, a questo punto, diventano simbolo di un’esigenza ben più atroce dell’arsura,… e di una risposta, di una soddisfazione, che non bagna soltanto la bocca o la gola. In realtà, siamo tutti divorati da questa sete… La civiltà dei consumi (che cerca di sopravvivere anche in questi tempi di crisi economica) l’aveva ben capito. Ci si illudeva - e molti s’illudono ancora - di poterla soddisfare con dei surrogati. Il miraggio del benessere individuale, del successo a qualsiasi prezzo, l‘illusione dii realizzarsi nella vita passando per tutte le esperienze possibili… ebbene, no: sono espedienti che non funzionano. “Chi beve di quest’acqua avrà sempre di nuovo sete”. Pensate, per esempio, a certi traguardi, a certi progetti che si fanno nella vita: quando li si realizza, lì per lì sembra d’aver soddisfatto ogni possibile aspirazione, ma poi ci s’accorge che l’attesa non si è affatto acquietata: perché? Perché era acqua di pozzo: “Chi beve di quest’acqua avrà sempre di nuovo sete”.
Anche nelle relazioni accade la stessa cosa, perfino in quella più forte di tutte che è la relazione tra uomo e donna: lì per lì sembra di toccare il cielo col dito... ma poi, col passar del tempo, ci s'accorge che il cielo è troppo alto per poterlo toccare col dito... ed è allora che - per certe coppie (non tutte per fortuna) - diventa vero quel proverbio che dice: <<Nell’amore si parte come incendiari e si finisce …pompieri>>. “Chi beve di quest’acqua avrà sempre di nuovo sete”. C'è chi si butta negli affari, guazza nel denaro fino al collo (i ricchi e gli straricchi cosa pensate che bevano quando hanno sete? Soldi o acqua?). Anche la ricchezza è una bevanda che non calma affatto la sete, e prima o poi arriva per ogni Paperon de paperoni il momento della verità. “Chi beve di quest’acqua avrà sempre di nuovo sete”. Perché è acqua di pozzo, acqua morta.
E cosa sarà allora quell’acqua viva di cui ci parla oggi Gesù? Rispondo a questa domanda con un'altra: perchè siamo venuti qui noi anche oggi? cosa ci attendiamo da questa Messa della Domenica? E' un incontro con il Signore, lo diciamo sempre; ma ci crediamo davvero che Lui è qui e ci sta aspettando, seduto come quel giorno la’ al pozzo di Giacobbe? Forse non ci attendiamo granché: “Ma sì, la solita messa... cosa devo aspettarmi di diverso, di più?”.
Certi cristiani ci vanno così… come clienti che frequentano sempre lo stesso bar, tanto che non si curano neanche più di specificare quello che vogliono; al barista dicono semplicemente: "Il solito"... Ecco, anche dalla messa della Domenica certuni si attendono semplicemente "il solito" (cioè poco, in sostanza). Un po' come quella donna che si era recata al solito pozzo, con la solita brocca, a fare il solito rifornimento d'acqua. Acqua di pozzo, appunto. Ma ecco che questa volta se ne torna a casa senza brocca e senza acqua, perchè non le interessa più. Ha scoperto una sorgente d'acqua viva, anzi: se la sente zampillare dentro... Infatti: "Chi beve la solita acqua di pozzo, avrà di nuovo sete... Ma chi beve l'acqua che io gli darò - afferma oggi Gesù - non avrà mai più sete; anzi, quell’acqua viva diventerà in lui sorgente che zampilla per la vita eterna...". Ecco cosa vuol darci il Signore. Non si limita a riempirci il solito secchio: è troppo poco. Vuol porre dentro la nostra vita la sorgente: vuole che ci zampilli nell’intimo, in modo da dissetare noi e anche chi si accosta a noi, senza paura che si prosciughi: zampillerà per la vita eterna.
Ma scendiamo al pratico, alla vita concreta: cosa sarà mai quest’acqua viva? Io credo di poter rispondere così: acqua viva è quella carica interiore che permette di fare le solite cose di sempre con un briciolo di passione, di entusiasmo; è quel senso vero della vita che non va e viene a seconda degli umori o delle stagioni, ma mi accompagna sempre... Non voglio usare troppe parole per dire che cos'è, perchè ho paura di sciupare invece che di spiegare. Anche perchè qui, fratelli, più che di spiegare si tratta di provare, fare l’esperienza: apriti davvero a Gesù Cristo, non andare da lui con un bicchiere o con una brocca soltanto; apriti totalmente a lui. E allora capirai da te cos'è quell'acqua viva, quella sorgente.
Un'ultima cosa devo aggiungere, ed è bella, consolante: quella sorgente c’è già nella nostra vita: sì, dal giorno del nostro Battesimo. Può darsi che poi gli eventi, certe scelte sbagliate, o comportamenti un po' superficiali, l'abbiano bloccata, ingorgata; può darsi che non la sentiamo più zampillare dentro, ma c'è: e con un po' di ascolto più assiduo della Parola di Gesù (il Vangelo), e soprattutto con un legame più cordiale con lui, siate certi che quella sorgente può tornare a zampillare. Per noi, e per altri: accanto e attorno a noi. Ogni giorno. Anche nelle stagioni di secca, quando la pioggia o la neve si fanno desiderare.
Le Letture Bibliche: Esodo 17,3-7; Romani 5,1-2.5-8; Giovanni 4,5-42
E’ proprio necessario trovarsi nel deserto per sapere quanto è preziosa l’acqua? Eravamo abituati ad averne in abbondanza, a usarne e anche ad abusarne, ma ecco che da un po’ di tempo a questa parte la secca, l’aridità si fa sentire anche da noi, con conseguenze che potrebbero diventare preoccupanti. In certe zone d’Italia l’acqua viene razionata, o arriva portata dalle autobotti. Anche la terra ne soffre, non sentiamo i suoi lamenti, ma li vediamo: in forma di polvere, o di piccole crepe che sembrano tante ferite aperte... Figuriamoci poi gli uomini: quanto a lamentarci, noi siamo imbattibili. "Dacci acqua da bere!" - grida a Mosè quel popolo che fugge dall’oppressione dell’Egitto e si avventura nel deserto... Figuriamoci se non si prova la sete nel deserto! "Ci hai portato qui per farci morire di sete?!" Urlano a Mose’. Insomma, brutta piaga la sete, l’arsura.
Anche Gesù l'ha provata: "...stanco del viaggio - era verso mezzogiorno - sedette al pozzo di Giacobbe: Donna, dammi da bere!". Che strana questa richiesta! Ma non è il Figlio di Dio Gesù? E Dio non è colui che dà? Come mai qui è un povero assetato che chiede? “Donna, dammi da bere, per favore!”. Assetato come un mendicante è quel Gesù, che ha tutto da dare perché è Figlio di Dio… Ed era vera sete la sua, come quella che proverà sulla croce; lì lo dirà con un ultimo sospiro: "Ho sete!". Sete drammatica come la sete della terra, come la sete di tanti bambini, donne, uomini su questa faccia della terra (esclusi noi, al momento, perchè non sappiamo ancora cos’è la sete vera!).
Ma perchè mai Lui, Figlio di Dio, è venuto in questo mondo a provare tutto, anche la sete? E poi, è solo bisogno di acqua, o è sete di qualcos'altro? Nei primi tempi del cristianesimo, a quelli che si stavano preparando al Battesimo si diceva così: “Gesù Cristo ha sete ... di voi. Desidera a tal punto darvi vita e salvezza che questo desiderio è come un'arsura per lui”. Ed è proprio quello che dice a quella donna samaritana: "Io ti chiedo da bere (un po' d'acqua del pozzo), ma posso darti un'acqua di sorgente che tu neanche te l'immagini... "Se conoscessi questo dono di Dio... tu stessa me l'avresti chiesto, e io potrei darti acqua viva".
Sete e acqua, a questo punto, diventano simbolo di un’esigenza ben più atroce dell’arsura,… e di una risposta, di una soddisfazione, che non bagna soltanto la bocca o la gola. In realtà, siamo tutti divorati da questa sete… La civiltà dei consumi (che cerca di sopravvivere anche in questi tempi di crisi economica) l’aveva ben capito. Ci si illudeva - e molti s’illudono ancora - di poterla soddisfare con dei surrogati. Il miraggio del benessere individuale, del successo a qualsiasi prezzo, l‘illusione dii realizzarsi nella vita passando per tutte le esperienze possibili… ebbene, no: sono espedienti che non funzionano. “Chi beve di quest’acqua avrà sempre di nuovo sete”. Pensate, per esempio, a certi traguardi, a certi progetti che si fanno nella vita: quando li si realizza, lì per lì sembra d’aver soddisfatto ogni possibile aspirazione, ma poi ci s’accorge che l’attesa non si è affatto acquietata: perché? Perché era acqua di pozzo: “Chi beve di quest’acqua avrà sempre di nuovo sete”.
Anche nelle relazioni accade la stessa cosa, perfino in quella più forte di tutte che è la relazione tra uomo e donna: lì per lì sembra di toccare il cielo col dito... ma poi, col passar del tempo, ci s'accorge che il cielo è troppo alto per poterlo toccare col dito... ed è allora che - per certe coppie (non tutte per fortuna) - diventa vero quel proverbio che dice: <<Nell’amore si parte come incendiari e si finisce …pompieri>>. “Chi beve di quest’acqua avrà sempre di nuovo sete”. C'è chi si butta negli affari, guazza nel denaro fino al collo (i ricchi e gli straricchi cosa pensate che bevano quando hanno sete? Soldi o acqua?). Anche la ricchezza è una bevanda che non calma affatto la sete, e prima o poi arriva per ogni Paperon de paperoni il momento della verità. “Chi beve di quest’acqua avrà sempre di nuovo sete”. Perché è acqua di pozzo, acqua morta.
E cosa sarà allora quell’acqua viva di cui ci parla oggi Gesù? Rispondo a questa domanda con un'altra: perchè siamo venuti qui noi anche oggi? cosa ci attendiamo da questa Messa della Domenica? E' un incontro con il Signore, lo diciamo sempre; ma ci crediamo davvero che Lui è qui e ci sta aspettando, seduto come quel giorno la’ al pozzo di Giacobbe? Forse non ci attendiamo granché: “Ma sì, la solita messa... cosa devo aspettarmi di diverso, di più?”.
Certi cristiani ci vanno così… come clienti che frequentano sempre lo stesso bar, tanto che non si curano neanche più di specificare quello che vogliono; al barista dicono semplicemente: "Il solito"... Ecco, anche dalla messa della Domenica certuni si attendono semplicemente "il solito" (cioè poco, in sostanza). Un po' come quella donna che si era recata al solito pozzo, con la solita brocca, a fare il solito rifornimento d'acqua. Acqua di pozzo, appunto. Ma ecco che questa volta se ne torna a casa senza brocca e senza acqua, perchè non le interessa più. Ha scoperto una sorgente d'acqua viva, anzi: se la sente zampillare dentro... Infatti: "Chi beve la solita acqua di pozzo, avrà di nuovo sete... Ma chi beve l'acqua che io gli darò - afferma oggi Gesù - non avrà mai più sete; anzi, quell’acqua viva diventerà in lui sorgente che zampilla per la vita eterna...". Ecco cosa vuol darci il Signore. Non si limita a riempirci il solito secchio: è troppo poco. Vuol porre dentro la nostra vita la sorgente: vuole che ci zampilli nell’intimo, in modo da dissetare noi e anche chi si accosta a noi, senza paura che si prosciughi: zampillerà per la vita eterna.
Ma scendiamo al pratico, alla vita concreta: cosa sarà mai quest’acqua viva? Io credo di poter rispondere così: acqua viva è quella carica interiore che permette di fare le solite cose di sempre con un briciolo di passione, di entusiasmo; è quel senso vero della vita che non va e viene a seconda degli umori o delle stagioni, ma mi accompagna sempre... Non voglio usare troppe parole per dire che cos'è, perchè ho paura di sciupare invece che di spiegare. Anche perchè qui, fratelli, più che di spiegare si tratta di provare, fare l’esperienza: apriti davvero a Gesù Cristo, non andare da lui con un bicchiere o con una brocca soltanto; apriti totalmente a lui. E allora capirai da te cos'è quell'acqua viva, quella sorgente.
Un'ultima cosa devo aggiungere, ed è bella, consolante: quella sorgente c’è già nella nostra vita: sì, dal giorno del nostro Battesimo. Può darsi che poi gli eventi, certe scelte sbagliate, o comportamenti un po' superficiali, l'abbiano bloccata, ingorgata; può darsi che non la sentiamo più zampillare dentro, ma c'è: e con un po' di ascolto più assiduo della Parola di Gesù (il Vangelo), e soprattutto con un legame più cordiale con lui, siate certi che quella sorgente può tornare a zampillare. Per noi, e per altri: accanto e attorno a noi. Ogni giorno. Anche nelle stagioni di secca, quando la pioggia o la neve si fanno desiderare.
Domenica 5 Marzo - II° di Quaresima
Le Letture Bibliche: Genesi 12,1-4; 2Timoteo 1,8-10; Matteo 17,1-9
Ormai è un dato di fatto, un fenomeno che non è neanche più un fenomeno: soprattutto nelle città, ma anche nei paesi, capita spesso di vedere persone di colore: neri soprattutto, gialli cioè asiatici dell’Est, altri di pelle bruna provenienti dai Paesi del Centro America… “Gente di colore” li definiamo, ma la definizione forse non è molto esatta. Lèopold Senghor, oltre che presidente del Senegal, era anche poeta e ha lasciato – a noi europei – questa provocazione:
Caro fratello bianco, quando sono nato io ero nero,
quando sono cresciuto ero nero, quando sto al sole, sono nero.
Quando sono malato, sono nero, quando morirò sarò nero.
Mentre tu, fratello bianco, quando sei nato eri rosa,
quando sei cresciuto eri bianco,
quando vai al sole diventi rosso,
quando hai freddo sei blu,
quando ti arrabbi sei verde,
quando sei malato sembri giallo,
quando morirai sarai grigio.
Allora, tra noi due, chi è l’uomo di colore?
Noi siamo… bianchi (almeno così si è sempre pensato). E perché ci diciamo bianchi? Sullo sfondo del Vangelo che abbiamo appena ascoltato mi prende un dubbio: non è che siamo bianchi perché siamo un po’ …sbiaditi? Voi sapete cosa vuol dire “sbiadito”: una cosa che era colorata, dopo un certo tempo sbiadisce… perde colore. Non è che noi bianchi – noi cristiani da tanto tempo – stiamo diventando un po’ …sbiaditi?
Il motivo è presto detto: un vestito, quando perde colore, sbiadisce, e allora la persona che lo indossa non si distingue più in mezzo alla folla…Oh non c’è mica pericolo che andiamo in giro con vestiti sbiaditi eh! siamo molto attenti a sostituirli con dei nuovi. Ma rischiamo di restare sbiaditi lo stesso, perché è dentro il nostro sbiadimento, non fuori… e siccome ciò che è dentro traspare dai nostri volti, dalle nostre facce, ecco che allora si vedono persone dall’abbigliamento molto vivace, ma dall’anima sbiadita e un po’ invecchiata… Oh, non invecchiata per gli anni; certe anime di anni ne hanno 90 e più eppure non sono affatto sbiadite… altre invece sono sbiadite già a 20 anni …
Ognuno poi cerca di metterci ripiego come può… Alcuni con lo sport, vanno a sciare per esempio: sciando in questi giorni in montagna si prendono delle bellissime abbronzature… Altri, poi, le abbronzature le vanno a prendere al mare, anche d’inverno, sulle spiagge da sogno dei paesi tropicali… Sì, solo che la pelle si abbronza, ma l’anima resta sempre sbiadita.
Un missionario che si trova in uno di quei paesi dove i bianchi vanno a passare le loro vacanze “da sogno”, racconta che in una cappella della sua missione, povera e sgangherata ma nella quale c’era il tabernacolo con il Santissimo, vedeva entrare puntuale tutte le mattine una persona di colore, piuttosto avanti con l'età. Tutte le mattine stava lì di fronte al tabernacolo per un'ora, seduta e con gli occhi socchiusi. Poi si alzava e se ne andava, per tornare puntuale il giorno dopo. Un giorno il missionario chiese: «Cosa vieni a fare qui tutte le mattine?”. E quello rispose: “Più o meno quello che fate voi bianchi quando vi stendete al sole lungo la costa del mare. Voi volete colorare di scuro la vostra pelle, io voglio che quel Sole lì – e indicava il Signore nel tabernacolo – possa colorare la mia anima».
Eh, sì fratelli: noi rischiamo proprio di coltivare colori di facciata e di ritrovarci invece con delle anime sbiadite.
Ma, in concreto, cosa vorrà dire “essere sbiaditi dentro”, ritrovarsi un’anima sbiadita? Ah, i segnali, i sintomi sono subito evidenti. Se alla persona chi si accosta a me con l’angoscia nel cuore non riesco a dare una scintilla di fiducia, un pizzico di speranza, vuol dire che ho proprio un’anima sbiadita.
Se in famiglia sono costretto a ricorrere sempre a qualche espediente per portare una ventata di entusiasmo, vuol dire che ho davvero un’anima sbiadita.
Se il clima che si respira tra i miei amici o tra i miei colleghi di lavoro è quello della banalità e del pessimismo, e io so soltanto appesantirlo ancora di più con la mia presenza o con le mie battute, ahimè, è proprio un cek-up all’anima che devo fare con urgenza: ce l’ho davvero sbiadita!
Starebbe bene su tutti i negozi di abbigliamento questa scritta: “vestiti vivaci per anime sbiadite”. In questi tempi di prezzi alle stelle forse potrebbe attrarre clienti… Sì, è una battuta, d’accordo, ma aldilà della battuta, fratelli, c’è una realtà che è piuttosto drammatica. No, noi credenti non possiamo permetterci di essere individui sbiaditi in questo mondo di oggi, in questa società del nostro tempo.
Noi siamo al mondo come una benedizione: ecco la nostra dignità, il nostro compito. Una benedizione possiamo, e quindi dobbiamo essere. Abbiamo risentito poco fa’ la storia di Abramo, il primo credente, la sua chiamata da parte di Dio. “Vattene dalla tua terra… va’ dove io ti indicherò – gli dice – Tu sarai per tutti quelli che ti incontrano una benedizione!”. Era come dire: “la tua presenza sarà un dono per loro…tu porterai un po’ di luce là dove è buio… porterai consolazione là dove si soffre… e sapore là dove tutto è monotonia e grigiore…”. Ecco cosa vuol dire “sarai una benedizione!”. E Abramo partì, in obbedienza a quella Parola.
Oh, non dipende mica da noi sapete dare entusiasmo, carica, fiducia agli altri: se non ce l’abbiamo neanche noi (se siamo sbiaditi – dicevo) cosa volete che possiamo dare? Dipende dalla Parola di Dio (se l’accogliamo e ce la prendiamo a cuore): “Abramo partì, come gli aveva detto il Signore”.
Su quel monte, dove Gesù oggi si trasfigura e lascia trasparire tutta la luce di cui è strapiena la sua persona, qual è l’invito per noi? “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”. “Se ascolterete la sua parola, diventerete simili a lui: una benedizione!”. E’ Dio, il Padre nostro, a parlare così. Altro che individui dall’anima sbiadita e senza colore…
Fratelli: diamo modo a Dio, a Gesù, di renderci un po’ più luminosi, più “saporosi” …direi, cioè persone che fanno star bene con la loro semplice presenza… Diamo modo a Dio di trasformarci in “benedizione”: per le nostre famiglie, i nostri vicini, per gli ambienti dove viviamo e lavoriamo tutti i giorni… A lato pratico cosa vuol dire? La risposta è in quella vicenda riferita dal missionario che vi raccontavo poco fa’: impariamo a sostare davanti al Signore un po’ più spesso, e senza fretta… Meno corse, meno chiacchiere con la gente… e qualche momento di più con il Signore…
Quando passiamo davanti a una chiesa, entriamo e sostiamo davanti al tabernacolo… Non pensate che sia altrettanto importante quanto andare alla cooperativa, o al bar, o al fermarsi per strada a chiacchierare a lungo con una persona amica? E se non è la chiesa può essere quel programma televisivo che ti offre una Parola del Signore ogni giorno, o quel Vangelo che dovrebbe avere un posto d’onore in casa tua… E’ così che si riprende colore, fratelli, e si diventa una benedizione… Se no, col solo correre e basta, si diventa sbiaditi. Che ci stiamo a fare a questo mondo… se ci ritroviamo sbiaditi?
Dio, il Signore, può ridarci colore e sapore sempre: aspetta solo che noi gliene diamo l’occasione.
Le Letture Bibliche: Genesi 12,1-4; 2Timoteo 1,8-10; Matteo 17,1-9
Ormai è un dato di fatto, un fenomeno che non è neanche più un fenomeno: soprattutto nelle città, ma anche nei paesi, capita spesso di vedere persone di colore: neri soprattutto, gialli cioè asiatici dell’Est, altri di pelle bruna provenienti dai Paesi del Centro America… “Gente di colore” li definiamo, ma la definizione forse non è molto esatta. Lèopold Senghor, oltre che presidente del Senegal, era anche poeta e ha lasciato – a noi europei – questa provocazione:
Caro fratello bianco, quando sono nato io ero nero,
quando sono cresciuto ero nero, quando sto al sole, sono nero.
Quando sono malato, sono nero, quando morirò sarò nero.
Mentre tu, fratello bianco, quando sei nato eri rosa,
quando sei cresciuto eri bianco,
quando vai al sole diventi rosso,
quando hai freddo sei blu,
quando ti arrabbi sei verde,
quando sei malato sembri giallo,
quando morirai sarai grigio.
Allora, tra noi due, chi è l’uomo di colore?
Noi siamo… bianchi (almeno così si è sempre pensato). E perché ci diciamo bianchi? Sullo sfondo del Vangelo che abbiamo appena ascoltato mi prende un dubbio: non è che siamo bianchi perché siamo un po’ …sbiaditi? Voi sapete cosa vuol dire “sbiadito”: una cosa che era colorata, dopo un certo tempo sbiadisce… perde colore. Non è che noi bianchi – noi cristiani da tanto tempo – stiamo diventando un po’ …sbiaditi?
Il motivo è presto detto: un vestito, quando perde colore, sbiadisce, e allora la persona che lo indossa non si distingue più in mezzo alla folla…Oh non c’è mica pericolo che andiamo in giro con vestiti sbiaditi eh! siamo molto attenti a sostituirli con dei nuovi. Ma rischiamo di restare sbiaditi lo stesso, perché è dentro il nostro sbiadimento, non fuori… e siccome ciò che è dentro traspare dai nostri volti, dalle nostre facce, ecco che allora si vedono persone dall’abbigliamento molto vivace, ma dall’anima sbiadita e un po’ invecchiata… Oh, non invecchiata per gli anni; certe anime di anni ne hanno 90 e più eppure non sono affatto sbiadite… altre invece sono sbiadite già a 20 anni …
Ognuno poi cerca di metterci ripiego come può… Alcuni con lo sport, vanno a sciare per esempio: sciando in questi giorni in montagna si prendono delle bellissime abbronzature… Altri, poi, le abbronzature le vanno a prendere al mare, anche d’inverno, sulle spiagge da sogno dei paesi tropicali… Sì, solo che la pelle si abbronza, ma l’anima resta sempre sbiadita.
Un missionario che si trova in uno di quei paesi dove i bianchi vanno a passare le loro vacanze “da sogno”, racconta che in una cappella della sua missione, povera e sgangherata ma nella quale c’era il tabernacolo con il Santissimo, vedeva entrare puntuale tutte le mattine una persona di colore, piuttosto avanti con l'età. Tutte le mattine stava lì di fronte al tabernacolo per un'ora, seduta e con gli occhi socchiusi. Poi si alzava e se ne andava, per tornare puntuale il giorno dopo. Un giorno il missionario chiese: «Cosa vieni a fare qui tutte le mattine?”. E quello rispose: “Più o meno quello che fate voi bianchi quando vi stendete al sole lungo la costa del mare. Voi volete colorare di scuro la vostra pelle, io voglio che quel Sole lì – e indicava il Signore nel tabernacolo – possa colorare la mia anima».
Eh, sì fratelli: noi rischiamo proprio di coltivare colori di facciata e di ritrovarci invece con delle anime sbiadite.
Ma, in concreto, cosa vorrà dire “essere sbiaditi dentro”, ritrovarsi un’anima sbiadita? Ah, i segnali, i sintomi sono subito evidenti. Se alla persona chi si accosta a me con l’angoscia nel cuore non riesco a dare una scintilla di fiducia, un pizzico di speranza, vuol dire che ho proprio un’anima sbiadita.
Se in famiglia sono costretto a ricorrere sempre a qualche espediente per portare una ventata di entusiasmo, vuol dire che ho davvero un’anima sbiadita.
Se il clima che si respira tra i miei amici o tra i miei colleghi di lavoro è quello della banalità e del pessimismo, e io so soltanto appesantirlo ancora di più con la mia presenza o con le mie battute, ahimè, è proprio un cek-up all’anima che devo fare con urgenza: ce l’ho davvero sbiadita!
Starebbe bene su tutti i negozi di abbigliamento questa scritta: “vestiti vivaci per anime sbiadite”. In questi tempi di prezzi alle stelle forse potrebbe attrarre clienti… Sì, è una battuta, d’accordo, ma aldilà della battuta, fratelli, c’è una realtà che è piuttosto drammatica. No, noi credenti non possiamo permetterci di essere individui sbiaditi in questo mondo di oggi, in questa società del nostro tempo.
Noi siamo al mondo come una benedizione: ecco la nostra dignità, il nostro compito. Una benedizione possiamo, e quindi dobbiamo essere. Abbiamo risentito poco fa’ la storia di Abramo, il primo credente, la sua chiamata da parte di Dio. “Vattene dalla tua terra… va’ dove io ti indicherò – gli dice – Tu sarai per tutti quelli che ti incontrano una benedizione!”. Era come dire: “la tua presenza sarà un dono per loro…tu porterai un po’ di luce là dove è buio… porterai consolazione là dove si soffre… e sapore là dove tutto è monotonia e grigiore…”. Ecco cosa vuol dire “sarai una benedizione!”. E Abramo partì, in obbedienza a quella Parola.
Oh, non dipende mica da noi sapete dare entusiasmo, carica, fiducia agli altri: se non ce l’abbiamo neanche noi (se siamo sbiaditi – dicevo) cosa volete che possiamo dare? Dipende dalla Parola di Dio (se l’accogliamo e ce la prendiamo a cuore): “Abramo partì, come gli aveva detto il Signore”.
Su quel monte, dove Gesù oggi si trasfigura e lascia trasparire tutta la luce di cui è strapiena la sua persona, qual è l’invito per noi? “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”. “Se ascolterete la sua parola, diventerete simili a lui: una benedizione!”. E’ Dio, il Padre nostro, a parlare così. Altro che individui dall’anima sbiadita e senza colore…
Fratelli: diamo modo a Dio, a Gesù, di renderci un po’ più luminosi, più “saporosi” …direi, cioè persone che fanno star bene con la loro semplice presenza… Diamo modo a Dio di trasformarci in “benedizione”: per le nostre famiglie, i nostri vicini, per gli ambienti dove viviamo e lavoriamo tutti i giorni… A lato pratico cosa vuol dire? La risposta è in quella vicenda riferita dal missionario che vi raccontavo poco fa’: impariamo a sostare davanti al Signore un po’ più spesso, e senza fretta… Meno corse, meno chiacchiere con la gente… e qualche momento di più con il Signore…
Quando passiamo davanti a una chiesa, entriamo e sostiamo davanti al tabernacolo… Non pensate che sia altrettanto importante quanto andare alla cooperativa, o al bar, o al fermarsi per strada a chiacchierare a lungo con una persona amica? E se non è la chiesa può essere quel programma televisivo che ti offre una Parola del Signore ogni giorno, o quel Vangelo che dovrebbe avere un posto d’onore in casa tua… E’ così che si riprende colore, fratelli, e si diventa una benedizione… Se no, col solo correre e basta, si diventa sbiaditi. Che ci stiamo a fare a questo mondo… se ci ritroviamo sbiaditi?
Dio, il Signore, può ridarci colore e sapore sempre: aspetta solo che noi gliene diamo l’occasione.
Domenica 26 Febbraio - I° di Quaresima
Le Letture Bibliche: Genesi 2,7-9;3,1-7; Romani 5,12.17-19; Matteo 4,1-11
Ogni volta che inizia la Quaresima ritorna il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto. Al che io mi chiedo: ma... noi, uomini e donne di oggi, sappiamo cosa sono le tentazioni? abbiamo esperienza di tentazioni? L’impressione è che molti non sappiano nemmeno cosa siano. Le avranno superate? Saranno diventati più forti del tentatore (il diavolo)? Oppure gli hanno aperto porte e finestre, tanto che può entrare e uscire liberamente come gli pare e piace? Poi, se per caso si parla di diavolo, sorridono e dicono: poveri ingenui! ma voi credete ancora al diavolo?
"Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto": era la prima lettura di poco fa’. Chi l’ha scritta non era un ingenuo. L'astuzia è la prima dote del diavolo: far credere alla gente che lui non c'è, che è un'invenzione da Medioevo: ecco la sua astuzia, la sua specialità.
Ma poi cosa vuol dire… sentire, provare una tentazione? E’ un po' come il sentir male. Sentir male non piace a nessuno, è chiaro; ma, attenzione, sentir male può voler dire due cose: o che si sta bene e non ci sono problemi; oppure che si è così gravemente malati da aver perso ogni sensibilità: in coma insomma; malati a tal punto che l'organismo ha perso coscienza... Non sentire più il male (quando c’è) è ben peggio che sentirlo e doverne soffrire. Ebbene, ho l'impressione che - per quanto riguarda la coscienza - oggi sia molto diffuso uno stato… comatoso, cioè di perdita di coscienza. Voi direte: “Ma no! tu sei pessimista... Una coscienza ce l'hanno tutti... Le cose non stanno così come dici”... Beh, che tutti ce l'abbiano, sì - il limite semmai è che ognuno ha la sua (noi diciamo: ognuno ha la sua testa... ma spesso vogliamo dire: ha una coscienza fatta a modo suo, cioè a suo uso e consumo); e si allarga e si restringe come una fisarmonica a seconda di ciò che gli fa comodo... E’ allora che uno ragiona e dice: “Rubare è male, se mi prendono... ma se la faccio franca, no: ci guadagno!”. E un altro invece pensa: “Sì, io ascolto tutti… perché è buona educazione, ma poi… quella che conta è la mia idea, e nessuno me la toglie!”.
Il mitico racconto dell'uomo e della donna nel giardino dell'Eden (il cosiddetto paradiso terrestre) era la prima lettura di oggi. Di tanto in tanto lo risentiamo (anche se lo conosciamo già) perché… sì, è entrato nel nostro cervello, ma forse non è mai passato nella nostra condotta… Magari ci facciamo su le barzellette, ma non lo prendiamo come uno specchio in cui osservare noi stessi e i nostri comportamenti. Cosa insinua quel mitico racconto? L'eterna tentazione di ogni persona, che consiste nel voler disporre della propria vita senza tener conto di colui che gliel’ha donata, cioè Dio, anzi voltandogli decisamente le spalle. Perchè si sospetta che Dio con i suoi comandamenti (fa’ questo - non fare quello...) sarebbe nemico della nostra libertà, geloso della nostra autonomia personale; quindi: meglio far senza di Lui, così finalmente si sarebbe liberi... Ecco la tentazione.
“Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male”. Sono immagini mitiche, simboli, perché di certi argomenti importanti e vitali, si può parlare solo così. E cosa si vuol dire? Che Dio, per amore, ci ha dato tutto e di più perché la nostra vita sia un’esperienza il più possibile bella e riuscita.
“Ma l’albero della conoscenza del bene e del male, no: non dovete mangiare dei suoi frutti”. E perché no? Forse che Dio è geloso di quei frutti? No, tutt’altro. Piuttosto (ecco il messaggio), lasciate che sia Dio a indicarvi cosa è bene e cosa è male: la vita per voi è un’avventura nuova, ed è anche l’unica: è da stupidi voler stabilire da sé cosa è bene e cosa no, col rischio di rovinarla! Per dirla con un esempio più familiare alla nostra esperienza, è un po’ come alla scuola guida: si sa che una volta ottenuta la patente si può guidare su tutte le strade carrozzabili… Sì ma attenzione, c’è un divieto di cui è molto saggio tener conto: non viaggiare a sinistra… se non si vuol provocare incidenti, a se stessi e ad altri!
Ebbene, potrà sembrare banale, ma il divieto di mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male assomiglia molto a questa regola del codice della strada. Qualcuno potrebbe obiettare a Dio: Ma allora perché ce l’hai messo quell’albero, se poi non possiamo mangiarne? (Domanda un po’ sciocca, perché sarebbe come chiedere: perché mai sulle strade c’è la destra e la sinistra? non bastava la destra?). Ma Dio ci risponderebbe: “Perché vi voglio liberi. Non burattini o marionette… Liberi, a mia immagine e somiglianza! Liberi anche di rifiutarmi fiducia e voltarmi le spalle… Liberi perché solo nella libertà ci può essere amore, intesa e armonia”.
Quei due del giardino dell’Eden la fiducia al Signore l’hanno negata; con quale conseguenza? "Si accorsero di essere nudi". Eh, ce n'è tanta anche al giorno d'oggi gente povera e nuda così...
Anche Gesù è stato tentato. Da quell’esperto in astuzia che è il diavolo. Tentato di avere, avere, avere per consumare (pane da mangiare...e tutto il resto)... tentato di avere successo facile, carriera a qualsiasi prezzo; tentato di avere potere, voltando le spalle a Dio: ecco le sue tentazioni. Oh, ma non solo sue: queste sono le vere tentazioni d’ogni uomo e d’ogni donna. Se per caso non le provassimo più sarebbe segno che ci troviamo in quello stato comatoso nel quale non si sente più niente. Ed ecco allora che la Quaresima è qui apposta per provocarci a uscire da quel coma. Ce lo impongono anche le situazioni precarie e problematiche di questo mondo d’oggi: che ci sia pace e giustizia e futuro vivibile per tutti non dipende solo o anzitutto da chi sta in alto e governa: non sono le decisioni dall’alto che rendono migliore il mondo; solo i cambiamenti dal basso possono avere questo effetto, e noi cristiani siamo più responsabili di tutti in questo senso. Dire o pensare “io non c’entro con l’andazzo di questo mondo” per noi è peccato, è scaricare la nostra responsabilità.
Che fare allora per non sprecare il dono prezioso di questa Quaresima? Dare spazio alla Parola di Dio, fratelli. Se Gesù supera ogni tentazione è per la forza che gli viene dalla Parola di Dio: la conosce, la ama, è l’arma con la quale sconfigge il Maligno.
E dal momento che entrare nella Quaresima da veri cristiani è sempre un’avventura, val la pena scambiarsi anche un augurio, un po’ strano se volete, ma molto realistico: che possiamo sentire le tentazioni, provarle… come le ha provate Gesù, perché se così non fosse vorrebbe dire che come cristiani siamo davvero in coma. Ma l’augurio va oltre: con tutti i mezzi, gli strumenti, le opportunità che ormai abbiamo per ascoltarla, che non passi giorno senza che ci nutriamo di parola di Dio (così come non passa giorno senza che mettiamo qualcosa nello stomaco).
Perché resta vero anche ai nostri giorni: “Non di solo pane si vive, ma di ogni parola che viene dal Signore”.
Le Letture Bibliche: Genesi 2,7-9;3,1-7; Romani 5,12.17-19; Matteo 4,1-11
Ogni volta che inizia la Quaresima ritorna il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto. Al che io mi chiedo: ma... noi, uomini e donne di oggi, sappiamo cosa sono le tentazioni? abbiamo esperienza di tentazioni? L’impressione è che molti non sappiano nemmeno cosa siano. Le avranno superate? Saranno diventati più forti del tentatore (il diavolo)? Oppure gli hanno aperto porte e finestre, tanto che può entrare e uscire liberamente come gli pare e piace? Poi, se per caso si parla di diavolo, sorridono e dicono: poveri ingenui! ma voi credete ancora al diavolo?
"Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto": era la prima lettura di poco fa’. Chi l’ha scritta non era un ingenuo. L'astuzia è la prima dote del diavolo: far credere alla gente che lui non c'è, che è un'invenzione da Medioevo: ecco la sua astuzia, la sua specialità.
Ma poi cosa vuol dire… sentire, provare una tentazione? E’ un po' come il sentir male. Sentir male non piace a nessuno, è chiaro; ma, attenzione, sentir male può voler dire due cose: o che si sta bene e non ci sono problemi; oppure che si è così gravemente malati da aver perso ogni sensibilità: in coma insomma; malati a tal punto che l'organismo ha perso coscienza... Non sentire più il male (quando c’è) è ben peggio che sentirlo e doverne soffrire. Ebbene, ho l'impressione che - per quanto riguarda la coscienza - oggi sia molto diffuso uno stato… comatoso, cioè di perdita di coscienza. Voi direte: “Ma no! tu sei pessimista... Una coscienza ce l'hanno tutti... Le cose non stanno così come dici”... Beh, che tutti ce l'abbiano, sì - il limite semmai è che ognuno ha la sua (noi diciamo: ognuno ha la sua testa... ma spesso vogliamo dire: ha una coscienza fatta a modo suo, cioè a suo uso e consumo); e si allarga e si restringe come una fisarmonica a seconda di ciò che gli fa comodo... E’ allora che uno ragiona e dice: “Rubare è male, se mi prendono... ma se la faccio franca, no: ci guadagno!”. E un altro invece pensa: “Sì, io ascolto tutti… perché è buona educazione, ma poi… quella che conta è la mia idea, e nessuno me la toglie!”.
Il mitico racconto dell'uomo e della donna nel giardino dell'Eden (il cosiddetto paradiso terrestre) era la prima lettura di oggi. Di tanto in tanto lo risentiamo (anche se lo conosciamo già) perché… sì, è entrato nel nostro cervello, ma forse non è mai passato nella nostra condotta… Magari ci facciamo su le barzellette, ma non lo prendiamo come uno specchio in cui osservare noi stessi e i nostri comportamenti. Cosa insinua quel mitico racconto? L'eterna tentazione di ogni persona, che consiste nel voler disporre della propria vita senza tener conto di colui che gliel’ha donata, cioè Dio, anzi voltandogli decisamente le spalle. Perchè si sospetta che Dio con i suoi comandamenti (fa’ questo - non fare quello...) sarebbe nemico della nostra libertà, geloso della nostra autonomia personale; quindi: meglio far senza di Lui, così finalmente si sarebbe liberi... Ecco la tentazione.
“Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male”. Sono immagini mitiche, simboli, perché di certi argomenti importanti e vitali, si può parlare solo così. E cosa si vuol dire? Che Dio, per amore, ci ha dato tutto e di più perché la nostra vita sia un’esperienza il più possibile bella e riuscita.
“Ma l’albero della conoscenza del bene e del male, no: non dovete mangiare dei suoi frutti”. E perché no? Forse che Dio è geloso di quei frutti? No, tutt’altro. Piuttosto (ecco il messaggio), lasciate che sia Dio a indicarvi cosa è bene e cosa è male: la vita per voi è un’avventura nuova, ed è anche l’unica: è da stupidi voler stabilire da sé cosa è bene e cosa no, col rischio di rovinarla! Per dirla con un esempio più familiare alla nostra esperienza, è un po’ come alla scuola guida: si sa che una volta ottenuta la patente si può guidare su tutte le strade carrozzabili… Sì ma attenzione, c’è un divieto di cui è molto saggio tener conto: non viaggiare a sinistra… se non si vuol provocare incidenti, a se stessi e ad altri!
Ebbene, potrà sembrare banale, ma il divieto di mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male assomiglia molto a questa regola del codice della strada. Qualcuno potrebbe obiettare a Dio: Ma allora perché ce l’hai messo quell’albero, se poi non possiamo mangiarne? (Domanda un po’ sciocca, perché sarebbe come chiedere: perché mai sulle strade c’è la destra e la sinistra? non bastava la destra?). Ma Dio ci risponderebbe: “Perché vi voglio liberi. Non burattini o marionette… Liberi, a mia immagine e somiglianza! Liberi anche di rifiutarmi fiducia e voltarmi le spalle… Liberi perché solo nella libertà ci può essere amore, intesa e armonia”.
Quei due del giardino dell’Eden la fiducia al Signore l’hanno negata; con quale conseguenza? "Si accorsero di essere nudi". Eh, ce n'è tanta anche al giorno d'oggi gente povera e nuda così...
Anche Gesù è stato tentato. Da quell’esperto in astuzia che è il diavolo. Tentato di avere, avere, avere per consumare (pane da mangiare...e tutto il resto)... tentato di avere successo facile, carriera a qualsiasi prezzo; tentato di avere potere, voltando le spalle a Dio: ecco le sue tentazioni. Oh, ma non solo sue: queste sono le vere tentazioni d’ogni uomo e d’ogni donna. Se per caso non le provassimo più sarebbe segno che ci troviamo in quello stato comatoso nel quale non si sente più niente. Ed ecco allora che la Quaresima è qui apposta per provocarci a uscire da quel coma. Ce lo impongono anche le situazioni precarie e problematiche di questo mondo d’oggi: che ci sia pace e giustizia e futuro vivibile per tutti non dipende solo o anzitutto da chi sta in alto e governa: non sono le decisioni dall’alto che rendono migliore il mondo; solo i cambiamenti dal basso possono avere questo effetto, e noi cristiani siamo più responsabili di tutti in questo senso. Dire o pensare “io non c’entro con l’andazzo di questo mondo” per noi è peccato, è scaricare la nostra responsabilità.
Che fare allora per non sprecare il dono prezioso di questa Quaresima? Dare spazio alla Parola di Dio, fratelli. Se Gesù supera ogni tentazione è per la forza che gli viene dalla Parola di Dio: la conosce, la ama, è l’arma con la quale sconfigge il Maligno.
E dal momento che entrare nella Quaresima da veri cristiani è sempre un’avventura, val la pena scambiarsi anche un augurio, un po’ strano se volete, ma molto realistico: che possiamo sentire le tentazioni, provarle… come le ha provate Gesù, perché se così non fosse vorrebbe dire che come cristiani siamo davvero in coma. Ma l’augurio va oltre: con tutti i mezzi, gli strumenti, le opportunità che ormai abbiamo per ascoltarla, che non passi giorno senza che ci nutriamo di parola di Dio (così come non passa giorno senza che mettiamo qualcosa nello stomaco).
Perché resta vero anche ai nostri giorni: “Non di solo pane si vive, ma di ogni parola che viene dal Signore”.
***
Domenica 19 Febbraio -VII° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Levitico 19,1-2.17-18; 1Corinzi 3,16-23; Matteo 4,17; 5,1-2.38-48
Maggioranza e minoranza sono parole che sentiamo spesso di questi tempi… Tanto spesso che vorrei adoperarle anch’io per cominciare la mia predica con una domanda:
Noi i cristiani – in Trentino, in Italia, in Europa – siamo maggioranza o siamo minoranza? Beh, con particolare esattezza solo Dio lo sa, solo lui vede nell’intimo. Ma in base a quello che si dice, sì… siamo maggioranza, però alla prova dei fatti (cioè, se si guarda la condotta, il modo di comportarsi, la vita) non c’è dubbio che siano ormai minoranza. Più di qualcuno, specialmente tra gli anziani, è dispiaciuto di questo, e magari rimpiange con nostalgia i tempi del passato… Questo è comprensibile: essere pochi invece che tanti non risulta simpatico o piacevole a nessuno.
Tuttavia, se ci teniamo ad essere comunque cristiani (nonostante i nostri limiti e difetti), non possiamo fermarci al dispiacere, alla nostalgia del passato. Dobbiamo chiederci: perché accade questo? Perché il Signore Dio – Lui che guida la storia – avrà permesso che diventiamo minoranza?
Forse per darci l’opportunità di tornare ad essere veri, coerenti, più in sintonia con il vangelo. Forse è anche nella logica del vangelo che i cristiani – i veri cristiani – siano minoranza: ricordate cosa ci ha detto il Signore nel vangelo qualche domenica fa’? “Voi siete il sale della terra” ci ha detto. Ora tutti sappiamo che di sale nei cibi ne basta un pizzico… Se in una famiglia si fa mezzo chilo di pastasciutta, mica ci si mette mezzo chilo di sale! No. Un pizzico. Che c’è di strano allora se i cristiani diventano minoranza? Forse è l’occasione opportuna per diventare davvero sale che dà sapore.
Certo che però… meno siamo, e più è come essere in vetrina. Il mondo, la società, pretendono da noi cristiani più di quello che pretendono da chi cristiano non è … Se certe malefatte siamo noi a combinarle, fanno più rumore, più scandalo che se fossero fatte da altri. “Hai visto cos’ha fatto quello lì? Hai sentito cos’ha combinato? E il bello è che frequenta la chiesa mtutte le domeniche!”. Beh, dobbiamo dire che a volte lo fa anche per interesse chi parla così: lui magari ne combina anche di più grosse, ma il puntare il dito sul cattivo comportamento dei cristiani ha l’effetto di nascondere le sue malefatte, e indirizzare l’attenzione su quelle degli altri – in tal modo lui può continuare ad agire indisturbato.
Ciononostante, il mondo, la società, i nostri vicini, hanno ragione di aspettarsi dai cristiani un comportamento diverso. E il vangelo di queste Domeniche, ce lo conferma con tutta una serie di paradossi che si susseguono uno dopo l’altro: “In passato (nella storia degli Ebrei) la legge diceva: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico – afferma Gesù: no, non rispondete con il male a chi vi fa del male… Se una nvolta si insegnava: Ama il tuo prossimo ma odia il tuo nemico. Ebbene no, io vi dico: amate i vostri nemici…”. Insomma: siete o non siete diversi dagli altri? allora comportatevi anche diversamente.
“Diversi” nel linguaggio della Bibbia si dice “santi”. Sì, fratelli, “santi” non vuol dire avere un cerchio attorno alla testa e qualche candelina accesa davanti; vuol dire essere diversi, com’è diverso Gesù, com’è diverso il Padre nostro che ci dà vita e ci ama anche se gli voltiamo le spalle… Proprio oggi ci diceva (era la prima lettura): “Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo!”. Erano i tempi di Mosè quelli in cui parlava così. Più di mille anni dopo, Gesù dice: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. Era la conclusione del vangelo di oggi. Se avesse detto: “Siate perfetti come Dio”, beh… avremmo potuto rispondergli: Ma dai…Gesù! Ma come possiamo noi essere perfetti come Dio?”. No, dice invece: “Siate perfetti come il Padre vostro dei cieli”; eh, qui non ci sono scuse, cari miei, perché un figlio è naturale che assomigli al suo papà, che guardi al suo papà e cerchi di imitarlo: è del tutto naturale. E quella perfezione che Gesù ci indica di che cosa è fatta? di comprensione verso tutti, di umanità, di perdono a chi ci offende … perché questa è la perfezione del Padre nostro: lui fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni, senza parzialità, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, senza differenze: perché? Perché tutti sono suoi figli.
Sì, lo sappiamo: da che mondo è mondo è ovvio rendere male per male, rispondere a chi ci offende con un’offesa più grande, e così la terra si sporca di sangue sempre fresco, sempre di quel solito colore rosso, vecchio quanto è vecchio il mondo (non è quello che sta accadendo anche ai nostri giorn?). “Ma io vi dico: (qui è Gesù che parla) no, non rispondere alla cattiveria con la cattiveria. Io ho cominciato con voi una storia diversa, nuova, pulita. Voi continuatela. Proseguire con quella storia buona”.
Amare le persone care, gli amici, questo è normale: “non occorre mica essere cristiani per farlo” ci ricorda Gesù. Le regole di buona educazione, o di buon vicinato, le conoscono tutte le persone civili. Ma il Vangelo va oltre iol galateo… è molto di più: quel di più che è come il sale nei cibi e come la luce di notte. Quel “di più” che Dio stesso ha pagato in prima persona. Ma pensate un po’: Dio poteva dire agli uomini: “Avete voluto scegliere la via sbagliata? Ebbene, precipitate pure nel baratro: pagatene le conseguenze. Arrangiatevi!”. No, non l’ha detto, anzi, ha dato se stesso per aprire davanti a tutti una via d’uscita. Dio ha fatto molto più di quello che doveva fare! E ogni Domenica, quando veniamo all’Eucaristia, il Signore fa sempre di più di quello che noi meriteremmo che faccia: ci dona se stesso, ogni volta, non si smentisce mai. Lo fa perché anche noi possiamo essere “di più”, cioè più umani, più fraterni; in questo senso “diversi” dagli altri. Ecco cosa vuol dire la parola “santi”.
Sì, però… voi potreste dirmi: “Ma… ce la possiamo fare noi? Gesù c’è riuscito sì, certo; ma noi? come possiamo pensare di riuscirci noi?”. Fratelli, se Gesù Cristo ci mette davanti certi traguardi, non è perché dobbiamo, ma perché possiamo camminare in quella direzione! E spero che capiate tutti quello che voglio dire… Se è vero che siamo figli di Dio, allora c’è la sua vitalità in noi, sì… la sua forza. E noi possiamo comportarci da figli di Dio. Del resto, non sono pochi i cristiani che anche nel mondo d’oggi riescono a mettere in pratica il vangelo della misericordia, del perdono: anche a rischio della loro vita.
“Il Regno di Dio è vicino!” ci va ripetendo il Vangelo di queste Domeniche. Dio è già in mezzo a noi: ha già inaugurato una storia nuova e pulita; la va realizzando anche in questo mondo di oggi. Ora, se lui – che è nostro Padre - ha già cominciato, noi - che siamo suoi figli - possiamo provare anche noi a comportarci come lui.
Che se poi ci riuscissimo solo una volta su 100, state certi che per quell’unica volta lui sarebbe già molto contento di noi.
Le Letture Bibliche: Levitico 19,1-2.17-18; 1Corinzi 3,16-23; Matteo 4,17; 5,1-2.38-48
Maggioranza e minoranza sono parole che sentiamo spesso di questi tempi… Tanto spesso che vorrei adoperarle anch’io per cominciare la mia predica con una domanda:
Noi i cristiani – in Trentino, in Italia, in Europa – siamo maggioranza o siamo minoranza? Beh, con particolare esattezza solo Dio lo sa, solo lui vede nell’intimo. Ma in base a quello che si dice, sì… siamo maggioranza, però alla prova dei fatti (cioè, se si guarda la condotta, il modo di comportarsi, la vita) non c’è dubbio che siano ormai minoranza. Più di qualcuno, specialmente tra gli anziani, è dispiaciuto di questo, e magari rimpiange con nostalgia i tempi del passato… Questo è comprensibile: essere pochi invece che tanti non risulta simpatico o piacevole a nessuno.
Tuttavia, se ci teniamo ad essere comunque cristiani (nonostante i nostri limiti e difetti), non possiamo fermarci al dispiacere, alla nostalgia del passato. Dobbiamo chiederci: perché accade questo? Perché il Signore Dio – Lui che guida la storia – avrà permesso che diventiamo minoranza?
Forse per darci l’opportunità di tornare ad essere veri, coerenti, più in sintonia con il vangelo. Forse è anche nella logica del vangelo che i cristiani – i veri cristiani – siano minoranza: ricordate cosa ci ha detto il Signore nel vangelo qualche domenica fa’? “Voi siete il sale della terra” ci ha detto. Ora tutti sappiamo che di sale nei cibi ne basta un pizzico… Se in una famiglia si fa mezzo chilo di pastasciutta, mica ci si mette mezzo chilo di sale! No. Un pizzico. Che c’è di strano allora se i cristiani diventano minoranza? Forse è l’occasione opportuna per diventare davvero sale che dà sapore.
Certo che però… meno siamo, e più è come essere in vetrina. Il mondo, la società, pretendono da noi cristiani più di quello che pretendono da chi cristiano non è … Se certe malefatte siamo noi a combinarle, fanno più rumore, più scandalo che se fossero fatte da altri. “Hai visto cos’ha fatto quello lì? Hai sentito cos’ha combinato? E il bello è che frequenta la chiesa mtutte le domeniche!”. Beh, dobbiamo dire che a volte lo fa anche per interesse chi parla così: lui magari ne combina anche di più grosse, ma il puntare il dito sul cattivo comportamento dei cristiani ha l’effetto di nascondere le sue malefatte, e indirizzare l’attenzione su quelle degli altri – in tal modo lui può continuare ad agire indisturbato.
Ciononostante, il mondo, la società, i nostri vicini, hanno ragione di aspettarsi dai cristiani un comportamento diverso. E il vangelo di queste Domeniche, ce lo conferma con tutta una serie di paradossi che si susseguono uno dopo l’altro: “In passato (nella storia degli Ebrei) la legge diceva: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico – afferma Gesù: no, non rispondete con il male a chi vi fa del male… Se una nvolta si insegnava: Ama il tuo prossimo ma odia il tuo nemico. Ebbene no, io vi dico: amate i vostri nemici…”. Insomma: siete o non siete diversi dagli altri? allora comportatevi anche diversamente.
“Diversi” nel linguaggio della Bibbia si dice “santi”. Sì, fratelli, “santi” non vuol dire avere un cerchio attorno alla testa e qualche candelina accesa davanti; vuol dire essere diversi, com’è diverso Gesù, com’è diverso il Padre nostro che ci dà vita e ci ama anche se gli voltiamo le spalle… Proprio oggi ci diceva (era la prima lettura): “Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo!”. Erano i tempi di Mosè quelli in cui parlava così. Più di mille anni dopo, Gesù dice: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. Era la conclusione del vangelo di oggi. Se avesse detto: “Siate perfetti come Dio”, beh… avremmo potuto rispondergli: Ma dai…Gesù! Ma come possiamo noi essere perfetti come Dio?”. No, dice invece: “Siate perfetti come il Padre vostro dei cieli”; eh, qui non ci sono scuse, cari miei, perché un figlio è naturale che assomigli al suo papà, che guardi al suo papà e cerchi di imitarlo: è del tutto naturale. E quella perfezione che Gesù ci indica di che cosa è fatta? di comprensione verso tutti, di umanità, di perdono a chi ci offende … perché questa è la perfezione del Padre nostro: lui fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni, senza parzialità, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, senza differenze: perché? Perché tutti sono suoi figli.
Sì, lo sappiamo: da che mondo è mondo è ovvio rendere male per male, rispondere a chi ci offende con un’offesa più grande, e così la terra si sporca di sangue sempre fresco, sempre di quel solito colore rosso, vecchio quanto è vecchio il mondo (non è quello che sta accadendo anche ai nostri giorn?). “Ma io vi dico: (qui è Gesù che parla) no, non rispondere alla cattiveria con la cattiveria. Io ho cominciato con voi una storia diversa, nuova, pulita. Voi continuatela. Proseguire con quella storia buona”.
Amare le persone care, gli amici, questo è normale: “non occorre mica essere cristiani per farlo” ci ricorda Gesù. Le regole di buona educazione, o di buon vicinato, le conoscono tutte le persone civili. Ma il Vangelo va oltre iol galateo… è molto di più: quel di più che è come il sale nei cibi e come la luce di notte. Quel “di più” che Dio stesso ha pagato in prima persona. Ma pensate un po’: Dio poteva dire agli uomini: “Avete voluto scegliere la via sbagliata? Ebbene, precipitate pure nel baratro: pagatene le conseguenze. Arrangiatevi!”. No, non l’ha detto, anzi, ha dato se stesso per aprire davanti a tutti una via d’uscita. Dio ha fatto molto più di quello che doveva fare! E ogni Domenica, quando veniamo all’Eucaristia, il Signore fa sempre di più di quello che noi meriteremmo che faccia: ci dona se stesso, ogni volta, non si smentisce mai. Lo fa perché anche noi possiamo essere “di più”, cioè più umani, più fraterni; in questo senso “diversi” dagli altri. Ecco cosa vuol dire la parola “santi”.
Sì, però… voi potreste dirmi: “Ma… ce la possiamo fare noi? Gesù c’è riuscito sì, certo; ma noi? come possiamo pensare di riuscirci noi?”. Fratelli, se Gesù Cristo ci mette davanti certi traguardi, non è perché dobbiamo, ma perché possiamo camminare in quella direzione! E spero che capiate tutti quello che voglio dire… Se è vero che siamo figli di Dio, allora c’è la sua vitalità in noi, sì… la sua forza. E noi possiamo comportarci da figli di Dio. Del resto, non sono pochi i cristiani che anche nel mondo d’oggi riescono a mettere in pratica il vangelo della misericordia, del perdono: anche a rischio della loro vita.
“Il Regno di Dio è vicino!” ci va ripetendo il Vangelo di queste Domeniche. Dio è già in mezzo a noi: ha già inaugurato una storia nuova e pulita; la va realizzando anche in questo mondo di oggi. Ora, se lui – che è nostro Padre - ha già cominciato, noi - che siamo suoi figli - possiamo provare anche noi a comportarci come lui.
Che se poi ci riuscissimo solo una volta su 100, state certi che per quell’unica volta lui sarebbe già molto contento di noi.
Domenica 5 Febbraio - V° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Isaia 58,7-10; 1Corinzi 2,1-5; Matteo 4,17; 5,1-2.13-16
"Il giusto risplende come luce" abbiamo ripetuto poco fa’. Ma chi è il giusto? E perché mai risplende come luce?
Al tempo di Gesù in Palestina le luci erano davvero poche; quando veniva notte si accendeva in casa una lampada ad olio ed era tutta lì la luce... Ma oggi no, oggi luci ce ne sono tante, in sovrabbondanza.
Ma il Signore parla di "Luce del mondo": non di una strada, di una città, ma del mondo. E il mondo per noi è semplicemente il nostro: quella di oggi. Cosa vorrà dire esser giusti e risplendere come luce nel mondo di oggi?
"Dividi il tuo pane con l'affamato - ci diceva poco fa’ Dio per mezzo del profeta Isaia - introduci in casa i miseri senza tetto, vesti chi è nudo, senza trascurare i tuoi familiari. Allora la tua luce sorgerà come l'aurora!": Ah, rieccola la luce. E' la solidarietà: se ti lascerai guidare dalla solidarietà tu risplenderai come luce. Non solo: il Signore si farà perfino più disponibile ad ascoltare le tue preghiere; non avrai nemmeno finito di invocarlo che egli dirà: "Eccomi! son qui". Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, se sazierai la fame di chi ha fame, allora brillerà fra le tenebre la tua luce...!". E dagliela con questa luce! La cosa sorprendente è che una realtà così nobile, così poetica, come la luce... si combini con una realtà così prosaica, così terra terra come il pane da dividere con chi ha fame... come l'alloggio che si apre a chi non ha niente sopra la testa. Ma la Bibbia ragiona così: quel Dio che ha fatto la luce è lo stesso che ha fatto lo stomaco e anche il necessario da metterci dentro; tutto è creatura sua, quindi nobile e degno. Ma è comunque sorprendente questo collegamento tra luce e giustizia, o tra luce e solidarietà, se volete; è come dire: se non ci si preoccupa davvero di far trionfare la solidarietà, questo mondo precipiterà davvero nella tenebra, nel caos.
Ed è una solidarietà a 360 gradi quella di cui il mondo d’oggi ha bisogno. Ogni anno, allorchè ritorna questa Giornata nazionale per la Vita – diventa sempre più evidente che essere giusti e risplendere come luce significa avere davanti agli occhi un orizzonte grande, che permetta di valutare e apprezzare la vita non a cassetti, non a scomparti separati, ma in tutta la sua ampiezza e in tutte le sue espressioni. I nostri Vescovi in questa occasione hanno rivolto alle Comunità un messaggio che suona chiaro nel mettere il dito sulle piaghe reali. Lasciate che citi qualche loro espressione: “Quando l’esistenza si fa complessa e impegnativa, quando sembra che la sfida sia insuperabile e il peso insopportabile, sempre più spesso si approda a una “soluzione” drammatica: dare la morte”. E a riprova elencano una serie di situazioni molto tangibili e vere: Quando un figlio non lo posso mantenere, o non l’ho voluto… Quando una malattia non la posso sopportare… Quando la relazione con il partner diventa difficile… Quando il male di vivere si fa insostenibile… Quando l’accoglienza e l’integrazione di chi fugge dalla guerra o dalla miseria comportano problemi…Quando si aggravano le ragioni di conflitto tra i popoli… È allora che, poco a poco, la “cultura di morte” si diffonde e ci contagia più o meno tutti…”.
E qui esprimono un giudizio molto lucido a cui è bene fare attenzione: “dietro tale “soluzione” (dare la morte) è possibile riconoscere importanti interessi economici e ideologie che si spacciano per ragionevoli e misericordiose, mentre non lo sono affatto”.
Insomma, le minacce insidiano e feriscono la vita in tutte le sue espressioni. Non ce n’è alcuna che sia al sicuro.
Mi ha sorpreso una notizia apparsa sui giornali in questi giorni: una grande tartaruga marina, malata di polmonite, è stata amorevolmente curata in un centro medico per animali… Guarita, una schiera di persone, guardie costiere, animalisti, l’hanno riportata in mare… Peccato che la stessa sollecitudine non la si riservì a quei poveri Cristi che il mare lo attraversano per scappare da guerre o da fame… e che spesso nel mare trovano la morte: miserabili di tutte le età, compresi non pochi bambini…
Al che si deve trarre una conclusione (che è comprovata dalla storia): una civiltà che preferisce gli animali alle persone, è una civiltà che ha scelto la strada del declino, del suo tramonto…
Sì, sarà fosco il quadro, ma noi cristiani non possiamo permetterci di ignorare la realtà e voltarci dall’altra parte. E’ in questa realtà che “i giusti possono risplendere come luce”. In che modo? Sono ancora i nostri Pastori a rispondere: Il Signore crocifisso e risorto – ma anche la retta ragione – ci indicano una strada diversa: smascherare la “cultura di morte”, dare non la morte ma la vita, generare e servire sempre la vita. Il Vangelo ci mostra come sia possibile coglierne il senso e il valore anche quando la sperimentiamo fragile, minacciata e faticosa.
A questo punto mi pare che il Vangelo di oggi non abbia bisogno di molte spiegazioni; se il Signore ci dice “Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo” credo sia chiaro a tutti cosa significhi essere sale e luce in questa società dei nostri giorni.
Tuttavia, sul significato del sale, per il Vangelo, vi chiedo ancora qualche istante di attenzione. Direte che non occorre spiegare il significato del sale, sappiamo tutti a cosa serva. Sì, ma in passato era ancora più importante di oggi. Non si adoperava solo per dar sapore ai cibi, serviva anche per impedire la corruzione degli alimenti (specie della carne) : "Voi siete il sale della terra". La terra è la nostra terra, fratelli, la nostra società, questo mondo di oggi segnato in lungo e in largo da tante minacce alla vita. Ed è certo che se non subentrano altri motivi, altri ideali da quelli che sembrano trionfare al giorno d'oggi, la corruzione è assicurata. "Voi siete il sale della terra” è come dire: dipende da voi che questa società non impazzisca e non si autodistrugga…
Dio ci guardi però dal trarre conclusioni sbagliate, del tipo: "Allora bisogna darsi da fare di più... essere più generosi... compiere atti di solidarietà più audaci...". No, non è questa la prima conclusione da trarre. Noi non siamo dei filantropi o dei semplici volonterosi che vogliono cambiare le cose a tutti i costi. Noi siamo discepoli di Gesù Cristo, che credono a quello che lui ha annunciato: il Regno di Dio! E' vicino. Dio si dà da fare, a prescindere da noi e prima di noi... per costruire un futuro umano diverso. E’ a questa bella notizia che noi crediamo. E' questa certezza la nostra forza, fratelli; ecco ciò che fa di noi la luce del mondo e il sale della terra: questa certezza; Dio presente e operoso proprio dentro questo nostro mondo. E quando dico “nostro mondo” intendo il mondo che passa per la nostra vita, che entra nelle nostre case, nelle nostre relazioni, che riempie i nostri luoghi abituali: di lavoro, o di svago che sia. Ciò che in tutti questi ambienti fa di noi la luce e il sale della terra non è il nostro sforzo personale per essere diversi dagli altri (finiremmo coll’essere eccentrici, cioè ridicoli alla fin fine): è solo la fiducia nel Regno che Dio sta realizzando proprio anche in questi ambienti. Con tutta la discrezione, il silenzio e la tenacia di cui lui è specialista, e - notate - con la nostra collaborazione, se gli diamo fiducia.
E' dono poter credere nel vangelo e far parte del suo Regno. E da questo dono deriva una responsabilità, una missione: siamo luce? Allora lasciamo che si veda questa luce. Siamo sale? Cerchiamo di portare un po’ di sapore là dove andiamo ogni giorno, o quantomeno di impedire che quell’ambiente diventi peggiore di quello che è. Ogni altra persona, spesso, avrebbe diritto di lasciar cadere le braccia e di stancarsi nel promuovere solidarietà...giustizia... Noi no: non perché siamo più bravi degli altri, ma perchè è Dio che fa di noi, suoi figli, la luce del mondo e il sale della terra.
Le Letture Bibliche: Isaia 58,7-10; 1Corinzi 2,1-5; Matteo 4,17; 5,1-2.13-16
"Il giusto risplende come luce" abbiamo ripetuto poco fa’. Ma chi è il giusto? E perché mai risplende come luce?
Al tempo di Gesù in Palestina le luci erano davvero poche; quando veniva notte si accendeva in casa una lampada ad olio ed era tutta lì la luce... Ma oggi no, oggi luci ce ne sono tante, in sovrabbondanza.
Ma il Signore parla di "Luce del mondo": non di una strada, di una città, ma del mondo. E il mondo per noi è semplicemente il nostro: quella di oggi. Cosa vorrà dire esser giusti e risplendere come luce nel mondo di oggi?
"Dividi il tuo pane con l'affamato - ci diceva poco fa’ Dio per mezzo del profeta Isaia - introduci in casa i miseri senza tetto, vesti chi è nudo, senza trascurare i tuoi familiari. Allora la tua luce sorgerà come l'aurora!": Ah, rieccola la luce. E' la solidarietà: se ti lascerai guidare dalla solidarietà tu risplenderai come luce. Non solo: il Signore si farà perfino più disponibile ad ascoltare le tue preghiere; non avrai nemmeno finito di invocarlo che egli dirà: "Eccomi! son qui". Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, se sazierai la fame di chi ha fame, allora brillerà fra le tenebre la tua luce...!". E dagliela con questa luce! La cosa sorprendente è che una realtà così nobile, così poetica, come la luce... si combini con una realtà così prosaica, così terra terra come il pane da dividere con chi ha fame... come l'alloggio che si apre a chi non ha niente sopra la testa. Ma la Bibbia ragiona così: quel Dio che ha fatto la luce è lo stesso che ha fatto lo stomaco e anche il necessario da metterci dentro; tutto è creatura sua, quindi nobile e degno. Ma è comunque sorprendente questo collegamento tra luce e giustizia, o tra luce e solidarietà, se volete; è come dire: se non ci si preoccupa davvero di far trionfare la solidarietà, questo mondo precipiterà davvero nella tenebra, nel caos.
Ed è una solidarietà a 360 gradi quella di cui il mondo d’oggi ha bisogno. Ogni anno, allorchè ritorna questa Giornata nazionale per la Vita – diventa sempre più evidente che essere giusti e risplendere come luce significa avere davanti agli occhi un orizzonte grande, che permetta di valutare e apprezzare la vita non a cassetti, non a scomparti separati, ma in tutta la sua ampiezza e in tutte le sue espressioni. I nostri Vescovi in questa occasione hanno rivolto alle Comunità un messaggio che suona chiaro nel mettere il dito sulle piaghe reali. Lasciate che citi qualche loro espressione: “Quando l’esistenza si fa complessa e impegnativa, quando sembra che la sfida sia insuperabile e il peso insopportabile, sempre più spesso si approda a una “soluzione” drammatica: dare la morte”. E a riprova elencano una serie di situazioni molto tangibili e vere: Quando un figlio non lo posso mantenere, o non l’ho voluto… Quando una malattia non la posso sopportare… Quando la relazione con il partner diventa difficile… Quando il male di vivere si fa insostenibile… Quando l’accoglienza e l’integrazione di chi fugge dalla guerra o dalla miseria comportano problemi…Quando si aggravano le ragioni di conflitto tra i popoli… È allora che, poco a poco, la “cultura di morte” si diffonde e ci contagia più o meno tutti…”.
E qui esprimono un giudizio molto lucido a cui è bene fare attenzione: “dietro tale “soluzione” (dare la morte) è possibile riconoscere importanti interessi economici e ideologie che si spacciano per ragionevoli e misericordiose, mentre non lo sono affatto”.
Insomma, le minacce insidiano e feriscono la vita in tutte le sue espressioni. Non ce n’è alcuna che sia al sicuro.
Mi ha sorpreso una notizia apparsa sui giornali in questi giorni: una grande tartaruga marina, malata di polmonite, è stata amorevolmente curata in un centro medico per animali… Guarita, una schiera di persone, guardie costiere, animalisti, l’hanno riportata in mare… Peccato che la stessa sollecitudine non la si riservì a quei poveri Cristi che il mare lo attraversano per scappare da guerre o da fame… e che spesso nel mare trovano la morte: miserabili di tutte le età, compresi non pochi bambini…
Al che si deve trarre una conclusione (che è comprovata dalla storia): una civiltà che preferisce gli animali alle persone, è una civiltà che ha scelto la strada del declino, del suo tramonto…
Sì, sarà fosco il quadro, ma noi cristiani non possiamo permetterci di ignorare la realtà e voltarci dall’altra parte. E’ in questa realtà che “i giusti possono risplendere come luce”. In che modo? Sono ancora i nostri Pastori a rispondere: Il Signore crocifisso e risorto – ma anche la retta ragione – ci indicano una strada diversa: smascherare la “cultura di morte”, dare non la morte ma la vita, generare e servire sempre la vita. Il Vangelo ci mostra come sia possibile coglierne il senso e il valore anche quando la sperimentiamo fragile, minacciata e faticosa.
A questo punto mi pare che il Vangelo di oggi non abbia bisogno di molte spiegazioni; se il Signore ci dice “Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo” credo sia chiaro a tutti cosa significhi essere sale e luce in questa società dei nostri giorni.
Tuttavia, sul significato del sale, per il Vangelo, vi chiedo ancora qualche istante di attenzione. Direte che non occorre spiegare il significato del sale, sappiamo tutti a cosa serva. Sì, ma in passato era ancora più importante di oggi. Non si adoperava solo per dar sapore ai cibi, serviva anche per impedire la corruzione degli alimenti (specie della carne) : "Voi siete il sale della terra". La terra è la nostra terra, fratelli, la nostra società, questo mondo di oggi segnato in lungo e in largo da tante minacce alla vita. Ed è certo che se non subentrano altri motivi, altri ideali da quelli che sembrano trionfare al giorno d'oggi, la corruzione è assicurata. "Voi siete il sale della terra” è come dire: dipende da voi che questa società non impazzisca e non si autodistrugga…
Dio ci guardi però dal trarre conclusioni sbagliate, del tipo: "Allora bisogna darsi da fare di più... essere più generosi... compiere atti di solidarietà più audaci...". No, non è questa la prima conclusione da trarre. Noi non siamo dei filantropi o dei semplici volonterosi che vogliono cambiare le cose a tutti i costi. Noi siamo discepoli di Gesù Cristo, che credono a quello che lui ha annunciato: il Regno di Dio! E' vicino. Dio si dà da fare, a prescindere da noi e prima di noi... per costruire un futuro umano diverso. E’ a questa bella notizia che noi crediamo. E' questa certezza la nostra forza, fratelli; ecco ciò che fa di noi la luce del mondo e il sale della terra: questa certezza; Dio presente e operoso proprio dentro questo nostro mondo. E quando dico “nostro mondo” intendo il mondo che passa per la nostra vita, che entra nelle nostre case, nelle nostre relazioni, che riempie i nostri luoghi abituali: di lavoro, o di svago che sia. Ciò che in tutti questi ambienti fa di noi la luce e il sale della terra non è il nostro sforzo personale per essere diversi dagli altri (finiremmo coll’essere eccentrici, cioè ridicoli alla fin fine): è solo la fiducia nel Regno che Dio sta realizzando proprio anche in questi ambienti. Con tutta la discrezione, il silenzio e la tenacia di cui lui è specialista, e - notate - con la nostra collaborazione, se gli diamo fiducia.
E' dono poter credere nel vangelo e far parte del suo Regno. E da questo dono deriva una responsabilità, una missione: siamo luce? Allora lasciamo che si veda questa luce. Siamo sale? Cerchiamo di portare un po’ di sapore là dove andiamo ogni giorno, o quantomeno di impedire che quell’ambiente diventi peggiore di quello che è. Ogni altra persona, spesso, avrebbe diritto di lasciar cadere le braccia e di stancarsi nel promuovere solidarietà...giustizia... Noi no: non perché siamo più bravi degli altri, ma perchè è Dio che fa di noi, suoi figli, la luce del mondo e il sale della terra.
Domenica 29 Gennaio - IV° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Sofonìa 2,3; 3,12-13; 1 Corinzi 1,26-31; Matteo 4,17; 5,1-12a
Forse è capitato anche a voi, come a me, di non trovar più una certa cosa (che so io… le chiavi di casa, o della macchina, oppure il cellulare… e – perché no? – magari anche il portafoglio), e dire e ripetere: “… son sicuro che l’avevo messo qui”… e cercare, cercare (magari con un piccolo voto a S.Antonio, patrono per le cose perse)… per scoprire poi alla fine che quella cosa era lì sotto gli occhi, magari nascosta da un’altra, o da molte altre, buttate lì soprapensiero… Cosa c’entri questo con il vangelo di oggi, ve lo dirò dopo. Intanto osserviamo che Gesù - che non è un politico e nemmeno il presidente di qualche importante società finanziaria – apre però anche lui la sua attività con una specie di manifesto programmatico: “Nella mia missione mi dedicherò a questo… tutta la mia attenzione, e la mia attività, andranno in questa direzione”.
Forse non ha riscosso grandi applausi, o alti indici di gradimento, perché i poveri in spirito, quelli che piangono, i miti, i misericordiosi e i perseguitati… non sono mai state categorie particolarmente invidiate a questo mondo. Anzi: disprezzate piuttosto, tenute alla larga. Infatti chi non è né povero, né afflitto, né mite, ed è invece preoccupato solo di se stesso, sta volentieri alla larga da costoro… anzi, li teme… come una specie di contagio.
Gesù Cristo no, non ne ha avuto paura: costoro, proprio costoro è andato a cercare. E’ a questa gente che ha detto: “Beati voi, perché il Regno di Dio è per voi!”. E questa gente gli ha creduto. Ha capito che non era un fanfarone qualsiasi, un arruffapopoli… no: gli ha creduto. Perché i poveri li sollevava veramente dalla miseria, quelli che piangono li sapeva davvero consolare, ai perseguitati infondeva sul serio nuovo nuovo coraggio, e molti di quelli che si guardavano in cagnesco scoprivano per la prima volta la misericordia… Questo è il Regno di Dio, diceva. Perché Dio è in mezzo a voi e si dà da fare per voi, anzi, con voi – se gli date anche solo un po’ di fiducia.
Beati vuol dire felici, fortunati!
Certo che ci vuole un bel coraggio a parlare così in certe situazioni!
Come si fa a dire “beati”, “fortunati voi”, a uomini e donne che conoscono solo e sempre la precarietà, che non sanno come sarà il domani perché non hanno nemmeno il necessario per oggi… Come si può dire “beati” a individui che piangono o soffrono magari da una vita?
Eppure Gesù lo ha detto. E in suo nome – come avete sentito – la Chiesa continua a dirlo. E io spero che non venga mai il giorno in cui non lo si dice più, perché allora sarebbe segno che abbiam perso di vista il Vangelo. Perché questo è il Vangelo, fratelli.
Ma poi, alla fin fine, cosa dava Gesù a quei poveri tanto da renderli beati? Forse che apriva per loro un conto in banca e gli diceva: “Guardate che d’ora in poi potrete vivere da nababbi?!”. Ma figuriamoci, se lui stesso si definiva tanto povero in canna da non possedere neanche una pietra su cui posare il capo per dormire quand’era stanco! Ma allora la felicità non sta nell’avere, e la sventura non sta nel non avere.
Agli afflitti, ai malati, cosa dava? Guarigione? Sì, ne ha guariti di sicuro, ma di sicuro molti han continuato ad ammalarsi e a restare malati. Ma allora “beati” non lo si è perché si è spensierati invece che amareggiati, o sani invece che malati… sta in qualcos’altro la felicità: e in che cosa precisamente?
I poveri ai quali Gesù si rivolge non sono tali solo, o anzitutto, perché mancano di tante cose materiali (a cominciare dai soldi); sono poveri soprattutto perché chi li guarda da fuori li considera insignificanti, persone senza valore; ma il peggio è che anch’essi alla fine si convincono di non valer niente. Ecco la situazione miserevole da cui Gesù li tira fuori: “Dio è qui per voi anzitutto. Ma allora non è affatto vero che non valete niente. Voi avete una dignità che non ha paragoni né prezzo!”. E qui mi vengono alla mente certe foto, o certi video, che ci mandano i nostri missionari, dove si vedono bambini malvestiti e magari anche sporchi, ma dai volti così gioiosi e radiosi da fare invidia solo a vederli… Ma dove la prendono la gioia? dal fatto che qualcuno finalmente si prende cura di loro e fa loro sentire che sono degni di stare al mondo. E non è questo il Regno di Dio?
Ma il vangelo oggi – ad essere esatti – non parla di poveri e basta; parla di “poveri in spirito”. E li proclama beati. Chi sono costoro? Una razza particolare di poveri? No. Sono quelli che pur avendo di che vivere, e magari anche decorosamente, hanno capito che la felicità non dipende dalle cose che hanno: le adoperano sì, ma non le cercano con fare spasmodico e arrogante come se la loro vita, anzi, la loro felicità, dipendesse da quelle.“Poveri in spirito” son coloro che han capito finalmente l’imbroglio: l’avere, l’avere sempre di più, non realizza le persone nella loro dignità, anzi, le fa regredire, le impoverisce nel senso più irrimediabile che ci sia. Perché le illude, fa loro dimenticare che valgono per quello che sono, per la vita che hanno ricevuto in dono, per ideali veri e nobili ai quali tendere, e non per quello che possiedono.
Questa coscienza, questa identità, è come sepolta sotto un mare di cose: più ne vuoi, più ne accumuli, e più la nascondi… E allora si cerca la felicità – perché chi è che non cerca la felicità? – ma proprio come si cerca qualcosa nell’esempio che facevo all’inizio: son sicuro che è qui, lì, lavvia… non può essere lontana, ma allora perché non la trovo? Perché l’ho sepolta sotto troppe cose.
I “poveri in spirito” hanno capito l’imbroglio. Hanno creduto alla buona notizia di Gesù: Dio li ama con tale fedeltà e tenerezza da rendere preziosa la loro esistenza, la loro persona, a qualsiasi età e in qualsiasi stagione della vita. Se Gesù dice proprio a loro “beati” è perché “beati” lo sono effettivamente.
Adoperano le cose per vivere dignitosamente, ma non le cercano con arroganza: sanno adoperarle con sobrietà, in spirito di solidarietà con quelli che ne hanno meno o ne sono privi.
Fratelli, sapete che quelli che abitano in pianura (la pianura Padana, specialmente) d’inverno sono abituati alla nebbia… Ma siamo sicuri che per noi in montagna sia diverso? Non vi pare che vivere in questa civiltà arrogante che punta tutto sull’avere, sia come vivere un po’ tutti nella nebbia?
Non vediamo l’ora che finisca quella guerra, vicina a noi, che ormai dura da quasi un anno. Che finisca per le popolazioni direttamente coinvolte anzitutto,… ma poi anche per noi che ne subiamo le conseguenze con una crisi economica preoccupante.
Ma quante guerre e crisi economiche dovranno esserci – perché ci accorgiamo che la felicità del vangelo ce l’abbiamo a portata di mano, magari nascosta sotto un mare di cose che ingombrano ma non rendono felici?
Spirito santo, vento buono di Dio, vieni a spazzar via le nostre nebbie…
Le Letture Bibliche: Sofonìa 2,3; 3,12-13; 1 Corinzi 1,26-31; Matteo 4,17; 5,1-12a
Forse è capitato anche a voi, come a me, di non trovar più una certa cosa (che so io… le chiavi di casa, o della macchina, oppure il cellulare… e – perché no? – magari anche il portafoglio), e dire e ripetere: “… son sicuro che l’avevo messo qui”… e cercare, cercare (magari con un piccolo voto a S.Antonio, patrono per le cose perse)… per scoprire poi alla fine che quella cosa era lì sotto gli occhi, magari nascosta da un’altra, o da molte altre, buttate lì soprapensiero… Cosa c’entri questo con il vangelo di oggi, ve lo dirò dopo. Intanto osserviamo che Gesù - che non è un politico e nemmeno il presidente di qualche importante società finanziaria – apre però anche lui la sua attività con una specie di manifesto programmatico: “Nella mia missione mi dedicherò a questo… tutta la mia attenzione, e la mia attività, andranno in questa direzione”.
Forse non ha riscosso grandi applausi, o alti indici di gradimento, perché i poveri in spirito, quelli che piangono, i miti, i misericordiosi e i perseguitati… non sono mai state categorie particolarmente invidiate a questo mondo. Anzi: disprezzate piuttosto, tenute alla larga. Infatti chi non è né povero, né afflitto, né mite, ed è invece preoccupato solo di se stesso, sta volentieri alla larga da costoro… anzi, li teme… come una specie di contagio.
Gesù Cristo no, non ne ha avuto paura: costoro, proprio costoro è andato a cercare. E’ a questa gente che ha detto: “Beati voi, perché il Regno di Dio è per voi!”. E questa gente gli ha creduto. Ha capito che non era un fanfarone qualsiasi, un arruffapopoli… no: gli ha creduto. Perché i poveri li sollevava veramente dalla miseria, quelli che piangono li sapeva davvero consolare, ai perseguitati infondeva sul serio nuovo nuovo coraggio, e molti di quelli che si guardavano in cagnesco scoprivano per la prima volta la misericordia… Questo è il Regno di Dio, diceva. Perché Dio è in mezzo a voi e si dà da fare per voi, anzi, con voi – se gli date anche solo un po’ di fiducia.
Beati vuol dire felici, fortunati!
Certo che ci vuole un bel coraggio a parlare così in certe situazioni!
Come si fa a dire “beati”, “fortunati voi”, a uomini e donne che conoscono solo e sempre la precarietà, che non sanno come sarà il domani perché non hanno nemmeno il necessario per oggi… Come si può dire “beati” a individui che piangono o soffrono magari da una vita?
Eppure Gesù lo ha detto. E in suo nome – come avete sentito – la Chiesa continua a dirlo. E io spero che non venga mai il giorno in cui non lo si dice più, perché allora sarebbe segno che abbiam perso di vista il Vangelo. Perché questo è il Vangelo, fratelli.
Ma poi, alla fin fine, cosa dava Gesù a quei poveri tanto da renderli beati? Forse che apriva per loro un conto in banca e gli diceva: “Guardate che d’ora in poi potrete vivere da nababbi?!”. Ma figuriamoci, se lui stesso si definiva tanto povero in canna da non possedere neanche una pietra su cui posare il capo per dormire quand’era stanco! Ma allora la felicità non sta nell’avere, e la sventura non sta nel non avere.
Agli afflitti, ai malati, cosa dava? Guarigione? Sì, ne ha guariti di sicuro, ma di sicuro molti han continuato ad ammalarsi e a restare malati. Ma allora “beati” non lo si è perché si è spensierati invece che amareggiati, o sani invece che malati… sta in qualcos’altro la felicità: e in che cosa precisamente?
I poveri ai quali Gesù si rivolge non sono tali solo, o anzitutto, perché mancano di tante cose materiali (a cominciare dai soldi); sono poveri soprattutto perché chi li guarda da fuori li considera insignificanti, persone senza valore; ma il peggio è che anch’essi alla fine si convincono di non valer niente. Ecco la situazione miserevole da cui Gesù li tira fuori: “Dio è qui per voi anzitutto. Ma allora non è affatto vero che non valete niente. Voi avete una dignità che non ha paragoni né prezzo!”. E qui mi vengono alla mente certe foto, o certi video, che ci mandano i nostri missionari, dove si vedono bambini malvestiti e magari anche sporchi, ma dai volti così gioiosi e radiosi da fare invidia solo a vederli… Ma dove la prendono la gioia? dal fatto che qualcuno finalmente si prende cura di loro e fa loro sentire che sono degni di stare al mondo. E non è questo il Regno di Dio?
Ma il vangelo oggi – ad essere esatti – non parla di poveri e basta; parla di “poveri in spirito”. E li proclama beati. Chi sono costoro? Una razza particolare di poveri? No. Sono quelli che pur avendo di che vivere, e magari anche decorosamente, hanno capito che la felicità non dipende dalle cose che hanno: le adoperano sì, ma non le cercano con fare spasmodico e arrogante come se la loro vita, anzi, la loro felicità, dipendesse da quelle.“Poveri in spirito” son coloro che han capito finalmente l’imbroglio: l’avere, l’avere sempre di più, non realizza le persone nella loro dignità, anzi, le fa regredire, le impoverisce nel senso più irrimediabile che ci sia. Perché le illude, fa loro dimenticare che valgono per quello che sono, per la vita che hanno ricevuto in dono, per ideali veri e nobili ai quali tendere, e non per quello che possiedono.
Questa coscienza, questa identità, è come sepolta sotto un mare di cose: più ne vuoi, più ne accumuli, e più la nascondi… E allora si cerca la felicità – perché chi è che non cerca la felicità? – ma proprio come si cerca qualcosa nell’esempio che facevo all’inizio: son sicuro che è qui, lì, lavvia… non può essere lontana, ma allora perché non la trovo? Perché l’ho sepolta sotto troppe cose.
I “poveri in spirito” hanno capito l’imbroglio. Hanno creduto alla buona notizia di Gesù: Dio li ama con tale fedeltà e tenerezza da rendere preziosa la loro esistenza, la loro persona, a qualsiasi età e in qualsiasi stagione della vita. Se Gesù dice proprio a loro “beati” è perché “beati” lo sono effettivamente.
Adoperano le cose per vivere dignitosamente, ma non le cercano con arroganza: sanno adoperarle con sobrietà, in spirito di solidarietà con quelli che ne hanno meno o ne sono privi.
Fratelli, sapete che quelli che abitano in pianura (la pianura Padana, specialmente) d’inverno sono abituati alla nebbia… Ma siamo sicuri che per noi in montagna sia diverso? Non vi pare che vivere in questa civiltà arrogante che punta tutto sull’avere, sia come vivere un po’ tutti nella nebbia?
Non vediamo l’ora che finisca quella guerra, vicina a noi, che ormai dura da quasi un anno. Che finisca per le popolazioni direttamente coinvolte anzitutto,… ma poi anche per noi che ne subiamo le conseguenze con una crisi economica preoccupante.
Ma quante guerre e crisi economiche dovranno esserci – perché ci accorgiamo che la felicità del vangelo ce l’abbiamo a portata di mano, magari nascosta sotto un mare di cose che ingombrano ma non rendono felici?
Spirito santo, vento buono di Dio, vieni a spazzar via le nostre nebbie…
Domenica 22 Gennaio - III° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Isaia 8,23b-9,3; 1Corinzi 1,10 -13.17; Matteo 4,12-23
Quante favole e storie da dopo cena che parlano di principi, re e regine! E quanti film del passato raccontavano di regni, di imperi, e di teste incoronate… Le favole piacevano ai bambini e i film agli adulti, anche se questi ultimi sapevano benissimo che si trattava di storie vecchie, condite da molta fantasia. Ma a volte, specialmente quando la realtà è dura da affrontare, ogni tanto è piacevole rifugiarsi nella fantasia…
“Il Regno dei cieli è vicino…”: che sia anche questo “frutto di fantasia”, roba da mondo dei sogni e delle favole?
Oggi ci viene detto che Gesù lascia Nazaret, il paese dove è vissuto per 30 anni, e comincia ad andare in giro per tutta la regione, la Galilea, dicendo alla gente: “Guardate che Il Regno dei cieli è vicino: credete a questa bella notizia!”. “Bella notizia”, nella lingua greca in cui queste cose furono scritte, si dice “euanghèlion”, evangelo.
Non sono pochi a pensare che sia una favola, o uno di quei sogni che si possono anche fare ma che non si realizzerà mai.
Quelli che invece credono a quella bella notizia e pregano ogni giorno dicendo “Venga il tuo Regno!”, non pensano che sia una favola, no… ma a volte sono tentati di crederlo. Vedono che a questo mondo tutto ciò che è importante è anche forte, potente, anzi, imponente… E quanto più è potente e imponente tanto più tiene banco sulle pagine dei giornali e alla TV, e tanto più è in grado di pesare nelle grandi decisioni mondiali…oltre che nel portafoglio delle persone. Ma il Regno di Dio…che peso può avere? Di quanta considerazione gode? Perché all’ONU, dove sono rappresentate tutte le nazioni del mondo, non c’è?
“Il mio Regno non è di questo mondo” dirà Gesù. Ma…allora è dell’altro mondo? Bisogna andare nell’altro mondo per entrare nel Regno di Dio? No, fratelli: è in questo mondo che Dio lo costruisce, ma non è fatto come i Regni o le grandi potenze di questo mondo. E’ totalmente, radicalmente diverso. Se non altro perché non tramonta e non finisce mai, come fan tutti i regni della terra prima o poi: quanti imperi e regni, quante grandi potenze si sono succedute nel corso della storia! E ogni volta c’era gente che esclamava affascinata: “Oh! Mai vista una cosa del genere! Che potenza! Che grandiosità!”. Ma non è rimasto più nulla: solo un ricordo sui libri di storia, e qualche reperto archeologico…a beneficio di turisti.
Ebbene, no: non si può paragonare il Regno di Dio alle potenze di questo mondo: se queste tramontano, Dio non tramonta mai. Quei pescatori che quella mattina lì sulle rive del lago di Tiberiade han sentito quella notizia da Gesù, gli hanno creduto, e non solo in teoria, ma nel concreto della vita.“Seguitemi!” ha detto loro. E l’hanno seguito. Avete mai sentito dire che un re, un potente, si rivolga a dei semplici pescatori, per farne i suoi primi collaboratori? No, i potenti di questo mondo o fanno tutto da soli, o si rivolgono a persone altolocate, ai pezzi grossi…non certo a pescatori, cioè: non a persone comuni, come noi.
Ecco la novità, fratelli: Dio, nel costruire il suo Regno in questo mondo, si rivolge a gente come noi. Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, si sono sentiti dire: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini!”. Parole un po’ strane li per lì, ma le hanno accolte; da quel giorno in poi hanno toccato con mano che non era una favola la bella notizia di Gesù: la loro vita è stata tutta trasformata. Non è che hanno smesso subito di fare i pescatori di pesci per diventare chissà chi…Han capito che loro non erano soltanto lavoratori, condannati a morire di fatica tutte le notti: erano figli di Dio, collaboratori suoi per costruire il suo Regno. Era diverso anche il lavoro, e il modo di comportarsi nella vita di tutti i giorni, e le loro relazioni con la gente: tutto era diverso…
Infatti, prendere sul serio la Parola di Gesù cambia davvero la vita; non si fanno più le cose di tutti i giorni solo perché bisogna farle, è troppo poco: per tutti è troppo poco. Ascoltare la Parola di Gesù, e lasciarsene animare, ha questo effetto: si fanno quelle stesse cose sapendo che anche così si può collaborare a costruire il Regno di Dio in questo mondo, anzi, ha come risultato che quelle cose si fanno perfino meglio, con più grinta, anche con più soddisfazione.
E il segreto è tutto lì: nell’ascoltare con la massima fiducia e attenzione la Parola di Dio. Non una volta tanto, di rado, ma con assiduità direi quotidiana: la stessa per cui non passa giorno che noi non mettiamo qualcosa nello stomaco. E siccome non siamo bestiame da foraggiare, o frigoriferi da riempire, ma bensì figli di Dio, ecco che non ci basta il pane e il companatico: abbiamo bisogno di parole che vengono da Dio.
La Parola di Dio! In questa Domenica siamo invitati con tutti i cristiani del mondo ad accorgerci di quanto è preziosa e irrinunciabile per noi la Parola di Dio. Ascoltarla la Domenica quando si viene a Messa è già molto, ma nel mondo d’oggi – così complesso e caotico – non ci basta, non ci basta per vivere da cristiani, perché poi - fuori di qui, durante la settimana - sentiamo tante altre parole che hanno la meglio su quella di Dio… e magari fossero affidabili, ma molto spesso sono parole al vento! Quanto è importante darle il primo posto tra tutte le parole che sentiamo. E perciò ascoltarla, o leggerla, più spesso… ben aldilà della Domenica.
E qui lasciate che scenda al pratico e vi dia qualche consiglio. Voi sentite questa Parola nelle letture della Bibbia, del Vangelo, quando venite alla messa: a volte ciò che si legge non è sempre chiaro, magari si stenta a capirlo… ma tra tutte le parole delle letture, delle prediche, ce ne sarà almeno una - anche una frase sola - che sentì che riguarda anche te, anzi, proprio te. Cerca di tenerla a mente, portala nel cuore quando esci dalla chiesa, richiamala qualche volta durante la settimana, magari nei momenti di difficoltà: ti aiuterà quella Parola, ti accorgerai come cambia in meglio la tua vita.
Altro consiglio pratico: dal momento che gran parte di noi possiede un cellulare sul quale sappiamo cercare e trovare tante cose, perché non cercarvi anche la Parola di Dio che la Chiesa offre ogni giorno a noi Cristiani? Insomma fratelli, o perché siamo forniti di strumenti adatti, o perché in casa abbiamo tutti almeno un Vangelo, fatto sta che non ci sono più scuse: se ci sta a cuore essere cristiani non solo di nome, la Provvidenza ci ha fornito anche gli strumenti per esserlo di fatto.
“Coloro che abitavano nelle tenebre hanno visto una grande luce” diceva oggi il Vangelo. Nella nostra vita probabilmente non ci sono tenebre, ma forse un certo grigiore sì. Ebbene, la Parola del Signore può sottrarre al grigiore tante nostre situazioni, può farci vedere e apprezzare tutto e tutti, a cominciare da noi stessi.
Perché ormai è vero e sarà sempre vero: il Regno di Dio è vicino, anzi, è in mezzo a noi.
Le Letture Bibliche: Isaia 8,23b-9,3; 1Corinzi 1,10 -13.17; Matteo 4,12-23
Quante favole e storie da dopo cena che parlano di principi, re e regine! E quanti film del passato raccontavano di regni, di imperi, e di teste incoronate… Le favole piacevano ai bambini e i film agli adulti, anche se questi ultimi sapevano benissimo che si trattava di storie vecchie, condite da molta fantasia. Ma a volte, specialmente quando la realtà è dura da affrontare, ogni tanto è piacevole rifugiarsi nella fantasia…
“Il Regno dei cieli è vicino…”: che sia anche questo “frutto di fantasia”, roba da mondo dei sogni e delle favole?
Oggi ci viene detto che Gesù lascia Nazaret, il paese dove è vissuto per 30 anni, e comincia ad andare in giro per tutta la regione, la Galilea, dicendo alla gente: “Guardate che Il Regno dei cieli è vicino: credete a questa bella notizia!”. “Bella notizia”, nella lingua greca in cui queste cose furono scritte, si dice “euanghèlion”, evangelo.
Non sono pochi a pensare che sia una favola, o uno di quei sogni che si possono anche fare ma che non si realizzerà mai.
Quelli che invece credono a quella bella notizia e pregano ogni giorno dicendo “Venga il tuo Regno!”, non pensano che sia una favola, no… ma a volte sono tentati di crederlo. Vedono che a questo mondo tutto ciò che è importante è anche forte, potente, anzi, imponente… E quanto più è potente e imponente tanto più tiene banco sulle pagine dei giornali e alla TV, e tanto più è in grado di pesare nelle grandi decisioni mondiali…oltre che nel portafoglio delle persone. Ma il Regno di Dio…che peso può avere? Di quanta considerazione gode? Perché all’ONU, dove sono rappresentate tutte le nazioni del mondo, non c’è?
“Il mio Regno non è di questo mondo” dirà Gesù. Ma…allora è dell’altro mondo? Bisogna andare nell’altro mondo per entrare nel Regno di Dio? No, fratelli: è in questo mondo che Dio lo costruisce, ma non è fatto come i Regni o le grandi potenze di questo mondo. E’ totalmente, radicalmente diverso. Se non altro perché non tramonta e non finisce mai, come fan tutti i regni della terra prima o poi: quanti imperi e regni, quante grandi potenze si sono succedute nel corso della storia! E ogni volta c’era gente che esclamava affascinata: “Oh! Mai vista una cosa del genere! Che potenza! Che grandiosità!”. Ma non è rimasto più nulla: solo un ricordo sui libri di storia, e qualche reperto archeologico…a beneficio di turisti.
Ebbene, no: non si può paragonare il Regno di Dio alle potenze di questo mondo: se queste tramontano, Dio non tramonta mai. Quei pescatori che quella mattina lì sulle rive del lago di Tiberiade han sentito quella notizia da Gesù, gli hanno creduto, e non solo in teoria, ma nel concreto della vita.“Seguitemi!” ha detto loro. E l’hanno seguito. Avete mai sentito dire che un re, un potente, si rivolga a dei semplici pescatori, per farne i suoi primi collaboratori? No, i potenti di questo mondo o fanno tutto da soli, o si rivolgono a persone altolocate, ai pezzi grossi…non certo a pescatori, cioè: non a persone comuni, come noi.
Ecco la novità, fratelli: Dio, nel costruire il suo Regno in questo mondo, si rivolge a gente come noi. Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, si sono sentiti dire: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini!”. Parole un po’ strane li per lì, ma le hanno accolte; da quel giorno in poi hanno toccato con mano che non era una favola la bella notizia di Gesù: la loro vita è stata tutta trasformata. Non è che hanno smesso subito di fare i pescatori di pesci per diventare chissà chi…Han capito che loro non erano soltanto lavoratori, condannati a morire di fatica tutte le notti: erano figli di Dio, collaboratori suoi per costruire il suo Regno. Era diverso anche il lavoro, e il modo di comportarsi nella vita di tutti i giorni, e le loro relazioni con la gente: tutto era diverso…
Infatti, prendere sul serio la Parola di Gesù cambia davvero la vita; non si fanno più le cose di tutti i giorni solo perché bisogna farle, è troppo poco: per tutti è troppo poco. Ascoltare la Parola di Gesù, e lasciarsene animare, ha questo effetto: si fanno quelle stesse cose sapendo che anche così si può collaborare a costruire il Regno di Dio in questo mondo, anzi, ha come risultato che quelle cose si fanno perfino meglio, con più grinta, anche con più soddisfazione.
E il segreto è tutto lì: nell’ascoltare con la massima fiducia e attenzione la Parola di Dio. Non una volta tanto, di rado, ma con assiduità direi quotidiana: la stessa per cui non passa giorno che noi non mettiamo qualcosa nello stomaco. E siccome non siamo bestiame da foraggiare, o frigoriferi da riempire, ma bensì figli di Dio, ecco che non ci basta il pane e il companatico: abbiamo bisogno di parole che vengono da Dio.
La Parola di Dio! In questa Domenica siamo invitati con tutti i cristiani del mondo ad accorgerci di quanto è preziosa e irrinunciabile per noi la Parola di Dio. Ascoltarla la Domenica quando si viene a Messa è già molto, ma nel mondo d’oggi – così complesso e caotico – non ci basta, non ci basta per vivere da cristiani, perché poi - fuori di qui, durante la settimana - sentiamo tante altre parole che hanno la meglio su quella di Dio… e magari fossero affidabili, ma molto spesso sono parole al vento! Quanto è importante darle il primo posto tra tutte le parole che sentiamo. E perciò ascoltarla, o leggerla, più spesso… ben aldilà della Domenica.
E qui lasciate che scenda al pratico e vi dia qualche consiglio. Voi sentite questa Parola nelle letture della Bibbia, del Vangelo, quando venite alla messa: a volte ciò che si legge non è sempre chiaro, magari si stenta a capirlo… ma tra tutte le parole delle letture, delle prediche, ce ne sarà almeno una - anche una frase sola - che sentì che riguarda anche te, anzi, proprio te. Cerca di tenerla a mente, portala nel cuore quando esci dalla chiesa, richiamala qualche volta durante la settimana, magari nei momenti di difficoltà: ti aiuterà quella Parola, ti accorgerai come cambia in meglio la tua vita.
Altro consiglio pratico: dal momento che gran parte di noi possiede un cellulare sul quale sappiamo cercare e trovare tante cose, perché non cercarvi anche la Parola di Dio che la Chiesa offre ogni giorno a noi Cristiani? Insomma fratelli, o perché siamo forniti di strumenti adatti, o perché in casa abbiamo tutti almeno un Vangelo, fatto sta che non ci sono più scuse: se ci sta a cuore essere cristiani non solo di nome, la Provvidenza ci ha fornito anche gli strumenti per esserlo di fatto.
“Coloro che abitavano nelle tenebre hanno visto una grande luce” diceva oggi il Vangelo. Nella nostra vita probabilmente non ci sono tenebre, ma forse un certo grigiore sì. Ebbene, la Parola del Signore può sottrarre al grigiore tante nostre situazioni, può farci vedere e apprezzare tutto e tutti, a cominciare da noi stessi.
Perché ormai è vero e sarà sempre vero: il Regno di Dio è vicino, anzi, è in mezzo a noi.
Domenica 15 Gennaio - II° del Tempo Ordinario
Le Letture Bibliche: Isaia 49,3.5-6; 1Corinzi 1,1-3; Giovanni 1,29-34
Quando una persona la si conosce bene e si sanno i suoi gusti, allorchè la si cerca, di solito si sa dove trovarla.
E Dio, dove lo cercheremo? Alla festa dell’Epifania, dieci giorni fa’, ci siamo sentiti dire che Dio… si fa cercare…Quelli che lo vogliono trovare lo devono cercare… E dove? E’ venuto ad abitare in mezzo nella nostra umanità – si è fatto carne, come siamo fatti di carne noi – sì, ma l’umanità è grande, estesa quanto il mondo: sarà andato al Nord o al Sud? E in quale luogo, precisamente? Quando di una persona si conoscono i gusti, dicevo, si sa dove andarla a cercare. Anche nel caso di Gesù, Figlio di Dio, dev’essere così.
Giovanni Battista afferma oggi nel vangelo che non lo conosceva; strano: ma non era suo parente Gesù? Elisabetta, madre di Giovanni, non era cugina di Maria, madre di Gesù? Eppure nel quarto vangelo che abbiamo ascoltato oggi dice espressamente così: “Io non lo conoscevo…”. Due volte lo ripete. E allora… o Gesù era il tipico parente lontano che Giovanni non aveva mai visto prima…oppure non sapeva che quel suo lontano parente Gesù era il Messia… E allora cosa fa Giovanni? Lo aspetta al varco, al fiume Giordano. “Siccome non lo conoscevo – dice – sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a tutti”. Cioè, deve aver pensato: se questo Messia è venuto da Dio per togliere il peccato del mondo, sta sicuro che tra tutta quella gente che viene a farsi battezzare si presenterà anche lui. Sì, ma non ha mica la faccia di un marziano o di un alieno: è uno come tutti; e come faccio a sapere qual è esattamente? “Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua, mi aveva detto così: sta’ attento! Quando vedrai scendere lo Spirito santo e posarsi su un uomo, sappi per certo che quell’uomo è il Messia…”. E così avvenne.
Sì, ma cosa c’entra con noi questa storia? Dov’è il vangelo, cioè la buona notizia per noi, in tutta questa vicenda?
Fratelli, non abbiamo detto e ripetuto che se vogliamo essere credenti che si rispettano dobbiamo cercare Dio sempre? Ecco, la buona notizia oggi è questa: sappiamo i suoi gusti, sappiamo dove si trova e quindi dove cercarlo: al varco di certe esperienze umane, le nostre anzitutto, ma poi quelle di tutti…E in quali esperienze umane lo troveremo? Là dove tutti, uomini e donne, toccano con mano i loro limiti: limiti di fragilità, di debolezza, di infedeltà, di egoismo (che è come dire “peccato”) … e sono tante, tante queste situazioni! Essere limitati non è un peccato, è un dato di fatto naturale. Ma quando il limite che c’è in noi va a braccetto con l’egoismo, allora sì, allora il risultato è il peccato.
Perché, vedete: va bene avere le proprie idee su cosa fare nella vita, come realizzarsi, come mandare avanti la famiglia, come dovrebbe camminare la società, …cosa dovrebbe fare il governo, come impedire che il mondo piombi nel baratro delle guerre…va bene avere le proprie idee su tutto questo; non va più altrettanto bene quando le mie idee sono al servizio del mio egoismo, dei miei interessi, delle mie visuali di comodo: allora, su tutto quello che vivo e faccio io lascio il marchio del mio peccato.
Sì, sono tante le esperienze umane, le occasioni, nelle quali tocchiamo con mano tutto questo. Si va da quelle di famiglia, dove certe volte è difficile intendersi e capirsi perché ognuno vede le cose a modo suo, e crede a tal punto di aver ragione che non si sforza neanche di capire le ragioni dell’altro…Da quelle di famiglia si passa poi a quelle della convivenza con il vicinato, nell’ambiente del lavoro, nella scuola…e ogni persona vi porta se stessa, con ciò che ha di positivo e anche con il suo egoismo…
E che c’è di strano se la stessa cosa capita a livello planetario: tra popoli, tra culture, tra religioni diverse? L’egoismo che c’è in me, moltiplicato per tutti i miliardi di uomini che abitano la faccia della terra, cosa diventa? Chiamatelo come volete, ma il vangelo lo chiama così: il peccato del mondo.
La buona notizia, per noi cristiani oggi, è che oltre tutto questo cumulo di egoismi c’è lui: l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. E’ proprio in queste esperienze umane del limite che lo dobbiamo cercare. Sì, qui all’Eucaristia lo incontriamo come il Signore che ci imbandisce la mensa, ma poi lui sparisce e noi dobbiamo ripartire e cercarlo ancora; oggi sappiamo dove: lo troveremo proprio sul terreno umano dei nostri limiti.
Come agnello ci attende. Non come lupo, o come giudice che ci rimprovera, sentenzia e condanna…no, come agnello: con tutto quello che evoca per noi questa immagine dell’agnello. Pensate, tra il resto, quante volte lo invochiamo con queste parole nella liturgia della messa: agnello di Dio, figlio del Padre, abbi pietà di noi… Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi! (a volte la biascichiamo in fretta questa invocazione e ci chiediamo: ma perché bisogna dirla tre volte?) …ma poi ancora prima della Comunione: Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo! E’ quasi ossessionante questa invocazione all’Agnello…
Sì, fratelli: forse è per educarci all’ossessione della misericordia, della mitezza, della comprensione … Verso noi stessi anzitutto: i nostri limiti, le nostre fragilità, i nostri peccati… e poi verso quelli degli altri, e le situazioni problematiche attorno a noi e nel mondo intero.
Ci sono sempre quelli che sentenziano: Ci vorrebbe questo … e quest’altro… So io cosa bisognerebbe fare… Ci sono sempre questi sputa-sentenze! No, tu non sai niente, tu vedi solo la superficie delle situazioni, come tutti. Quello che ci vuole c’è già: l’Agnello che toglie da tutte quelle situazioni il peccato e lo porta su di sé… E allora, invece che sputar sentenze facili, guarda a Lui, comincia a prendere in considerazione questo Messia Gesù, ma in seria considerazione.
Come hanno fatto quei discepoli che erano lì con Giovanni Battista quel giorno; il vangelo prosegue dicendo che sentendo Giovanni che parlava così, hanno cominciato a seguire Gesù. E non l’hanno mai più perso di vista: sono diventati suoi discepoli.
Facciamolo anche noi, fratelli, e di tutto il cuore.
Domenica 8 Gennaio - Battesimo del Signore
Le Letture Bibliche: Isaia 42,1-4.6-7; Atti 10,34-38; Matteo 3,13-17
Di molte parole che diciamo noi conosciamo certamente il significato, anzi, non occorre nemmeno spiegarle. Di altre invece ci sfugge; si, magari le adoperiamo ma se qualcuno ci chiedesse cosa vogliono dire, ci metterebbe in imbarazzo e forse risponderemmo in maniera molto generica. Battesimo, ad esempio. Cosa vuol dire la parola Battesimo? “Si è quello che si fa per diventare cristiani…”. Beh, è già qualcosa poter rispondere così, ma non vi pare che sarebbe meglio conoscere esattamente il senso di certe parole, soprattutto se sono importanti?
“Battesimo” vuol dire “immersione”, ecco cosa significa la parola Battesimo. Immersione dove? Nell’acqua, di solito, magari gettandosi dal trampolino di una piscina. Gesù è entrato nell’acqua di un fiume, con tanta altra gente che vi si immergeva come lui, su invito di Giovanni Battista. Noi per fare il Battesimo ci limitiamo a versare un po’ d’acqua sul capo… ma in certe Chiese cristiane - come quelle orientali ad esempio - si pratica sempre l’immersione.
A voler essere esatti però, non è questa la vera immersione che ha provato Gesù, il Signore: è un’altra. Per questa si fa presto: si entra nell’acqua e poi si esce (un po’ come quei turisti che presumono di conoscere la cultura di un paese solo perché ci sono stati alcuni giorni in vacanza…). No, Gesù ha provato un’altra immersione, che è durata tutta la sua vita; anzi, ad essere precisi, non è ancora conclusa. Ricordate il bell’annuncio del Natale? “Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Solo che invece che dire “abitare” il Vangelo usa un’altra espressione: “ha piantato la sua tenda in mezzo a noi…”. “Tenda” notate bene, e non come quella di campeggiatori o turisti che l’adoperano per qualche giorno, ma simile piuttosto a quella di chi vive nel deserto e che è la sua abitazione per tutta la vita: una dimora sempre provvisoria perché nel deserto si è Nomadi, ci si sposta in continuazione. Dio ha cominciato la sua storia in questo mondo con un popolo nomade: perché mai? perché noi non siamo mai sempre gli stessi, la vita è cammino - si dice, si cambia in continuazione. E Dio vuol stare al passo con noi, preferisce la tenda alla costruzione di mura… Era stupendo il tempio di Gerusalemme, imponente, l’avevano edificato con materiale prezioso: pietre scelte, legno di cedro, oro a profusione… ma a Dio quel tempio - fisso - stava un po’ stretto. Il nostro Dio preferisce la tenda. “Il Verbo, il Figlio di Dio, si è fatto carne e ha piantato la sua tenda … per stare al passo con noi”.
E non solo per stare al passo con noi, ma per vivere, cioè provare tutto ciò che proviamo noi; in altre parole: è nella nostra esperienza umana che si è immerso il Signore Gesù. Ha condiviso i passaggi abituali di questa nostra avventura che è la vita; si, è già adulto quando arriva al fiume Giordano, ma questo vuol dire che prima è stato bambino, poi ragazzo, poi adolescente, giovane, adulto… questo vuol dire che ha imparato a correre e a giocare con gli altri ragazzi per le strade te e per le colline di Nazaret, ma ha anche imparato il mestiere del carpentiere da Giuseppe…Ha provato cos’è l’ebbrezza del far festa e anche la monotonia del riprendere a lavorare dopo la festa; ha avuto i suoi momenti di entusiasmo e anche quelli di sconforto, ha sperimentato il bello e il meno bello della vita di tutti…
Capite allora fratelli il senso di quell’immersione nelle acque del Giordano, cioè il significato di quel suo Battesimo?
Egli è qui per condividere tutto ciò che è nostro. Ma proprio tutto? “Tranne il peccato” dice la tradizione cristiana: vuol dire che la sua esperienza del peccato non è quella del trasgressore – come siamo tutti noi poco o tanto – ma quella dell’Agnello che porta su di sé i peccati del mondo. Noi il peccato lo conosciamo perché lo facciamo; lui lo conosce perché ne paga il prezzo è - per toglierlo di mezzo - ci muore sotto. Immergendosi nell’acqua del Giordano insieme a tutta quella gente è come se dicesse: prendo tutto ciò che è vostro, lo faccio mio senza eccezioni e senza sconti.
La sua missione la compie così Gesù. Porterà la buona notizia di Dio – che è vicino e costruisce il suo Regno tra noi – entrando nelle case della gente, passando per le strade, in riva al lago, nelle sinagoghe e in tutti gli spazi aperti dove la gente si incontra… e lo farà con estrema semplicità; sarà mite invece che arrogante, rispettoso verso ogni forma di vita, comprensivo e compassionevole verso ogni debolezza. Un metodo strano questo, se pensate che a quei tempi gli emissari dei potenti erano soliti gridare e ricorrevano anche alla violenza per farsi obbedire da tutti… L’inviato di Dio, no: “Il mio servo – dice Dio oggi ( era la prima lettura) – non griderà né alzerà il tono…non spezzerà una canna che è già incrinata…non spegnerà la fiammella di uno stoppino che sta languendo…”. Semplicità e mitezza: ecco gli atteggiamenti del Verbo fatto carne che ha piantato la sua tenda tra noi.
Non è affatto debolezza o mancanza di coraggio la sua; se si comporta così è perché lo sa: la sua bontà, il suo amore disarmante e disarmato l’avranno vinta su qualsiasi ostacolo.
E noi tutti – noi che per il Battesimo siamo diventati figli di Dio e quindi suoi fratelli – penso che sia su queste orme che siamo tenuti a camminare; è questa strada aperta da lui che siamo invitati a percorrere. Mitezza, semplicità, bontà, tolleranza, comprensione…qualcuno dirà: ma sì, le solite cose che dite da 2000 anni voi preti! No, affatto: oggi queste sono cose nuove; vere e autentiche novità. Guardatevi attorno, toccate un po’ il polso della cultura di oggi, dell’opinione pubblica…Quanti hanno la sensazione di essere assediati nel mondo di oggi: da una crisi che porta con se non pochi problemi, da culture diverse che prenderanno sempre più piede tra noi, da una criminalità diffusa… e la reazione qual è? L’intolleranza, che non si fa riguardo di ricorrere a metodi violenti e discriminatori. Torna frequente l’espressione che risuonava negli anni oscuri del secolo appena passato: “tolleranza-zero”!
Ebbene, lo stile del Servo, adottato da Gesù – fatto di mitezza, semplicità, bontà, tolleranza, comprensione - non trovate che vada contro-corrente e sia ancora nuovo dopo 2000 anni?
E allora oggi, oltre che rinnovare la nostra adesione a questo Messia che è Gesù Cristo, chiediamo a Dio di aiutarci davvero, perché possiamo essere coerenti – nella mentalità e nei comportamenti – con quella dignità di figli suoi che proprio nel Battesimo abbiamo ricevuto in dono.
Forti nella mitezza, coraggiosi nella bontà, perseveranti nella comprensione: in tal modo il Cristianesimo sarà anche ai nostri giorni un'autentica novità.
Le Letture Bibliche: Isaia 42,1-4.6-7; Atti 10,34-38; Matteo 3,13-17
Di molte parole che diciamo noi conosciamo certamente il significato, anzi, non occorre nemmeno spiegarle. Di altre invece ci sfugge; si, magari le adoperiamo ma se qualcuno ci chiedesse cosa vogliono dire, ci metterebbe in imbarazzo e forse risponderemmo in maniera molto generica. Battesimo, ad esempio. Cosa vuol dire la parola Battesimo? “Si è quello che si fa per diventare cristiani…”. Beh, è già qualcosa poter rispondere così, ma non vi pare che sarebbe meglio conoscere esattamente il senso di certe parole, soprattutto se sono importanti?
“Battesimo” vuol dire “immersione”, ecco cosa significa la parola Battesimo. Immersione dove? Nell’acqua, di solito, magari gettandosi dal trampolino di una piscina. Gesù è entrato nell’acqua di un fiume, con tanta altra gente che vi si immergeva come lui, su invito di Giovanni Battista. Noi per fare il Battesimo ci limitiamo a versare un po’ d’acqua sul capo… ma in certe Chiese cristiane - come quelle orientali ad esempio - si pratica sempre l’immersione.
A voler essere esatti però, non è questa la vera immersione che ha provato Gesù, il Signore: è un’altra. Per questa si fa presto: si entra nell’acqua e poi si esce (un po’ come quei turisti che presumono di conoscere la cultura di un paese solo perché ci sono stati alcuni giorni in vacanza…). No, Gesù ha provato un’altra immersione, che è durata tutta la sua vita; anzi, ad essere precisi, non è ancora conclusa. Ricordate il bell’annuncio del Natale? “Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Solo che invece che dire “abitare” il Vangelo usa un’altra espressione: “ha piantato la sua tenda in mezzo a noi…”. “Tenda” notate bene, e non come quella di campeggiatori o turisti che l’adoperano per qualche giorno, ma simile piuttosto a quella di chi vive nel deserto e che è la sua abitazione per tutta la vita: una dimora sempre provvisoria perché nel deserto si è Nomadi, ci si sposta in continuazione. Dio ha cominciato la sua storia in questo mondo con un popolo nomade: perché mai? perché noi non siamo mai sempre gli stessi, la vita è cammino - si dice, si cambia in continuazione. E Dio vuol stare al passo con noi, preferisce la tenda alla costruzione di mura… Era stupendo il tempio di Gerusalemme, imponente, l’avevano edificato con materiale prezioso: pietre scelte, legno di cedro, oro a profusione… ma a Dio quel tempio - fisso - stava un po’ stretto. Il nostro Dio preferisce la tenda. “Il Verbo, il Figlio di Dio, si è fatto carne e ha piantato la sua tenda … per stare al passo con noi”.
E non solo per stare al passo con noi, ma per vivere, cioè provare tutto ciò che proviamo noi; in altre parole: è nella nostra esperienza umana che si è immerso il Signore Gesù. Ha condiviso i passaggi abituali di questa nostra avventura che è la vita; si, è già adulto quando arriva al fiume Giordano, ma questo vuol dire che prima è stato bambino, poi ragazzo, poi adolescente, giovane, adulto… questo vuol dire che ha imparato a correre e a giocare con gli altri ragazzi per le strade te e per le colline di Nazaret, ma ha anche imparato il mestiere del carpentiere da Giuseppe…Ha provato cos’è l’ebbrezza del far festa e anche la monotonia del riprendere a lavorare dopo la festa; ha avuto i suoi momenti di entusiasmo e anche quelli di sconforto, ha sperimentato il bello e il meno bello della vita di tutti…
Capite allora fratelli il senso di quell’immersione nelle acque del Giordano, cioè il significato di quel suo Battesimo?
Egli è qui per condividere tutto ciò che è nostro. Ma proprio tutto? “Tranne il peccato” dice la tradizione cristiana: vuol dire che la sua esperienza del peccato non è quella del trasgressore – come siamo tutti noi poco o tanto – ma quella dell’Agnello che porta su di sé i peccati del mondo. Noi il peccato lo conosciamo perché lo facciamo; lui lo conosce perché ne paga il prezzo è - per toglierlo di mezzo - ci muore sotto. Immergendosi nell’acqua del Giordano insieme a tutta quella gente è come se dicesse: prendo tutto ciò che è vostro, lo faccio mio senza eccezioni e senza sconti.
La sua missione la compie così Gesù. Porterà la buona notizia di Dio – che è vicino e costruisce il suo Regno tra noi – entrando nelle case della gente, passando per le strade, in riva al lago, nelle sinagoghe e in tutti gli spazi aperti dove la gente si incontra… e lo farà con estrema semplicità; sarà mite invece che arrogante, rispettoso verso ogni forma di vita, comprensivo e compassionevole verso ogni debolezza. Un metodo strano questo, se pensate che a quei tempi gli emissari dei potenti erano soliti gridare e ricorrevano anche alla violenza per farsi obbedire da tutti… L’inviato di Dio, no: “Il mio servo – dice Dio oggi ( era la prima lettura) – non griderà né alzerà il tono…non spezzerà una canna che è già incrinata…non spegnerà la fiammella di uno stoppino che sta languendo…”. Semplicità e mitezza: ecco gli atteggiamenti del Verbo fatto carne che ha piantato la sua tenda tra noi.
Non è affatto debolezza o mancanza di coraggio la sua; se si comporta così è perché lo sa: la sua bontà, il suo amore disarmante e disarmato l’avranno vinta su qualsiasi ostacolo.
E noi tutti – noi che per il Battesimo siamo diventati figli di Dio e quindi suoi fratelli – penso che sia su queste orme che siamo tenuti a camminare; è questa strada aperta da lui che siamo invitati a percorrere. Mitezza, semplicità, bontà, tolleranza, comprensione…qualcuno dirà: ma sì, le solite cose che dite da 2000 anni voi preti! No, affatto: oggi queste sono cose nuove; vere e autentiche novità. Guardatevi attorno, toccate un po’ il polso della cultura di oggi, dell’opinione pubblica…Quanti hanno la sensazione di essere assediati nel mondo di oggi: da una crisi che porta con se non pochi problemi, da culture diverse che prenderanno sempre più piede tra noi, da una criminalità diffusa… e la reazione qual è? L’intolleranza, che non si fa riguardo di ricorrere a metodi violenti e discriminatori. Torna frequente l’espressione che risuonava negli anni oscuri del secolo appena passato: “tolleranza-zero”!
Ebbene, lo stile del Servo, adottato da Gesù – fatto di mitezza, semplicità, bontà, tolleranza, comprensione - non trovate che vada contro-corrente e sia ancora nuovo dopo 2000 anni?
E allora oggi, oltre che rinnovare la nostra adesione a questo Messia che è Gesù Cristo, chiediamo a Dio di aiutarci davvero, perché possiamo essere coerenti – nella mentalità e nei comportamenti – con quella dignità di figli suoi che proprio nel Battesimo abbiamo ricevuto in dono.
Forti nella mitezza, coraggiosi nella bontà, perseveranti nella comprensione: in tal modo il Cristianesimo sarà anche ai nostri giorni un'autentica novità.
6 Gennaio - Solennità dell'EPIFANIA
“Chi cerca, trova” dice il proverbio. Tuttavia non è sempre vero. Dipende da cosa si cerca, e dall’interesse, dalla passione che ci si mette nel cercare…
Quelle persone o quelle famiglie che in queste Feste han potuto andarsene in vacanza in luoghi particolarmente gettonati… mica hanno deciso il giorno prima di partire: eh, no, han prenotato settimane prima. E prima di prenotare si sono informate su tanti dettagli: una preparazione molto diligente insomma. Ma prendete ad esempio anche il campo della salute: quando si ha qualche problema, sì, magari si comincia col medico di base… ma poi – se il problema è serio – si ricorre allo specialista… e visto come funziona la sanità in Italia di questi tempi, è davvero un’impresa non da poco.
Potrei fare anche l’esempio delle Feste: Natale, ultimo dell’anno, Capodanno… Chi non ha programmato con cura la cornice: i regali, gli auguri, le cene? Chi è quello sprovveduto che ci pensa all’ultimo momento e poi si accontenta della prima cosa che capita? Insomma, chi cerca trova se cerca con cura, con diligenza, con interesse; se no, non trova niente.
Probabilmente avrete capito perché oggi – festa dell’Epifania – ho cominciato con questo discorso. L’Epifania è la festa di chi cerca Dio. Sì, e vale anche qui la regola “chi cerca, trova”… ma solo se cerca con passione, con costanza, con determinazione; altrimenti o non è vero che cerca Dio, o non lo trova affatto.
I Magi – che non erano maghi o prestigiatori, ma individui sapienti e molto decisi – l’hanno trovato Dio. Il lungo viaggio, e le fatiche che dev’essere costato, provano che l’hanno cercato con passione, con grandissimo interesse. Invece quei tali che Dio ce l’avevano lì vicino, e non occorreva che facessero molti chilometri per cercarlo (come Erode o i grandi di Gerusalemme), non l’hanno trovato per niente: sapevano consultare i loro vecchi libri per capire dove avrebbe dovuto venire… “A Betlemme!” Ah sì, a Betlemme…”. Ma non hanno fatto neanche un passo per cercarlo… Figuriamoci se potevano trovarlo: Dio si lascia trovare solo da chi lo cerca con passione, con determinazione. Chi lo cerca in modo fiacco, o non lo cerca affatto, non lo trova mai.
Si racconta nelle storie degli antichi Padri del deserto (i monaci dei primi secoli del cristianesimo) che un ragazzo un giorno andò a trovare un vecchio eremita, un sant’uomo che aveva trascorso tutta la vita a cercare Dio nella solitudine. Abitava in una grotta vicino ad un torrente. “Voglio cercare Dio – disse quel ragazzo – insegnami come devo fare!”. Quel santo vecchio diede una spinta al ragazzo e lo gettò nell’acqua – e gli tenne la testa sotto per qualche istante… poi lo lasciò riemergere e gli domandò: “Intanto che stavi sotto, cosa desideravi di più? – “L’aria”, rispose il ragazzo, “poter respirare!”. E quanto la desideravi? – “Con tutto me stesso… perché altrimenti soffocavo!”. “Ecco – disse quell’anziano – Dio lo puoi cercare solo così: come uno che sta per soffocare e cerca l’aria; solo se lo cerchi così tu potrai trovare Dio!”.
Fratelli, sarà paradossale fin che volete questo esempio, ma non dite che cercare Dio a queste condizioni è troppo faticoso, o addirittura disumano… Non vi accorgete che stiamo diventando disumani noi, a furia di cercare con ansia e con interesse tutto ciò che non è Dio? Stiamo rischiando di soffocare in un mare di banalità…
Dio lo si cerca e lo si trova, solo se lo si cerca con la stessa ansia con cui desidera l’aria uno che sta per affogare… (Per cui, sia io prete, come voi, genitori o nonni, possiamo star certi: o diamo ai figli, ai nipoti, l’esempio di una ricerca così appassionata, o è meglio che non gli parliamo neanche di Dio, perché li prenderemmo in giro: infatti, in una ricerca fiacca e povera di interesse, non lo troverebbero mai…).
Sì, ma perché cercare Dio? La domanda non è affatto sciocca, anzi. Io potrei rispondere così: per non soffocare in quel mare di banalità che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Ma i magi ci possono dare una risposta, più precisa: “…Siamo venuti per adorarlo” (Gesù Cristo, s’intende)…”Arrivati a Betlemme, entrarono nella casa, si inginocchiarono e lo adorarono…”. Sappiamo tutti cosa vuol dire “adorare”, sì anche quelli che non conoscono il significato preciso di questa parola, perché tutti a questo mondo adorano: o Dio, o qualcos’altro che non è Dio, ma tutti adorano… Anche Erode adorava: non Dio certamente, ma il suo potere arrogante e sanguinario. Altroché se lo adorava! Cosa vuol dire “adorare”?
Adorare vuol dire mettere qualcuno, o qualcosa, al primo posto in assoluto… amarlo con tutto il cuore, pensarlo tutti i giorni…
Adorare il Signore - Dio - vuol dire sapere per certo che senza di lui non possiamo star in piedi neanche un istante, perché la vita, la salute, l’aria che respiriamo… tutto ci viene da lui.
Adorare il Signore vuol dire essere sicuri che solo lui è davvero grande, importante, indispensabile… e nessun altro.
Adorarlo è credere a quello che ci dice perché lui ci vuol davvero bene, è di parola e non ci prende mai in giro.
Chi cerca il Signore per adorarlo è uno che si piega solo davanti a lui. Ed è uno che non ha bisogno di tante raffinatezze e banalità per far festa ed essere contento: anzi, quando sono troppe, gli fanno venire il voltastomaco… I Magi che cercavano Dio per adorarlo, sono ben più di tre o quattro… sono i primi di una lunga carovana. In quella carovana ci sono ebrei (ma non tutti), cristiani (ma non tutti), musulmani, buddisti (ma non tutti neanche questi): solo quelli che cercano Dio con passione e decisione fanno parte di quella carovana. Gli altri… si son persi per strada, affogati nel mare delle banalità.
Cosa augurarci allora, fratelli, visto che siamo ancora in tempo di auguri?
Di non annegare nel mare delle banalità o delle piccinerie, ma di cercare Dio, il Signore, con la stessa ansia di quel tale che, sott’acqua, cerca l’aria per respirare.
Allora, ma solo allora, è vero che anche su questa strada “chi cerca, trova”. Infatti Dio, il Signore, è venuto tra noi e non se n’andrà mai più.
“Chi cerca, trova” dice il proverbio. Tuttavia non è sempre vero. Dipende da cosa si cerca, e dall’interesse, dalla passione che ci si mette nel cercare…
Quelle persone o quelle famiglie che in queste Feste han potuto andarsene in vacanza in luoghi particolarmente gettonati… mica hanno deciso il giorno prima di partire: eh, no, han prenotato settimane prima. E prima di prenotare si sono informate su tanti dettagli: una preparazione molto diligente insomma. Ma prendete ad esempio anche il campo della salute: quando si ha qualche problema, sì, magari si comincia col medico di base… ma poi – se il problema è serio – si ricorre allo specialista… e visto come funziona la sanità in Italia di questi tempi, è davvero un’impresa non da poco.
Potrei fare anche l’esempio delle Feste: Natale, ultimo dell’anno, Capodanno… Chi non ha programmato con cura la cornice: i regali, gli auguri, le cene? Chi è quello sprovveduto che ci pensa all’ultimo momento e poi si accontenta della prima cosa che capita? Insomma, chi cerca trova se cerca con cura, con diligenza, con interesse; se no, non trova niente.
Probabilmente avrete capito perché oggi – festa dell’Epifania – ho cominciato con questo discorso. L’Epifania è la festa di chi cerca Dio. Sì, e vale anche qui la regola “chi cerca, trova”… ma solo se cerca con passione, con costanza, con determinazione; altrimenti o non è vero che cerca Dio, o non lo trova affatto.
I Magi – che non erano maghi o prestigiatori, ma individui sapienti e molto decisi – l’hanno trovato Dio. Il lungo viaggio, e le fatiche che dev’essere costato, provano che l’hanno cercato con passione, con grandissimo interesse. Invece quei tali che Dio ce l’avevano lì vicino, e non occorreva che facessero molti chilometri per cercarlo (come Erode o i grandi di Gerusalemme), non l’hanno trovato per niente: sapevano consultare i loro vecchi libri per capire dove avrebbe dovuto venire… “A Betlemme!” Ah sì, a Betlemme…”. Ma non hanno fatto neanche un passo per cercarlo… Figuriamoci se potevano trovarlo: Dio si lascia trovare solo da chi lo cerca con passione, con determinazione. Chi lo cerca in modo fiacco, o non lo cerca affatto, non lo trova mai.
Si racconta nelle storie degli antichi Padri del deserto (i monaci dei primi secoli del cristianesimo) che un ragazzo un giorno andò a trovare un vecchio eremita, un sant’uomo che aveva trascorso tutta la vita a cercare Dio nella solitudine. Abitava in una grotta vicino ad un torrente. “Voglio cercare Dio – disse quel ragazzo – insegnami come devo fare!”. Quel santo vecchio diede una spinta al ragazzo e lo gettò nell’acqua – e gli tenne la testa sotto per qualche istante… poi lo lasciò riemergere e gli domandò: “Intanto che stavi sotto, cosa desideravi di più? – “L’aria”, rispose il ragazzo, “poter respirare!”. E quanto la desideravi? – “Con tutto me stesso… perché altrimenti soffocavo!”. “Ecco – disse quell’anziano – Dio lo puoi cercare solo così: come uno che sta per soffocare e cerca l’aria; solo se lo cerchi così tu potrai trovare Dio!”.
Fratelli, sarà paradossale fin che volete questo esempio, ma non dite che cercare Dio a queste condizioni è troppo faticoso, o addirittura disumano… Non vi accorgete che stiamo diventando disumani noi, a furia di cercare con ansia e con interesse tutto ciò che non è Dio? Stiamo rischiando di soffocare in un mare di banalità…
Dio lo si cerca e lo si trova, solo se lo si cerca con la stessa ansia con cui desidera l’aria uno che sta per affogare… (Per cui, sia io prete, come voi, genitori o nonni, possiamo star certi: o diamo ai figli, ai nipoti, l’esempio di una ricerca così appassionata, o è meglio che non gli parliamo neanche di Dio, perché li prenderemmo in giro: infatti, in una ricerca fiacca e povera di interesse, non lo troverebbero mai…).
Sì, ma perché cercare Dio? La domanda non è affatto sciocca, anzi. Io potrei rispondere così: per non soffocare in quel mare di banalità che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Ma i magi ci possono dare una risposta, più precisa: “…Siamo venuti per adorarlo” (Gesù Cristo, s’intende)…”Arrivati a Betlemme, entrarono nella casa, si inginocchiarono e lo adorarono…”. Sappiamo tutti cosa vuol dire “adorare”, sì anche quelli che non conoscono il significato preciso di questa parola, perché tutti a questo mondo adorano: o Dio, o qualcos’altro che non è Dio, ma tutti adorano… Anche Erode adorava: non Dio certamente, ma il suo potere arrogante e sanguinario. Altroché se lo adorava! Cosa vuol dire “adorare”?
Adorare vuol dire mettere qualcuno, o qualcosa, al primo posto in assoluto… amarlo con tutto il cuore, pensarlo tutti i giorni…
Adorare il Signore - Dio - vuol dire sapere per certo che senza di lui non possiamo star in piedi neanche un istante, perché la vita, la salute, l’aria che respiriamo… tutto ci viene da lui.
Adorare il Signore vuol dire essere sicuri che solo lui è davvero grande, importante, indispensabile… e nessun altro.
Adorarlo è credere a quello che ci dice perché lui ci vuol davvero bene, è di parola e non ci prende mai in giro.
Chi cerca il Signore per adorarlo è uno che si piega solo davanti a lui. Ed è uno che non ha bisogno di tante raffinatezze e banalità per far festa ed essere contento: anzi, quando sono troppe, gli fanno venire il voltastomaco… I Magi che cercavano Dio per adorarlo, sono ben più di tre o quattro… sono i primi di una lunga carovana. In quella carovana ci sono ebrei (ma non tutti), cristiani (ma non tutti), musulmani, buddisti (ma non tutti neanche questi): solo quelli che cercano Dio con passione e decisione fanno parte di quella carovana. Gli altri… si son persi per strada, affogati nel mare delle banalità.
Cosa augurarci allora, fratelli, visto che siamo ancora in tempo di auguri?
Di non annegare nel mare delle banalità o delle piccinerie, ma di cercare Dio, il Signore, con la stessa ansia di quel tale che, sott’acqua, cerca l’aria per respirare.
Allora, ma solo allora, è vero che anche su questa strada “chi cerca, trova”. Infatti Dio, il Signore, è venuto tra noi e non se n’andrà mai più.
1 Gennaio 2023 - S.Maria, Madre di Dio
Le Letture Bibliche: Numeri 6,22-27; Galati 4,4-7; Luca 2,16-21
Non so se il passaggio dall’anno vecchio a quello nuovo è avvenuto in modo più dimesso e più sobrio del solito: se è così è merito o colpa della crisi economica; del resto perché dovrebbe crescere solo il prezzo del pane quotidiano, o le bollette di vario genere, e non anche il costo dei botti e dello champagne?Poi è vero: c’è sempre una percentuale di persone che nessuna crisi riuscirà mai a scalfire, come c’è dall’altra parte una percentuale crescente di individui e famiglie che la crisi la sperimentano ogni giorno sulla loro pelle… Al che, quando sento parlare di civiltà cristiana riguardo alla nostra Europa, mi vien da dire: finiamola con questi eufemismi, o pietose bugie, se preferite! Quanti sanno che la vita e il tempo (e quindi ogni anno nuovo che comincia) sono doni di Dio? Quanti si ricordano di ringraziarlo, di cominciarlo bene insieme a lui? Forse che bastano quattro botti o un cenone per fare di questo che comincia oggi un buon anno?
Poi però mi fermo con le lamentele perchè questa è una predica: a che serve dire queste cose a persone che non c’entrano per niente? Succedeva spesso in passato nelle chiese che quelli che ci venivano si sentivano rimproverare per quelli che non c’erano. Forse accade ancora. Ebbene, no, è meglio che mi congratuli con voi per il fatto che siete qui, invece che prendermela per quelli che non ci sono. Quindi, fratelli, mi congratulo con voi perchè siete qui a cominciare un anno nuovo nel nome del Signore e – sempre nel nome del Signore – io vi auguro che sia buono.
Buono in che senso? Senz’altro nel senso della buona salute fuori e fuori, nel senso che le cose vadano bene come si spera... però, con tutti i limiti degli auguri: gli auguri vanno fatti, lo sappiamo, ma rivelano anche i limiti di quelli che li fanno…Bello sarebbe poter dire a una persona: “Io farò in modo che tu stia sempre bene di salute… Io voglio che le cose per te vadano tutte dritte…”. Ma questo lo può dire solo chi è onnipotente, senza limiti, non certo noi: nessuno può dare una tale garanzia. Io posso dire soltanto: “Vorrei che fosse così…vorrei ogni bene per te, ma …non posso garantirlo: può anche darsi che le cose vadano in altro modo da quello che vorresti e che speri…chissà?!”.
“Chissà!”. Ma come si fa a iniziare un anno nuovo sul “chissà!”? No, io qui – fratelli – devo farvi un augurio che si realizzerà senz’altro: l’unica condizione è che voi lo vogliate davvero. Che augurio sarà?
Per quanto riguarda la buona salute, mettiamocela tutta, ma – come ben sappiamo - dipende solo in parte dalla nostra buona volontà. E così anche per le cose più diverse che fanno la nostra vita e quella delle nostre famiglie: facciamo il possibile, ma tante condizioni non dipendono da noi, e lo sappiamo bene…
Quello che vi auguro invece – e lo auguro anche a me – dipende proprio e solo da noi, ed è che la Fede che abbiamo nel cuore ci accompagni tutti i giorni, sia in quelli sereni sia in quelli nuvolosi: che non ci sia neanche un giorno in cui la Fede dorme; in modo che possiamo non tanto deviare il corso degli eventi (scegliere quelli buoni e scartare quelli cattivi: è da sciocchi pretenderlo!), ma possiamo affrontare tutto – proprio tutto – con dignità, padronanza ed equilibrio cristiano! Questo augurio, fratelli, dipende solo da noi che si realizzi oppure no.
Qualcuno potrebbe dire: eh, un momento…dipende anche dal Signore Dio! – Ma guarda che il Signore Dio si è già impegnato da sempre per realizzare questo buon augurio, Lui la sua parte la fa già…o meglio: aspetta che gli diamo il nostro assenso. Risentiamo le espressioni della prima lettura di oggi: parla chiaro! “Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace!”. Parole della Bibbia queste, cioè parole di Dio: Dio non parla a vanvera, o solo per dire qualcosa…Il Signore farà brillare il suo volto su di te, ti sarà propizio. Ma tu, piuttosto, ti lascerai illuminare dal Signore? Ti lascerai guidare dalle sue indicazioni, dalla sua Parola?
Certo che Lui rivolge su te il suo volto, ma tu…non è che ti volterai dall’altra parte, e farai attenzione a tutto, tranne che a Lui? Certo che il Signore ti concede pace: ma tu la saprai custodire, promuovere questa pace?
Oggi – come ogni Capodanno - è la giornata mondiale della Pace. Ma mai, come in questo Capodanno, sentiamo lancinante la necessità della pace. La cosa strana è che nel mondo di oggi è possibile la pace, perché viene da Dio, è Lui che la concede: “il Signore ti conceda pace”- parole dettate da lui, sono risuonate poco fa’. La concede davvero il Signore la pace! Ma allora perché non la si vede? Perché non la si vuole veramente… Se certi auguri si realizzeranno, non lo sappiamo: non dipende da noi. Ma che questo buon augurio si realizzi, sì: dipende in gran parte da uomini e donne come noi.
E’ l’augurio, in fondo, a vivere con responsabilità il tempo che il Signore ci dona; un anno nuovo è sempre un dono di Dio: noi cristiani dobbiamo adoperarlo bene, con saggezza, con responsabilità. Se non altro perché di ogni dono che ci fa un giorno ci chiederà conto!
La vita non è un limone da spremere e poi buttar via; la vita è un dono da gestire, da vivere con responsabilità. E il Natale che abbiamo appena celebrato era qui proprio ad insegnarci questo: vivere la vita con responsabilità è donarsi, rifiutando decisamente di vivere solo per se stessi.
E’ per insegnarci questo che Dio si è disturbato a venire tra noi.
Fin che ci sono persone che pensano alla vita come a un bene da godere e basta, non ci potranno che essere guerre, violenze e atrocità a questo mondo. La pace comincerà ad arrivare via via che la gente capirà che la vita non è un bene di consumo ma un dono, e che l’unico modo per realizzarla – e goderla davvero – è quello di donarla, vivendola non solo per se stessi. Noi cristiani per primi possiamo condividere questa logica: cos’altro ci insegna il Natale di Dio in mezzo a noi, se non proprio questo?
Perciò, fratelli, auguriamoci di ricevere e gestire con responsabilità questo dono dell’anno nuovo che il Signore depone oggi nelle nostre mani.
Ecco perché dipende anche da noi che vi sia la pace.
Le Letture Bibliche: Numeri 6,22-27; Galati 4,4-7; Luca 2,16-21
Non so se il passaggio dall’anno vecchio a quello nuovo è avvenuto in modo più dimesso e più sobrio del solito: se è così è merito o colpa della crisi economica; del resto perché dovrebbe crescere solo il prezzo del pane quotidiano, o le bollette di vario genere, e non anche il costo dei botti e dello champagne?Poi è vero: c’è sempre una percentuale di persone che nessuna crisi riuscirà mai a scalfire, come c’è dall’altra parte una percentuale crescente di individui e famiglie che la crisi la sperimentano ogni giorno sulla loro pelle… Al che, quando sento parlare di civiltà cristiana riguardo alla nostra Europa, mi vien da dire: finiamola con questi eufemismi, o pietose bugie, se preferite! Quanti sanno che la vita e il tempo (e quindi ogni anno nuovo che comincia) sono doni di Dio? Quanti si ricordano di ringraziarlo, di cominciarlo bene insieme a lui? Forse che bastano quattro botti o un cenone per fare di questo che comincia oggi un buon anno?
Poi però mi fermo con le lamentele perchè questa è una predica: a che serve dire queste cose a persone che non c’entrano per niente? Succedeva spesso in passato nelle chiese che quelli che ci venivano si sentivano rimproverare per quelli che non c’erano. Forse accade ancora. Ebbene, no, è meglio che mi congratuli con voi per il fatto che siete qui, invece che prendermela per quelli che non ci sono. Quindi, fratelli, mi congratulo con voi perchè siete qui a cominciare un anno nuovo nel nome del Signore e – sempre nel nome del Signore – io vi auguro che sia buono.
Buono in che senso? Senz’altro nel senso della buona salute fuori e fuori, nel senso che le cose vadano bene come si spera... però, con tutti i limiti degli auguri: gli auguri vanno fatti, lo sappiamo, ma rivelano anche i limiti di quelli che li fanno…Bello sarebbe poter dire a una persona: “Io farò in modo che tu stia sempre bene di salute… Io voglio che le cose per te vadano tutte dritte…”. Ma questo lo può dire solo chi è onnipotente, senza limiti, non certo noi: nessuno può dare una tale garanzia. Io posso dire soltanto: “Vorrei che fosse così…vorrei ogni bene per te, ma …non posso garantirlo: può anche darsi che le cose vadano in altro modo da quello che vorresti e che speri…chissà?!”.
“Chissà!”. Ma come si fa a iniziare un anno nuovo sul “chissà!”? No, io qui – fratelli – devo farvi un augurio che si realizzerà senz’altro: l’unica condizione è che voi lo vogliate davvero. Che augurio sarà?
Per quanto riguarda la buona salute, mettiamocela tutta, ma – come ben sappiamo - dipende solo in parte dalla nostra buona volontà. E così anche per le cose più diverse che fanno la nostra vita e quella delle nostre famiglie: facciamo il possibile, ma tante condizioni non dipendono da noi, e lo sappiamo bene…
Quello che vi auguro invece – e lo auguro anche a me – dipende proprio e solo da noi, ed è che la Fede che abbiamo nel cuore ci accompagni tutti i giorni, sia in quelli sereni sia in quelli nuvolosi: che non ci sia neanche un giorno in cui la Fede dorme; in modo che possiamo non tanto deviare il corso degli eventi (scegliere quelli buoni e scartare quelli cattivi: è da sciocchi pretenderlo!), ma possiamo affrontare tutto – proprio tutto – con dignità, padronanza ed equilibrio cristiano! Questo augurio, fratelli, dipende solo da noi che si realizzi oppure no.
Qualcuno potrebbe dire: eh, un momento…dipende anche dal Signore Dio! – Ma guarda che il Signore Dio si è già impegnato da sempre per realizzare questo buon augurio, Lui la sua parte la fa già…o meglio: aspetta che gli diamo il nostro assenso. Risentiamo le espressioni della prima lettura di oggi: parla chiaro! “Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace!”. Parole della Bibbia queste, cioè parole di Dio: Dio non parla a vanvera, o solo per dire qualcosa…Il Signore farà brillare il suo volto su di te, ti sarà propizio. Ma tu, piuttosto, ti lascerai illuminare dal Signore? Ti lascerai guidare dalle sue indicazioni, dalla sua Parola?
Certo che Lui rivolge su te il suo volto, ma tu…non è che ti volterai dall’altra parte, e farai attenzione a tutto, tranne che a Lui? Certo che il Signore ti concede pace: ma tu la saprai custodire, promuovere questa pace?
Oggi – come ogni Capodanno - è la giornata mondiale della Pace. Ma mai, come in questo Capodanno, sentiamo lancinante la necessità della pace. La cosa strana è che nel mondo di oggi è possibile la pace, perché viene da Dio, è Lui che la concede: “il Signore ti conceda pace”- parole dettate da lui, sono risuonate poco fa’. La concede davvero il Signore la pace! Ma allora perché non la si vede? Perché non la si vuole veramente… Se certi auguri si realizzeranno, non lo sappiamo: non dipende da noi. Ma che questo buon augurio si realizzi, sì: dipende in gran parte da uomini e donne come noi.
E’ l’augurio, in fondo, a vivere con responsabilità il tempo che il Signore ci dona; un anno nuovo è sempre un dono di Dio: noi cristiani dobbiamo adoperarlo bene, con saggezza, con responsabilità. Se non altro perché di ogni dono che ci fa un giorno ci chiederà conto!
La vita non è un limone da spremere e poi buttar via; la vita è un dono da gestire, da vivere con responsabilità. E il Natale che abbiamo appena celebrato era qui proprio ad insegnarci questo: vivere la vita con responsabilità è donarsi, rifiutando decisamente di vivere solo per se stessi.
E’ per insegnarci questo che Dio si è disturbato a venire tra noi.
Fin che ci sono persone che pensano alla vita come a un bene da godere e basta, non ci potranno che essere guerre, violenze e atrocità a questo mondo. La pace comincerà ad arrivare via via che la gente capirà che la vita non è un bene di consumo ma un dono, e che l’unico modo per realizzarla – e goderla davvero – è quello di donarla, vivendola non solo per se stessi. Noi cristiani per primi possiamo condividere questa logica: cos’altro ci insegna il Natale di Dio in mezzo a noi, se non proprio questo?
Perciò, fratelli, auguriamoci di ricevere e gestire con responsabilità questo dono dell’anno nuovo che il Signore depone oggi nelle nostre mani.
Ecco perché dipende anche da noi che vi sia la pace.
25 Dicembre 2022 - Natale del Signore
Le Letture Bibliche: Isaia 52,7-10; Ebrei 1,1-6; Giovanni 1,1-18
A scanso di equivoci, premetto subito che non ho cose nuove da dirvi, fratelli: la novità - se di novità si tratta - l'avete già sentita e la conoscete. Se qualcuno vi chiedesse oggi:"Che cosa ha detto il prete alla messa?" potreste rispondere: "oh, sempre le stesse cose...". E non avreste tutti i torti. Però una persona in questi giorni mi esprimeva un’altra opinione: "Per fortuna – mi diceva – almeno a Natale, son sempre le stesse cose... Per fortuna Dio è fedele, non si smentisce mai, e ci viene incontro".
La predica di Natale può essere soltanto eco, risonanza di quella notizia che da sempre conoscete: chi c'era alla messa di questa notte potrà dire che quest'eco l'ha già sentita, ma non importa: una bella notizia, attesa, desiderata, non ci si stanca mai di risentirla; magari si dice alla persona che ce la porta:"Dài, dimmela un'altra volta!".
"Dopo aver parlato molte volte per mezzo di profeti... (era una lettura di poco fa’) Dio ha parlato a noi per mezzo di suo Figlio": come si fa a dire, a Natale, che Dio è muto, che non parla, che non si sentono le sue parole? Occorre esser sordi e ciechi nel cuore per affermarlo. - "Il Verbo - cioè la Parola di Dio - si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi".
Sì, ma nel modo che vuole Lui viene, non come parrebbe logico a noi. Dio, l'immensamente grande, sceglie la via della piccolezza, della fragilità: un bambino! La cosa più sorprendente per i pastori di Betlemme non era il vedere angeli svolazzanti sopra le loro teste, ma il sapere che avrebbero trovato Dio in un bambino avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia: questo sì che era sorprendente, inaudito, impensabile. Piccolo come ogni essere umano che nasce dal grembo di una donna; piccolo e insignificante, tanto da arrivare inosservato perfino tra la gente che avrebbe dovuto conoscerlo e accoglierlo. “Venne tra i suoi – ci ha detto poco fa il Vangelo – ma i suoi non l’hanno accolto”.
Non è normale che Dio si comporti così. Da che mondo è mondo chi si sente importante e grande si impone con potenza, con sfarzo, fa sentire la sua superiorità con tutti i mezzi adeguati a shoccare la gente... Non è forse così che anche nel nostro mondo di oggi si dà prova di grandezza, di superiorità, di arroganza alla fin fine?
Ebbene, Dio non ci sta a questo gioco. Per lui lo stile è esattamente l’opposto. Proprio nel farsi piccolo Egli si rivela davvero grande E non è affatto una scelta dovuta a debolezza la sua - notate bene - è una scelta d'amore: una coraggiosa scelta d'amore. Ci vuole più coraggio a scendere, ad abbassarsi, che non a salire. E' questo che ha fatto Dio.
Noi siamo qui a celebrare proprio quell'evento, che stona decisamente con certa mentalità molto diffusa al giorno d'oggi, e che forse pure noi condividiamo, magari senza accorgerci: quale? Direte. Beh, basta guardarsi attorno: non mi pare che piccolezza, semplicità, attenzione per chi è povero e fragile, siano i criteri che smuovono il mondo. Non mi pare. Anzi, tutt'altro! Ecco perchè il Natale, nella sua essenza, è perfino inquietante per chi lo prende sul serio. Infatti, per cos’altro è che si cerca di neutralizzarlo, di mascherarlo con un miscuglio di mille altre cose che molto spesso hanno il sapore delle corbellerie.
Fratelli, vi auguro di accogliere il Natale per quello che è veramente: Dio che viene, piccolo e povero e debole, con l'unico obiettivo di stare con noi e di insegnarci, vivendo con noi, quali sono le cose vere con le quali costruire la vita e il futuro di tutti.
Diciamo pure Buon Natale alle persone che amiamo e che incontriamo, ma ricordiamoci che questo maugurio sarà vero solo se noi e loro sappiamo piegarci davanti a questo Dio che si fa piccolo per amore: piegarci per imparare qualcosa, se non altro a rivedere la nostra mentalità, i nostri ideali e criteri di vita.
Ricordiamoci che Buon Natale può dirlo con verità solo chi è consapevole che la vera grandezza sta nello scendere, nel dedicare attenzione a chi è debole, povero, trascurato.
Questa è la vera superiorità di cui Dio ci ha dato l’esempio: solo questa. E se c'è da salire, è la croce l'unica altezza da salire: per amore.
Ecco cosa ci ha insegnato il nostro Dio, fratelli. Il fascino di questo insegnamento riempia i nostri cuori e rinnovi la nostra mentalità: è il mio augurio di Buon Natale a ciascuno di voi.
Le Letture Bibliche: Isaia 52,7-10; Ebrei 1,1-6; Giovanni 1,1-18
A scanso di equivoci, premetto subito che non ho cose nuove da dirvi, fratelli: la novità - se di novità si tratta - l'avete già sentita e la conoscete. Se qualcuno vi chiedesse oggi:"Che cosa ha detto il prete alla messa?" potreste rispondere: "oh, sempre le stesse cose...". E non avreste tutti i torti. Però una persona in questi giorni mi esprimeva un’altra opinione: "Per fortuna – mi diceva – almeno a Natale, son sempre le stesse cose... Per fortuna Dio è fedele, non si smentisce mai, e ci viene incontro".
La predica di Natale può essere soltanto eco, risonanza di quella notizia che da sempre conoscete: chi c'era alla messa di questa notte potrà dire che quest'eco l'ha già sentita, ma non importa: una bella notizia, attesa, desiderata, non ci si stanca mai di risentirla; magari si dice alla persona che ce la porta:"Dài, dimmela un'altra volta!".
"Dopo aver parlato molte volte per mezzo di profeti... (era una lettura di poco fa’) Dio ha parlato a noi per mezzo di suo Figlio": come si fa a dire, a Natale, che Dio è muto, che non parla, che non si sentono le sue parole? Occorre esser sordi e ciechi nel cuore per affermarlo. - "Il Verbo - cioè la Parola di Dio - si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi".
Sì, ma nel modo che vuole Lui viene, non come parrebbe logico a noi. Dio, l'immensamente grande, sceglie la via della piccolezza, della fragilità: un bambino! La cosa più sorprendente per i pastori di Betlemme non era il vedere angeli svolazzanti sopra le loro teste, ma il sapere che avrebbero trovato Dio in un bambino avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia: questo sì che era sorprendente, inaudito, impensabile. Piccolo come ogni essere umano che nasce dal grembo di una donna; piccolo e insignificante, tanto da arrivare inosservato perfino tra la gente che avrebbe dovuto conoscerlo e accoglierlo. “Venne tra i suoi – ci ha detto poco fa il Vangelo – ma i suoi non l’hanno accolto”.
Non è normale che Dio si comporti così. Da che mondo è mondo chi si sente importante e grande si impone con potenza, con sfarzo, fa sentire la sua superiorità con tutti i mezzi adeguati a shoccare la gente... Non è forse così che anche nel nostro mondo di oggi si dà prova di grandezza, di superiorità, di arroganza alla fin fine?
Ebbene, Dio non ci sta a questo gioco. Per lui lo stile è esattamente l’opposto. Proprio nel farsi piccolo Egli si rivela davvero grande E non è affatto una scelta dovuta a debolezza la sua - notate bene - è una scelta d'amore: una coraggiosa scelta d'amore. Ci vuole più coraggio a scendere, ad abbassarsi, che non a salire. E' questo che ha fatto Dio.
Noi siamo qui a celebrare proprio quell'evento, che stona decisamente con certa mentalità molto diffusa al giorno d'oggi, e che forse pure noi condividiamo, magari senza accorgerci: quale? Direte. Beh, basta guardarsi attorno: non mi pare che piccolezza, semplicità, attenzione per chi è povero e fragile, siano i criteri che smuovono il mondo. Non mi pare. Anzi, tutt'altro! Ecco perchè il Natale, nella sua essenza, è perfino inquietante per chi lo prende sul serio. Infatti, per cos’altro è che si cerca di neutralizzarlo, di mascherarlo con un miscuglio di mille altre cose che molto spesso hanno il sapore delle corbellerie.
Fratelli, vi auguro di accogliere il Natale per quello che è veramente: Dio che viene, piccolo e povero e debole, con l'unico obiettivo di stare con noi e di insegnarci, vivendo con noi, quali sono le cose vere con le quali costruire la vita e il futuro di tutti.
Diciamo pure Buon Natale alle persone che amiamo e che incontriamo, ma ricordiamoci che questo maugurio sarà vero solo se noi e loro sappiamo piegarci davanti a questo Dio che si fa piccolo per amore: piegarci per imparare qualcosa, se non altro a rivedere la nostra mentalità, i nostri ideali e criteri di vita.
Ricordiamoci che Buon Natale può dirlo con verità solo chi è consapevole che la vera grandezza sta nello scendere, nel dedicare attenzione a chi è debole, povero, trascurato.
Questa è la vera superiorità di cui Dio ci ha dato l’esempio: solo questa. E se c'è da salire, è la croce l'unica altezza da salire: per amore.
Ecco cosa ci ha insegnato il nostro Dio, fratelli. Il fascino di questo insegnamento riempia i nostri cuori e rinnovi la nostra mentalità: è il mio augurio di Buon Natale a ciascuno di voi.
18 Dicembre 2022 - IV° Domenica d'Avvento
Le Letture Bibliche: Isaia 7,10-14; Romani 1,1-7; Matteo 1,18-24
Mi è sembrato di intravedere una certa fretta quest’anno nel preparare i presepi, sia nelle chiese, sia nelle case o nelle piazze… come se non si vedesse l’ora che arrivi il Natale. D’altronde è pur vero: i presepi più belli son quelli che si preparano prima del tempo, anzi da lontano…
E i personaggi non si dispongono tutti e subito: alcuni vengono prima, Gesù Bambino viene dopo. A voler essere esatti poi, i pastori verrebbero dopo di lui, e i magi alla fine della processione. Ma io sono dell’idea che quando uno fa il presepio in casa sua, farebbe bene a metterci anche se stesso prima o poi, e i suoi familiari insieme a lui. Senza di noi, i nostri presepi non sono completi. A parte questo, oggi abbiamo già due personaggi sulla scena: il primo è un re che è vissuto diversi secoli prima del presepio, ma lo prepara da lontano: Acaz si chiama. L’altro lo conosciamo meglio: è Giuseppe. (Maria, per intanto, è ancora sullo sfondo). Acaz e Giuseppe sono due personaggi interessanti, tanto diversi da essere addirittura l’uno l’opposto dell’altro. Giuseppe si fida di Dio. Acaz invece no. E’ re di Gerusalemme costui (ce ne parlava la prima lettura); un giorno, mentre sta passeggiando per i giardini del suo palazzo, è in preda all’agitazione perché il suo piccolo regno rischia di venire ingoiato da una grande potenza: è l’Assiria, che sta conquistando tutti i regni e i paesi del Medio Oriente. Anche Gerusalemme è lì lì per finire tra le sue grinfie: ecco perchè il re Acaz è preoccupato e non sa che soluzioni prendere. Dopo che si è consultato con i suoi consiglieri, gli viene incontro il profeta, Isaia: “Perchè non chiedi al Signore, che ti suggerisca lui una soluzione? Perchè non gli domandi un segno?”. Acaz era un credente: era re di un popolo che si chiamava “il popolo di Dio”. “Ma figurati se chiederò un segno al Signore! - risponde – Il Signore non c’entra con queste cose!”. Si, era un credente quel re, ma in Dio non credeva affatto. La Fede per lui era qualcosa di superfluo di cui si può anche far senza. Come sono molti a pensare. Ah, certo...a Natale sta anche bene un po’ di religiosità, magari mescolata al folklore: Acaz non mancava mai alle grandi celebrazioni del Tempio. “Ma poi nella vita sei tu che te la devi cavare - pensava – tu con le tue capacità , con le tue risorse. Cosa c’entra Dio? Dio va bene come ornamento ogni tanto e basta”. Ecco il primo personaggio del presepio: uno che fa finta di credere nel Signore ma che è tutto fuor che un credente. “Ebbene, che tu lo chieda o no, - gli risponde Isaia, il profeta - Dio stesso vi darà un segno: la vergine darà alla luce un figlio (il profeta parlava della giovane moglie di Acaz, si erano sposati da poco); quel figlio che nascerà sarà il segno che Dio è con voi. Potrai chiamarlo così: Emmanuele, che vuol dire Dio è con noi”. Ma a che serve che Dio sia con voi, se voi non vi fidate di lui?
Giuseppe è l’altro personaggio del presepio.
Un uomo che si trova alle prese con il proprio matrimonio da preparare, e già sorgono i problemi: la sua futura sposa è già in attesa di un bambino. Giuseppe intuisce che in quella vicenda c’entra probabilmente Dio, Dio stesso, e a quel punto pensa che la soluzione migliore sia quella di ritirarsi e lasciar perdere. Perché? Perché è un uomo giusto Giuseppe. Nel linguaggio del Vangelo non c’è definizione più sobria e più bella di questa. "Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusare pubblicamente Maria, pensò di ripudiarla in segreto." Se Maria fa parte di un progetto più grande, divino addirittura, è bene che faccia la sua strada con Dio. Dio per Giuseppe – uomo giusto - non è solo un ornamento. L’uomo è giusto, per la Bibbia, quando preferisce i disegni di Dio alle sue opinioni o progetti personali. E infatti i disegni di Dio vanno molto aldilà dei progetti di Giuseppe: “Non temere di prendere con te Maria tua sposa – si sente dire - perchè, è vero: il bambino che lei porta in grembo viene dallo Spirito Santo, ma sarai tu che gli porrai nome Gesù”. Per il popolo della Bibbia, dare il nome a un bambino era come dire. “Questo è mio figlio e io sono suo padre”. E Giuseppe acconsente: “fece come il Signore gli aveva detto”. Se Maria è madre di Gesù perché l’ha partorito, Giuseppe è vero padre di Gesù perché gli ha dato il nome e l’ha fatto crescere. Genitori si fa presto a diventarlo: per generare basta poco. Padri lo si diventa un po' alla volta…e non senza molto impegno, e anche fatica. Giuseppe lo è diventato, con tutto un apprendistato, anche faticoso (che i Vangeli non dicono, ma lasciano indovinare): fatica nell’aderire a un progetto che oltrepassava la sua capacità di comprendere, fatica nel decifrarne le tappe dentro gli eventi – spesso inspiegabili e contorti. Fatica nell’obbedire a Dio con costanza - e probabilmente senza tutta quella luce e quello svolazzare di angeli che una lettura superficiale del Vangelo lascerebbe supporre.
La differenza tra il re Acaz e Giuseppe sta qui: l’uno fa finta d’esser credente (Dio per lui è solo un ornamento), l’altro ... credente lo è per davvero: Dio per lui è una presenza, un Assoluto buono di cui val la pena fidarsi, e che proprio per questo ha diritto di modificare i piani delle persone e di cambiare anche i loro progetti, se lo ritiene opportuno.
Non pensate fratelli che andrebbe meglio il mondo se ci fossero più donne e più uomini “giusti” come Giuseppe?
Per entrare nella nostra carovana umana e orientarla verso un futuro “vivibile” e “buono”, Dio ha bisogno di persone disponibili: come il sole, che per entrare nelle nostre case ha bisogno di finestre. Le porte e le finestre che permettono a Dio di entrare, sono le donne gli uomini giusti come Giuseppe. Il Natale, lo sapete, non lo faremo noi: ce lo farà il Signore. E allora diamogli fiducia! Sia nostra ambizione, nostro vanto, vivere, decidere e fare non secondo noi, ma secondo quello che lui ci dice, ci insegna, ci domanda.
E visto che è già tempo di auguri, è proprio questo che vi auguro: non solo di preparare il presepio, ma di entrarci, di trovare lì vostro posto, di far parte a pieno titolo di quel presepio.
Le Letture Bibliche: Isaia 7,10-14; Romani 1,1-7; Matteo 1,18-24
Mi è sembrato di intravedere una certa fretta quest’anno nel preparare i presepi, sia nelle chiese, sia nelle case o nelle piazze… come se non si vedesse l’ora che arrivi il Natale. D’altronde è pur vero: i presepi più belli son quelli che si preparano prima del tempo, anzi da lontano…
E i personaggi non si dispongono tutti e subito: alcuni vengono prima, Gesù Bambino viene dopo. A voler essere esatti poi, i pastori verrebbero dopo di lui, e i magi alla fine della processione. Ma io sono dell’idea che quando uno fa il presepio in casa sua, farebbe bene a metterci anche se stesso prima o poi, e i suoi familiari insieme a lui. Senza di noi, i nostri presepi non sono completi. A parte questo, oggi abbiamo già due personaggi sulla scena: il primo è un re che è vissuto diversi secoli prima del presepio, ma lo prepara da lontano: Acaz si chiama. L’altro lo conosciamo meglio: è Giuseppe. (Maria, per intanto, è ancora sullo sfondo). Acaz e Giuseppe sono due personaggi interessanti, tanto diversi da essere addirittura l’uno l’opposto dell’altro. Giuseppe si fida di Dio. Acaz invece no. E’ re di Gerusalemme costui (ce ne parlava la prima lettura); un giorno, mentre sta passeggiando per i giardini del suo palazzo, è in preda all’agitazione perché il suo piccolo regno rischia di venire ingoiato da una grande potenza: è l’Assiria, che sta conquistando tutti i regni e i paesi del Medio Oriente. Anche Gerusalemme è lì lì per finire tra le sue grinfie: ecco perchè il re Acaz è preoccupato e non sa che soluzioni prendere. Dopo che si è consultato con i suoi consiglieri, gli viene incontro il profeta, Isaia: “Perchè non chiedi al Signore, che ti suggerisca lui una soluzione? Perchè non gli domandi un segno?”. Acaz era un credente: era re di un popolo che si chiamava “il popolo di Dio”. “Ma figurati se chiederò un segno al Signore! - risponde – Il Signore non c’entra con queste cose!”. Si, era un credente quel re, ma in Dio non credeva affatto. La Fede per lui era qualcosa di superfluo di cui si può anche far senza. Come sono molti a pensare. Ah, certo...a Natale sta anche bene un po’ di religiosità, magari mescolata al folklore: Acaz non mancava mai alle grandi celebrazioni del Tempio. “Ma poi nella vita sei tu che te la devi cavare - pensava – tu con le tue capacità , con le tue risorse. Cosa c’entra Dio? Dio va bene come ornamento ogni tanto e basta”. Ecco il primo personaggio del presepio: uno che fa finta di credere nel Signore ma che è tutto fuor che un credente. “Ebbene, che tu lo chieda o no, - gli risponde Isaia, il profeta - Dio stesso vi darà un segno: la vergine darà alla luce un figlio (il profeta parlava della giovane moglie di Acaz, si erano sposati da poco); quel figlio che nascerà sarà il segno che Dio è con voi. Potrai chiamarlo così: Emmanuele, che vuol dire Dio è con noi”. Ma a che serve che Dio sia con voi, se voi non vi fidate di lui?
Giuseppe è l’altro personaggio del presepio.
Un uomo che si trova alle prese con il proprio matrimonio da preparare, e già sorgono i problemi: la sua futura sposa è già in attesa di un bambino. Giuseppe intuisce che in quella vicenda c’entra probabilmente Dio, Dio stesso, e a quel punto pensa che la soluzione migliore sia quella di ritirarsi e lasciar perdere. Perché? Perché è un uomo giusto Giuseppe. Nel linguaggio del Vangelo non c’è definizione più sobria e più bella di questa. "Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusare pubblicamente Maria, pensò di ripudiarla in segreto." Se Maria fa parte di un progetto più grande, divino addirittura, è bene che faccia la sua strada con Dio. Dio per Giuseppe – uomo giusto - non è solo un ornamento. L’uomo è giusto, per la Bibbia, quando preferisce i disegni di Dio alle sue opinioni o progetti personali. E infatti i disegni di Dio vanno molto aldilà dei progetti di Giuseppe: “Non temere di prendere con te Maria tua sposa – si sente dire - perchè, è vero: il bambino che lei porta in grembo viene dallo Spirito Santo, ma sarai tu che gli porrai nome Gesù”. Per il popolo della Bibbia, dare il nome a un bambino era come dire. “Questo è mio figlio e io sono suo padre”. E Giuseppe acconsente: “fece come il Signore gli aveva detto”. Se Maria è madre di Gesù perché l’ha partorito, Giuseppe è vero padre di Gesù perché gli ha dato il nome e l’ha fatto crescere. Genitori si fa presto a diventarlo: per generare basta poco. Padri lo si diventa un po' alla volta…e non senza molto impegno, e anche fatica. Giuseppe lo è diventato, con tutto un apprendistato, anche faticoso (che i Vangeli non dicono, ma lasciano indovinare): fatica nell’aderire a un progetto che oltrepassava la sua capacità di comprendere, fatica nel decifrarne le tappe dentro gli eventi – spesso inspiegabili e contorti. Fatica nell’obbedire a Dio con costanza - e probabilmente senza tutta quella luce e quello svolazzare di angeli che una lettura superficiale del Vangelo lascerebbe supporre.
La differenza tra il re Acaz e Giuseppe sta qui: l’uno fa finta d’esser credente (Dio per lui è solo un ornamento), l’altro ... credente lo è per davvero: Dio per lui è una presenza, un Assoluto buono di cui val la pena fidarsi, e che proprio per questo ha diritto di modificare i piani delle persone e di cambiare anche i loro progetti, se lo ritiene opportuno.
Non pensate fratelli che andrebbe meglio il mondo se ci fossero più donne e più uomini “giusti” come Giuseppe?
Per entrare nella nostra carovana umana e orientarla verso un futuro “vivibile” e “buono”, Dio ha bisogno di persone disponibili: come il sole, che per entrare nelle nostre case ha bisogno di finestre. Le porte e le finestre che permettono a Dio di entrare, sono le donne gli uomini giusti come Giuseppe. Il Natale, lo sapete, non lo faremo noi: ce lo farà il Signore. E allora diamogli fiducia! Sia nostra ambizione, nostro vanto, vivere, decidere e fare non secondo noi, ma secondo quello che lui ci dice, ci insegna, ci domanda.
E visto che è già tempo di auguri, è proprio questo che vi auguro: non solo di preparare il presepio, ma di entrarci, di trovare lì vostro posto, di far parte a pieno titolo di quel presepio.
11 Dicembre 2022 - III° Domenica d'Avvento + "Gaudète"
Le Letture Bibliche: Isaia 35,1-6.8.10; Giacomo 5,7-10; Matteo 11,2-11
Come ogni Domenica, anche oggi noi abbiamo sentito delle parole che possono passar sopra le nostre teste senza farci né caldo né freddo… oppure possono darci un’immensa gioia. E di conseguenza noi potremmo o uscire dalla Messa esattamente come ci siamo venuti (con i volti tesi, per il freddo, ma più facilmente per qualche preoccupazione che ci pesa sul cuore) oppure uscire saltando e gridando di gioia… (Beh, i più anziani potrebbero limitarsi a gridare… saltare, no, piano: se no corrono il rischio di rompersi qualche femore…).E per quale ragione dovremmo metterci a gridare e saltare di gioia? Per quello che abbiamo sentito poco fa’: “Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio: viene a salvarvi!”. Era il profeta Isaia a dire queste parole, migliaia di anni fa’. Come può essere che parole dette o scritte migliaia di anni fa’ possano dare gioia e entusiasmo a noi? Il motivo ve l’ho già detto Domenica scorsa, ma val la pena riprenderlo: il profeta Isaia non non era in grado di prevedere che migliaia di anni dopo saremmo venuti al mondo noi e avremmo risentito le sue parole… No, questo è sicuro. Ma Dio, il Signore che ispirava quelle parole, ah Dio sì che era in grado di pensare a noi! Lui vedeva i nostri volti, prevedeva le nostre storie di vita, sapeva già da allora i nostri nomi…E allora, proprio con queste parole, è a me, a te, a ciascuno di noi che si rivolge oggi il Signore: “Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Voi, smarriti di cuore: Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio: viene a salvarvi!”.
Anche noi a volte diciamo a qualche persona: “Coraggio! Non avere paura”… Però, siamo in grado poi di darle effettivamente coraggio? Eh, non basta dirlo! A meno che non sia il Signore a dirci “Coraggio! Non temete”…, ah allora è diverso. Lui sì che può darcelo il coraggio, e perché? Perché “ecco il vostro Dio! Egli viene a salvarvi!”. Sì, fratelli: se queste parole le lasciamo entrare nel cuore (invece che lasciarle scorrere sopra le nostre teste) potremo metterci a gridare e a saltare di gioia … anche chi ha le gambe malferme, o è stonato o di poche parole… infatti il profeta aggiungeva che “allora lo zoppo salterà come un cervo e griderà di gioia la lingua del muto…”. Perché il Signore viene a salvarvi.
Da che cosa viene a salvarci? Dalle malattie che potrebbero colpirci, o da quelle che già ci portiamo dietro da tempo? Dai rischi di dover pagare un caro prezzo alla crisi economica in atto? Quei bambini intirizziti dal freddo che vivono nei campi profughi della Siria, o nei rifugi dell’Ukraina, forse che il Signore li salverà dal freddo gelido, o dai bombardamenti? E quelli che già sono stati colpiti, dilaniati, forse che li guarirà, o restituirà la vita strappata a quelli che non ci sono più?
A prima vista, stando al vangelo di oggi, sembrerebbe di sì: “Andate e riferite a Giovanni Battista ciò che vedete – afferma Gesù: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano…”. E’ certo che Gesù ha operato guarigioni, ha richiamato anche morti alla vita… Lo poteva fare, del resto, perché lui è il Figlio di Dio. Ma non penso che Gesù abbia guarito tutti i malati che c’erano in Palestina al suo tempo, tantomeno ha risuscitato tutti i morti… E perché non l’ha fatto, se è vero che poteva farlo? Anzi, perché non continua a farlo anche al giorno d’oggi, se è vero che è risorto ed è vivo?
Io penso che la spiegazione sia molto semplice: perché questo non è assolutamente importante. E lo vediamo, ne abbiamo le prove. Eccone una: come sapete, al giorno d’oggi la medicina, è arrivata a trovare soluzioni e rimedi che a volte sono davvero prodigiosi: quante persone hanno ripreso a vivere grazie a interventi… senza dei quali sarebbero state spacciate… Interventi impensabili in passato. Ebbene, quelle persone che hanno ricuperato la salute e hanno ripreso a vivere, sono anche diventate migliori, più equilibrate, più affidabili, più generose, più credenti? Alcune sì, ma altre sono rimaste tali e quali di prima: con gli stessi difetti, stesse piccinerie, stessa vita grigia e povera di senso… Insomma, saranno state guarite, ma salvate… no. Salvare è competenza di Dio, di Gesù.
E i suoi interventi partono sempre in profondità, dal cuore diciamo noi: che non è l’organo anatomico che abbiamo qui… un po’ a sinistra, ma è l’intimo di ogni persona, là dove nessun altro può entrare e nessun bisturi può arrivare, là dove ognuno prende le sue decisioni in bene o in male: ecco dove comincia l’intervento del Signore, cioè la salvezza. E se lì entra la salvezza, allora le gambe – che erano malate – possono continuare a restare malate, e gli occhi – che erano ciechi – possono continuare a non vedere… ma quella persona comprende e vede con il cuore molto più chiaramente di chi ha occhi buoni come un’aquila, o progredisce e matura meglio di chi cammina speditamente! S.Agostino diceva nel suo bel latino: “Melius it claudus in via, quam cursor praeter viam!” – “Cammina meglio uno zoppo sulla strada giusta che un corridore fuori da quella strada!”.
E’ questa infatti la competenza di Dio, di Gesù: salvarci, cioè trasformarci nell’intimo, dove la nostra vita ha bisogno di senso, di luce, di motivi per non cadere nel grigiore. Forse noi, fratelli, siamo ancora tra quelli che si scandalizzano perché Dio non interviene ad aggiustare le cose storte, come e quando vorremmo noi. O quando lo preghiamo per avere subito certi favori – o la soluzione di un problema e non l’otteniamo… Allora ci scandalizziamo, perché ci pare che Dio non sia affatto onnipotente e buono come credevamo…come pensò anche Giovanni Battista, che dalla prigione dove era rinchiuso mandò a chiedergli: “Ma insomma, sei tu quel tale che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. E Gesù risponde - a lui e anche a noi oggi: “Beato chi non si scandalizza di me!”. Beato chi comprende che la salvezza è molto più preziosa di qualsiasi altra grazia che gli potrei fare. Beato chi mi dà fiducia e mi apre la porta del suo cuore: costui sì che salterà e griderà di gioia, anche se è zoppo, o sordo o cieco… Io infatti vengo per salvarvi, non per portarvi un dono o un regalo da aggiungere agli altri…
Salvezza può sembrare una parola astratta, fratelli. Ma allora preghiamo Dio che ce la renda familiare, e ce ne faccia sentire il bisogno estremamente concreto, così da desiderarla con ardente passione, più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Le Letture Bibliche: Isaia 35,1-6.8.10; Giacomo 5,7-10; Matteo 11,2-11
Come ogni Domenica, anche oggi noi abbiamo sentito delle parole che possono passar sopra le nostre teste senza farci né caldo né freddo… oppure possono darci un’immensa gioia. E di conseguenza noi potremmo o uscire dalla Messa esattamente come ci siamo venuti (con i volti tesi, per il freddo, ma più facilmente per qualche preoccupazione che ci pesa sul cuore) oppure uscire saltando e gridando di gioia… (Beh, i più anziani potrebbero limitarsi a gridare… saltare, no, piano: se no corrono il rischio di rompersi qualche femore…).E per quale ragione dovremmo metterci a gridare e saltare di gioia? Per quello che abbiamo sentito poco fa’: “Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio: viene a salvarvi!”. Era il profeta Isaia a dire queste parole, migliaia di anni fa’. Come può essere che parole dette o scritte migliaia di anni fa’ possano dare gioia e entusiasmo a noi? Il motivo ve l’ho già detto Domenica scorsa, ma val la pena riprenderlo: il profeta Isaia non non era in grado di prevedere che migliaia di anni dopo saremmo venuti al mondo noi e avremmo risentito le sue parole… No, questo è sicuro. Ma Dio, il Signore che ispirava quelle parole, ah Dio sì che era in grado di pensare a noi! Lui vedeva i nostri volti, prevedeva le nostre storie di vita, sapeva già da allora i nostri nomi…E allora, proprio con queste parole, è a me, a te, a ciascuno di noi che si rivolge oggi il Signore: “Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Voi, smarriti di cuore: Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio: viene a salvarvi!”.
Anche noi a volte diciamo a qualche persona: “Coraggio! Non avere paura”… Però, siamo in grado poi di darle effettivamente coraggio? Eh, non basta dirlo! A meno che non sia il Signore a dirci “Coraggio! Non temete”…, ah allora è diverso. Lui sì che può darcelo il coraggio, e perché? Perché “ecco il vostro Dio! Egli viene a salvarvi!”. Sì, fratelli: se queste parole le lasciamo entrare nel cuore (invece che lasciarle scorrere sopra le nostre teste) potremo metterci a gridare e a saltare di gioia … anche chi ha le gambe malferme, o è stonato o di poche parole… infatti il profeta aggiungeva che “allora lo zoppo salterà come un cervo e griderà di gioia la lingua del muto…”. Perché il Signore viene a salvarvi.
Da che cosa viene a salvarci? Dalle malattie che potrebbero colpirci, o da quelle che già ci portiamo dietro da tempo? Dai rischi di dover pagare un caro prezzo alla crisi economica in atto? Quei bambini intirizziti dal freddo che vivono nei campi profughi della Siria, o nei rifugi dell’Ukraina, forse che il Signore li salverà dal freddo gelido, o dai bombardamenti? E quelli che già sono stati colpiti, dilaniati, forse che li guarirà, o restituirà la vita strappata a quelli che non ci sono più?
A prima vista, stando al vangelo di oggi, sembrerebbe di sì: “Andate e riferite a Giovanni Battista ciò che vedete – afferma Gesù: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano…”. E’ certo che Gesù ha operato guarigioni, ha richiamato anche morti alla vita… Lo poteva fare, del resto, perché lui è il Figlio di Dio. Ma non penso che Gesù abbia guarito tutti i malati che c’erano in Palestina al suo tempo, tantomeno ha risuscitato tutti i morti… E perché non l’ha fatto, se è vero che poteva farlo? Anzi, perché non continua a farlo anche al giorno d’oggi, se è vero che è risorto ed è vivo?
Io penso che la spiegazione sia molto semplice: perché questo non è assolutamente importante. E lo vediamo, ne abbiamo le prove. Eccone una: come sapete, al giorno d’oggi la medicina, è arrivata a trovare soluzioni e rimedi che a volte sono davvero prodigiosi: quante persone hanno ripreso a vivere grazie a interventi… senza dei quali sarebbero state spacciate… Interventi impensabili in passato. Ebbene, quelle persone che hanno ricuperato la salute e hanno ripreso a vivere, sono anche diventate migliori, più equilibrate, più affidabili, più generose, più credenti? Alcune sì, ma altre sono rimaste tali e quali di prima: con gli stessi difetti, stesse piccinerie, stessa vita grigia e povera di senso… Insomma, saranno state guarite, ma salvate… no. Salvare è competenza di Dio, di Gesù.
E i suoi interventi partono sempre in profondità, dal cuore diciamo noi: che non è l’organo anatomico che abbiamo qui… un po’ a sinistra, ma è l’intimo di ogni persona, là dove nessun altro può entrare e nessun bisturi può arrivare, là dove ognuno prende le sue decisioni in bene o in male: ecco dove comincia l’intervento del Signore, cioè la salvezza. E se lì entra la salvezza, allora le gambe – che erano malate – possono continuare a restare malate, e gli occhi – che erano ciechi – possono continuare a non vedere… ma quella persona comprende e vede con il cuore molto più chiaramente di chi ha occhi buoni come un’aquila, o progredisce e matura meglio di chi cammina speditamente! S.Agostino diceva nel suo bel latino: “Melius it claudus in via, quam cursor praeter viam!” – “Cammina meglio uno zoppo sulla strada giusta che un corridore fuori da quella strada!”.
E’ questa infatti la competenza di Dio, di Gesù: salvarci, cioè trasformarci nell’intimo, dove la nostra vita ha bisogno di senso, di luce, di motivi per non cadere nel grigiore. Forse noi, fratelli, siamo ancora tra quelli che si scandalizzano perché Dio non interviene ad aggiustare le cose storte, come e quando vorremmo noi. O quando lo preghiamo per avere subito certi favori – o la soluzione di un problema e non l’otteniamo… Allora ci scandalizziamo, perché ci pare che Dio non sia affatto onnipotente e buono come credevamo…come pensò anche Giovanni Battista, che dalla prigione dove era rinchiuso mandò a chiedergli: “Ma insomma, sei tu quel tale che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. E Gesù risponde - a lui e anche a noi oggi: “Beato chi non si scandalizza di me!”. Beato chi comprende che la salvezza è molto più preziosa di qualsiasi altra grazia che gli potrei fare. Beato chi mi dà fiducia e mi apre la porta del suo cuore: costui sì che salterà e griderà di gioia, anche se è zoppo, o sordo o cieco… Io infatti vengo per salvarvi, non per portarvi un dono o un regalo da aggiungere agli altri…
Salvezza può sembrare una parola astratta, fratelli. Ma allora preghiamo Dio che ce la renda familiare, e ce ne faccia sentire il bisogno estremamente concreto, così da desiderarla con ardente passione, più di qualsiasi altra cosa al mondo.
8 Dicembre 2022 - Immacolata Concezione di Maria
Le Letture Bibliche: Genesi 3,9-15.20; Efesini 1,3-6.11-12; Luca 1,26-38
Passato, presente, futuro… fin dalle scuole elementari si insegna a distingue tra passato, presente e futuro.
Quello che interessa di più tra questi tre (quello che riscuote il più alto indice di attenzione) è certamente il futuro. Come sarà il futuro? Certo, un giovane lo pensa, lo sogna, lo immagina, diverso da come lo pensa (o lo teme) un anziano…Alcuni lo desiderano, altri lo guardano con apprensione… In ogni caso, nessuno può far a meno di pensarci.
E oltre che pensarci, bisogna anche darsi le mani d’attorno, perché – se è pur vero che in buona parte non dipende da noi, è anche vero che per quella parte che dipende da noi, è necessario prepararlo, costruirlo, mettere le basi… mica si può aspettare che il futuro ci venga addosso.
E’ qui, però, che cominciano a sorgere i problemi. Cosa vuol dire mettere le basi del futuro? Che significa mettere le mani avanti per costruirlo?
Il serpente – quel mitico serpente del paradiso terrestre di cui ci ha parlato la prima lettura – aveva promesso all’uomo e alla donna un futuro radioso: “Se invece che obbedire a Dio farete di testa vostra, voi avrete un futuro radioso: diventerete come Dio!”. L’uomo e la donna gli credettero ma invece che un futuro radioso si aprì davanti a loro un futuro disastroso. Si ritrovarono nudi. E si nascosero. Da quel momento cominciarono a scaricare le loro responsabilità uno sull’altro, si ritrovarono ostili, nemici. Perché uno dei nomi più conosciuti di quel serpente è quello di “diàbolos”, antica parola greca che vuol dire “divisore”. La sua specialità infatti è portare divisione, non solo tra persone diverse, ma perfino dentro la stessa persona. Quando lo si lascia entrare (ed entra in modo astuto e sinuoso proprio come sa fare un serpente) allora quello che si apre davanti è un futuro disastroso, invece che sereno e quindi vivibile.
E come sarà il futuro del mondo, fratelli? il futuro di questa società di oggi, come sarà? Non è forte anche ai nostri giorni la tentazione di sostituirsi a Dio, come padroni della nostra vita e magari anche di quella degli altri? Non è sempre attuale la suggestione di voltare le spalle a Dio, facendo senza di lui e contro di lui?
Sul semplice piano della vita delle famiglie – delle nostre famiglie - quello che si prepara sarebbe un futuro in cui regnano la divisione, il sospetto, l’accusa reciproca e il rifiuto delle proprie responsabilità. Sul piano della vita collettiva, sociale – invece – beh, non osiamo pensarlo come potrebbe essere… Ma è questo “mettere le basi del futuro”? E’ così che si fa per costruirlo buono, vivibile quantomeno?
No, c’è un altro modo, del tutto alternativo a questo.
E in questi giorni dell’Avvento – giorni nei quali è proprio al futuro che siamo invitati a guardare in atteggiamento di operosa attesa – in questi giorni il modo giusto e adeguato di preparare il futuro prende le sembianze di una donna: Maria, l’Immacolata. E’ molto interessante che il modello, la garanzia di un futuro buono, vivibile, sia una donna, cioè una creatura femminile, anziché maschile… Un pensatore dei nostri giorni afferma: “Tutto ciò che gli uomini hanno costruito ha le sue radici – troppo spesso – nella paura. La forza del cristianesimo sta nel denunciare questa paura e nel coraggio di affermare che le relazioni umane possono armonizzarsi nell’amore. C’è una dimensione femminile nel cristianesimo che, di fronte all’odio, alla rivalità, all’aggressività e all’arroganza degli uomini, oppone valori quali la tenerezza, l’attenzione all’altro, il rispetto, la sollecitudine per la vita…” (Eric Emmanuel Schmitt). A me pare di poter aggiungere: sì, ne abbiamo abbastanza dimostrazioni di odio, di rivalità, di arroganza; c’è bisogno di tenerezza, di attenzione reciproca, di sollecitudine per la vita, soprattutto se indifesa e fragile.
Maria, l’Immacolata, è l’incarnazione di questo. Quanto è diverso il suo atteggiamento da quello dell’uomo e della donna nel paradiso terrestre (ce ne parlava la prima lettura)! Lì, quei due pretendevano di diventare come Dio: Maria, dal canto suo invece, si riconosce “serva” del Signore. I due del giardino dell’Eden anzichè riconoscere ciascuno la propria colpa, se la scaricano uno sull’altro. Maria, invece, si prende le sue responsabilità di fronte a Dio fino in fondo e dall’inizio alla fine. Quelli si nascosero a Dio (o tentarono di nascondersi, almeno). Maria non si nasconde, anzi, gli sta davanti con fiducia: “Eccomi, Signore: fa’ di me quello che vuoi!”.
Il futuro buono, quello di cui non avere paura ma da attendere, da sperare, lo si costruisce solo così, fratelli. E dicendo “futuro” intendo il mio, il tuo, quello delle nostre famiglie, quello di tutti. Se ci guardiamo attorno, se leggiamo i giornali o ascoltiamo qualche dibattito televisivo, mi pare che scarseggia l’ottimismo sul futuro, e in compenso aumenta il disaccordo, la polemica disfattista, la logica dell’ognuno per sé.
Sì, il futuro, in parte dipende da me, da te, da tutti: ma solo in parte. E per l’altra parte chi ne è il responsabile? Il destino cieco forse? O il caso? Oppure la fortuna o la sfortuna?
No, fratelli, per l’altra parte - la più gran parte - il futuro è nelle buone mani di Dio: quel Dio “che ci ha benedetti con ogni possibile benedizione” (ci assicura oggi san Paolo), cioè ha deciso in tutto e per tutto il nostro bene, perché ci ama. Pertanto sì, c’è un destino, eccolo infatti: “Dio ci ha scelti e voluti come figli (sempre parole di San Paolo) – ci ha predestinati a vivere con lui nell’amore”. Questo è il nostro unico e vero destino. Un bel destino, bisogna dire. E un futuro altrettanto bello e radioso, invece che disastroso.
Cosa chiedere allora oggi all’Immacolata, visto che è nostra buona Madre?Che ci insegni a fidarci di Dio, della sua buona volontà, senza porre condizioni, come ha fatto lei. Per un futuro, buono, vivibile: per noi e per tutti.
Le Letture Bibliche: Genesi 3,9-15.20; Efesini 1,3-6.11-12; Luca 1,26-38
Passato, presente, futuro… fin dalle scuole elementari si insegna a distingue tra passato, presente e futuro.
Quello che interessa di più tra questi tre (quello che riscuote il più alto indice di attenzione) è certamente il futuro. Come sarà il futuro? Certo, un giovane lo pensa, lo sogna, lo immagina, diverso da come lo pensa (o lo teme) un anziano…Alcuni lo desiderano, altri lo guardano con apprensione… In ogni caso, nessuno può far a meno di pensarci.
E oltre che pensarci, bisogna anche darsi le mani d’attorno, perché – se è pur vero che in buona parte non dipende da noi, è anche vero che per quella parte che dipende da noi, è necessario prepararlo, costruirlo, mettere le basi… mica si può aspettare che il futuro ci venga addosso.
E’ qui, però, che cominciano a sorgere i problemi. Cosa vuol dire mettere le basi del futuro? Che significa mettere le mani avanti per costruirlo?
Il serpente – quel mitico serpente del paradiso terrestre di cui ci ha parlato la prima lettura – aveva promesso all’uomo e alla donna un futuro radioso: “Se invece che obbedire a Dio farete di testa vostra, voi avrete un futuro radioso: diventerete come Dio!”. L’uomo e la donna gli credettero ma invece che un futuro radioso si aprì davanti a loro un futuro disastroso. Si ritrovarono nudi. E si nascosero. Da quel momento cominciarono a scaricare le loro responsabilità uno sull’altro, si ritrovarono ostili, nemici. Perché uno dei nomi più conosciuti di quel serpente è quello di “diàbolos”, antica parola greca che vuol dire “divisore”. La sua specialità infatti è portare divisione, non solo tra persone diverse, ma perfino dentro la stessa persona. Quando lo si lascia entrare (ed entra in modo astuto e sinuoso proprio come sa fare un serpente) allora quello che si apre davanti è un futuro disastroso, invece che sereno e quindi vivibile.
E come sarà il futuro del mondo, fratelli? il futuro di questa società di oggi, come sarà? Non è forte anche ai nostri giorni la tentazione di sostituirsi a Dio, come padroni della nostra vita e magari anche di quella degli altri? Non è sempre attuale la suggestione di voltare le spalle a Dio, facendo senza di lui e contro di lui?
Sul semplice piano della vita delle famiglie – delle nostre famiglie - quello che si prepara sarebbe un futuro in cui regnano la divisione, il sospetto, l’accusa reciproca e il rifiuto delle proprie responsabilità. Sul piano della vita collettiva, sociale – invece – beh, non osiamo pensarlo come potrebbe essere… Ma è questo “mettere le basi del futuro”? E’ così che si fa per costruirlo buono, vivibile quantomeno?
No, c’è un altro modo, del tutto alternativo a questo.
E in questi giorni dell’Avvento – giorni nei quali è proprio al futuro che siamo invitati a guardare in atteggiamento di operosa attesa – in questi giorni il modo giusto e adeguato di preparare il futuro prende le sembianze di una donna: Maria, l’Immacolata. E’ molto interessante che il modello, la garanzia di un futuro buono, vivibile, sia una donna, cioè una creatura femminile, anziché maschile… Un pensatore dei nostri giorni afferma: “Tutto ciò che gli uomini hanno costruito ha le sue radici – troppo spesso – nella paura. La forza del cristianesimo sta nel denunciare questa paura e nel coraggio di affermare che le relazioni umane possono armonizzarsi nell’amore. C’è una dimensione femminile nel cristianesimo che, di fronte all’odio, alla rivalità, all’aggressività e all’arroganza degli uomini, oppone valori quali la tenerezza, l’attenzione all’altro, il rispetto, la sollecitudine per la vita…” (Eric Emmanuel Schmitt). A me pare di poter aggiungere: sì, ne abbiamo abbastanza dimostrazioni di odio, di rivalità, di arroganza; c’è bisogno di tenerezza, di attenzione reciproca, di sollecitudine per la vita, soprattutto se indifesa e fragile.
Maria, l’Immacolata, è l’incarnazione di questo. Quanto è diverso il suo atteggiamento da quello dell’uomo e della donna nel paradiso terrestre (ce ne parlava la prima lettura)! Lì, quei due pretendevano di diventare come Dio: Maria, dal canto suo invece, si riconosce “serva” del Signore. I due del giardino dell’Eden anzichè riconoscere ciascuno la propria colpa, se la scaricano uno sull’altro. Maria, invece, si prende le sue responsabilità di fronte a Dio fino in fondo e dall’inizio alla fine. Quelli si nascosero a Dio (o tentarono di nascondersi, almeno). Maria non si nasconde, anzi, gli sta davanti con fiducia: “Eccomi, Signore: fa’ di me quello che vuoi!”.
Il futuro buono, quello di cui non avere paura ma da attendere, da sperare, lo si costruisce solo così, fratelli. E dicendo “futuro” intendo il mio, il tuo, quello delle nostre famiglie, quello di tutti. Se ci guardiamo attorno, se leggiamo i giornali o ascoltiamo qualche dibattito televisivo, mi pare che scarseggia l’ottimismo sul futuro, e in compenso aumenta il disaccordo, la polemica disfattista, la logica dell’ognuno per sé.
Sì, il futuro, in parte dipende da me, da te, da tutti: ma solo in parte. E per l’altra parte chi ne è il responsabile? Il destino cieco forse? O il caso? Oppure la fortuna o la sfortuna?
No, fratelli, per l’altra parte - la più gran parte - il futuro è nelle buone mani di Dio: quel Dio “che ci ha benedetti con ogni possibile benedizione” (ci assicura oggi san Paolo), cioè ha deciso in tutto e per tutto il nostro bene, perché ci ama. Pertanto sì, c’è un destino, eccolo infatti: “Dio ci ha scelti e voluti come figli (sempre parole di San Paolo) – ci ha predestinati a vivere con lui nell’amore”. Questo è il nostro unico e vero destino. Un bel destino, bisogna dire. E un futuro altrettanto bello e radioso, invece che disastroso.
Cosa chiedere allora oggi all’Immacolata, visto che è nostra buona Madre?Che ci insegni a fidarci di Dio, della sua buona volontà, senza porre condizioni, come ha fatto lei. Per un futuro, buono, vivibile: per noi e per tutti.
4 Dicembre 2022 - II° Domenica d'Avvento
Le Letture Bibliche: Isaia 11,1-10; Romani 15,4-9; Matteo3,1-12
Le letture che sentite quando venite alla Messa potranno suonare antiche e le loro parole molto diverse dalle nostre, ma quello che Dio vuol dirci attraverso quelle parole conserva un freschezza, una novità sempre eccezionale, insuperabile.
Oggi, per esempio, anche la prima lettura che abbiamo sentito ha un sapore di bella notizia… e chi ha fame e sete di belle notizie, fa bene ad aprire orecchi e cuore. Le parole sono del profeta Isaia, il quale – migliaia di anni fa’ - non poteva certo pensare a noi (non c’eravamo ancora noi), ma il Signore, che ispirava quel profeta, eh il Signore sì che pensava certamente anche a noi: vedeva i nostri volti, uno per uno, raccolti qui oggi per l’Eucaristia.
Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Jesse era stato il padre del re David; la sua famiglia era vissuta a Betlemme. Sia lui che la famiglia erano scomparsi da tanto tempo, come una pianta di cui eran rimasti soltanto il ceppo e le radici. Ebbene, un germoglio spunterà da quel ceppo, da quella vecchia radice (sarà Gesù quel germoglio: Gesù discende proprio dalla famiglia di David). E il messaggio per noi qual è? Dove sta la bella notizia? Nulla e nessuno a questo mondo è così vecchio al punto che il Signore non possa far germogliare novità proprio da lui: questo era vero allora ed è vero sempre, anche oggi.
Su quel germoglio si poserà lo spirito del Signore, - proseguiva così la bella notizia - spirito di sapienza e di intelligenza, di consiglio e di fortezza, di conoscenza e di timore del Signore. Insomma, qel germoglio, che è Gesù, avrà tutti i doni dello Spirito santo; soprattutto il timore del Signore, il timor di Dio. Cos'è il timor di Dio? Non è la paura di Dio (la paura non è affatto un dono!). Timor di Dio vuol dire: prendere sul serio Dio, la sua Parola, la sua volontà; così come si prendono sul serio tra loro due persone che si vogliono davvero bene. E allora ecco una prima conclusione: non ci sarà germoglio, cioè non ci sarà nulla di veramente nuovo né nella nostra vita, nè nella vita di questo mondo, se non si prende sul serio il Signore, se non ci si lega a lui con una relazione d’amore: è solo così che noi possiamo ricevere i doni dello Spirito santo.
Quel germoglio che Dio farà sorgere, dice poi il profeta, "non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra". Quanto bisogno di giustizia a questo mondo! Ma dove sta di casa la giustizia? Nei tribunali? I profeti della Bibbia hanno un'idea di giustizia diversa da quella dei tribunali: giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Notate, non è che Dio, per fare giustizia, favorirà i poveri a danno dei ricchi: questa è la pretesa dei rivoluzionari di questo mondo. Giustizia, per Dio, è promuovere i diritti di ogni uomo, e se per questo comincia da chi è povero, è perché costui (a differenza del ricco) non ha i mezzi per farsi giustizia da solo. La giustizia vera, per Dio, parte da lì. Cosa accadrebbe se a questo mondo si cominciasse a ragionare così?
Accadrebbe che il lupo dimorerebbe insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierebbe accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascolerebbero insieme e un piccolo fanciullo li guiderebbe. Il leone si ciberebbe di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerebbe sulla buca della vipera; il bambino metterebbe la mano nel covo del serpente velenoso senza trarne alcun danno… E' una cascata di immagini pardossali per dire: Pace, ecco cosa accadrà: la Pace. Che non è fatta di armistizi o di compromessi ma di giustizia vera. E cosa c'entrano il lupo e l'agnello, la vacca e l'orsa, il leone e il bue e il bambino che gioca con i serpenti? Beh, questa è la natura. Non è forse vero che quando è l'egoismo di pochi a dominare il mondo, anche la natura ne soffre? Chi è così cieco da non voler vedere i molti danni, le molteplici catastrofi, troppo frequenti e disastrose ormai per essere semplicemente naturali? Sì, anche la natura, anche l'aria che respiriamo ha bisogno di pace...
Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno – continua il profeta - perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare. Tutti hanno diritto di esprimere le loro opinioni, di fare dibattiti, di contrapporsi gli uni agli altri, ma una sola è la conoscenza – il sapere - di cui abbiamo veramente bisogno: quello che viene dal Signore. La conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare.
Ecco, fratelli, il vangelo che oggi il profeta ci consegna: questo vuol fare il Signore. Ma cosa aspetta a farlo? Forse la risposta ce la dà l'altro profeta che oggi entra in scena: Giovanni Battista. "Convertitevi - grida – perché il Regno dei cieli è vicino: preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!". Cosa vorrà dire? Basta guardarlo: è uno che non si preoccupa dell'abbigliamento: il suo vestito è fatto di peli di cammello, stretto da una cintura attorno ai fianchi... Ha preso le distanze dal conformismo tanto da andare a vivere nel deserto e la gente corre lì ad ascoltarlo. Perché mai? E’ forse un personaggio da baraccone? No, è uno del quale Dio si fida a tal punto da farlo suo portavoce; quello che dice lo grida con tutta la sua persona. “Convertitevi, raddrizzate i sentieri della vostra vita, se volete che Dio venga!”.
Fratelli, ancora una volta siamo entrati nell’Avvento, poi arriverà anche il Natale; quante volte è già arrivato nel corso della nostra vita? E cosa è cambiato? Sì, ogni anno qualche addobbo nuovo, i regali anche (mica si possono fare sempre gli stessi regali), probabilmente anche l’abbigliamento ha sempre avuto almeno qualche particolare diverso… ma noi, siamo cambiati noi in qualche cosa, o ci siamo limitati semplicemente ad aggiungere un anno in più a ogni avvento, a ogni Natale?
E’ nei nostri atteggiamenti che ci sono sentieri da raddrizzare, fratelli! è nella nostra condotta abituale che occorre aprire quella strada: altrimenti, Dio non può realizzare le sue promesse, non può venire! Attenderlo e accoglierlo vuol dire fare anzitutto una verifica: conservare e rinvigorire ciò che è vero e buono… ed eliminare coraggiosamente ciò che è falso e sbagliato. Se questo non lo facciamo, le nostre feste più belle si riducono a sceneggiate che lasciano il tempo che trovano. Insomma, ce lo dobbiamo domandare onestamente: cosa siamo disposti a cambiare in noi stessi perchè la bella notizia di Dio si realizzi? Qual è la strada da aprire, i sentieri da raddrizzare? I tempi nei quali viviamo non ci consentono di prendere alla leggera quella parola rude e decisa che oggi è risuonata: “Convertitevi!”. Accogliamola, fratelli: non limitiamoci a risentirla come un vecchio disco. Facciamole posto nell’intimo della nostra coscienza e lasciamo che in ciascuno di noi smuova qualche cosa per davvero.
Le Letture Bibliche: Isaia 11,1-10; Romani 15,4-9; Matteo3,1-12
Le letture che sentite quando venite alla Messa potranno suonare antiche e le loro parole molto diverse dalle nostre, ma quello che Dio vuol dirci attraverso quelle parole conserva un freschezza, una novità sempre eccezionale, insuperabile.
Oggi, per esempio, anche la prima lettura che abbiamo sentito ha un sapore di bella notizia… e chi ha fame e sete di belle notizie, fa bene ad aprire orecchi e cuore. Le parole sono del profeta Isaia, il quale – migliaia di anni fa’ - non poteva certo pensare a noi (non c’eravamo ancora noi), ma il Signore, che ispirava quel profeta, eh il Signore sì che pensava certamente anche a noi: vedeva i nostri volti, uno per uno, raccolti qui oggi per l’Eucaristia.
Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Jesse era stato il padre del re David; la sua famiglia era vissuta a Betlemme. Sia lui che la famiglia erano scomparsi da tanto tempo, come una pianta di cui eran rimasti soltanto il ceppo e le radici. Ebbene, un germoglio spunterà da quel ceppo, da quella vecchia radice (sarà Gesù quel germoglio: Gesù discende proprio dalla famiglia di David). E il messaggio per noi qual è? Dove sta la bella notizia? Nulla e nessuno a questo mondo è così vecchio al punto che il Signore non possa far germogliare novità proprio da lui: questo era vero allora ed è vero sempre, anche oggi.
Su quel germoglio si poserà lo spirito del Signore, - proseguiva così la bella notizia - spirito di sapienza e di intelligenza, di consiglio e di fortezza, di conoscenza e di timore del Signore. Insomma, qel germoglio, che è Gesù, avrà tutti i doni dello Spirito santo; soprattutto il timore del Signore, il timor di Dio. Cos'è il timor di Dio? Non è la paura di Dio (la paura non è affatto un dono!). Timor di Dio vuol dire: prendere sul serio Dio, la sua Parola, la sua volontà; così come si prendono sul serio tra loro due persone che si vogliono davvero bene. E allora ecco una prima conclusione: non ci sarà germoglio, cioè non ci sarà nulla di veramente nuovo né nella nostra vita, nè nella vita di questo mondo, se non si prende sul serio il Signore, se non ci si lega a lui con una relazione d’amore: è solo così che noi possiamo ricevere i doni dello Spirito santo.
Quel germoglio che Dio farà sorgere, dice poi il profeta, "non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra". Quanto bisogno di giustizia a questo mondo! Ma dove sta di casa la giustizia? Nei tribunali? I profeti della Bibbia hanno un'idea di giustizia diversa da quella dei tribunali: giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Notate, non è che Dio, per fare giustizia, favorirà i poveri a danno dei ricchi: questa è la pretesa dei rivoluzionari di questo mondo. Giustizia, per Dio, è promuovere i diritti di ogni uomo, e se per questo comincia da chi è povero, è perché costui (a differenza del ricco) non ha i mezzi per farsi giustizia da solo. La giustizia vera, per Dio, parte da lì. Cosa accadrebbe se a questo mondo si cominciasse a ragionare così?
Accadrebbe che il lupo dimorerebbe insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierebbe accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascolerebbero insieme e un piccolo fanciullo li guiderebbe. Il leone si ciberebbe di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerebbe sulla buca della vipera; il bambino metterebbe la mano nel covo del serpente velenoso senza trarne alcun danno… E' una cascata di immagini pardossali per dire: Pace, ecco cosa accadrà: la Pace. Che non è fatta di armistizi o di compromessi ma di giustizia vera. E cosa c'entrano il lupo e l'agnello, la vacca e l'orsa, il leone e il bue e il bambino che gioca con i serpenti? Beh, questa è la natura. Non è forse vero che quando è l'egoismo di pochi a dominare il mondo, anche la natura ne soffre? Chi è così cieco da non voler vedere i molti danni, le molteplici catastrofi, troppo frequenti e disastrose ormai per essere semplicemente naturali? Sì, anche la natura, anche l'aria che respiriamo ha bisogno di pace...
Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno – continua il profeta - perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare. Tutti hanno diritto di esprimere le loro opinioni, di fare dibattiti, di contrapporsi gli uni agli altri, ma una sola è la conoscenza – il sapere - di cui abbiamo veramente bisogno: quello che viene dal Signore. La conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare.
Ecco, fratelli, il vangelo che oggi il profeta ci consegna: questo vuol fare il Signore. Ma cosa aspetta a farlo? Forse la risposta ce la dà l'altro profeta che oggi entra in scena: Giovanni Battista. "Convertitevi - grida – perché il Regno dei cieli è vicino: preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!". Cosa vorrà dire? Basta guardarlo: è uno che non si preoccupa dell'abbigliamento: il suo vestito è fatto di peli di cammello, stretto da una cintura attorno ai fianchi... Ha preso le distanze dal conformismo tanto da andare a vivere nel deserto e la gente corre lì ad ascoltarlo. Perché mai? E’ forse un personaggio da baraccone? No, è uno del quale Dio si fida a tal punto da farlo suo portavoce; quello che dice lo grida con tutta la sua persona. “Convertitevi, raddrizzate i sentieri della vostra vita, se volete che Dio venga!”.
Fratelli, ancora una volta siamo entrati nell’Avvento, poi arriverà anche il Natale; quante volte è già arrivato nel corso della nostra vita? E cosa è cambiato? Sì, ogni anno qualche addobbo nuovo, i regali anche (mica si possono fare sempre gli stessi regali), probabilmente anche l’abbigliamento ha sempre avuto almeno qualche particolare diverso… ma noi, siamo cambiati noi in qualche cosa, o ci siamo limitati semplicemente ad aggiungere un anno in più a ogni avvento, a ogni Natale?
E’ nei nostri atteggiamenti che ci sono sentieri da raddrizzare, fratelli! è nella nostra condotta abituale che occorre aprire quella strada: altrimenti, Dio non può realizzare le sue promesse, non può venire! Attenderlo e accoglierlo vuol dire fare anzitutto una verifica: conservare e rinvigorire ciò che è vero e buono… ed eliminare coraggiosamente ciò che è falso e sbagliato. Se questo non lo facciamo, le nostre feste più belle si riducono a sceneggiate che lasciano il tempo che trovano. Insomma, ce lo dobbiamo domandare onestamente: cosa siamo disposti a cambiare in noi stessi perchè la bella notizia di Dio si realizzi? Qual è la strada da aprire, i sentieri da raddrizzare? I tempi nei quali viviamo non ci consentono di prendere alla leggera quella parola rude e decisa che oggi è risuonata: “Convertitevi!”. Accogliamola, fratelli: non limitiamoci a risentirla come un vecchio disco. Facciamole posto nell’intimo della nostra coscienza e lasciamo che in ciascuno di noi smuova qualche cosa per davvero.
27 Novembre 2022 - I° Domenica d'Avvento
Le Letture Bibliche: Isaia 2,1-5; Romani 13,11-14a; Matteo 24,37-44
Anche se la stagione invernale inizia ufficialmente il 21 dicembre, i sintomi, i segnali sono ormai quelli dell’inverno… Per molti e’ un po’ traumatico svegliarsi, doversi alzare e uscire di casa quando è ancora buio. Penso ai ragazzi che escono presto per andare a scuola, con i loro zaini come se andassero a scalare chissà che montagna… o agli adulti infagottati e frettolosi che vanno a lavorare! Chissà che fatica fanno ogni mattina…
Sì, d’inverno – più che d’estate – è forte la tentazione di restare a poltrire, aspettando che sia il sole (che sorge piuttosto tardi) a far aprire gli occhi. E perché, invece, ci svegliamo, ci alziamo dal letto e usciamo di casa anche se fuori è ancora freddo e buio? Perché lo vogliamo. Perché decidiamo che è giusto, anzi, doveroso, e allora ci diamo una mossa… Non basta la sveglia per far uscire dal sonno: ci sono di quelli che la sentono ma poi chiudono la suoneria, si girano dall’altra e continuano a dormire… No, occorre proprio volersi svegliare, voler uscire dal sonno. Se poi vi chiedete perché ho cominciato la mia riflessione con questi esempi, ecco il motivo: me l’ha suggerito poco fa san Paolo, l’apostolo, che oggi ci rivolge proprio nel nome del Signore queste precise parole: “Fratelli, è ormai tempo di svegliarvi dal sonno…!”.
Ma di che sonno parla? Quello che ci coglie ogni sera quando andiamo a dormire come al solito? No!… C’è un altro sonno, ben più pesante di quello: è la tiepidezza, la mediocrità, l’indifferenza che ci contagiano quando ci dimentichiamo che siamo cristiani…
Vivere è come camminare, lo sappiamo, è come fare un viaggio. Sì, ma in una certa direzione… invece a volte giriamo a vuoto, andiamo a zonzo di qua e di là, girovaghiamo senza una meta… Oh, il viaggio della vita procede lo stesso eh! Cioè, il tempo passa lo stesso, gli anni anche, i bimbi crescono, i papà e le mamme imbiancano… ma noi, anziché camminare, ci lasciamo portare: dal tempo, dalle circostanze, dagli eventi…si procede per forza d’inerzia, insomma… Ecco il sonno. Ah, questo è ben più pesante di quello che ci prende quando andiamo a dormire!
E ci prende più o meno tutti: cristiani e anche non cristiani, sia quelli che frequentano le chiese, sia quelli che invece frequentano di più i supermercati e i mercatini di vario genere. E’ una specie di epidemia collettiva questo sonno. Da cosa si vede? Quali sono i sintomi?
Tirare avanti …così, rimanendo sempre gli stessi. Gli unici cambiamenti che avvengono sono superficiali: la statura (per chi è bambino), l’aspetto esteriore della persona, gli oggetti di casa nostra, il guardaroba, ma noi – dentro: nel cuore, nella mentalità – siamo sempre gli stessi. Gesù oggi dice che anche ai giorni di Noè la gente viveva così: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, si sposavano, si separavano… e non si accorsero di nulla fin che non venne il diluvio e travolse tutti… Di cos’è che avrebbe dovuto accorgersi? Forse che è male mangiare e bere, comprare e vendere, cioè fare le cose di tutti i giorni? No, affatto. Il male sta nel non pensare ad altro, nel preoccuparsi solo o anzitutto di queste cose. Non è stato il diluvio a travolgere la gente, è stata la gente ad andargli incontro… Ai tempi di Noè è andata così. E ai nostri tempi? A differenza di quella gente noi sappiamo se la strada che percorriamo è giusta o sbagliata: noi, cristiani, non possiamo dire che non sapevamo, che eravamo all’oscuro, che nessuno ci ha preavvisati… No, lo potranno dire altri, ma noi no.
Noi sappiamo quali sono le cose assolutamente importanti e quali invece sono secondarie o addirittura sciocche. Quando ci interessiamo solo di queste ultime e dimentichiamo le prime, somigliamo a quel tale che sonnecchia sotto le coperte, pur sapendo che dovrebbe alzarsi, però è così bello poltrire che non trova il coraggio di saltar fuori dal letto…
“Fratelli, è ormai tempo di svegliarvi dal sonno…” ci sentiamo dire oggi. Sonno collettivo, dicevo: cioè che prende tutti. Anche me, prete. Anch’io rischio di sonnecchiare: se le cose che dico a voi, non le ascolto anzitutto io stesso, se non accetto che cambino me “dentro”… io sono uno che sonnecchia, uno che invecchia, ma non cambia mai nell’intimo, nella mentalità.
E voi, fratelli, in che situazione vi trovate? Vale anche per voi l’invito a svegliarvi dal sonno?
Certo, cambiamenti ne avvengono nelle nostre famiglie: i bambini diventano ragazzi, i ragazzi diventano giovani, i giovani diventano adulti… Ma, maturano veramente? Cambiano davvero in meglio, o crescono soltanto di statura, oppure perché passano dalle medie alle superiori e dalle superiori all’università o al posto di lavoro?
La domanda, però, è opportuno che ce la facciamo noi adulti: siamo disponibili a cambiare qualcosa di noi stessi, in profondità, o siamo sensibili solo a cambiamenti di facciata? Penso ai genitori che accompagnano i loro bambini o ragazzi nel cammino della Fede: ma, cambia qualcosa in loro, nel modo di vivere, di ragionare, negli ideali, nelle scelte che fanno? o sono sempre quelli? Se così fosse, allora vorrebbe dire che è il sonno a far da padrone…
“Fratelli, è ormai tempo di svegliarvi dal sonno…!”
E non perché qualcuno ci butta fuori dal letto e allora è gioco forza svegliarsi, cioè – per fare un esempio: se fosse solo la crisi economica a renderci più sobri su tutti i fronti, sarebbe piuttosto avvilente per noi cristiani: sobrietà solo per risparmiare, non è altro che un’altra forma di egoismo; forse che questo promuoverà un futuro migliore per tutti? Chi è così ingenuo da pensarlo? No, le crisi che investono Paesi e Nazioni provocano non solo alla sobrietà, ma alla solidarietà, e per ragioni di giustizia, di equità, perché è proprio l’assenza di queste la prima causa delle crisi.
Fratelli, l’Avvento che oggi cominciamo non è solo un tempo per preparare un Natale … forse un po’ meno consumistico di quelli passati… (non sarebbero necessarie quattro settimane per un risultato così scadente!).
L’Avvento è un tempo di grazia in cui destarsi dal sonno e prendere a vivere da cristiani più credibili: “Vegliate!”, vuol dire proprio questo. Oggi il Signore ce lo raccomanda con insistenza perché tutto porterebbe nella direzione opposta: “Vegliate… Vegliate!”. E siccome non basta il suono di una sveglia per ridestare la nostra coscienza, auguriamoci di accogliere questa sua accalorata raccomandazione e che la volontà di volerci svegliare a una vita cristiana più coerente ci sia davvero in ciascuno di noi.
Le Letture Bibliche: Isaia 2,1-5; Romani 13,11-14a; Matteo 24,37-44
Anche se la stagione invernale inizia ufficialmente il 21 dicembre, i sintomi, i segnali sono ormai quelli dell’inverno… Per molti e’ un po’ traumatico svegliarsi, doversi alzare e uscire di casa quando è ancora buio. Penso ai ragazzi che escono presto per andare a scuola, con i loro zaini come se andassero a scalare chissà che montagna… o agli adulti infagottati e frettolosi che vanno a lavorare! Chissà che fatica fanno ogni mattina…
Sì, d’inverno – più che d’estate – è forte la tentazione di restare a poltrire, aspettando che sia il sole (che sorge piuttosto tardi) a far aprire gli occhi. E perché, invece, ci svegliamo, ci alziamo dal letto e usciamo di casa anche se fuori è ancora freddo e buio? Perché lo vogliamo. Perché decidiamo che è giusto, anzi, doveroso, e allora ci diamo una mossa… Non basta la sveglia per far uscire dal sonno: ci sono di quelli che la sentono ma poi chiudono la suoneria, si girano dall’altra e continuano a dormire… No, occorre proprio volersi svegliare, voler uscire dal sonno. Se poi vi chiedete perché ho cominciato la mia riflessione con questi esempi, ecco il motivo: me l’ha suggerito poco fa san Paolo, l’apostolo, che oggi ci rivolge proprio nel nome del Signore queste precise parole: “Fratelli, è ormai tempo di svegliarvi dal sonno…!”.
Ma di che sonno parla? Quello che ci coglie ogni sera quando andiamo a dormire come al solito? No!… C’è un altro sonno, ben più pesante di quello: è la tiepidezza, la mediocrità, l’indifferenza che ci contagiano quando ci dimentichiamo che siamo cristiani…
Vivere è come camminare, lo sappiamo, è come fare un viaggio. Sì, ma in una certa direzione… invece a volte giriamo a vuoto, andiamo a zonzo di qua e di là, girovaghiamo senza una meta… Oh, il viaggio della vita procede lo stesso eh! Cioè, il tempo passa lo stesso, gli anni anche, i bimbi crescono, i papà e le mamme imbiancano… ma noi, anziché camminare, ci lasciamo portare: dal tempo, dalle circostanze, dagli eventi…si procede per forza d’inerzia, insomma… Ecco il sonno. Ah, questo è ben più pesante di quello che ci prende quando andiamo a dormire!
E ci prende più o meno tutti: cristiani e anche non cristiani, sia quelli che frequentano le chiese, sia quelli che invece frequentano di più i supermercati e i mercatini di vario genere. E’ una specie di epidemia collettiva questo sonno. Da cosa si vede? Quali sono i sintomi?
Tirare avanti …così, rimanendo sempre gli stessi. Gli unici cambiamenti che avvengono sono superficiali: la statura (per chi è bambino), l’aspetto esteriore della persona, gli oggetti di casa nostra, il guardaroba, ma noi – dentro: nel cuore, nella mentalità – siamo sempre gli stessi. Gesù oggi dice che anche ai giorni di Noè la gente viveva così: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, si sposavano, si separavano… e non si accorsero di nulla fin che non venne il diluvio e travolse tutti… Di cos’è che avrebbe dovuto accorgersi? Forse che è male mangiare e bere, comprare e vendere, cioè fare le cose di tutti i giorni? No, affatto. Il male sta nel non pensare ad altro, nel preoccuparsi solo o anzitutto di queste cose. Non è stato il diluvio a travolgere la gente, è stata la gente ad andargli incontro… Ai tempi di Noè è andata così. E ai nostri tempi? A differenza di quella gente noi sappiamo se la strada che percorriamo è giusta o sbagliata: noi, cristiani, non possiamo dire che non sapevamo, che eravamo all’oscuro, che nessuno ci ha preavvisati… No, lo potranno dire altri, ma noi no.
Noi sappiamo quali sono le cose assolutamente importanti e quali invece sono secondarie o addirittura sciocche. Quando ci interessiamo solo di queste ultime e dimentichiamo le prime, somigliamo a quel tale che sonnecchia sotto le coperte, pur sapendo che dovrebbe alzarsi, però è così bello poltrire che non trova il coraggio di saltar fuori dal letto…
“Fratelli, è ormai tempo di svegliarvi dal sonno…” ci sentiamo dire oggi. Sonno collettivo, dicevo: cioè che prende tutti. Anche me, prete. Anch’io rischio di sonnecchiare: se le cose che dico a voi, non le ascolto anzitutto io stesso, se non accetto che cambino me “dentro”… io sono uno che sonnecchia, uno che invecchia, ma non cambia mai nell’intimo, nella mentalità.
E voi, fratelli, in che situazione vi trovate? Vale anche per voi l’invito a svegliarvi dal sonno?
Certo, cambiamenti ne avvengono nelle nostre famiglie: i bambini diventano ragazzi, i ragazzi diventano giovani, i giovani diventano adulti… Ma, maturano veramente? Cambiano davvero in meglio, o crescono soltanto di statura, oppure perché passano dalle medie alle superiori e dalle superiori all’università o al posto di lavoro?
La domanda, però, è opportuno che ce la facciamo noi adulti: siamo disponibili a cambiare qualcosa di noi stessi, in profondità, o siamo sensibili solo a cambiamenti di facciata? Penso ai genitori che accompagnano i loro bambini o ragazzi nel cammino della Fede: ma, cambia qualcosa in loro, nel modo di vivere, di ragionare, negli ideali, nelle scelte che fanno? o sono sempre quelli? Se così fosse, allora vorrebbe dire che è il sonno a far da padrone…
“Fratelli, è ormai tempo di svegliarvi dal sonno…!”
E non perché qualcuno ci butta fuori dal letto e allora è gioco forza svegliarsi, cioè – per fare un esempio: se fosse solo la crisi economica a renderci più sobri su tutti i fronti, sarebbe piuttosto avvilente per noi cristiani: sobrietà solo per risparmiare, non è altro che un’altra forma di egoismo; forse che questo promuoverà un futuro migliore per tutti? Chi è così ingenuo da pensarlo? No, le crisi che investono Paesi e Nazioni provocano non solo alla sobrietà, ma alla solidarietà, e per ragioni di giustizia, di equità, perché è proprio l’assenza di queste la prima causa delle crisi.
Fratelli, l’Avvento che oggi cominciamo non è solo un tempo per preparare un Natale … forse un po’ meno consumistico di quelli passati… (non sarebbero necessarie quattro settimane per un risultato così scadente!).
L’Avvento è un tempo di grazia in cui destarsi dal sonno e prendere a vivere da cristiani più credibili: “Vegliate!”, vuol dire proprio questo. Oggi il Signore ce lo raccomanda con insistenza perché tutto porterebbe nella direzione opposta: “Vegliate… Vegliate!”. E siccome non basta il suono di una sveglia per ridestare la nostra coscienza, auguriamoci di accogliere questa sua accalorata raccomandazione e che la volontà di volerci svegliare a una vita cristiana più coerente ci sia davvero in ciascuno di noi.